Man bassa sulla linfa vitale delle città
La corsa all'oro blu Sul pianeta, circa 1,4 miliardi di persone sono prive di acqua potabile, mentre altre la sprecano. L'agricoltura intensiva porta a un consumo fuori controllo e a un inquinamento senza precedenti. Invece di promuovere nuovi stili di vita, i governi dei paesi ricchi si lanciano in progetti faraonici, come il trasferimento massiccio di acqua tra il Canada e gli Usa (pagine 12 e 13). Alcune multinazionali non esitano a impadronirsi delle falde freatiche, ma incontrano resistenze: in Kerala dove le donne lottano contro la Coca Cola che prosciuga i loro pozzi, ma anche in molte municipalità francesi, che riportano i servizi idraulici nel sistema pubblico (pagine 14 e 15). Posti di fronte a siffatta opposizione, i potenti gruppi mondiali manovrano per conservare il controllo della preziosa risorsa.
Marc Laimé
Se sul piano globale i servizi della distribuzione e depurazione dell'acqua sono tuttora gestiti al 95% dai poteri pubblici, le megaimprese del settore - tre delle quattro «major» a livello mondiale sono francesi (vedi box) - cercano di mettere le mani sui mercati in via di privatizzazione.
Queste scelte sono però contestate da milioni di abitanti del nostro pianeta: tanto da indurre la Veolia a pubblicare - per la prima volta! - una sorta di argomentario in cui tenta di rispondere ai suoi detrattori altermondialisti. (1) La Francia, benché superata di misura dal Cile e poi dall'Inghilterra e dal Galles, che hanno privatizzato a tutto campo, si presenta come un pioniere della compartecipazione privata alla gestione delle risorse idriche. Otto francesi su dieci (nove su dieci nelle grandi città) sono serviti da un operatore privato. Non a caso si parla di «scuola francese dell'acqua». Fin dalla metà del XIX secolo, i comuni hanno la possibilità di delegare la gestione dei servizi inerenti all'acqua. Ma la crescita folgorante delle «Tre Sorelle» inizia dopo la seconda guerra mondiale, con l'esplosione della domanda di infrastrutture in seguito al rapido aumento della popolazione, all'urbanesimo e all'industrializzazione. L'acqua era allora considerata come una risorsa di facile estrazione, e quasi inesauribile. E nessuno ancora si preoccupava di inquinamento o tutela dell'ambiente.
Oltre tutto, gli enti pubblici di gestione dei comuni, che all'epoca assicuravano per il 70% i servizi del ciclo idrico - in base a una prerogativa che risale al 1789 - a volte erano male amministrati e indebitati. Va detto che le norme in vigore non consentivano a questi enti di costituire riserve finanziarie da poter investire, mentre le esigenze in questo senso crescevano a dismisura. Nel 1954, quando la percentuale dei cittadini che fruivano dei loro servizi si era ridotta a meno di un terzo del totale (il 31,6%) i privati si sono lanciati nella breccia, favoriti anche dal loro livello di know-how tecnico e di gestione. Competenze che sviluppano a ritmo accelerato, segnatamente in un campo non ancora designato col nome di «ingegneria finanziaria».
Il finanziamento però, nel caso della gestione pubblica come in quello della delega al privato, sono sempre pubblici, dato che a pagare è comunque l'utente. Il talento delle imprese si esplicherà nell'«ottimizzare» questi finanziamenti, a proprio vantaggio ma spesso anche a beneficio degli enti locali con i quali hanno stipulato i loro contratti. Nei «mestieri dell'acqua», la competenza finanziaria è diventata importante almeno quanto quella industriale. Così gli enti locali hanno firmato con le mega-imprese del settore una sorta di «patto faustiano».
A partire dagli anni 1950 e fino al 1995 (quando un provvedimento di legge vieta questa prassi) la firma di un contratto è spesso accompagnata da un versamento dell'impresa a favore dell'ente locale: il cosiddetto «droit d'entrée» (diritto d'entrata). Si tratta di decine, e a volte di centinaia di milioni di franchi, che però non vengono stanziati per le esigenze del ciclo idrico, ma alimentano il bilancio generale del comune, per rimpolpare le magre finanze locali o costruire impianti collettivi quali stadi, campi sportivi o piscine: insomma, si fa di tutto fuorché investire nelle risorse idriche. D'altra parte, e visto che la vocazione delle imprese non è la filantropia, a rimborsare quella spesa per tutta la durata del contratto è sempre l'utente, attraverso la bolletta dell'acqua. Così tocca all'ignaro consumatore pagare questo «regalo» elargito alla comunità. Il costo dell'acqua si sostituisce alle imposte locali: una prassi di cui è facile intuire i vantaggi politici per gli eletti (2).
Queste pratiche fondatrici del sistema francese hanno spianato la strada a ogni possibile abuso: opacità, bollette maggiorate, pratiche monopolistiche e così via. La Veolia e la Suez possiedono tuttora una decina di filiali comuni, titolari di contratti con altrettante grandi città francesi, in barba al Consiglio della concorrenza che ne ha chiesto la soppressione fin dal 2002. Per di più, è praticamente impossibile per un ente locale sapere quanti siano i dipendenti di un'azienda privata effettivamente addetti alle mansioni legate a un dato contratto, o accertare la reale entità di certe voci di spesa: ad esempio le «frais de siège» (spese di sede) conteggiate senza una giustificazione precisa; o l'effettivo utilizzo della «provvista di rinnovamento», che teoricamente dovrebbe servire alla manutenzione e al rinnovo delle reti distributive. Le somme in gioco sono dell'ordine di miliardi di euro (si veda l'articolo di Patrtick Coupechoux a pag 14) e centinaia di enti locali faticano, nonostante i loro sforzi, a ottenere informazioni più precise sul loro effettivo utilizzo.
Da una decina d'anni, tutte le inchieste pubbliche rivelano queste pratiche deteriori, che costituiscono una forma di corruzione strutturale: un fenomeno ben più esteso dei casi di arricchimento personale esplosi all'inizio degli anni 1990 (i cosiddetti «affari politico-finanziari», cioè i finanziamenti occulti dei partiti da parte delle imprese).
Una realtà che testimonia di una clamorosa carenza di controlli su un servizio pubblico essenziale. Emerge così la schiacciante responsabilità degli eletti e di tutta la classe politica (3). Certo, il quasi monopolio delle «Tre Sorelle» non rappresenta una privatizzazione nel senso stretto del termine. Ma i circa 15.000 «Syndicats de l'eau» (enti di gestione dell'acqua amministrati dai comuni) si trovano a far fronte alla crescita esponenziale del know-how di queste imprese, sia sul piano tecnico che su quello della gestione, della ricerca, del management, delle finanze e dei rapporti con il cliente. L'ente locale, isolato e carente di mezzi tecnici e umani, deve confrontarsi con un oligopolio. La sproporzione del rapporto di forze è schiacciante.
Il boom delle megaimprese Negli anni '80 questo squilibrio si aggrava ulteriormente, in seguito alla convergenza di vari fattori che favoriscono il ricorso alle multinazionali: la crescente severità delle norme europee che esigono livelli di specializzazione sempre più elevati, la latitanza della ricerca pubblica nel settore e l'aumento dei deficit pubblici. Frattanto, con il boom dei mercati le mega-imprese si arricchiscono in maniera esplosiva.
Il loro dominio, iniziato nel corso del decennio precedente, si va gradualmente estendendo alla quasi totalità dei servizi pubblici di base che ogni collettività è tenuta a garantire: il ciclo idrico, dalla distribuzione alla depurazione delle acque reflue, ma anche l'energia, il riscaldamento, l'eliminazione dei rifiuti solidi urbani, i trasporti, la ristorazione collettiva, i parcheggi, le pompe funebri e ora anche la telefonia mobile, con Sfr (Bouygues) e Cegetel (Vivendi).
Ad esempio, la comunità urbana di Lione (Courly) ha affidato la distribuzione dell'acqua potabile a una filiale detenuta per il 90% dalla Générale des Eaux-Veolia, e per il 10% da una filiale della Ondeo-Suez, mentre una parte del settore depurazione passa attraverso un'altra filiale della Générale des Eaux, (50%) e Suez-Lyonnaise, via Otv (50%); quanto ai servizi urbani di riscaldamento e refrigerazione, sono delegati a una filiale della Générale des Eaux-Veolia (Dalkia), mentre la raccolta dei rifiuti è affidata per il 50% a una miriade di filiali della Cge e della Lyonnaise. Nel decennio 1980, questi gruppi hanno esteso i loro investimenti ai media: Bouygues con Tf1, Vivendi con Canal Plus, Lyonnaise con M6. Per loro è una forza d'urto. Ma al tempo stesso hanno eretto a virtù cardinale il «pantouflage», ossia i passaggi al coperto (praticamente in pantofole) dal pubblico al privato e viceversa, agli alti livelli di dirigenza. Alcuni esempi: Anne Hidalgo, n° 2 delle risorse umane della Générale des Eaux dal 1995 al 1997, sarà nel 2001 vice-sindaco di Parigi accanto a Bertrand Delanoë. L'ex responsabile del Partito socialista (Ps) della regione di Lille François Colin, membro del gabinetto di Martine Aubry, è responsabile delle questioni sociali della Vivendi Universal (Vu), ex Générale des Eaux, dal 1998 al 2003.
Dal canto suo il deputato del Ps della Drôme, Eric Besson, nel 2002 portavoce dello stato maggiore di campagna di Lionel Jospin per l'economia e le imprese, aveva diretto la Fondazione Vivendi dal 1998 al 2002.
E l'ex consigliere tecnico di Charles Hernu al ministero della difesa, Jean-François Dubos, nel 1997 è segretario generale della Vivendi Universal. Analogamente, un deputato dell'Ump (Union pour un Mouvement Populaire) della Haute Vienne, Alain Marsaud, responsabile della prospettiva di Vu dal 1997, è stato rappresentante commerciale del Gruppo Comunicazioni e media per le Isole Mauritius (4). Jean-Pierre Denis, manager di Dalkia (il settore energia della Vivendi- Ambiente) prodiga tuttora i suoi consigli a Jacques Chirac, benché dal 1998 non ricopra più la carica di segretario generale aggiunto all'Eliseo.
Non a caso la Vivendi è stata ribattezzata «Vivaio per Enarchi in disponibilità» (NdT: da Ena, la celebre Ecole Nationale de l'Administration, dalla quale provengono in genere gli alti funzionari dello stato francese).
Peraltro, la Suez non è da meno. Il suo direttore generale Yves Thibault de Silguy è un ex Commissario europeo. Nel 2000 l'azienda ha accolto Mathias Hautefort, già consigliere tecnico per le questioni energetiche di Christian Pierret, Segretario di stato all'industria. E nel luglio 2004 il docente di scienze politiche Gérard Le Gall, a suo tempo esperto in sondaggi di Lionel Jospin a Matignon, ha abbandonato l'università per entrare lui pure in Suez...
Le classiche contrapposizioni pubblico-privato o destra-sinistra non hanno più molto senso. I più importanti attori del settore idrico di qualunque provenienza - miniere, genio civile, ingegneria rurale, settore idrologico e forestale (Engref - Ecole Nationale du Génie Rural et Forêts), Ispettorato delle Finanze o Ecole Nationale de l'Administration (Ena) - tendono invariabilmente a monopolizzare le posizioni di potere. Un esempio eloquente è quello di un alto dirigente della Suez, al terzo o quarto posto dell'effettiva gerarchia del gruppo in Francia, docente alla Scuola nazionale «Ponts et Chaussées» (genio civile), dalla quale escono ogni anno centoventi futuri ingegneri: ma il professore è anche capo del Settore Comunicazioni dell'Spde (Sindacato dei professionisti della distribuzione dell'acqua) costituito da Suez, Vivendi e Saur; e si onora inoltre di essere stato membro di un gabinetto ministeriale sotto un governo di sinistra. Altro esempio: il suo omologo della Veolia, artefice della «risposta» dell'azienda ai suoi detrattori altermondialisti, è anche un eletto del Ps. A questo punto non si fa fatica a capire il perché dello scarso impegno delle élite politico-economiche francesi, quando si tratta di esaminare da vicino l'operato di queste aziende, la cui influenza non ha mai cessato di crescere.
Oltre alla forza d'urto pubblicitaria, queste multinazionali - molto corteggiate come inserzioniste - si assicurano i servizi di uffici specializzati in relazioni pubbliche, quali Image 7 e Dgm Conseil Strategic: centri dalla reputazione solforosa, che pilotano nell'ombra violente campagne di lobbying in direzione dei media e delle sfere politiche. (5) Si potrebbe citare anche l'esempio della Veolia, che nella primavera del 2004 inviò a 23.000 direttori di scuole elementari francesi un numero-omaggio del giornale Mon Quotidien, rivolto a un pubblico di lettori dai 9 ai 13 anni, con un inserto: un poster di Victor, la sua mascotte, che spiegava come difendendo l'ambiente si tutela la propria salute. Inoltre sono state spedite 22.000 copie omaggio del Quotidien du médecin (Quotidiano del medico) ad altrettanti medici generici. Nello stesso periodo la Générale des Eaux elargiva a decine di migliaia di alunni una nuova versione del suo «kit pedagogico» (la prima risale al 1995) che propone 15 esperimenti in campo scientifico e tecnologico e varie esercitazioni in altre materie (arti plastiche, storia e geografia, educazione civica e francese). Su un registro analogo, la Suez sponsorizza da una decina d'anni il Festival internazionale di geografia di Saint-Dié, la più importante manifestazione francese in questo campo, istituita dal socialista Christian Pierret, ex segretario di Stato all'industria. Vi prendono parte ogni anno, nell'ambito della formazione permanente, centinaia di insegnanti, debitamente abbeverati dalla Suez in fatto di informazioni sulle risorse idriche ...
Ma dato che il mercato francese è in via di saturazione e gli scandali politico-finanziari imperversano, le «Tre Sorelle» sentono il richiamo di più ampi spazi. Verso la fine del decennio 1980 Jérôme Monod, presidente della Suez Lyonnaise, oggi consigliere di Jacques Chirac all'Eliseo, prende contatto con il presidente della Banca mondiale James Wolfensohn. Nel giro di pochi anni si forma una rete di potenti influenze internazionali, volta a promuovere la «via francese» alla gestione dei servizi idrici, all'insegna del «Partenariato Pubblico- Privato». Ed ecco sorgere, sul modello del Consiglio mondiale delle Acque, una decina di istituzioni che non faticano molto a evangelizzare le istituzioni finanziarie internazionali.
Da allora, il «pensiero dell'acqua» è divenuto doxa: solo il «Partenariato Pubblico-Privato» salverà il pianeta! In particolare, il processo di mercantilizzazione trova la sua incarnazione nelle raccomandazioni del «panel Camdessus», formulate nel marzo 2003, poco prima del forum mondiale dell'acqua di Kyoto (6). Si tratta di mobilitare fondi pubblici, nonché di inventare nuovi dispositivi a garanzia della sicurezza degli investimenti privati. Contro i rischi di cambio ad esempio, per evitare il ripetersi di tracolli come quello dell'Argentina, dove a quanto pare la Suez avrebbe perso 600 milioni di euro; ma anche contro qualunque evento politico o sociale suscettibile di minacciare ... gli utili che l'azienda si aspetta dal suo il contratto.
Tariffe pesanti che gravano sugli utenti Se da un lato le megaimprese danno prova di reali capacità operative, dall'altro beneficiano di finanziamenti pubblici internazionali.
E impongono tariffe che gravano pesantemente sugli utenti. Di fatto, i loro sistemi di gestione sono sempre più contestati dalle popolazioni, che finiscono per ribellarsi (7). Nel febbraio 2002, la Vivendi è costretta a ritirarsi precipitosamente dalle Comore, dove gestiva dal 1997 la rete dell'energia elettrica. Nonostante un apporto iniziale di fondi dell'ordine di quasi 80 milioni di franchi (un po' più di 12 milioni di euro) offerto da istituzioni finanziarie internazionali, la qualità del servizio all'utenza si era rapidamente degradata; e la Vivendi ha finito per andarsene sbattendo la porta.
Il 24 gennaio 2003 la città di Atlanta (Stati uniti) e United Water (Suez) annunciano lo scioglimento del contratto di concessione ventennale, firmato nel gennaio 1999 tra l'amministrazione comunale e l'azienda distributrice. E non più di quindici giorni dopo, il 7 febbraio 2003, la Suez/Ondeo annuncia il proprio ritiro da Manila (Filippine), in seguito al rifiuto delle autorità locali di autorizzare un aumento delle tariffe. Quel contratto, stipulato nel 1997 per una durata di venticinque anni, riguardava una popolazione di ben 6 milioni di utenti: si trattava della più grossa operazione di privatizzazione a livello mondiale, salutata come il modello delle future riforme dei servizi pubblici, nonché come il mezzo migliore per estenderli alle fasce più povere della popolazione. Era stata la Banca mondiale, di comune accordo con il Fondo monetario internazionale, ad esigere questa privatizzazione dell'erogazione dell'acqua, viste le difficoltà in cui versava la gestione pubblica. Ma i risultati si sono rivelati disastrosi. Le tariffe sono aumentate, in cinque anni, del 500% - tanto che nel 2003 la bolletta dell'acqua era arrivata ad assorbire in media il 10% del reddito delle famiglie. Il previsto ampliamento del bacino di utenza non c'è stato. Ma è accaduto di peggio: nel novembre del 2003, nel quartiere di Tondo, gestito dal consorzio, sono esplose epidemie di gastroenterite e di colera, con 700 casi accertati, di cui 7 con esito letale.
Il 18 febbraio 2003 un decreto del governatore dello Stato brasiliano di Paranà estromette la «Vivendi Environnement» e i suoi partner locali dalla gestione della depurazione dell'acqua. Il 24 giugno dello stesso anno, la Suez rende nota la rinuncia a un contratto trentennale di 341 milioni di dollari per la gestione delle acque reflue a Halifax (Canada). Secondo le sue stesse dichiarazioni, la Suez «è giunta alla conclusione di non poter rispettare il capitolato d'appalto senza un aumento del compenso stipulato, per un ammontare valutato a 20 milioni di dollari».
Da allora le cose non stanno andando meglio. La Suez, con la sua filiale Aguas Argentinas, è tuttora coinvolta a Buenos Aires nelle trattative di rinegoziazione di un megacontratto che il presidente Nestor Kirchner minaccia da vari anni di denunciare. La Suez pretende per le sue prestazioni un aumento tariffario giudicato inaccettabile dalle autorità argentine. Le quali ultime, nel gennaio 2005, hanno multato l'Edf e la multinazionale francese per complessivi 2 milioni di pesos (500.000 euro) per inadempienza dei loro obblighi in materia di investimenti e di qualità dei servizi. Ma già nel maggio del 2004 Dominique de Villepin, allora ministro degli esteri, fu costretto a intervenire in quella veste, per ricordare ai suoi «amici argentini» tutto ciò che «le imprese francesi hanno pagato durante quel difficile periodo (8)». La frase alludeva all'aiuto francese in occasione della revisione, avvenuta nel marzo 2004, di un accordo firmato con il Fondo monetario internazionale (Fmi).
In Sudafrica la Suez, da anni cointeressata, su richiesta di Johannesburg, all'erogazione dell'acqua a Soweto, deve far fronte alla mobilitazione di settori della popolazione che rifiutano di pagare le sue tariffe, anche perché in base a una dichiarazione dello stato sudafricano l'accesso all'acqua è un diritto costituzionale. Peraltro, nonostante gli impegni più volte ribaditi dalla comunità internazionale, i fondi promessi per le risorse idriche mancano all'appello.
In una critica retrospettiva, vari analisti imputano all'euforia economica della fine degli anni 1990 la corsa precipitosa alla crescita globale delle «major» dell'acqua, in un processo paragonabile a quello della bolla di Internet. A conti fatti, varie iniziative si sono rivelate catastrofiche, in particolare in paesi come l'Argentina, alle prese con crisi monetarie, tanto da costringere le megaimprese a ritirarsi da progetti troppo ambiziosi. Un paradosso per gli apostoli della libertà dell'imprenditore e della sua proverbiale «disponibilità al rischio». Ma di fatto, un mercato dell'acqua esiste, ed è in via di ristrutturazione accelerata. Vi si avventurano nuovi attori, alcuni dei quali - ironia della storia! - sono imprese pubbliche già presenti nel settore: ad esempio le potenti Stadtwerke tedesche, o alcuni operatori pubblici italiani. Ma anche imprese edili e di lavori pubblici (Btp), o i conglomerati che emergono soprattutto nel Sudest asiatico, in Germania o in Spagna. Di fatto, è ormai in discussione la questione di fondo: quella del controllo dell'intero ciclo idrico da parte dei grandi operatori privati, che ormai tendono piuttosto agli interventi puntuali, volti ad assicurare prestazioni limitate. D'altra parte, le «major» francesi si vedono disputare il campo da molte industrie del ramo americane, britanniche, tedesche o giapponesi (9).
Un mercato in piena ristrutturazione Infine, l'attuale configurazione del «mercato dell'acqua» risente in misura crescente del tasso di crescita a due cifre dell'acqua in bottiglie. Il potere un tempo indiscusso delle tre «major» francesi non è dunque incrollabile. E forse la loro «età dell'oro» sta volgendo al termine nella stessa Francia.(10) Sotto la pressione dell'utenza, molte amministrazioni comunali esigono oggi una gestione più trasparente.
Ma i vecchi riflessi sono duri a morire, a giudicare dalle considerazioni di un dirigente della Veolia: «L'Eldorado, da qualche anno, è il mercato dei paesi dell'Est, dove le infrastrutture ci sono, anche se andrebbero rinnovate. Il bacino di utenza è di 100 milioni di persone, che bene o male, tra 10 o 15 anni, raggiungeranno lo standard di vita europeo. Dato che i nostri interlocutori sono per lo più gli ex apparatchik, ansiosi di ritagliarsi la loro parte dei benefici del liberismo, e grazie anche ai finanziamenti europei che si ottengono con facilità, abbiamo ancora qualche anno buono davanti a noi...».
E quanto all' Africa - a parte la recente creazione di tre joint venture, nel Gabon, nel Niger e in Marocco, ove la solvibilità è garantita da finanziamenti internazionali - staremo a vedere.
note:
* Giornalista, autore del Dossier de l'eau. Pénurie, pollution, corruption.
Le Seuil, Parigi, 2003.
(1) «Le mouvement altermondialiste - Quelles réponses». Documento interno, Veolia Water, Direction des collectivités publiques, novembre 2003. «De l'eau potable pour tous», la contribution de Veolia Water, novembre 2004.
(2) «Prix de l'eau: la plainte», Toulouse Métropole, 25 giugno 2003.
Il 24 giugno 2003 viene avviata una procedura contro il comune, accusato di aver percepito un droit d'entrée di 437,5 milioni di franchi dalla Cge. Secondo gli utenti, nel 2020, alla scadenza del contratto, i cittadini di Tolosa avrebbero indebitamente rimborsato alla Cge quasi 220 milioni di euro.
(3) Le Dossier de l'eau, pénurie, pollution, corruption, Le Seuil, marzo 2003. Per quanto riguarda le responsabilità degli eletti, leggere inoltre Laetitia Guérin-Schneider e Dominique Lorrain, «Les relations puissance publique-firmes dans le secteur de l'eau et de l'assainissement», La Gazette des communes, Parigi, 9 agosto 2004.
(4) Ne parlano le pagine di cronaca dell'autunno 2004, a proposito della causa Veolia e Vu - Nicolas Cori e Renaud Lecadre. Si veda «Le marché de l'eau en Arabie Saoudite finit en baston au George-V», Libération, 8 dicembre 2004.
(5) Bruno Fay e Laurent Olivier, Le Casier judiciaire de la République, Ramsay, Parigi, 2002.
(6) Michel Camdessus (sotto la direzione di), «Financer l'eau pour tous», Rapporto del panel mondiale sul finanziamento delle infrastrutture idriche, marzo 2003. Leggere inoltre Martine Bulard, «L'astutissimo signor Camdessus», Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 2005.
(7) A cura di Catherine Baron, «Société civile et marchandisation de l'eau», Sciences de la Société, Cnrs, Lereps Tolosa 1, 25 febbraio 2005.
(8) Vittorio de Filippis e Christian Losson, «Suez ravi de conserver l'eau et les égouts de Buenos Aires», Libération, 6 maggio 2004.
(9) Dominique Lorrain, «Le quatre compétitions dans un monopole naturel.
Qu'est-il en train d'arriver au secteur de l'eau?», Flux (Cnrs, Parigi, nn. 52-53, settembre 2003.
(10) Martine Orange, «Les champions de l'eau français sont en crise», Le Monde, 29 gennaio 2004.
da Le Monde Diplomatiqua maggio 2005
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