mercoledì 18 gennaio 2012


La San Pellegrino in crisi minaccia 300 licenziamenti

La crisi tocca anche le aziende più floride e produttive d'Italia. Anche alla San Pellegrino, fondata nel 1899, è tempo di centinaia di licenziamenti.
Nel corso di un secolo, la produzione e il consumo dell'acqua più famosa del mondo sono cresciuti in modo esponenziale. Nel 1968 il marchio si è guadagnato la copertina del celebre settimanale inglese The Observer, nel 2003 la bottiglia da 75 cl ha raggiunto la quotazione record di 10 dollari, e solo 4 anni fa nel mondo sono state vendute 500 migliaia di bottiglie. Pochi giorni fa la Nestlè Waters, proprietaria del brand, ha comunicato di aver aperto la procedura di mobilità per quasi trecento lavoratori sparsi negli stabilimenti di tutta Italia. Nonostante il bilancio del 2008 sia in attivo del 7,7%, nei primi mesi del 2009 l'azienda ha subito una perdita di fatturato del 15%. Ora, nello stabilimento di San Pellegrino il licenziamento di 120 dipendenti equivarrebbe al taglio di un terzo della forza lavoro.
La Nestlè giustifica il piano di riorganizzazione con il calo delle vendite, circa 300 milioni di bottiglie. In secondo luogo c'è il problema dei dazi americani sui prodotti europei. Il rischio per la San Pellegrino, che esporta negli Stati Uniti il 25% della produzione, è altissimo. Per il momento l'imposizione dei diritti doganali è stata posticipata di un mese, ma dai vertici dell'azienda fanno sapere che «la risoluzione della vicenda dazi influirebbe in modo positivo sul piano di riorganizzazione». Dall'altra parte della barricata, i lavoratori non accettano compromessi: dopo settimane di scioperi e mobilitazioni, hanno ottenuto una prima vittoria. All'incontro di ieri in Assolombarda, l'azienda ha comunicato che il piano non verrà ritirato, ma il numero dei licenziamenti non è più «stampato nel fuoco». Il mese prossimo si aprirà un tavolo di confronto per decidere, dove agire e in che misura, e se valutare l'ipotesi di cassa integrazione per chi è prossimo alla pensione. «E' un primo risultato - ammette Marco Battaini, della Flai Cgil - ma se l'azienda non revocherà la procedura, noi non ci muoveremo di un passo. Questa sospensione è un segnale di apertura. Non regalato, ce lo siamo conquistato a forza di scioperi e incontri. Che continueremo a fare».
Due giorni fa alla sede amministrativa di Nestlé, in via Richard, erano un centinaio. «Sembra che le pratiche amministrative saranno smaltite da lavoratori in Polonia o in India - raccontano - visto che non possono spostare le sorgenti, spostano il nostro settore». Crisi, delocalizzazione, dazi. E la solita soluzione: sostituire i lavoratori assunti con precari ricattabili.

di Mariangela Maturi     il Manifesto

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