mercoledì 18 gennaio 2012


RIFORME ECONOMICHE E SERVIZI SOCIALI NEL SUDAFRICA 
POST-APARTHEID: L’ACCESSO ALL’ACQUA

 IL CONTESTO SUDAFRICANO
Nel momento in cui questa tesi viene scritta, si sta celebrando
l’anniversario dei primi dieci anni di democrazia. Nella vita quotidiana,
nei mercati e sugli autobus, nelle piazze e nelle strade, alla televisione e
alla radio, si respira senza dubbio ancora una aria nuova, come un’ eco
del 1994; nei grandi eventi di popolo, così come nei discorsi della gente
è evidente la felicità e l’orgoglio per la nuova strada intrapresa dalla
“nazione arcobaleno”.1 Neri e bianchi vivono, apparentemente senza
evidenti conflitti razziali, la propria quotidianità insieme. E’
sorprendente la totale assenza di odio da parte dei neri nei confronti dei
bianchi; sembra quasi, ad un primo acchito, che le nozioni di odio e
vendetta razziale siano praticamente assenti.
A Mandela, leader storico del movimento anti-apartheid, simbolo delle
sofferenze e della tenacia di un popolo intero e, in ultimo, padre putativo
del nuovo Sudafrica, va senza dubbio gran parte del merito di ciò. Sin
dalla sua liberazione, avvenuta nel febbraio 1990, dopo ventisette anni
di carcere, egli si è attribuito il compito di riconciliare le masse nere con
la minoranza bianca, impegnando ogni suo sforzo nella ricerca di un
futuro di convivenza pacifica in grado di superare la dicotomia oppressooppressore.
Tale dicotomia è l’inevitabile paradigma di interpretazione
1 Nell’aprile 1994 si svolsero le prime elezioni libere vinte dell’ANC (African
National Congress) con il 62.65% dei voti: cfr. L. Thompson, A history of South
Africa, Tale University Press, 2000, p. 264.

degli ultimi trecento anni di storia sudafricana, segnati dal colonialismo
europeo e dall’ imposizione di una gerarchia razziale fondata sullo
sfruttamento e la segregazione e culminata nel sistema dell’apartheid.2
D’altra parte il fatto che alcuni bianchi siano stati parte del movimento
di liberazione ha fatto sì che la contrapposizione all’interno del paese
non abbia assunto una connotazione esclusivamente razziale ma anche e
soprattutto politica, tracciando una linea netta tra attivisti (non solo neri)
da una parte e coloro i quali contribuivano a perpetuare il sistema di
segregazione dall’altra. Nel momento culminante della lotta di
liberazione, segnato dall’insurrezione delle townships (sobborghi urbani)
alla fine anni degli anni Ottanta, pochi bianchi continuarono il loro
lavoro quotidiano all’interno delle comunità nere per paura di diventare
bersaglio di attacchi sconsiderati, tuttavia in molti hanno proseguito
nella loro azione di appoggio e supporto della lotta. Nonostante la
consapevolezza che - per citare le parole di Steve Biko - “in ultima
analisi nessun bianco può sfuggire dall’essere membro del partito degli
oppressori”, tali persone hanno voluto fare proprie le istanze di
liberazione delle masse nere.3 Anche ad essi, soli, in mezzo ad una
maggioranza bianca a favore dell’apartheid, va una piccola parte del
merito per cui è oggi possibile entrare in una township ed essere accolto
in maniera fraterna.
2 Nel 1652 la Compagnia delle Indie Orientali, di proprietà olandese trovò nel Capo di
Buona Speranza un ottimo avamposto per i propri commerci. Nel 1795 gli Inglesi, in
seguito all’indebolimento della potenza mercantile olandese, invasero il Capo e
assunsero poi il controllo della colonia.
L’apartheid, sistematico programma di ingegneria sociale volto a mantenere e
rinforzare le politiche segregazioniste bianche (politica ufficiale del governo
nazionalista dal 1948) si basava su quattro idee: la popolazione sudafricana
comprendeva quattro “gruppi razziali” – Bianchi, Coloured, Indiani e Africani; i
Bianchi avevano il controllo assoluto dello Stato; gli interessi dei Bianchi dovevano
prevalere su quelli dei Neri; il gruppo razziale bianco formava una nazione singola,
mentre gli Africani appartenevano a dieci “nazioni”distinte: cfr. L. Thompson, A
history of South Africa, cit., p. 190.
3 S. Biko, I write what I like. A selection of his writings. Picador Africa, 2004, p. 24.
Nel 1968 Biko fondò l’organizzazione studentesca esclusivamente nera SASO (South
African Students Organization), alla cui base era l’ideologia della Black
Consciousness, secondo cui tutte le vittime del razzismo bianco dovevano unirsi e
smettere di dipendere da organizzazioni influenzate dai bianchi. Le idee di Biko e
della Black Consciousness penetrarono nelle scuole ed ebbero un ruolo importante nel
creare le condizioni per la rivolta di Soweto (1976), primo momento di ribellione
generalizzata all’apartheid, il cui motivo scatenante fu l’introduzione dell’Afrikaans
come lingua di insegnamento nelle scuole. Nel 1977 il governo dichiarò SASO
illegale e arrestò e uccise di percosse Biko.

E’ difficile immaginare come poteva essere la vita di un nero sotto
l’apartheid; non credo che le letture, o i racconti possano aiutare a
capirlo completamente; ma l’imbarazzante gentilezza e quasi deferenza
con cui un bianco viene trattato in un minibus di Cape Town è il segno
tangibile delle conseguenze psicologiche del retaggio storico di anni di
oppressione, sfruttamento e segregazione. Dieci anni dopo è ancora viva
la gioia, la felicità, forse quasi l’incredulità seguita alla liberazione.
E’opinione condivisa che, date le difficoltà della transizione, il
relativamente pacifico consolidamento di un sistema liberale e
democratico vada considerato come un risultato ragguardevole.4
Trattando di questo paese non si può non tenere conto di questo.
Pur tuttavia i paradigmi di classe presenti all’interno della società non
hanno vissuto quella rivoluzione avvenuta invece nel campo dei diritti
civili e politici. Al contrario le masse nere povere hanno visto ben presto
minati alle fondamenta quei pochi progressi sociali – che non sarebbe
sbagliato a questo punto chiamare illusioni – ottenuti nei primissimi anni
di democrazia. Sarà nostro interesse approfondire le caratteristiche e i
motivi di ciò e le risposte che le comunità cercano di elaborare.
La critica dell’ attualità, delle decisioni economiche e politiche del
potere in nulla vuole scalfire o diminuire la portata epocale della
liberazione del paese dall’apartheid: le prime elezioni democratiche del
1994 hanno segnato la fine di un’epoca buia, durante la quale la dignità
umana è stata sistematicamente calpestata. Anzi, vogliamo sperare che il
nostro lavoro, insieme a quello ben più importante di decine di
ricercatori e attivisti, possa essere di aiuto nel portare avanti quei
principi costituenti del movimento anti-apartheid, parte dei quali proprio
la Costituzione del 1996 ha sancito.
Ci pare indispensabile indagare e denunciare riflessi della iniquità e
della ingiustizia presenti oggi nella società sudafricana al fine di
ricordare lo spirito di tutti coloro i quali hanno lottato contro l’apartheid
e fare sì che il sacrificio di molti di loro non sia stato vano. Inoltre non si
può non essere d’accordo con chi sostiene che i ricercatori e gli studiosi
siano in grado di aiutare chi lotta per giuste battaglie, fornendo
4 J. Saul, Cry for the beloved country, The post apartheid denouement, p. 27, in S.
Jacobs, R. Calland, Thabo Mbeki’s world. The politics and ideology of the South
African president, University of Natal Press, 2002.

documentazione sull’evoluzione dell’attivismo e delle sue
problematiche.5
Un decennio non è ovviamente sufficiente per appianare le disparità
lasciate in eredità da trecento anni di dominazione bianca e da più di
quaranta anni di apartheid. È tuttavia sufficiente per cominciare ad
offrire valutazioni preliminari sui progressi socioeconomici e sulla
traiettoria politica scelta dall’élite di governo. Per di più, l’apartheid,
dichiarato dalla assemblea generale dell’ONU “crimine contro
l’umanità” nel 1973, non dovrebbe essere usato quale unico parametro
per giudicare i progressi della nazione. Essi vanno anche misurati
tenendo in mente gli obiettivi e le possibilità storiche della lotta contro
l’apartheid. 6 In che misura gli ideali del movimento si sono realizzati?
Fino a che punto sono stati invece abbandonati? Queste sono domande la
cui risposta ci aiuta a valutare i primi dieci anni di governo e le priorità
per il futuro.
Chi affronta questioni inerenti alla società sudafricana oggi, non può
evitare di fare i conti con un dato impressionante, cioè il fatto che la
maggioranza della società, non solo non ha goduto di miglioramenti
economici dal 1994 a oggi, ma una parte di essa ha anzi vissuto una
diminuzione della qualità e dell’accesso ai servizi di base. Ci rendiamo
conto che tale affermazione, seppure condivisa da molti, è grave e
suscettibile di critiche, ma ci assumeremo l’onere di dimostrarla e di
approfondirne l’analisi.
Adotteremo quindi questo punto di vista nel portare avanti la nostra
ricerca, ponendo volutamente in secondo piano quelle dinamiche di
modernizzazione e arricchimento che riguardano un settore del tutto
limitato della società. Questo nella convinzione che, il fatto che una
parte davvero minima della popolazione sudafricana abbia migliorato –
di molto in alcuni casi – le proprie condizioni economiche sarebbe un
fattore assolutamente positivo se e solo se nel frattempo la qualità della
vita della maggioranza della popolazione non fosse peggiorata.
Lasceremo quindi ad altri l’analisi della crescita di una nuova classe
media nera e l’affermazione di una élite nera. Le classi meno abbienti,
5 P. Bond, Unsustainable South Africa. Environment, development and social protest,
University of Natal Press, 2002.
6 J. Daniel, A. Habib, R. Southall, State of the nation, South Africa, 2003-2004, HSRC
Press, Cape Town, 2003, pp. 2,5.

gli ultimi, i poveri, concentrati nelle aree rurali e nelle townships, sono
l’oggetto della nostra ricerca. Si calcola vi siano oggi ventidue milioni di
poveri, il 56% della popolazione totale sudafricana e che la
disoccupazione sia passata dal 33% nel 1996 al 41,8% nel 2002.7 La
disparità di reddito, esacerbata dal tasso di disoccupazione in continua
crescita, è ulteriormente aumenta dal 1996 a oggi e particolarmente nelle
aree urbane, secondo linee razziali in sostanziale continuità con il
passato.8
E’ innegabile che il governo democratico abbia grandi difficoltà ed una
enorme quantità di lavoro arretrato dovute ai lasciti dell’apartheid. Ma
sfortunatamente i problemi che molti cittadini incontrano oggi non sono
semplicemente risultato di fattori storici, ma conseguenza delle
politiche liberiste adottate dal governo sudafricano fin dal 19949 e
divenute chiare nel 1996, anno che ha visto l’adozione di un nuovo
programma economico, ribattezzato GEAR (Growth, Employement and
Redistribution Strategy).
7 South Africa human development report 2003. The challenge of sustainable
development: unlocking people’s creativity, UNDP, Oxford University Press, pp.
XVI, XVII.
8 Il coefficiente Gini, strumento utilizzato per calcolare la disparità di reddito, è
passato da 0,596 nel 1996 a 0,635 nel 2001( 0= “perfect income equality”; 1= “perfect
income inequality”). La percentuale della popolazione considerata povera è così
mutata: neri: 29% nel 1995, 33% nel 2000; bianchi: 2% nel 1995, 1% nel 2000: cfr.
UNDP, South Africa Human development report, The challenge of sustainable
development cit., p. XVI.
9 Si veda quanto scrive D. Brutus, professore di Studi Africani all’ Università di
Pittsburgh, ex prigioniero politico a Robben Island, in D. A. McDonald, J. Pape, Cost
recovery and the crisis of service delivery, HSRC, Cape Town, 2000, p. VIII.

INTRODUZIONE: L’ACCESSO ALL’ACQUA
All’interno di questo contesto il nostro interesse particolare è lo studio
delle condizioni di accesso all’acqua. Esso costituisce il fattore di
approfondimento critico della storia sudafricana e dei primi dieci anni di
democrazia. L’acqua è un elemento illuminante nel capire in che misura
il Sudafrica rimanga un paese diviso, come tale divisione sia insieme
razziale e sociale e più specificatamente è un criterio di giudizio delle
politiche dell’ANC e dei suoi alleati di governo.
L’acqua è, per così dire, la cartina al tornasole della storia
contemporanea sudafricana. Gestita secondo il modello di sviluppo
separato durante l’apartheid, l’accesso ad essa rifletteva la
discriminazione sistematica nella distribuzione dei servizi tra la
minoranza bianca e le comunità nere.10
Durante l’insurrezione degli anni Ottanta il pagamento dei servizi idrici,
al pari di altri servizi, dalla casa, all’elettricità, all’educazione, ai
trasporti rientrò in una vasta campagna di boicottaggio volta a
denunciare lo stato ampiamente insoddisfacente di tali servizi e a minare
il potere delle autorità locali e il regime stesso dell’apartheid.
Nel 1996 il diritto all’acqua venne sancito nella Costituzione, unico caso
al mondo. Le richieste sociali di tutto il movimento vennero così accolte
e la liberazione parve potere veramente essere anche la liberazione dalla
povertà.
Che cosa sia successo da allora ad oggi costituisce proprio il nocciolo
della presente ricerca. Intorno all’accesso all’acqua si intrecciano una
serie di tematiche economiche, politiche e giuridiche che ci è parso utile
analizzare.
La garanzia di accesso all’acqua per tutti i sudafricani, che vivessero in
zone urbane o rurali, insieme alla garanzia di altri servizi di base, era
uno dei punti fondamentali del manifesto elettorale dell’ANC del 1994.
Esso, dopo la vittoria del partito di Mandela alle prime elezioni
10 Lo sviluppo separato prevedeva nette differenziazione della qualità dei servizi e
quindi anche del servizio idrico, il quale nelle aree bianche raggiunse livelli di
efficienza pari agli standard europei e statunitensi, mentre nelle aree urbane e rurali
nere era del tutto simile ad altre zone del continente africano. La perpetuazione di tale
discriminazione oggi – di cui tratteremo più avanti nella tesi - è una delle cause della
persistente divisione sociale della società sudafricana e uno degli elementi di critica
dell’operato del governo..

democratiche, venne reso programma di governo con il nome di RDP
(Reconstruction and Development Programme). L’RDP era quindi lo
strumento politico mediante il quale l’ANC decise di guidare il
Sudafrica democratico. La garanzia dei servizi di base costituiva il cuore
dell’RDP e la base del patto che l’ANC aveva contratto con il
movimento di liberazione e i sudafricani tutti; in particolare era
sottolineato l’impegno di fornire a tutti i cittadini sudafricani una
quantità giornaliera minima di acqua potabile di venticinque-cinquanta
litri al giorno per persona, ma l’obiettivo generale dell’RDP era di
garantire standards di base per tutti i servizi essenziali. In tal senso la
caduta del regime dell’apartheid sembrava quindi implicare non solo la
fine delle violenze e delle umiliazioni quotidiane di una minoranza
bianca sulla maggioranza della popolazione, non solo l’ottenimento di
diritti civili, ma anche un miglioramento delle condizioni di vita. Per
decine di milioni di persone il 1994 sembrava segnare la fine
dell’oppressione, ma anche la fine dello sfruttamento e dell’esclusione,
l’ottenimento della libertà ma anche della giustizia sociale. I nuovi diritti
del popolo sudafricano furono sanciti con l’entrata in vigore della
Costituzione nel 1996. In essa, considerata una delle più avanzate del
mondo, rientrava – come detto - il diritto di accesso all’acqua, ribadito e
approfondito in molti altri documenti legislativi, i cosiddetti “white
papers”. Il contesto legislativo fornì un metro di giudizio dell’operato
del governo e, allo stesso tempo, il suo stesso obiettivo, ovvero la
realizzazione dei diritti, civili e socio– economici, tra cui rientrava il
diritto all’acqua.
Sempre nel 1996 venne varato da parte del governo un nuovo
programma economico, ribattezzato GEAR (Growth, Employment and
Redistribution Strategy). La sua ragione prima era di creare le condizioni
grazie alle quali fosse possibile raggiungere gli obiettivi posti dall’RDP,
ovvero la garanzia generalizzata dei servizi di base. In tal senso il
compito primo del GEAR era di stimolare una decisa e rapida crescita
economica, creando un clima favorevole agli investitori sudafricani ed
esteri. Il GEAR da una parte si impegnò ad attuare una pressione fiscale
sulle imprese non eccessivamente pesante, dall’altra cercò di soddisfare
le esigenze di bilancio, la buona situazione del quale è ovunque
condizione imprescindibile per essere “credibili” all’interno del mercato

mondiale. Il tentativo di soddisfare quest’ultima condizione è stata
foriero di politiche che hanno inficiato lo stato dei servizi in generale e
dei servizi idrici in particolare. E’ risultato evidente sin da subito che il
metodo preferito per migliorare la situazione del bilancio era di tagliare i
finanziamenti verso i governi locali e di limitare le spese per i servizi.
L’idea che ha guidato l’azione del GEAR è che i servizi di base, lungi
dall’essere garantiti dallo Stato, vengano venduti al cittadino. Essi
devono cioè soddisfare una condizione prima: la sostenibilità
finanziaria; essi devono, per così dire, essere in grado di
“autofinanziarsi”, di essere economicamente autonomi, così da non
pesare sulle casse dei governi locali e del governo nazionale. Il GEAR
presuppone così politiche economiche in parziale discontinuità con
l’RDP, tanto che da parte dei lavoratori e della società civile sudafricana
più volte si è gridato al tradimento dei principi incarnati dall’RDP da
parte del governo. La strategia economica elaborata nel GEAR rientra
senza dubbi all’interno di quella ideologia neoliberista che guida la quasi
totalità dell’economia mondiale. Abbiamo cercato quindi di individuare
in che misura il GEAR sia stato influenzato dall’élite economica
mondiale e quanto abbiano pesato le linee guida consigliate o imposte
dalle istituzioni finanziarie internazionali.
All’interno del contesto nazionale sudafricano abbiamo approfondito lo
studio del servizio idrico all’interno della municipalità di Cape Town
(città in quanto tale e sobborghi urbani), ponendo l’accento sui fattori di
continuità e discontinuità rispetto alla gestione dei servizi durante il
regime dell’apartheid; da quel che ci è dato ricavare il GEAR ha reso
ancora più critica la situazione dei servizi idrici ed il contesto sociale
delle townships, una delle quali – Kayelitsha, presso Cape Town - è lo
spazio fisico oggetto della nostra ricerca. Mantenendo quale centro del
nostro studio le condizioni di accesso all’acqua, abbiamo cercato di
definire il quadro reale che le politiche della municipalità – nel loro
rapporto con le politiche nazionali - hanno delineato. Viene così
analizzato lo stato dei servizi idrici e i cambiamenti che essi hanno
vissuto nei primi dieci anni di democrazia. In particolare viene data
speciale rilevanza ad alcune iniziative promosse dal governo municipale
per forzare i residenti delle townships al pagamento dei servizi idrici.
Negli ultimi anni si sono succedute minacce e pressioni e infine tagli

all’allacciamento idrico e sfratti. A tali provvedimenti, che si inseriscono
all’interno di una situazione sociale critica e potenzialmente esplosiva, la
comunità ha reagito portando avanti azioni di resistenza e
riappropriazione della risorsa acqua. Nell’ultima parte della tesi abbiamo
analizzato le dinamiche di protesta e le forme di azione e organizzazione
politica nate in risposta alle politiche del governo e in particolare al
“giro di vite” imposto dalla municipalità di Cape Town sul pagamento
dei servizi idrici.
Nella conclusione, infine, tali forme di organizzazione politica vengono
considerate all’interno della più vasta categoria dei cosiddetti “nuovi
movimenti sociali”, le cui aspirazioni esprimono il bisogno mai sopito di
giustizia sociale dei diseredati sudafricani e dei poveri del mondo.
L’accesso all’acqua rappresenta quindi il punto di vista che abbiamo
scelto per raccontare gli ultimi anni di storia sudafricana. L’acqua, il suo
spreco e la sua mancanza, ben simboleggiano le perduranti
ineguaglianze della società sudafricana. Di tutto ciò tratteremo più
approfonditamente all’interno della tesi, qui ci basti rimandare alla
sezione fotografica in appendice, sfogliando la quale si può vedere come
tuttora per il ricco, ancora nella sua quasi totalità bianco, l’acqua sia
generalmente indicativa di agio, venga cioè associata a piscine, spiagge,
irrigazione dei giardini e acqua in bottiglia e come d’altra parte per la
maggioranza nera povera l’accesso all’acqua sia una battaglia per la
sopravvivenza.
Nella convinzione che lo studio della storia e della politica locale non
possa sottrarsi dal condurre un’analisi del contesto globale in cui essa si
trova innegabilmente inclusa, all’inizio della ricerca abbiamo
considerato le politiche dell’acqua su scala mondiale, quali hanno preso
forma negli ultimi trenta anni, cercando di capire in che grado esse
abbiano influenzato la realtà locale sudafricana. Fare ciò da una parte si
è rivelato fondamentale per cogliere i legami tra contesto globale e realtà
locale e dall’altra per intuire che i modelli emersi dallo studio della
realtà locale, pur nella loro specificità, possono essere utili
nell’approfondimento di trends generali e di altre realtà particolari.
Al fine di delineare il quadro mondiale dell’accesso all’acqua e di
approfondire lo studio delle politiche che vi sono sottese, abbiamo
analizzato i summits dell’ONU sull’ambiente e le conferenze sull’acqua
negli ultimi trenta anni. Ciò ha permesso di cogliere un processo di
cambiamento del concetto stesso di acqua e, di conseguenza, delle
politiche di gestione e distribuzione della risorsa. L’acqua da diritto
umano e bene comune dell’umanità è gradualmente diventata una merce
che alla stregua di qualsiasi bene commerciabile viene venduta e
comprata. Nel mondo occidentale è costume relativamente antico pagare
l’acqua: il pagamento dei servizi idrici domestici è apparso insieme alla
modernità e ai diritti di cittadinanza. Tuttavia nel resto del mondo
l’acqua è sempre stata un bene comunitario offerto, donato, scambiato,
ma mai venduto né comprato. L’acqua, incolore, inodore e insapore non
può però essere considerata un elemento “neutro”: risorsa fondamentale
per la vita umana, essa è stata, ovunque, nel mondo occidentale e non,
fonte di potere e di autorità. Non è una novità dunque che attorno ad essa
si concentrino conflitti di interesse e che essa sia un fattore scatenante di
guerra. Tuttavia oggi l’acqua è sempre più associata al denaro e sempre
meno ad un diritto e questo non fa che aggravare le condizioni di
ineguaglianza che l’accesso o meno ad essa è in grado di determinare; in
questo cambiamento ha giocato un ruolo non secondario il concetto di
sostenibilità ambientale e l’idea ad essa sottesa che il migliore modo per
ridurre i consumi di acqua nel mondo sia stabilirne un prezzo.
Analizzeremo criticamente tale idea, per prendere in considerazione un
altro concetto, spesso dimenticato, quello di sostenibilità sociale, che, a
nostro avviso, dovrebbe invece essere un fondamentale metro di giudizio
di ogni decisione politica.

 CRISI IDRICA MONDIALE E TRAGEDIA UMANITARIA
Un miliardo e quattrocentomila persone ovvero circa un sesto della
popolazione mondiale, sono oggi prive di acqua potabile;11 il 25% di
questa vive nell’Africa sub-Sahariana.12 Più del doppio, cioè il 40% del
totale, non dispone di impianti igienici adeguati. Due miliardi di persone
non avranno accesso ad acqua potabile nel 2020. Diecimila persone al
giorno muoiono a causa di malattie legate alla mancanza di acqua
potabile. Quarantamila bambini ogni anno muoiono di colera, malattia
causata dal consumo di acqua contaminata.13 L’11% della popolazione
mondiale consuma l’88% dell’acqua sfruttabile.14
Tali numeri, bruti e asettici di per sé, sono in verità impressionanti,
celano una realtà effettuale di miseria e oppressione, di disequilibrio e
ingiustizia.
Da più parti negli ultimi anni si è arrivati a definire tale realtà quale
frutto di una crisi idrica mondiale.15 La definizione, come vedremo, è
assai complessa e suscettibile di strumentalizzazioni. Tuttavia le
conseguenze della crisi idrica mondiale, comunque la si voglia
interpretare, sono assolutamente reali e investono di una immane
tragedia il pianeta. Che ciò sia il risultato di un destino inevitabile o la
conseguenza di decisioni politiche di portata globale è una domanda che,
ci pare, è naturale porsi.
Sicuramente le problematiche connesse all’acqua, alla sua vera o
presunta scarsità, al suo grado di inquinamento, alla disponibilità di
accesso a essa e alle modalità di scarto legate al suo consumo, sono
ormai di interesse comune. La questione dell’accesso all’acqua è vitale
ed è fondamentale considerarla; è forse essa la questione più importante
11 R. Petrella, The water manifesto arguments for a water contract, Zed Books, 2001,
p. 89. Le stime sono invero discrepanti a seconda delle fonti usate. Per citare due tra
gli organi più seri e influenti a riguardo, L’UNDP afferma che il numero delle persone
senza accesso ad acqua potabile sia 1,1 milardi, l’OMS al contrario lo valuta in 1,8
miliardi. La stima di Petrella rende conto, pur probabilmente in maniera inesatta, di
entrambe le proiezioni e ci pare la migliore da utilizzare.
12 http://www.childinfo.org./eddb/water/current.htm
13 S. Jacobs, R. Calland, Thabo Mbeki’s world cit., p. 268.
14 R. Petrella, The water manifesto arguments for a water contract cit.
15 Ad esempio: cfr. J. Sironneau, L’acqua, nuovo obiettivo strategico mondiale,
Asterios Editore, Trieste, 1997 e M. Barlow, Blue Gold. The global water crisis and
the commodification of the world’s water supply, International Forum on
Globalization (IFG), S. Francisco, 2001.

che investe la popolazione mondiale; l’assoluta necessità di acqua per
l’uomo è tale che deficienze o fallimenti nel garantirla sono diretta causa
di morte. E’ inoltre una questione politicamente esplosiva, riflettendo e
concentrando in sé quegli elementi di esclusione, oppressione e
discriminazione che caratterizzano la società.16 Studiare la gestione
dell’acqua implica considerare le condizioni e i modelli della società
tutta, in quanto tutto dipende dall’acqua.
Istituzioni nazionali e sopranazionali, organizzazioni ed enti non
governativi, hanno da tempo inserito nella loro agenda la questione
dell’acqua. I media, ufficiali e non, sollevano sempre più spesso il
problema, in modo tale che la cittadinanza mondiale ne sta certamente
diventando sempre più cosciente. Molto spesso se ne sente parlare in
termini generali, considerandolo quale risultato dei processi di
desertificazione e dei cambiamenti climatici generali. Tuttavia c’è una
sensibilità crescente sul fatto che il futuro della risorsa acqua potrebbe
essere assai problematico e con esso quello della comunità mondiale
tutta. Sintomo che essa stia diventando sempre più una tematica
importante è il fatto che il 2003 sia stato dichiarato dall’ONU anno
internazionale dell’acqua. 17
Tale iniziativa, come molte altre avvenute su scala nazionale o regionale,
sono volte, in ultima istanza, a portare avanti un percorso in grado di
migliorare lo stato dell’accesso all’acqua nel mondo, così da ridurre e in
ultimo eliminare il numero di persone che non dispongono di acqua
potabile. In questo senso l’obiettivo dichiarato dall’ONU durante il
Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, tenutosi a Johannesburg
nel luglio 2002, è il dimezzamento, entro il 2015, della percentuale della
popolazione mondiale incapace di accedere all’acqua potabile e ai
servizi sanitari di base.18
E’ opinione condivisa che ci siano tuttavia una serie di fattori che
rendono estremamente complicato il percorso verso una situazione di
disponibilità di acqua per tutti e che sono anche le prime cause dello
stato in cui oggi ci troviamo.
16 J. McClune, Water privatisation in Namibia: creating a new apartheid, LARRI,
2004, p. 5.
17 Risoluzione ONU 55/196, 20 dicembre 2002.
18 www.johannesburgsummit.org

Gli ostacoli più grandi in tale direzione sono rappresentati dall’attuale
tasso di crescita demografica, molto alto e in continua espansione nei
paesi cosiddetti in via di sviluppo (4% annuo in Sudafrica) e la
progressiva erosione e l’inquinamento delle falde acquifere. A questo va
aggiunto un terzo fattore che possiamo ascrivere ai cambiamenti
climatici generali verificatesi negli ultimi decenni, i quali hanno a loro
volta un effetto negativo sulla disponibilità totale di acqua sulla terra.
Anch’essi devono ascriversi all’opera dell’uomo e alla sua crescente
invasività negli equilibri naturali della terra.

Di Antonio Senta abstract tesi di laurea in lettere e filosofia Univ di Bologna

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