lunedì 23 gennaio 2012



Il governo chiude i rubinetti ai sindaci



Uno dopo l'altro i sindaci, uomini e donne, vanno al microfono e raccontano la loro storia sull'acqua. Siamo a Roma, nel palazzo della Provincia, nella sala dedicata a Don di Liegro, un eroe dei nostri tempi. Di fronte è in corso la manifestazione regionale sugli abusi ambientali, veramente troppi. I sindaci che arrivano da tutta Italia hanno deciso di incontrarsi tra loro per stabilire le basi di un'associazione che serva per raccogliere una grande forza per promuovere e vincere un referendum che sventi la privatizzazione dell'acqua che il governo porta avanti. Il governo, mai come in questo caso comitato d'affari della borghesia o dei poteri finanziari che l'hanno conquistata.

L'ultima è dell'altro ieri (ieri per la discussione). Nella ratifica del cosiddetto decreto Ronchi sugli enti locali alla Camera, si è infilato nel testo un emendamento che elimina con un tratto di penna gli Ato (ambiti territoriali ottimali) dell'acqua. L'iter della legge si concluderà al senato, ma l'esito è sicuro - un voto di fiducia, se serve - non si nega a nessuno. A portare all'assemblea dei sindaci questo ulteriore caso, un vero e proprio colpo di mano, è Corrado Oddi, che rappresenta il Forum dei movimenti. La fine degli Ato, spiega, porterà a un'ulteriore esclusione dei sindaci dai luoghi di decisione. Anche negli Ato i sindaci rappresentano la popolazione, il contropotere popolare. Si tratta di un altro passo verso la privatizzazione dell'acqua, la sua definitiva mercificazione. Le funzioni passeranno alle regioni. E le multinazionali convinceranno la politica che regioni tanto oberate dai debiti e strette dai patti di stabilità non potranno gestire un bene delicato come la rete di distribuzione. Diventerà ovvio, anzi gradito vendere al migliore offerente: le generose multinazionali dell'acqua, le società multifunzione emerse dalle fusioni tra le antiche, carissime, municipalizzate. Anche gli Ato, che nessuno considerava un baluardo del pubblico, lo diventano quando la legge parla in modo arrogante e chiaro. Nel giro di un anno «sono soppresse le autorità d'ambito territoriale... Decorso lo stesso termine ogni atto compiuto dalle Autorità d'ambito territoriale è da considerarsi nullo». Attraverso gli Ato, conclude Oddi, circa metà dell'acqua - 64 Ato - stanno per passare di mano. Tornare indietro sarà impossibile: nessuno mai avrà i soldi sufficienti per farlo.

Tutti i sindaci insistono sulla gestione democratica dell'acqua, sul fatto che l'acqua è di tutti, che occorre conoscerla e non sprecarla, non sporcarla. Intorno a un problema tanto sentito si organizza la società civile, si raggiungono le scuole, si preparano le future generazioni alla difesa dei beni comuni. E i sindaci siciliani insistono sul fatto di rappresentare ormai la volontà di 118 comuni nella sola provincia di Agrigento, un milione e centomila cittadini che oggi conoscono il problema per quello che veramente è.

Qualcuno osserva che «da loro» i politici locali sono latitanti e non solo quelli di destra. Neppure organizzando una manifestazione nei pressi della sede di Palazzo dei Normanni si sono fatti trovare. Parla il sindaco di Povegliano veronese, una giovane donna. Lega il tema dell'acqua ai problemi pratici. «Il patto di stabilità cui siamo sottoposti, essendo in settemila cittadini - il limite è cinquemila - ci impedisce di dare aule ai piccoli». Sarà difficile resistere, non cedere l'acqua e rinunciare al resto, pur così importante. Ma poi suggerisce a tutti i presenti un'altra riflessione, semplice, alta: «L'acqua è vita e la vita è uguale per tutti».

Parla Nichi Vendola in un video; non è una sorpresa che non sia presente. Tutti capiscono come siano giorni di fuoco per lui. Pure parla di acqua. «L'aquedotto pugliese, il più grande d'Europa, è un boccone preferito per il mondomarket» e intende il grande mercato un non luogo gigantesco, totale, nel quale tutto è merce, spesso merce inutile, come certe acque, ma è posta in vendita purché consenta un profitto. Non glielo lasceremo, promette. Difende l'acqua bene comune e altri beni comuni come la terra e la memoria. Tutti devono essere strappati alla «voracità», alla «volgarità» dell'attacco.

Non c'è una vera conclusione alla giornata dei sindaci dell'acqua. Hanno parlato in molti, si sono ritrovati e soprattutto conosciuti, hanno constatato di pensarla in un modo e di agire in modi magari differenti, seguendo esperienze e pratiche dei loro paesi e città. Bengasi Battisti, sindaco di Corchiano (Viterbo), fa il punto, verso la fine. «Il giorno 20 marzo, giornata mondiale dell'acqua, si svolgerà la manifestazione nazionale di Roma. Essa - aggiunge - servirà anche a lanciare la raccolta di firme per il referendum abrogativo delle norme che impongono la privatizzazione dell'acqua. Dovremo inoltre definire l'associazione che legherà i comuni, il forum dell'acqua, tutti insomma. E fondarla, ché viva, dal notaio».



Di Guglielmo Ragozzino



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venerdì, 05 marzo 2010; 10:27






Più l'acqua che alQaeda



Sanaa, capitale dello Yemen, potrebbe essere la prima capitale al mondo a restare a secco, dicono gli esperti. Il commerciante d'acqua Mohammed al-Tawwa fa lavorare la sua pompa giorno e notte, ma dal suo pozzo tira sempre di meno. «E' profondo 400 metri, non credo di poter scavare ancora di più», dice indicando lo scarso rivolo che fluisce nelle cisterne che poi fa circolare con i camion. Fin dall'alba decone di persone con taniche gialle di mettono in fila per ricevere un po' d'acqua da una piccola cisterna che al-Tawwa riserva ai poveri. «A volte non abbiamo acqua per un'intera settimana, a volte c'è per un paio di giorni e poi più niente di nuovo», spiega Talal al-Bahr, un abotante di Sanaa che ogni giorno di mette in quella fila per portare acqua alla sua famiglia di sei persone.

L'occidente teme che al Qaeda sfrutti l'instabilità nello Yemen per preparare nuovi attacchi come quello fallito il 25 dicembre su un aereo statunitense, ma questo poverissimo paese della penisola arabica ha di fronte un altro tipo di catastrofe, che pone una minaccia mortale a ben più lungo termine. La natura non riesce a rinnovare le falde acquifere, non al ritmo che sarebbe necessario per far fronte alla domanda di una popolazione di 23 milioni di persone che si prevede raddoppi nei prossimi 20 anni. Così, si consuma più acqua di quanta se ne possa estrarre dai 21 bacini acquiferi yemeniti, soprattutto nell'altopiano, dove di trovano le città di Sanaa, con i suoi 2 milioni di persone, e Taiz. «Se continuiamo cos', tra vent'0anni Sanaa sarà una città fantasma», dice Anwer Sahooly, esperto di acqua per l'agenzia tedesca di sviluppo Gtz, che ha diversi progetti idraulici in Yemen. Alcuni pozzi in città sono ormai profondi 800 o 1.000 metri - cosa che richiede strumentazioni di pompaggi simili a quelle dei pozzi di petrolio - e molti altri non sono più utilizzabili perché la faldas acquifera sta precipitando, spiega Sahooly. Milioni di abitandi di Sanaa e altre città dovrenno prima o poi lasciare i centri dell'altopiano per spostarsi sulla costa. Alcuni di questo «rifugiati dell'acqua» cercheranno di emigrare in altri stati del golfo o in Europa. Per l'acqua sono anche scoppiate dispute tra diversi clan nelle zone rurali. Molti agrumeti sono ormai seccati nella provincia settentrionale di Saada, già teatro di un conflitto con tribù riballi (che il mese scorso hanno accettato un fragine cessate il fuoco con il governo). «Da una prospettiva yemenita, al Qaeda è un problema minore dell'acqua. Cosa fai se le grandi città non hanno acqua» chi vorrà investire qui?», si chiede un diplomatico.

La crisi è acentuata dal grande uso d'acqua per irrigare le coltivazioni di qat, una figlia leggermente narcotica molto presente nella vita dello Yemen, dove gran parte degli uomini usano masticarla per buona parte della giornata. In generale l'agricoltura conta per il 90% del consumo d'acqua nel paese, e di questo il 37% va a irrigare le coltivazioni di qat, stima l'esperto dell'agenzia Gtz: il qat, dice Sahooly, «è una coltura perisolosa che ci porterà al disastro». Anche le politiche governative hanno una responsabilit. Le sovvenzioni pubbliche per il diesel, che costano allo stato 2 miliardi di dollari quest'anno, incoraggiano indirettamente i proprietari di pozzi come il signor al-Tawwa a pompare sempre più acqia. Nuove regolamentazioni sull'uso dell'acqua, dicono esperti come Sahooly, resteranno inefficaci finché il presidente Abdullah Saleh non farà vietare lo scavo selvaggio di pozzi. (* dell'agenzia reuter)

Ulf Laessing

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giovedì, 04 marzo 2010; 11:18




Ecuador: mobilitazione indigena contro disegno di legge sull’acqua




E’ iniziata dalla città meridionale di Cuenca la mobilitazione nazionale convocata dalla Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie) contro il disegno di legge sull’acqua (Ley de Aguas) e per la cancellazione di alcune concessioni minerarie nel sud del paese. La protesta, denominata “per la difesa della Madre Terra, l’acqua, il sistema di istruzione interculturale bilingue e il no all’attività mineraria neoliberista”, giunge a quattro giorni dalla rottura del dialogo tra la principale organizzazione indigena del paese e il governo del presidente Rafael Correa sulle politiche di sfruttamento delle risorse naturali portate avanti da Quito. La Conaie accusa il governo di voler violare proprio la nuova Costituzione, approvata nel 2008, che fa dell’Ecuador uno “stato plurinazionale”, ignorando i diritti territoriali dei popoli ancestrali. Già nel settembre scorso il movimento indigeno aveva promosso massicce mobilitazioni prolungatesi per una settimana contro il disegno di legge sull’acqua che secondo i nativi minaccia di privatizzarla, sottraendo alle comunità locali la gestione diretta nei loro territori; le proteste si erano aggravate con l’uccisione di un professore dell’etnia Shuar durante disordini con la polizia.

Misna




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martedì, 23 febbraio 2010; 17:13





Acqualatina e gli altri, cosa c’è dentro i contratti

«Pagano i privati». Ma ci guadagnano di più

Il più imponente e misterioso progetto di finanza dei molti andati in scena negli ultimi anni è quello messo in piedi da Acqualatina e vale 115 milioni di euro. Una moda quella delle opere realizzate dai privati, apparentemente senza soldi pubblici che viene seguita con grande passione da moltissimi Comuni e che ha trovato in Acqualatina la sua espressione più prestigiosa. Man mano che si analizzano i progetti e le clausole a favore dei privati emerge una realtà ben diversa da quella che era stata prospettata. Il vantaggio pubblico talvolta si riduce al minimo, spesso si azzera; il privato invece ci guadagna sempre, per le concessioni che ottiene, per i benefit e per il tipo di contratto con cui si procede alla realizzazione. Nel caso specifico di Acqualatina il progetto di finanza riguarda genericamente le opere che da convenzione deve realizzare la società nell’ambito Ato4. Quindi reti di distribuzione, depuratori, opere sulle sorgenti. L’anomalia di questo progetto è che non ci sono una o più opere di riferimento specifiche e pertanto è impossibile controllare lo stato di avanzamento. Per tale motivo le associazioni e i comitati per l’acqua pubblica hanno definito «scandalosa » l’operazione, peraltro accompagnata da un contratto di pegno che vincola i beni dei Comuni soci fino all’estinzione del debito che ha durata trentennale. Eppure i progetti di finanza hanno un fascino inossidabile. Sono l’unico modo che gli enti pubblici hanno per realizzare opere costose. Ma in compenso i privati ottengono contratti favolosi. Prendiamo quello dell’ati che ha realizzato il Municipio di Fondi. Valore dell’opera: 19 milioni di euro; chi l’ha costruita per i prossimi 90 anni si tiene in gestione la piazza adiacente, vende i box auto realizzati nel piano interrato, realizzerà e gestirà il minicentro commerciale sulla piazza, gestirà inoltre le strisce blu in città per i prossimi 40 anni e potrà decidere le tariffe di sosta. E poi c’è il mercato annonario di Latina, in cambio della realizzazione della stessa struttura ma nuova di zecca, la società aggiudicataria potrà costruire un parcheggio interrato da 700 posti auto e parte del nuovo complesso che, nei fatti, potrebbe essere un ennesimo centro commerciale. Questo progetto di finanza non è ancora andato in posto ma l’iter è in stato avanzato. Gli operatori attuali del mercato annonario di via don Morosini temono lo smantellamento non solo della struttura ma dello spirito che la anima dalla nascita. Non ci sono inoltre dettagli certi circa la gestione del parcheggio interrato.




Latina Oggi, Martedì 23 Febbraio 2010




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mercoledì, 17 febbraio 2010; 16:42







Acque velenose




di Emiliano Fittipaldi


Nichel. Arsenico. Fosforo. Sostanze pericolose dai nostri rubinetti. E le Regioni lo nascondono alzando i limiti di legge. Un libro racconta i disastri d'Italia



I veleni sono in agguato. Nell'acqua che beviamo, nel cibo, nell'aria che respiriamo, nei cosmetici. Esce mercoledì prossimo 'Così ci uccidono' (Rizzoli), l'inchiesta di Emiliano Fittipaldi, giornalista de 'L'espresso' che racconta storie e segreti di avvelenatori e avvelenati, protagonisti di un disastro nazionale di cui nessuno vuole parlare. Anticipiamo un brano dal primo capitolo.




Lo stato delle acque pubbliche italiane e la possibilità, accettata per legge, che si possano ingurgitare sorsi di sostanze tossiche al di sopra delle soglie massime è un fenomeno nascosto, che coinvolge centinaia di comuni in tutto il Paese. Città e piccoli centri dove ogni giorno dai rubinetti della cucina e dalla doccia sgorgano, mischiate alle molecole d'acqua, anche quelle dell'arsenico, dell'alluminio, del cromo, del nichel. Con l'aggiunta di un po' di piombo, vanadio, fluoro, selenio, trialometanio, atrazina. E spesso in quelle zone i tassi di mortalità sono più alti rispetto a quanto dovrebbero essere.




"Atra... che?". "Atrazina, signora.". "E quindi?". "E quindi non la deve più bere né bollirci le patate". Così la signora Maria Rosa di Dossobuono da Villafranca di Verona, profondo Nord-Est, ha scoperto che l'acqua del suo comune era una schifezza. Il 30 settembre 2009 il sindaco Mario Faccioli ha stabilito con un'ordinanza "l'interdizione del consumo dell'acqua da parte della popolazione, fino all'avvenuto ripristino della qualità-idoneità dell'acqua erogata". Maria e 11 mila compaesani dalla sera alla mattina hanno imbracciato taniche e bottiglie vuote e fatto la fila per riempirle alle cisterne. L'acqua era un pericolo. Atrazina e desetilatrazina vogliono dire tracce di concimi azotati usati in agricoltura e di un diserbante vietato dal 1992. Ma quanta ne hanno bevuta prima di esserne informati?







Una disposizione simile è in vigore anche a Civitavecchia, nel Lazio, dove nei bagni di certe aziende c'è scritto sopra i lavandini: 'Non bevete'... Qui a rendere torbida l'acqua sono gli organoalogenati, composti nocivi anche per semplice inalazione.




Purtroppo non si tratta affatto di casi limite. Nell'ultimo anno, solo per fare qualche esempio, divieti assoluti sono scattati a Campomarino (Molise), Agrate Brianza (Lombardia), Satriano (Calabria), Mussomeli e Campobello di Licata (Sicilia). A Talamone, in Toscana, il sindaco ha invece ordinato di "far bollire l'acqua per almeno quindici minuti, se la si vuole utilizzare per usi alimentari". Tranquillizzante.




Che cosa contamina le nostre acque e perché? Ci sono diverse spiegazioni: la morfologia del territorio, gli scarichi industriali, la carenza delle condutture. Talvolta in un solo territorio concorrono all'inquinamento tutte e tre le situazioni: nella zona dei Colli Albani, nel Lazio, in un'area che interessa 1.500 chilometri quadrati e quasi 600 mila persone, le acque sono intossicate dalle emissioni gassose sotterranee del Vulcano Laziale, ricche di anidride carbonica, che entrano in contatto con le rocce portando nelle tubature metalli pesanti. Il mix è inoltre arricchito dai liquami privati, che vengono scaricati nel terreno. Ne risulta una massiccia presenza di elementi cancerogeni o fortemente tossici come il fluoro, l'arsenico, l'uranio nelle falde sottostanti. A Crotone, in Calabria, se possibile va ancora peggio. Si sospetta che l'acqua sia contaminata e avvelenata da arsenico, cadmio e altri minerali tossici... Un altro disastro si è verificato nei pressi di Pescara, in una valle a 50 chilometri dalla città... Abruzzo, Colli Albani, Civitavecchia, Veneto sono solo esempi probabilmente abbastanza noti della devastazione massiccia del nostro territorio. Pochi sanno però che le nostre istituzioni ce la danno a bere, letteralmente, l'acqua avvelenata che ha invaso acquedotti e condutture. Non possono evitarlo, l'unico modo è lasciare a secco qualche milione di persone. Ma come ci riescono senza farsi notare troppo? Attraverso le cosiddette "deroghe".




La questione risale ai primi anni Duemila, quando entra in vigore il decreto legislativo 31/2001, che disciplina le acque destinate al consumo umano. Le norme stabiliscono i valori limite dei parametri microbiologici e chimici che possono essere presenti nell'acqua per definirla "potabile". Ma, in particolari circostanze di degrado della risorsa idrica, l'articolo 13 del decreto concede alle amministrazioni "interessate" la possibilità di accordare deroghe ai valori prescritti, purché non comportino "potenziale pericolo per la salute umana e sempreché l'approvvigionamento di acque destinate al consumo non possa esser assicurato con altro mezzo". In pratica, se l'acqua comune presenta elementi potenzialmente nocivi, l'ente locale lascia aperti i rubinetti e fissa dei termini entro i quali dovrà provvedere a riportare i parametri a norma. Peccato che in genere le deroghe non durino pochi mesi, ma vengano rinnovate di anno in anno. Un controsenso anche per l'Unione europea: dal 2012, non sarà più possibile far ricorso ai regimi in deroga. Senza trucchetto, però, c'è il rischio concreto che milioni di famiglie possano rimanere senz'acqua.




Dal 2002 almeno 13 regioni italiane hanno fatto uso massiccio di deroghe. La prima è stata la Campania, proprio quell'anno, per eccesso di fluoro nelle acque... Le deroghe accordate per 14 comuni della provincia di Napoli erano ancora in vigore nel 2009. Nel 2003 si sono aggiunte Sicilia e Toscana. Nell'acquedotto di Palermo e di altri comuni della fascia costiera ci sono troppi cloriti: i cittadini hanno bevuto livelli 'fuorilegge' fino al 2007. Stessa sorte per le deroghe nei comuni del massiccio etneo, in provincia di Catania, accordate anche per vanadio e boro; mentre nel 2008 a un comune della provincia di Trapani è stata concessa deroga per i nitrati, legati all'allevamento e all'uso di fertilizzanti. Per quanto riguarda la Toscana, dal 2003 si sono bevuti veleni in eccesso in ben 137 comuni... Gli elementi oggetto delle deroghe sono arsenico, boro, cloriti, trialometani... In genere le lievi contaminazioni da arsenico comportano lesioni, arti gonfi e perdita di sensibilità, mentre quelle più gravi possono portare fino al cancro alla vescica, ai polmoni e ai reni... Marco Betti, assessore della regione Toscana alla Difesa del suolo, si è detto sicuro che l'emergenza rientrerà presto...




Nel 2004 le regioni che hanno adottato deroghe raddoppiano. Oltre a Campania, Sicilia e Toscana si sono aggiunte Lombardia, Piemonte, Trentino, Emilia-Romagna, Marche, Puglia e Sardegna. In Emilia e nelle Marche si è disposta per due anni la deroga in alcuni comuni dove erano presenti cloriti. Invece Lombardia e Piemonte fanno eccezioni per le località dove le acque sono ricche di arsenico... In Puglia sono state disposte deroghe (attive tuttora) per cloriti e trialometani... Pure la regione Sardegna ha dispensato alcuni comuni dai parametri legali di cloriti, trialometani e vanadio... Il Lazio è una delle aree italiane dove il problema delle contaminazioni delle risorse idriche è più forte. Come descritto in un rapporto di Cittadinanzattiva, se nel 2006 le deroghe riguardavano complessivamente 37 comuni, di cui 15 per tre parametri contemporaneamente, nel 2009 il totale dei comuni ammonta a 84 e in 59 tra questi le dispense riguardano quattro parametri: arsenico, fluoro, selenio e vanadio...




Nel 2006 tocca al Veneto derogare le acque di un paesino della provincia di Verona, dati gli alti tassi di tricloroetilene e tetracloroetilene, contaminanti organici molto utilizzati nelle lavanderie e nelle industrie metalmeccaniche... Qui il caso è virtuoso: dopo un anno il Veneto ha deciso di non prorogare. L'ultima regione ad adottare dispense normative è stata l'Umbria, nel 2008: deroghe sull'arsenico attive ancora oggi, sebbene l'assessorato regionale assicuri: "Sono problemi di origine geologica, ci sono da sempre e si sostanziano in 14 microgrammi di arsenico a litro d'acqua". Ovvero poco al di sopra di quanto consentito dalla legge.







http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2121041










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martedì, 16 febbraio 2010; 09:45




Il boss cambia affari: acqua, rifiuti, supermercati


15-02-2010

di Carlo Ruta


Ma il cemento delle opere pubbliche continua a mantenere il fascino anni ‘70

La realtà documenta che, a dispetto delle confische operate in questi anni, l’economia della Sicilia continua a essere soggetta all’iniziativa mafiosa. Si registrano comunque mutamenti di rilievo. Se nel secondo Novecento le consorterie hanno puntato in modo debordante sull’edilizia, pubblica e residenziale, negli ultimi tempi, senza nulla togliere al cemento, che a dispetto di tutto mantiene il proprio fascino, le medesime sono state attratte pure da altri tipi di affari, per più ragioni in vistosa crescita. Nella lista dei business più ambiti sono finiti le energie rinnovabili, la gestione dei rifiuti, la grande distribuzione. Era nelle cose del resto che avvenisse, giacché è su tali linee che si giocano oggi sfide, pure in chiave economica, fra le più importanti. Una voce in forte ascesa è costituita altresì dall’acqua, la cui erogazione, in Italia come in altri paesi, è andata passando dal controllo pubblico a quello privato. Sin dagli esordi, beninteso, la mafia siciliana ha tratto rendite importanti dal controllo delle sorgenti e dei corsi d’acqua. Nel nuovo stato di cose, chiamando a patti multinazionali e società quotate in borsa, le consorterie territoriali sono in grado però di portarsi oltre, compartecipando alla gestione degli acquedotti, dei dissalatori, delle condotte, degli impianti di erogazione nelle case. In definitiva, per le economie più fosche, come per le banche, interessate alle utilities come mai in passato, l’appropriazione del bene comune è strategica. La storia va quindi in replica, con i processi di modernizzazione, o supposti tali, che in Sicilia insistono a passare in modo inclusivo, senza che nessuna parte della tradizione venga lasciata indietro, in un intricato tango di richieste e concessioni, appalti e subappalti.

Naturalmente, si sta trattando di un aspetto della mafia, che ne presuppone un altro, costitutivo. Come tutte le organizzazioni di tipo criminale, quella siciliana costituisce un Giano bifronte, dovendosi destreggiare fra l’ombra, dove organizza i propri affari originari, al riparo della legge, e la luce, dove pure deve approdare, per spendere, investire, fare impresa, in ultima istanza per riciclare. Nelle attività economico-criminali, di ogni latitudine, le due sfere tendono necessariamente a uno standard. Se una certa organizzazione, con le sue attività clandestine, incardinate per esempio sul narcotraffico, produce in un tempo dato un utile netto di 100, tenuto conto della relativa anelasticità dei mercati di droghe, tale sarà pressappoco il capitale che cercherà di riciclare in attività economiche normali. Si considerino i casi della ‘ndrangheta e della camorra. A un crescendo di attività propriamente criminali, soprattutto nel narcotraffico internazionale, ha fatto riscontro, negli ultimi due decenni, una penetrazione incalzante in numerosi comparti produttivi, nel commercio, nei servizi. Le vicende dei Di Lauro, degli Strangio, dei Mancuso, divise appunto fra gangsterismo e affari travolgenti su scala continentale, sono al riguardo rappresentative. Ormai da tempo, in Sicilia le cose vanno invece diversamente.

Fino agli anni ottanta il bilanciamento fra le due sfere, clandestina e legale, era nelle compagini dell’isola pressoché perfetto. L’ombra riusciva a garantire utili ingenti, che venivano poi immessi, senza seri ostacoli, nell’economia visibile, con l’effetto di imbrigliarla. Si considerino in particolare gli anni sessanta, che scandirono l’Eldorado dei clan siciliani. Buscetta, Badalamenti, Luigi Davì, i Greco reggevano le fila del traffico internazionale di tabacchi e narcotici, facendo la spola fra la Sicilia e le due Americhe. Contestualmente, Vito Ciancimino, da assessore ai lavori pubblici, e Salvo Lima, da sindaco di Palermo, pianificavano, con larghezza di autorizzazioni, la presa edilizia della città capoluogo, di concerto con gli imprenditori Vassallo e Cassina, gli esattori Salvo di Salemi, alcuni ministri della Repubblica, a partire dal democristiano Giovanni Gioia. Garantiti a vari livelli, gli affari del cemento venivano irraggiati quindi sull’isola intera, mentre esponenti delle cosche, più o meno legittimati, comunque in grado di esercitare potere, trovavano i modi per estendere la loro influenza oltre lo stretto. Ebbene, oggi è difficile ravvisare un tale equilibrio fra le due sfere, perché si è indebolita intanto quella costitutiva. Dopo lo sprint degli anni settanta e ottanta e la strategia stragista dei primi anni novanta, i capi famiglia hanno dovuto ridurre infatti il loro impegno sul terreno, lungo varie linee, a partire comunque dai commerci di droghe, di gran lunga l’attività clandestina che più rende su scala globale.

In tale ambito i siciliani, ceduta la leadership continentale, hanno dovuto adattarsi a un ruolo dimesso. E alcuni passaggi fra passato e presente ne offrono una rappresentazione plastica. Nei primi anni settanta, i boss dell’isola, che avevano sbaragliato armi in pugno e infine assoggettato i marsigliesi, costituivano il polo di riferimento di pressoché tutti i gruppi italiani. Furono infatti capaci di affiliare capi camorristi come Nuvoletta e Zaza, per la conduzione dei traffici nel Napoletano e nelle aree confinanti. Diversamente, oggi è usuale che i clan siciliani si rivolgano alle compagini campane, ma soprattutto calabresi, che hanno acquisito appunto un ruolo centrale nella geopolitica del narcotraffico, per rifornirsi di cocaina e altre droghe, da destinare al mercato locale e alle aree della penisola, come la costa ligure e l’hinterland milanese, su cui conservano un’influenza. Numerosi indizi lasciando intendere tuttavia che non si tratti di un processo irreversibile.






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venerdì, 12 febbraio 2010; 08:35




Acea, da Consiglio comunale Roma ok a mozione per cessione quote
giovedì 11 febbraio 2010 22:21





ROMA (Reuters) - Il consiglio comunale di Roma ha approvato oggi una mozione della maggioranza sulla cessione di una parte delle quote del comune in Acea.

Una nota spiega che la mozione approvata impegna il sindaco e la giunta a "porre in essere tutte le azioni necessarie per delineare un percorso di cessione delle quote azionarie di Acea, in eccesso rispetto ai limiti indicati dalla legge, che garantiscano al Comune di Roma il controllo della società e, in particolare, del servizio idrico".

La mozione impegna sindaco e giunta anche "ad agire in ottemperanza e secondo modalità e tempi previsti dalla legislazione vigente, e comunque in coerenza con le opportunità offerte dal mercato (...) e ad attuare tutte le iniziative necessarie per assicurare il rispetto degli obblighi di trasparenza procedurale previsti dalle disposizioni vigenti, informandone il Consiglio e acquisendo il relativo consenso".

Per domani è atteso un Consiglio di amministrazione di Acea che dovrebbe dare il via libera all'emissione di un bond e fare il punto sulla trattativa con il socio francese Gdf/Suez.

n Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano.

n Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia






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mercoledì, 10 febbraio 2010; 01:21




TORINO
Approvata la delibera d’iniziativa popolare per l’Acqua Pubblica
Moderata soddisfazione del Comitato - Sconfitta del Sindaco Chiamparino

Torino è la prima grande città italiana a deliberare una modifica dello Statuto che impegna la Città a mantenere in mano interamente pubblica gli impianti e la gestione senza scopo di lucro del servizio idrico integrato .

La delibera, che aveva ottenuto il parere favorevole di tutte e 10 le Circoscrizioni cittadine. è passata malgrado l’ostilità dichiarata del Sindaco, che ha certamente pesato sui consiglieri di maggioranza e un loro primo tentativo di emendarla stravolgendone il testo fino a snaturarla.

La ferma opposizione del Comitato – sostenuta anche da una vivace mobilitazione popolare - e un’opera di mediazione condotta dalle consigliere Monica Cerutti-SD e MariaTeresa Silvestrini –PRC con il consigliere Lorusso del PD – hanno portato a una soluzione non ottimale ma accettabile.

I fautori della privatizzazione dell’acqua non si sono fatti mancare nulla: non solo l’astensione del Sindaco ma anche la non partecipazione al voto della minoranza e dei due consiglieri PD Enzo Lavolta e Stefano Gallo. I loro tre voti mancanti hanno così impedito di raggiungere i due terzi dei voti richiesti dalla legge per l’approvazione della delibera in prima lettura (i voti favorevoli sono stati 31 rispetto ai 34 necessari).

Si è dovuto quindi procedere a due successive e distinte votazioni a maggioranza semplice, che si sono concluse oggi 8 febbraio con l’approvazione della delibera di iniziativa popolare sottoscritta da oltre 12.000 cittadini torinesi. Crediamo che non esista un precedente di così vasto coinvolgimento popolare nella politica istituzionale della Città

Il Comitato Acqua Pubblica a Torino si riunisce martedì 9 febbraio per dare una valutazione nel merito della delibera così approvata.






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domenica, 07 febbraio 2010; 15:29




L'acqua pubblica nell'urna

di Andrea Palladino




Cento anni ha compiuto ieri Acea. Era l'epoca del sindaco Nathan, ebreo di origine inglese, laico e antipapalino. Fu lui a volere una grande azienda pubblica per la gestione dell'acqua e dell'elettricità nella capitale d'Italia. Ieri, a dieci anni dalla creazione della Spa quotata in borsa, Ratzinger ha ricevuto in udienza i dirigenti di Acea, pronti a fare il grande salto definitivo verso la completa privatizzazione. La via era stata aperta dalla coppia Rutelli-Lanzillotta nel 1999, ed oggi viene completata da Alemanno e dal decreto Ronchi sulla privatizzazione dell'acqua, approvato dal governo Berlusconi alla fine dello scorso anno. Il sindaco di Roma ha dato il suo placet politico, annunciando la cessione di buona parte di quel 51% ancora pubblico.

Benedetto XVI ha evitato accuratamente di parlare di acqua pubblica, mantenendosi molto vago su cosa significhi la gestione privata dei beni comuni. Altri tempi rispetto alla Roma di Nathan. E ben altra chiesa rispetto a quella fuori dalle mura vaticane, che con la voce di padre Alex Zanotelli gridava «maledetti voi» verso chi ha votato per la cessione ai privati delle risorse idriche.

Parodossalmente è lo stesso silenzio del papa a far capire che la partita sulla privatizzazione dell'acqua è però tutt'altro che chiusa. Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua sta avviando due iniziative nazionali, raccogliendo l'adesione ampia di interi pezzi della società civile, dal mondo cattolico legato al sociale, fino alle principali associazioni ambientaliste e a parti importanti del sindacato. Un fronte largo, senza i partiti, che entreranno solo con adesioni, per sottolineare l'assoluta trasversalità dei beni comuni.

La prima tappa sarà la manifestazione nazionale del 20 marzo a Roma, una settimana prima del voto, proprio per ricordare come necessariamente la politica debba confrontarsi con i movimenti per l'acqua pubblica. Un mese dopo, in aprile, partirà la raccolta delle firme per il referendum, che non si limiterà all'abrogazione di quella parte del decreto Ronchi che impone la cessione ai privati della gestione delle risorse idriche. Sarà una vera e propria consultazione popolare su un tema chiaro e decisivo: gestione pubblica per tutti i servizi idrici o mantenimento dell'attuale legislazione, con l'apertura al capitale speculativo degli acquedotti. Un si alla ripubblicizzazione, unica strada divenuta oramai percorribile.

Sarà sul referendum che si convoglierà, nei prossimi mesi, il dibattito che va avanti da almeno quattro anni in Italia sul sistema idrico, sui fallimenti delle gestioni private e miste pubblico-private, sugli investimenti che i privati non hanno fatto e che mai faranno, sulla qualità dell'acqua che è peggiorata, con punte allarmanti.

Di certo la questione non è finita con l'approvazione del decreto Ronchi. Il tema della gestione dell'acqua sta entrando prepotentemente nelle prossime elezioni regionali. Prima la Puglia di Vendola, che con coraggio ha approvato una legge d'indirizzo, con l'obiettivo di chiudere la gestione della Spa degli acquedotti pugliesi per arrivare ad un vero sistema pubblico, blindato rispetto ai tanti appetiti speculativi. Poi la regione Lazio, dove in almeno tre province - Roma, Latina e Frosinone - la gestione è di fatto già privatizzata. E in questo caso il nodo centrale è Acea, primo gestore idrico italiano. Ieri Renata Polverini ha chiarito la sua posizione, spiegando che «si tratta di privatizzare il servizio» va tutto bene. Che è poi il contenuto della legge approvata dal centrodestra. Ha così rassicurato il suo scudiero in terra pontina Claudio Fazzone - presidente di Acqualatina - e il suo alleato Udc, molto vicino, come è noto, agli interessi di Caltagirone, principale socio privato italiano di Acea.








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claudiomeloni; ; commenti ?







sabato, 06 febbraio 2010; 20:02




Acea, cda approva emissione bond per 150 mln euro in yen




(Teleborsa) - Roma, 5 feb - Il Consiglio di Amministrazione di Acea SpA, si è riunito in data odierna e ha deliberato l'emissione di un prestito obbligazionario di importo pari a 20 miliardi di yen da convertirsi contestualmente in corrispondenti euro (circa 150 milioni) della durata di quindici anni, da collocarsi interamente presso un Investitore privato.

L'emissione persegue l'obiettivo di un migliore equilibrio tra l'indebitamento a breve e a medio/lungo termine del Gruppo Acea.

Il Consiglio di Amministrazione ha deliberato, inoltre, di proporre all'Assemblea degli Azionisti la revisione della procedura di nomina degli Amministratori (con riferimento a Liste diverse da quella di "Maggioranza"), al fine di adeguarsi alla best practice delle società quotate.









05/02/2010 - 18:57




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