lunedì 23 gennaio 2012


  
Da Agrigento, in India e in Chiapas. A bere sono solo le multinazionali 
 di Checchino Antonini (Liberazione del 30 luglio 2010) 

L’accesso all’acqua è un diritto umano, ha detto finalmente il Palazzo di Vetro dopo 15 anni di discussione. Non è vincolante dal punto di vista normativo ma la storica dichiarazione rafforza le mobilitazioni sociali che in ogni angolo del pianeta contrastano la privatizzazione dell’acqua. Dopo che 1.400.000 di donne e uomini hanno sottoscritto le proposte referendarie, il comitato promotore rilancia al governo l’idea di una moratoria che blocchi tutti i processi di privatizzazione. Ma, a succhiare l’oro blu, sono anche i circuiti del turismo di massa - che assetano i territori dove impiantano alberghi o piste da golf - e le multinazionali delle bibite. 
Da vicino a lontanissimo ecco alcune storie emblematiche. 
Agrigento è la città italiana dove l’acqua costa di più, 440 euro l’anno contro i 103 di Milano. Ma arriva nella case sporca e con turni settimanali. E, a pochi chilometri, le vene del sottosuolo sono gonfie di gustosa, dissetante, gradevole, con un equilibrato contenuto di sali minerali. Parola di Nestlè a cui la Regione ha permesso di raggiungere nell’arco di un quinquennio la produzione di 250 milioni di litri: dagli attuali 16.500 pezzi l’ora agli oltre 46 mila pezzi previsti e pianificati per accaparrarsi la metà della sete isolana. A Santo Stefano Quisquinna, 40 chilometri dal capoluogo, che custodisce il tesoro, si teme che la multinazionale scavi troppo e troppo in giù e prosciughi presto le vene sorgive. Ricapitolando: l’acqua c’è ma è tutta di Nestlè. 
Così pure in India. Dove se la bevono Pepsi e Coca. Scrive Vandana Shiva, attivista vicina ai social forum, che in India ogni impianto beve tra uno e due milioni di litri d’acqua al giorno. E ce ne sono 90, con un prelievo idrico quotidiano tra i 90 e i 180 milioni di litri. Per produrre un solo litro di cola vengono inquinati circa dieci litri di acqua potabile. Nei reflui di questi impianti il Pollution control board del Kerala ha rilevato alte concentrazioni di cadmio e piombo. Le esposizioni al cadmio protratte nel tempo possono causare disfunzioni renali, danni alle ossa, al fegato e al sangue. Il piombo invece danneggia il sistema nervoso centrale, i reni, il sangue e il sistema cardiovascolare. Le donne di un piccolo borgo del Kerala sono riuscite a far chiudere un impianto della Coca Cola. Nel distretto di Palakkad, la Hindustan Coca-Cola Beverages Limited ha sfruttato tutti i pozzi idrici esistenti, contaminandoli e compromettendo così l’esistenza di più di 750 famiglie di contadini. Gli adivasi per centinaia di giorni si sono ribellati alla devastazione nella regione del Kerala. La lotta, appoggiata anche dai contadini dalit, i fuoricasta, ha a che vedere non tanto con il gusto dolciastro o il colore della bevanda, quanto con il disastro ambientale creato dalla fabbrica della compagnia nel villaggio di Plachimada e dintorni. Aperto nel 1998, lo stabilimento portò un centinaio di posti di lavoro e altri duecento saltuari, ma ha prelevato dai corsi d’acqua e dai bacini idrici circostanti tra i seicentomila ed il milione e mezzo di litri d’acqua al giorno. La loro acqua assume il colore del latte cagliato e il suo odore diventa stomachevole, al punto da costringere un migliaio di abitanti a comprare l’acqua imbottigliata dalla stessa Coca-Cola a cinque rupie la bottiglia. 260 pozzi messi a disposizione dalla pubblica autorità come sorgenti di acqua potabile per la popolazione si erano esauriti, la Coca Cola li ha utilizzati come deposito per le sue acque di scarto di lavorazione. Nel 2003, l’ufficiale medico distrettuale ha informato la popolazione di Plachimada del fatto che la loro acqua non era più potabile. Lo stabilimento restituiva infatti parte dell’acqua depredata durante il processo di risciacquo dei contenitori, contaminando fonti, terreno e falde. 
I contadini e gli abitanti dei villaggi denunciarono il fatto che non riuscivano più a mettere da parte l’acqua necessaria perché continuavano a spuntare nuovi pozzi, con gravi impatti sul raccolto agricolo. Quando le accuse furono confermate dal fatto che l’azienda non era in grado di fornire un rapporto dettagliato richiesto dalle autorità locali, fu mandata un’ingiunzione a comparire in tribunale e la licenza fu revocata. A quel punto la Coca Cola provò, senza riuscirci, a corrompere il presidente del Panchayat offrendogli 300 milioni di rupie. Dopo aver privatizzato l’acqua della riserva ecologica del Cerro Huitepec, dal 2000 ancora Coca cola distribuisce acqua contenente due volte la quantità di piombo permessa dalle autorità sanitarie messicane. Dal marzo del 2007 la Giunta di Buon Governo della zona Altos, di Oventik, ha istallato un riserva ecologica comunitaria di 102 ettari, per difendere una parte della montagna dal tentativo del governo e di privati di sfruttare a fini di lucro le ricchezze naturali. Cocacola nel 2004 ha utilizzato 107 milioni di litri d’acqua, pari al consumo di 203.666 abitazioni.

Fonte: Liberazione del 30.07.2010

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domenica, 01 agosto 2010; 07:16


Aprilia/Il comitato: «Fermare Acqualatina»

Il Comitato dell’acqua pubblica di Aprilia chiede al sindaco di fermare le squadre di Acqualatina che stanno riducendo il flusso dei contatori degli utenti che non pagano la bolletta. Alle sette di sera una decina di membri del comitato si sono autoconvocati in Comune per incontrare il sindaco D’Alessio. Ne è nato un confronto molto acceso che è durato più di mezz’ora. Il primo cittadino ha detto di non avere il potere di fare un’ordinanza per impedire l’intervento sui contatori. Comunque ha detto che consulterà gli avvocati per verificare cosa si può fare
Fonte: Il Messaggero del 28.07

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domenica, 01 agosto 2010; 07:07

IL BUCO DELL' acqua
I LIMITI DELLE RISORSE IDRICHE DEL PIANETA

DI ELENA COMELLI 

L'  acqua è una risorsa limitata e comincia a scarseggiare, non solo in Africa o in Asia, ma anche in Europa. Le stime dell'Agenzia dell'ambiente dicono che l'11% della popolazione e il 17% del territorio europeo sono affetti da carenza idrica, con un costo che nell'ultimo trentennio ha superato i cento miliardi di euro.
È prima di tutto un problema di crescita demografica. La Banca Mondiale stima che la quota globale di esseri umani a corto di acqua sarà del 45% (4 miliardi) nel 2050, contro l'8% (500 milioni) nel 2000. La carenza non è uguale dappertutto: 9 paesi controllano il 60% della disponibilità globale e tra questi solo Brasile, Canada, Colombia, Congo, Indonesia e Russia ne hanno in abbondanza. Cina e India, con oltre un terzo della popolazione mondiale, devono accontentarsi del 10% dell'acqua e stanno esaurendo le riserve del sottosuolo. Lo stesso accade in molte grandi città: l'acqua di Città del Messico viene al 70% da una falda che sarà esaurita nel giro di un secolo al ritmo di estrazione attuale, tanto che la città sta sprofondando. Situazioni simili si trovano a Bangkok, Buenos Aires e perfino a Barcellona, dove lo svuotamento della falda d'acqua dolce sta causando il progressivo avanzamento dell'acqua salmastra nel sottosuolo.
Oltre il 97% dell'acqua presente sulla terra, infatti, è salata e quindi inservibile per gli esseri viventi, tranne che per i pesci. In quel misero 2,5% di acqua dolce che ci rimane, per di più, sono compresi anche i ghiacci eterni (o quasi). Di conseguenza, tutti gli esseri viventi non marini sopravvivono con lo 0,75% dell'acqua presente sulla terra, per la più gran parte sotterranea e il resto distribuito tra fiumi e laghi o in qualche fase del ciclo idrogeologico: vapore, pioggia, neve...
Sta a noi catturarla in una di queste forme e incanalarla per le nostre esigenze, che sono fondamentalmente tre: il 70%, in media, è destinato all'agricoltura, il 22% all'industria e solo l'8% va per usi domestici. Ma gli utilizzi variano moltissimo. La gente che abita nelle zone temperate spesso non ha idea di quanto "beva"l'agricoltura sotto altri climi: nel Regno Unito, ad esempio, solo il 3%dell'acqua va in agricoltura, mentre negli Stati Uniti è il 41%, in Cina il 70% e in India quasi il 90 per cento.
Non è solo una questione di clima, ma anche di efficienza nell'utilizzo.Per questa sua caratteristica di risorsa limitata, infatti, l'acqua è stata definita il nuovo petrolio. Ma la grande differenza rispetto al petrolio sta proprio nel concetto di uso: per mandare avanti la nostra auto, le molecole di petrolio che bruciamo si destrutturano e non si possono più ricostruire. Ma quando facciamo la doccia, l'acqua che abbiamo usato esiste ancora? Certamente sì. Sta a noi riciclarla in maniera efficiente per innaffiare le piante o altro. In alcuni paesi, come in Israele, il riciclo dell'acqua è una necessità vitale ed è quindi molto praticato. In Europa, pochissimo. In Italia, per niente. L'acqua destinataall'agricoltura è spesso in concorrenza con quella che esce dai rubinetti, a sua volta destinata a finire sprecata quasi per metà già prima 
CORBIS di arrivare nelle case della gente, visto che in Italia le perdite di rete sono in media del 42 per cento.
La prima soluzione alla scarsità dell'acqua presente sulla terra, quindi,è l'utilizzo efficiente di questa risorsa, che al contrario del petrolio può essere agevolmente riciclata. La seconda soluzione è attingere alle enormi riserve d'acqua salmastra, sviluppando tecniche di dissalazione sempre meno energivore. Il terzo problema da risolvere non attiene alla scarsità dell'acqua, ma alla sua pulizia: nel mondo muoiono 5mila bambini al giorno per aver utilizzato acqua sporca.
In tutti e tre i casi l'innovazione tecnologica è fondamentale: il concetto di "smart grid" non si applica solo all'energia, ma anche all'acqua. Impianti funzionanti di depurazione, distribuzione e misura consentono di dare un prezzo adeguato all'acqua consumata, che scoraggi gli sprechi, togliendo i costi di gestione dell'acqua dalla fiscalità generale e trasferendoli su chi utilizza questo bene prezioso: il poveretto che consuma due litri d'acqua al giorno non dev'essere costretto a sovvenzionare chi ne approfitta per riempirsi la piscina. L'acqua, dunque, va pagata. O meglio: le infrastrutture che servono per incanalarla, pulirla e distribuirla vanno pagate. Gli italiani la pagano in media 1,1 euro al metro cubo, contro 2 in Spagna e 5 in Germania. Ma che il sistema sia pubblico o privato è indifferente, lo ha detto anche la Banca Mondiale: basta che funzioni su regole di mercato. Ci sono sistemi gestiti da enti pubblici o privati in giro per il mondo che funzionano benissimo: in Senegal, ad esempio, l'acqua è privatizzata e in Uganda pubblica, ma in tutti e due i casi è gestita bene. In India, invece, dove l'acqua è gestita dagli Stati, il sistema è disastroso. Lo stesso si può dire dell'Italia, dove i rubinetti funzionano a singhiozzo in ampie zone del Sud, costringendo gli abitanti a comprarla dalle autobotti o in bottiglia.*

Dall'inserto scientifico del sole 24 ore

*A Milano c'è il miglior acquedotto d'Europa ed è pubblico (NdR)


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sabato, 31 luglio 2010; 12:08


Storico voto


Storico voto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: l'accesso all'acqua potabile è stato riconosciuto come un diritto umano.
E' il titolo di La Repubblica on line. Pensate come cambiano le cose, solo pochi mesi fa il loro autorevole editorialista Franco De Benedetti, senatore PD, sostenne che l'acqua non è un diritto umano e che sbaglia chi lo sostiene. Oggi lo sostiene l'ONU.
E' un primo passo, una risoluzione senza vincolo di attuazione, ma non credo di esagerare se sostengo che è uno di quei passaggi che segnano la storia e che, con le dovute differenze, può essere equiparato alla dichiarazione con la quale nell'800 il mondo affermò l'illegalità della schiavitù.
Sulla base di quanto affermato nella risoluzione possiamo dire che far mancare l'acqua potabile a qualcuno, è illegale e che, qualora fosse resa vincolante la risoluzione, tutte le istituzioni del mondo dovranno garantire a tutti i cittadini l'accesso a tale diritto.
Ne discende una domanda: il diritto umano all'acqua, così come il risparmio di questo bene comune, è compatibile con la sua mercificazione-privatizzazione?
Il movimento dell'acqua mondiale da più di 10 anni ha detto No in tutte le sedi. Ha sviluppato movimenti, ha influenzato governi, cambiato leggi e costituzioni in tal senso e centinaia di comuni italiani hanno modificato gli statuti.
Ha detto che il diritto è incompatibile con il profitto, la privatizzazione dei servizi idrici e con il consegnare l'accesso all'acqua potabile per 1 miliardo e 200 milioni di persone, ai partenariati pubblico-privato.
Ha detto che è incompatibile una politica mondiale dell'acqua se delegata ad una istituzione privata come il Consiglio Mondiale, governata dalle solite multinazionali Suez e Veolia.
Infine che è incompatibile una politica di risparmio di acqua se regolata e venduta da imprese che devono fare profitti.
Per queste ragioni la risoluzione dovrebbe affidare alle reti internazionali, ai governi che l'hanno promossa e a quelli che l'hanno firmata, tre compiti.
Il primo è quello di renderla vincolate e tradurla in orientamenti legislativi e costituzionali in tutto il mondo.
La seconda è quella di chiamare, come da tempo fanno le reti dell'acqua, le NU alla propria responsabilità di definire la politica mondiale dell'acqua in quanto unica istituzione legittima.
Il che vuol dire che l'ONU deve delegittimare, in vista di Marsiglia 2012 sede del prossimo Forum Mondiale dell'Acqua, il Consiglio Mondiale dell'acqua che lo promuove.
Terzo riguarda noi, il nostro paese, il governo, il ministro Ronchi, ma anche la politica che hanno partorito la legge che fa obbligo a privatizzare la gestione di tutti i rubinetti italiani.
Ecco, dopo il voto dell'Assemblea dell'ONU e la straordinaria raccolta di firme (1,4 milioni di firme, il 4% dell'elettorato italiano) che ne chiede l'abrogazione è d'obbligo un ripensamento. E' un popolo che lo chiede, quello dei banchetti, trasversale,  libero dalla gabbia nella il bipolarismo l'ha imprigionato, come in due popoli incomunicabili. Una raccolta  senza sponsor, senza visibilità mediatica, senza leader.
Credo non sia più possibile ignorare anche un serio confronto per l'acqua sulla questione della fuoriuscita dalla logica privata del full cost recovery, ovvero della tariffa fatta da pareggi di bilancio e giusta remunerazione ( al 7%) del capitale.
Un confronto serio, che parta dal diritto umano, che lo quantifichi, come fa l'OMS, in un minimo di 50 litri al giorno per persona, da garantire a tutti, a carico della fiscalità generale, una base sicura oltre la quale introdurre tariffe progressivamente più care per consumi sempre più elevati, tesa a ridurre consumi sprechi ecc...
Un modello non più trattabile con sufficienza come ideologico, ma come il solo in grado di rendere compatibili esigenze imprescrittibili: il diritto e il risparmio.
Un modello che solo la politica, il pubblico e la partecipazione dei cittadini può realizzare, dando corpo a quanto di storico è stato votato a New York
Emilio Molinari





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sabato, 31 luglio 2010; 07:17


CAMPANIA  

La sindaca Iervolino istituisce per decreto un pool aperto ai movimenti referendari
di Adriana Pollice

Napoli, una cabina di regia per difendere l'acqua pubblica
La battaglia per tenere in mani pubbliche l'acqua di Napoli e Campania tiene banco a Palazzo San Giacomo. La sindaca Rosa Russo Iervolino, secondo mandato in scadenza la prossima primavera, dopo l'affidamento da parte del cda dell'Ato2 delle risorse idriche partenopee all'Arin spa, di proprietà del comune, incassa il ricorso al Tar da parte dei comitati referendari campani contrari alla spa e che inoltre non avevano apprezzato l'ingresso nel cda della società di un rappresentante di Sel e di uno in quota Prc. L'immediato effetto del ricorso è stato la sospensione dell'assemblea dell'Ambito territoriale ottimale 2 e l'istituzione per decreto del primo cittadino di una cabina di regia, aperta ai movimenti, come chiesto anche da Alex Zanotelli e dagli attivisti che hanno raccolto oltre 78mila firma in regione, per una soluzione il più largamente condivisa che tenga la gestione dell'acqua partenopea fuori dalle multinazionali, a partire da Veolia e Caltagirone.
Di fatto la legge 133 del 2008, il cosiddetto decreto Ronchi, obbliga a mettere i servizi sul mercato ma alcune regioni, come Puglia, Emilia Romagna e Piemonte, stanno valutando di impugnare il provvedimento orientando i comuni a sottrarsi, con modifiche ai loro statuti, definendo il servizio idrico «privo di rilevanza economica». Anche la precedente amministrazione regionale campana a inizio anno ha approvato una legge dello stesso tenore. «Se procedessimo anche noi comuni in questo senso qualsiasi operatore privato potrebbe fare ricorso al Tar, vincendolo. L'attuale quadro normativo sottrae i servizi idrici alla competenza regionale per ricondurli a quella statale in via esclusiva, affidandoli poi al regime concorrenziale di mercato, a differenza della precedente legge Galli»: questa l'opinione dell'assessore comunale alle politiche sociali, Giulio Riccio, di Sel. La spa sarebbe, quindi, l'estrema ratio per non affidare a gara pubblica il sistema integrato partenopeo ma resta in campo l'obbligo per legge della cessione delle quote dell'Arin, 100% pubblica, ai privati: «Fino al primo gennaio 2012 intanto possiamo tenerle. Poi speriamo intervenga il referendum a modificare il quadro normativo generale» prosegue Riccio, perché il vero nodo è tutto politico, con i movimenti che chiedono il coinvolgimento diretto delle popolazioni.
«Ribadiamo che Sel in Campania è per la gestione pubblica del servizio idrico integrato, ci impegneremo perché venga raggiunto il quorum al referendum, pronti a dismettere le spa in favore di istituzioni pubbliche per gestire un bene non a rilevanza economica. Intanto stiamo valutando tutti gli strumenti possibili per non cedere le quote dell'Arin» conclude Riccio. La cabina di regia potrebbe essere il luogo dove portare a sintesi le spinte e le proposte che arrivano dalle comunità campane che, soprattutto nell'Ato3, portano avanti da anni una durissima battaglia solitaria contro il gestore privato Gori.

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sabato, 31 luglio 2010; 07:12


Scontro Comune-Acqualatina, nuove case senza allacci

DI RICCARDO TOFFOLI

«L’Ato non approva il verbale di consegna degli impianti delle nuove lottizzazioni e le nuove coppie, come diceva il sindaco, non hanno l’acqua. Poi ci sono quelli che non hanno pagato l’acqua perché illusi dai proclami del sindaco e ora si vedono ridurre il flusso. Il sindaco deve spiegare i suoi comportamenti ai cittadini». Queste le parole del capogruppo del Pdl Ilaria Bencivenni che commenta la decisione dell’Ato di «bocciare» il verbale di consegna degli impianti idrici delle nuove lottizzazioni sul quale era scoppiata una aspra polemica tra comitato in difesa dell’acqua pubblica e amministrazione. La doccia fredda è arrivata qualche giorno fa ma l’assessore agli affari generali Luigi Bonadonna assicura: «Il Comune non fa nessuna marcia indietro e non accetta diktat. L’Ato4 si assumerà tutte le responsabilità di fronte ai cittadini per questa scelta. Prima vengono concessi i nullaosta e poi si nega l’allaccio. Noi abbiamo dato mandato ai nostri legali perché non ci possono negare di inserire dichiarazioni a verbale».
Fonte: il Tempo del 28.07.2010

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venerdì, 30 luglio 2010; 10:39


Voto storico all'assemblea Onu: l'acqua è stata riconosciuta un diritto umano


Il 28 luglio 2010 è stata una giornata storica per il movimento internazionale che da anni si batte per il riconoscimento del diritto umano all'acqua. All'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York è stata ufficialmente presentata da parte di almeno 23 co-patricinatori degli Stati membri e dal Governo della Bolivia una risoluzione intitolata "Il Diritto Umano all'Acqua e all'igiene" che appunto ieri è stata approvata con 122 voti a favore, 41 astenuti e 0 contrari. 
L'acqua quindi è un "Diritto fondamentale, essenziale per il pieno esercizio del diritto alla vita e tutti i diritti umani". Il testo della risoluzione invita gli Stati membri e le organizzazioni internazionali a fornire risorse finanziarie, a rafforzare le competenze e trasferire tecnologie in particolare per i Paesi in via di sviluppo. L'obiettivo è quello di aumentare gli sforzi per "fornire acqua pulita, sicura, servizi igienici accessibili e alla portata di tutti". La risoluzione, nella sua parte introduttiva, riporta quelli che soni i dati, purtroppo noti, ripetuti nella circostanza dal rappresentante della Bolivia «Una persona su otto non ha accesso all'acqua potabile sul nostro pianeta. La mancanza di accesso all'acqua e alle strutture igienico-sanitarie provoca la morte di tre milioni di persone all'anno. 1,5 milioni di bambini muoiono ogni anno di diarrea, e un terzo di questi decessi potrebbero essere evitati attraverso la creazione di servizi igienici adeguati». 
Anche se non ci sono stati voti contrari questa risoluzione non ha convito proprio tutti. Stati Uniti, Canada, Regno Unito, l'Australia e la Turchia ad esempio si sono astenuti: a loro avviso la risoluzione potrebbe minare l'iter in corso a Ginevra presso il Consiglio dei Diritti Umani (pare per incongruenze tra i due testi) per costruire un consenso sui diritti legati all'acqua. In realtà probabilmente l'"impegno" è stato ritenuto troppo cogente, ma c'è anche chi si è astenuto per motivi opposti come ad esempio i Paesi Bassi che hanno ritenuto la risoluzione non insistesse abbastanza sulla responsabilità degli Stati nei confronti dei loro cittadini in materia d'accesso all'acqua e alle strutture igienico-sanitarie. L'Assemblea generale ha poi accolto con favore la decisione del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite di richiedere un esperto indipendente, che dovrà presentare una relazione annuale in cui indicare i principali problemi nella realizzazione del diritto all'acqua potabile, le carenze sui servizi igienico-sanitari e il loro impatto sulla raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (in particolare Obiettivo n°7). L'esperto, individuato in Catarina de Albuquerque, ha il compito di stabilire un dialogo con i governi, le Nazioni Unite, il settore privato, gli enti locali, le organizzazioni della società civile e istituzioni accademiche. 
Vedremo se già dai prossimi appuntamenti, a partire da quello di settembre sugli Obiettivi del Millennio per arrivare fino al Forum mondiale dell'acqua, previsto per marzo 2012 a Marsiglia, questa risoluzione politica molto importante, ma che non ha valore normativo, troverà ulteriore consolidamento.

Fonte: Greenreport

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venerdì, 30 luglio 2010; 07:12


Abbanoa, il gigante idricoverso la privatizzazione

di Costantino Cossu


Tradotto in italiano Abbanoa fa «acqua nuova». E quando è stata creata, circa quattro anni fa, la società della regione Sardegna che gestisce bacini di raccolta e reti di diffusione in tutta l'isola era, o doveva essere nelle intenzioni della giunta Soru che l'ha voluta, proprio nuova. Nel senso che doveva sostituire i vecchi enti di gestione comunali e provinciali, nel segno, ovviamente, della razionalizzazione e dell'efficienza. La vulgata, tante volte sentita in questi anni non solo per l'acqua, recitava la litania: «Basta con i carrozzoni clientelari. È ora di passare alla gestione centralizzata di tutto il sistema regionale e di affidare la cura dell'azienda, un'azienda che funzioni con criteri privati anche se pubblica, a manager capaci, competenti». 
Com'è andata a finire? Così: un piano di rilancio fallito perché basato su previsioni errate, l'impossibilità di approvare un vero e proprio progetto industriale, la mancata revisione al rialzo delle tariffe dell'acqua (strombazzata come novità rivoluzionaria) con la conseguente difficoltà a coprire i costi ordinari di gestione. Critiche di faziosi giornalisti di sinistra? Affatto: sono le principali «criticità» - le chiamano così - denunciate da Pietro Cadau (Pdl), presidente del consiglio di amministrazione di Abbanoa, durante una recente assemblea generale dei soci (amministratori comunali e provinciali). Nel sollecitare un aumento di capitale di 14 milioni (da coprire con l'ingresso di nuovi comuni soci e, per oltre 11 milioni, con quote degli attuali), Cadau ha svelato - ma tutti lo sapevano da tempo - «la grave situazione operativa nella quale la società vive sin dalla sua costituzione». «Bastano due indici - ha detto il presidente - per evidenziare lo stato attuale: perdite idriche in rete per il 40 per cento e il 56 per cento e carenze delle strutture civili e impiantistiche tali che richiederebbero investimenti per la messa a norma di oltre 220 milioni». Nota più di tutte dolente, per Cadau, la mancata revisione delle tariffe: «Un'omissione - ha detto - che ha determinato un danno grave e difficilmente rimediabile agli interessi economici e patrimoniali di Abbanoa».
Insomma, un disastro. Come se ne esce? Comuni, province e regione, alle prese coi tagli voluti da Giulio Tremonti, soldi da impiegare nella urgente ricapitalizzazione della società non ne hanno. Resta evidentemente l'opzione privata, in fondo l'esito più coerente rispetto alle scelte di fatto privatistiche che hanno presieduto sia alla scelta di far nascere Abbanoa sia alla sua gestione. 
La giunta Cappellacci ipotizza la nomina di un amministratore delegato dagli ampi poteri che elimini la possibilità di controllo dei comuni e delle province. È un primo passo verso la privatizzazione, che a questo punto neppure i vertici della società escludono: «C'è - dice Cadau - una legge nazionale». Un netto «no» arriva però da Cgil, Cisl e Uil, che criticano la giunta Cappellacci per un anno e mezzo di assenza e di mancata programmazione. Mentre il presidente Pd della provincia di Nuoro, Roberto Deriu, dichiara: «È ora di iniziare la grande battaglia per l'abolizione di Abbanoa, macchina di mostruosa inefficienza». In Sardegna la guerra dell'acqua è appena cominciata.

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Onu: l’accesso all’acqua diventa un “diritto umano”


New York (Usa), 29 luglio. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione, dichiarando in data odierna che“l’accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici è un fondamentale diritto umano ”.La Bolivia, paese che presentava la richiesta, e altri 33 paesi a supporto, tra cui Francia, Spagna, Brasile e Germania, avevano chiesto all’Onu di inserire l’accesso all’acqua potabile nella Dichiarazioni dei diritti umani. Dopo oltre 15 anni di dibattito, le votazioni hanno visto 122 Paesi votare a favore del testo, con 41 astenuti, tra cui grandi Paesi quali Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia.
Attraverso questo documento, l’Onu sancisce che “bere acqua sicura e pulita e l’igiene sono un diritto umano essenziale per godere a pieno del diritto alla vita”. La stessa risoluzione denota anche preoccupazione per i 884 milioni di persone che ad oggi non possibilità di accedere a risorse idriche potabili, i 2,6 miliardi di persone che non possono curare la propria igiene personale e i ai 2 milioni, soprattutto neonati e bambini, che ogni anno perdono la vita per malattie causate dall’acqua contaminata e dalle carenti misure igieniche.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti, in seno alla risoluzione, ha confermato anche l’impegno di ridurre della metà, entro il 2015, la porzione di popolazione mondiale che non ha possibilità di accedere a risorse potabili di H2O. La storica decisione chiama a cooperare tutti gli stati e le organizzazioni internazionali affinché siano messi a disposizioni dei paesi in via di sviluppo fondi e tecnologie per “aumentare gli sforzi per provvedere a acqua pulita e igiene per tutti”.
Un passo importantissimo che, a livello internazionale, sancisce “il desiderio di unire le forze affinché anche a tutti i poveri del mondo vengano riconosciuti i più essenziali diritti umani, senza altri ritardi o equivoci”. Queste parole di speranza provengono dalla ‘Food & Water Watch’, un’organizzazione no profit statunitense che da tempo si batte per assicurare acqua pulita a tutti, americani e non.
Una pietra miliare che, solo se supporta a dovere da tutti i Paesi, potrà apportare cambiamenti reali al mondo attuale. È la speranza di ognuno, la palla passa ai decisori.
Emanuele Ballacci

http://www.newnotizie.it/2010/07/29/onu-laccesso-allacqua-diventa-un-diritto-umano/

Il testo della risoluzione tradotto in 6 lingue:
http://www.un.org/es/comun/docs/index.asp?symbol=A/64/L.63/Rev.1&Submit=Buscar

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