lunedì 23 gennaio 2012



Acea: nel primo semestre i ricavi sono pari a 1.581 mln

Il Consiglio di Amministrazione di Acea, presieduto da Giancarlo Cremonesi, ha approvato la Relazione finanziaria semestrale al 30 giugno 2010.
Nei primi sei mesi dell’anno in corso, il Gruppo Acea ha conseguito significativi risultati economici e finanziari, grazie anche alle azioni di recupero di efficienza della gestione e di protezione dei margini. Tali risultati, che confermano il trend di crescita del primo trimestre, derivano dallo sviluppo di tutte le aree di business e, in particolare, dalla crescita dei settori Energia e Idrico.
I ricavi consolidati, raggiungono 1.581,4 milioni di Euro, in crescita del 7,4% rispetto a 1.472,7 milioni di Euro dei primi sei mesi del 2009.
Il costo del lavoro, diminuisce di 10,5 milioni di Euro a 139,4 milioni di Euro (il dato del primo semestre 2009 era influenzato per 6,8 milioni di Euro da eventi non ricorrenti). Il Margine Operativo Lordo (EBITDA), pari a 321,1 milioni di Euro, aumenta di 51,8 milioni di Euro (+19,2%) rispetto al consuntivo di giugno 2009. La positiva performance è stata determinata principalmente:
- dai migliori margini conseguiti nella vendita e trading di energia elettrica;
- dall’incremento tariffario di Acea ATO2 e dal consolidamento di Nuove Acque;
- dalla riduzione dei costi operativi di Acea ATO2 e di Acea Distribuzione;
- dai migliori margini nel fotovoltaico.
Il Risultato Operativo (EBIT) consolidato passa da 135,2 milioni di Euro del 30/6/09 a 167,8 milioni di Euro al 30/6/10, registrando una crescita del 24,1%.
L’utile netto consolidato, dopo le attribuzioni a terzi, raggiunge 82,9 milioni di Euro, rispetto a 54,5 milioni di Euro del corrispondente periodo dell’anno precedente (+52,1%). La variazione è anche influenzata dalle minori imposte di periodo: agevolazione degli investimenti eleggibili ai sensi della “Tremonti ter” e deducibilità degli interessi sulla cosiddetta “moratoria fiscale”. Al netto di tali effetti, il tax rate di periodo si attesta al 42,0%, rispetto al 43,5% del primo semestre 2009 (anche quest’ultimo dato è stato epurato dei fattori straordinari).
Gli investimenti del Gruppo ammontano a 197,3 milioni di Euro, rispetto a 186,3 milioni di Euro del primo semestre 2009 e risultano ripartiti come segue:
- Idrico: 84,4 milioni di Euro (43% del totale);
- Reti: 73,0 milioni di Euro (37% del totale);
- Ambiente ed Energia: 21,1 milioni di Euro (11% del totale);
- Energia: 12,6 milioni di Euro (6% del totale);
- Capogruppo: 6,2 milioni di Euro (3% del totale).
La Posizione Finanziaria Netta al 30 giugno 2010 è negativa per 2.212,3 milioni di Euro (2.294,4 milioni di Euro al 31 marzo 2010 e 2.145,9 milioni di Euro a fine 2009). Il miglioramento nel secondo trimestre rispetto alla situazione al 31 marzo 2010 è imputabile alla riduzione del capitale circolante, mentre l’aumento rispetto al 31 dicembre 2009 deriva essenzialmente dal fabbisogno generato dagli investimenti.

http://www.trend-online.com/?stran=izbira&p=irs&id=286593&nopag=2

Si accende la luce nel bilancio Acea
Semestrale Utili per 89 milioni (+51%) Pace in vista con i francesi di Suez-GdF chiamati per la prima volta «partner».

Acea a un passo dall'accordo con i francesi di Suez Gdf per la separazione consensuale. Il cda che ieri ha approvato i conti semestrali con utili in forte crescita (82,9 milioni con un salto del 52,9% rispetto allo scorso anno) non ha aggiunto nulla di più rispetto a quanto circolato nei giorni scorsi su una possibile intesa. Il comunicato emesso a fine giornata relega in una riga la questione: «Proseguono i colloqui con il partner GdF Suez al fine di risolvere la controversia». Ma il cambio di passo nella trattativa è evidenziato anche dal vocabolario utilizzato nel testo. Per la prima volta nella terminologia dei comunicati entra la parola «partner». Indice quanto meno di un atteggiamento distensivo tra i grandi soci rappresentati nell'utility capitolina. Un passo avanti in una vicenda che si trascina senza soluzione ormai da due anni. Secondo quanto il Tempo è in grado di ricostruire, nel corso del consiglio il modo per curare le frizioni societarie che si sono create con i transalpini sarebbe stato toccato in maniera marginale. Nessun dettaglio è stato illustrato ai consiglieri ma si sarebbe raggiunto una sorta di largo consenso sulla direzione verso il quale lavorare per comporre il contenzioso (nato dalla ridiscussione degli accordi presi dalla società con i francesi nel corso della giunta Veltroni da parte del sindaco Alemanno). Il cda avrebbe considerato sempre meno praticabile il ricorso all'arbitrato internazionale per trovare una soluzione. Troppo costoso e lungo rispetto alla necessità di rilanciare lo sviluppo aziendale. In attesa gli azionisti si sono consolati con i conti in buona salute. Oltre ai profitti crescono i ricavi consolidati su del 7,4% a 1,58 miliardi. L'Ebitda (margine operativo lordo) si è attestato a 321,1 milioni (+19,2%), mentre l'Ebit (utile operativo) a 167,8 milioni di Euro. Sui dati è arrivato il plauso di Alemanno: «I buoni risultati ottenuti da Acea, a cui le Agenzie Standard & Poor's e Fitch hanno anche confermato il rating A, premiano un management che ha saputo operare scelte efficaci in un momento delicato e difficile per l'economia del Paese». Infine Acea ha ribadito l'intenzione di partecipare alla prossima gara per la concessione della rete distributiva del gas a Roma.

28/07/2010

http://www.iltempo.it/2010/07/28/1184654-accende_luce_bilancio_acea.shtml


 
Milano Finanza     

Sul resto del listino in luce Acea, che in avvio guadagna lo 0,40% a 8,7 euro sulla scia dei risultati semestrali annunciati ieri dopo la chiusura delle contrattazioni. La super utility ha archiviato i primi sei mesi del 2010 con un progresso dell'utile netto del 52% anno su anno a 82,9 milioni di euro e ricavi consolidati in crescita del 7,4% a 1,58 miliardi, con un Ebitda di 321,1 milioni di euro (+19,2%).

Bene anche la posizione debitoria con un saldo a fine giugno in rosso per 2,212 miliardi dal debito netto di 2,29 miliardi di fine marzo. Il miglioramento nel secondo trimestre rispetto alla situazione al 31 marzo 2010, ha fatto sapere la società, "è imputabile alla riduzione del capitale circolante, mentre l'aumento rispetto al 31 dicembre 2009 deriva essenzialmente dal fabbisogno generato dagli investimenti", che al 30 giugno ammontano a 197,3 milioni da 186,3 milioni di un anno prima.

Nel corso dell'assemblea del cda non è stato fatto nessun annuncio, ma prosegue il negoziato con il socio francese Gdf/Suez  per risolvere il contenzioso sulla joint venture elettrica AceaElectrabel. Acea ha infine confermato di voler partecipare alla prossima gara relativa alla concessione della rete distributiva del gas a Roma, "che potrebbe consentire la realizzazione di importanti sinergie operative e conseguenti migliori marginalità totali".
www.milanofinanza.it

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mercoledì, 28 luglio 2010; 12:30



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mercoledì, 28 luglio 2010; 10:07


FINANZE - 
LA REGIONE APPROVERÀ IN GIUNTA PRIMA DELL'ESTATE LA NUOVA LEGGE

Regione, svolta per l'acqua 

«Gestione a Provincia e privati» 
Il piano tariffario prevede un ritocco di due centesimi.
Podestà: crollo entrate, a noi i ricavi del bollo auto

MILANO - Addio acqua del sindaco. Il decreto Ronchi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici sta per entrare in Lombardia. Il servizio di erogazione dell'acqua finirà nelle mani di tante società miste, controllate al 60% dalle singole Province. Le restanti quote azionarie saranno però messe sul mercato attraverso gare pubbliche, con la possibilità, tutt'altro che remota, che anche i privati entrino nel business dell'acqua. La liberalizzazione è pronta. La Regione Lombardia approverà in giunta prima dell'estate la nuova legge che recepirà le direttive del decreto Ronchi. Materia complicata, quella della gestione e dell'erogazione dell'acqua dei rubinetti. Il quadro legislativo è complesso e in continua mutazione. C'è il decreto Ronchi, ma c'è anche la bocciatura arrivata dalla Corte costituzionale alla precedente legge regionale. Un vuoto normativo a cui il Pirellone porrà rimedio già nelle prossime settimane. Ieri l'assessore all'Ambiente Marcello Raimondi ha incontrato i presidenti delle province lombarde per concordare le linee-guida della prossima legge regionale.
Lo schema di partenza è confermato: ci sarà un soggetto gestore, la Provincia, che sostituirà gli Ato, le agenzie territoriali destinate a immediata scomparsa, e ci sarà poi un soggetto erogatore. La liberalizzazione imposta da Ronchi interverrà proprio qui: si creeranno, in pratica, tante società miste controllate dalle singole Province che dovranno però affidare, attraverso gara pubblica, la gestione del restante 40% del pacchetto azionario. L'opposizione di centrosinistra è scettica. «L'acqua - dice il capogruppo pd in provincia Matteo Mauri - è un bene raro e da preservare. Oggi più che mai deve diventare un diritto universale da garantire a ciascun individuo e in quanto tale non deve essere soggetto alle dinamiche di mercato e il suo servizio non deve essere determinato esclusivamente dall'incontro di domanda e offerta. Vigileremo e faremo la nostra parte fino in fondo per impedire che si privatizzi una risorsa così preziosa».
Anche in Comune ieri s'è parlato di acqua e dei suoi costi. Dopo l'aumento di sei centesimi al metro cubo (da 0,54 a 0,60) decisa settimana scorsa, il piano tariffario prevede un ulteriore ritocco di due centesimi per l'anno prossimo. «Ma nel 2027 - hanno assicurato l'assessore al Bilancio Giacomo Beretta e il rappresentante dell'Ato - l'acqua milanese costerà soltanto 0,72 centesimi». Soddisfatto il verde Enrico Fedrighini: «Il piano di investimenti sulla rete idrica pubblica milanese presentato in Commissione rappresenta una risposta credibile alle spinte legislative della Regione verso la privatizzazione del settore». Dall'acqua alle auto. Ieri i presidenti della Province lombarde si sono incontrati a Palazzo Isimbardi per parlare (anche) degli effetti della manovra di Tremonti. Al governo chiedono per il futuro fonti d'entrata certe e stabili. La riscossione del bollo auto, per esempio, da sfilare alle Regioni e da affidare alle Province. «Il bollo auto - ha spiegato il presidente milanese Guido Podestà - ci consentirebbe di modulare i nostri interventi su un gettito costante».
Andrea Senesi
27 luglio 2010
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/10_luglio_27/Senesi-regione-svolta-per-l-acqua-1703467255661.shtml

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mercoledì, 28 luglio 2010; 07:07


La privatizzazione dell'acqua è in Italia il nemico pubblico


di Eric Jozsef


Che essa sia eventualmente gazzosa, frizzante, o senza bollicine, ma soprattutto che essa resti pubblica. Centinaia di migliaia di elettori italiani si sono mobilitati per chiedere di tutelare il principio di un acqua pubblica, opponendosi al progetto di privatizzazione del servizio idrico locale. Lunedì 1,4 milioni di firme raccolte in meno di dieci settimane sono state depositate presso la Corte di Cassazione di Roma per chiedere l'indizione di un referendum su tale questione.
Il sostegno a questa iniziativa lanciata dal Forum dei Movimenti per l'Acqua, con l'appoggio dei Verdi, della sinistra radicale e della CGIL, il principale sindacato italiano, è senza precedenti.
Mai una richiesta di referendum di iniziativa popolare ha raccolto così tante adesioni. "E' la dimostrazione che la questione è veramente sentita", sottolineano i promotori. La mobilitazione in questione è stata promossa contro il decreto adottato alla fine del 2009 dal governo Berlusconi, che rende obbligatorio per i comuni dare in affidamento ai privati i loro servizi idrici ,e che inoltre limita la partecipazione dei comuni stessi all'interno delle società di gestione di tale servizio. Ma la legge presentata dal precedente governo di centro sinistra presieduto da Romano Prodi, aveva lo stesso obiettivo. Il testo votato nel 2006 aveva già previsto  che i privati potessero entrare, con quote minoritarie, nel capitale delle società locali di gestione del servizo idrico, allo scopo di consentire l'apporto di nuove risorse finanziarie, tali permettere un ammodernamento complessivo delle infrastrutture.
A causa di una organizzazione antiquata, il tasso di dispersione della rete idrica italiana è in effetti uno dei più alti d'Europa. Ma i promotori del referendum, che ritengono che l'accesso all'acqua sia un diritto fondamentale, sostengono in particolare che questo mercato valutato attorno agli 8 miliardi di euro, susciti gli appetiti dei principali gruppi internazionali attivi in questo settore, e che inoltre la privatizzazione produce innanzitutto un aumento delle tariffe dell'acqua, posto che fino ad ora la tariffa è rimasta in Italia particolarmente bassa.
A seguito della iniziativa, il Partito Democratico (centro sinistra) ha reso nota la sua posizione, affermando in particolare di essere contrario a questo referendum della sinistra radicale, esprimendo comunque la sua "simpatia" nei confronti del movimento che si oppone alla privatizzazione dell'acqua. Il referendum avrà luogo la prossima primavera.

La privatisation de l’eau, ennemi public en Italie









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martedì, 27 luglio 2010; 16:50


Tensioni tra India e Pakistan per l'acqua

BANDIPORE, Kashmir - In questa valle situata ad una ragguardevole quota all'interno dell'Himalaya, sul versante del Kashmir posto sotto il controllo del governo di Nuova Delhi, si combatte l'ultima battaglia tra il governo indiano e quello pakistano.
Questa volta l'oggetto del contendere non è il territorio, fonte di conflitto già a partire dal 1947, anno di separazione del Pakistan dall'India, bensì l'acqua che sgorga dai ghiacciai delle montagne del massiccio himalayano,  e che giunge fino ad irrigare le terre aride dei contadini pakistani che si trovano nel principale distretto  agricolo del paese.
In una valle remota situata in questa zona, gli operai indiani sono impegnati nella costruzione di una diga molto costosa, destinata alla produzione di energia elettrica. Si tratta di una delle tante dighe che il governo indiano ha pianificato di costruire nei prossimi dieci anni, allo scopo di fare fronte alla crescente domanda di energia elettrica, domanda che va di pari passo con la crescita economica del paese.
In Pakistan il progetto indiano del sistema di dighe ha fatto nascere il timore che il principale nemico di sempre, nonchè controllore delle fonti di approvvigionamento idriche, stia in realtà cercando di controllare il flusso di acqua destinato a rifornire l'industria agricola pakistana, industria che contribuisce a fornire un quarto della ricchezza del paese, oltre ad impiegare metà della popolazione del Pakistan.
Già in maggio il governo pakistano aveva presentato un istanza di interruzione dei lavori, presso la corte internazionale di arbitrato.
L'acqua sta diventando sempre più e in molte parti del mondo, fonte di conflitti diplomatici tra stati, ed in particolare modo ciò accade tra quei paesi impegnati ad affrontare un'enorme sforzo di crescita economica.
Sono infatti diversi gli stati africani che si contendono i diritti di sfruttamento delle acque del Nilo. Israele e la Giordania poi sono da tempo in lite a causa delle acque del fiume Giordano. E sempre restando nel territorio dell'Himalaya, un progetto cinese di costruzione di dighe idroelettriche ha prodotto una forte irritazione nel governo indiano, principale competitor economico dei cinesi, sia su scala regionale che mondiale.
Ma in questo caso lo scontro diplomatico sta aggiungendo un nuovo elemento di incertezza in una fase particolarmente critica delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, già di per sè poco affidabili, che oltre ad essere entrambe potenze atomiche,  si sono già affrontate in passato in ben tre guerre.
La faccenda rischia di mettere in discussione i deboli negoziati che stanno tentando di ripristinare le relazioni di pace tra le due nazioni, negoziati interrotti già in passato a seguito dell'uccisione da parte di militanti pakistani, di 163 cittadini indiani, durante un attacco avvenuto a Mumbai, in India, nel novembre del 2008.
Gli Stati Uniti sono stati particolarmente favorevoli a dirimere le tensioni tra i due paesi, tanto da riuscire a convincere il Pakistan a rimuovere le truppe  e gli armamenti ammassati lungo il confine con l'India, per spostarli lungo il confine afghano e impiegarli contro i Talibani insurgenti.
I nazionalisti anti india e le reti di militanti pakistani, ancora oggi molto potenti nel paese, hanno preso a cuore la questione dell'acqua facendola diventare la ragione dello scontro da qui ai prossimi 60 anni.
Jamaat-u-Dawa, l'ala assistenziale di Lashkar-e-Taibe, il gruppo militare responsabile dell'attacco a Mumbai, ha ricalibrato i suoi sforzi comunicativi attorno alla questione delle risorse idriche, mentre in precedenza le ragioni dello scontro risiedevano principalmente nelle rivendicazioni relative al Kashmir. Hafiz Saeed, il leader di Jamaat, adesso utilizza la disputa sulle acque anche all'interno dei suoi sermoni del venerdì, al fine di fomentare nuovi focolai di odio.
Con la rapida crescita della popolazione di entrambe i due stati frontalieri, la risorsa idrica diverrà una questione cruciale per tutti.
Gli esperti sostengono che il Pakistan detiene il sistema di irrigazione agricolo di prossimità più grande al mondo. La questione è anche diventata terreno fertile per il reclutamento di gruppi militanti, con i i gruppi di contatto che puntano sulla mancanza di reali alternative, oltre al crescente sentimento anti indiano.
I fiumi che attraversano il Punjab, che oltre ad essere la provincia più popolosa del Pakistan è anche il cuore dell'industria agricola del paese, rappresentano le linee di vita del paese islamico, e le dispute relative al loro utilizzo conducono a timori circa le reali intenzioni del vicino così ingombrante e potente.
Per l'India il progetto delle dighe è essenziale per trasformare in energia elettrica l'acqua proveniente dal massiccio dell'Himalaya, al fine di risolvere i gravi problemi energetici che attanagliano l'economia del paese.
Circa il 40% della popolazione indiana non è collegata alla rete energetica nazionale, e l'insufficiente produzione di energia elettrica impedisce la crescita del settore industriale. Per queste ragioni il progetto di dighe denominato Kishenganga è essenziale al piano indiano di riduzione del deficit energetico.
Il piano di dighe in questione era stato accantonato per decenni a seguito di un trattato stipulato cinquanta anni fa, che divideva equamente tra India e Pakistan il fiume Indù ed i suoi affluenti.
"Il trattato è stato molto efficace in passato, principalmente in quanto gli indiani avevano rinunciato a qualsiasi ipotesi di costruire dighe sui fiumi interessati", afferma John Briscoe, un esperto sulle questioni idrogeologiche relative all'Asia del sud, impiegato presso la Harvard University. "Ma quello attuale costituisce uno scenario completamente nuovo. Ora infatti sono previsti numerosi progetti di costruzione di dighe e di centrali idroelettriche". 
Il Trattato citato, frutto di un negoziato molto meticoloso concluso nel 1960, attribuì al Pakistan l'80 % delle acque del complessivo bacino fluviale dell'Indù, un particolare di cui spesso i nazionalisti pakistani non tengono conto. All'India, la nazione che si trova a monte del fiume, è stato concesso di utilizzare una parte delle acque del bacino fluviale per scopi agricoli, per bere e per produrre energia elettrica, a patto però che ciò non comportasse un utilizzo eccessivo di acqua.
Ora che è stata autorizzata la costruzione della diga Kishenganga, il problema del rispetto del trattato in questione sarà quello di stabilire come la diga sarà costruita,
e quale sarà l'afflusso di acqua consentito.
Il Pakistan sostiene che l'India, essendo situata a monte del fiume, avrà la possibilità di manipolare in qualunque momento il flusso delle acque del fiume Indù, ad esempio nel corso del periodo cruciale della semina.
"Ciò rende il Pakistan molto vulnerabile" afferma un avvocato che si è occupato in passato di tutte le vertenze internazionali legate all'acqua in rappresentanza del Pakistan. "Non si può dire semplicemente "Devi avere fiducia in noi". Noi non ne abbiamo di fiducia. E' per questo che è stato firmato un trattato".
Dal canto suo l'India ha respinto qualsiasi accusa di violazione del trattato internazionale o di reale intenzione di appropriarsi delle acque del fiume.
In un discorso tenutosi il 13 giugno scorso, il Segretario di Stato indiano Nirupama Rao, ha definito tali accuse "una propaganda colma di rancore" aggiungendo che "il mito del furto dell'acqua non regge ad un' analisi oggettiva dei fatti o attraverso l'uso della ragione".
Gli esperti sono d'accordo con la tesi indiana, tuttavia affermano che il Pakistan ha i suoi buoni motivi per essere preoccupato. La vera questione è rappresentata dalla scelta del momento in cui eseguire i lavori. Se l'India sceglierà di riempire gli invasi delle sue dighe nel periodo in cui in Pakistan si svolgerà la semina, tale scelta avrà la capacità di rovinare il raccolto di quest'ultimo.
Mr Briscoe ritiene che se l'India costruisse tutte le dighe che ha progettato di fare, potrebbe avere la capacità di trattenere una quantità di acqua pari circa a quella che scorrerebbe in un mese in Pakistan nel periodo di siccità, una quantità cioè  sufficiente a far fallire un intera stagione di semina.
Qui a Bandipore, dove gli ingegneri e gli operai stanno lavorando alacremente per costruire la centrale idroelettrica ed il tunnel per la tanto attesa diga, il lavoro non sembra essere legato solo ad una questione energetica. Essi affermano che in gioco è l'orgoglio dell'intera nazione.
"La diga è oramai una questione di prestigio nazionale" afferma uno degli ingegneri impegnati ad eseguire il progetto. "E' nostro diritto costruire questa diga, e su di questa dipende il nostro futuro".
Dal canto loro i pakistani affermano di avere le loro buone ragioni per essere preoccupati. Nel 1948, un anno dopo che l'India e il Pakistan si erano costituiti come stati separati, un amministratore indiano fece chiudere l'afflusso di acqua ad alcuni dei canali di irrigazione diretti al Punjab pakistano.
In seguito le autorità indiane si giustificarono sostenendo che si era trattato solo di un errore di tipo burocratico, ma in Pakistan la memoria di quel fatto è ancora viva.
"Una volta che ti hanno puntato una pistola carica alla tempia, non te lo scordi facilmente" afferma l'avvocato pakistano, che chiede che il suo nome non venga riportato, in quanto non fa più parte dell'attuale staff legale del suo paese.
 Una reale carenza idrica in Pakistan, unita all'impossibilità di immagazzinare grosse quantità di acqua hanno solo peggiorato la situazione, rendendola estremamente dipendente da ogni minima variazione del flusso delle acque del fiume, o da ogni piccolo cambiamento delle precipitazioni atmosferiche.
Il Pakistan sta per entrare nella lista di quei paesi classificati dalle Nazioni Unite 
 "a scarsità di acqua".
Si tratta di tutti quei paesi che stanno affrontando una grave crisi idrica, afferma un anziano funzionario del governo statunitense dislocato presso Islamabad. "C'è un pesante sensazione di ansia, assolutamente in linea con la reale consapevolezza del problema ".
Le autorità pakistane sostengono che il progetto della diga prevede che buona parte delle acque del fiume Kishenganga saranno trattenute per gran parte dell'anno. Ciò causerà una moria dei pesci del fiume ed un enorme danno alle popolazioni che attualmente vivono nella porzione del Kashmir governata dal Pakistan.
L'economista Kaiser Bengali sostiene invece che i  problemi di siccità che il Pakistan sta attraversando, non dipendono affatto dall'India, e che l'unica maniera per cercare di risolverli è quello di introdurre dei moderni sistemi di conservazione delle acque, oltre a moderni sistemi di irrigazione delle colture.
Gli esperti sostengono che in un paese in cui in estate la temperatura raggiunge i 50 gradi C°, almeno il 40 % delle acque impiegate in agricoltura vengano perse prima di raggiungere le radici delle piante.
In effetti la disputa sulle acque del bacino dell'Indu non sarebbe così aspra se i due paesi interessati dialogassero e si scambiassero reciprocamente le informazioni di cui dispongono. Invece la sfiducia e l'antagonismo sono tali che i burocrati dei due paesi preferiscano tenere secretate tali informazioni, e in modo circospetto premono per terminare i rispettivi progetti destinati a definire il controllo sul flusso delle acque, in maniera tale da essere in grado di fornire dati concreti sulla questione.
"E' come un matrimonio che sta finendo, in cui ciascuno dei due coniugi assume un ruolo predeterminato," afferma l'avvocato pakistano. "Non sarebbe meglio discutere apertamente? Certo. Nelle condizioni attuali però ciò non sta avvenendo". 

col contributo di Hari Kumar da New Delhi 
per il NYT





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lunedì, 26 luglio 2010; 07:00



Acea e A2a, divorzio alla francese

Le due utility vicine alla soluzione del rapporto conflittuale con Gdf Suez e Edf .  Per l´utility romana separazione delle attività, per quella lombarda probabile l´uscita da Edison  
MILANO - Dopo tanto litigare, è arrivato il momento della separazione. Come nei matrimoni non riusciti, accordarsi sui termini del divorzio è meno dispendioso di un contrasto che si trascina davanti al giudice. Ed è quello che succederà anche nella partita che vede schierati da una parte A2a e Acea e dall´altra i colossi francesi dell´energia Edf e Gdf Suez. Domani è previsto a Milano un incontro tra i manager di A2a e i soci di controllo, i sindaci di Milano Letizia Moratti e di Brescia Davide Paroli. Mentre il giorno dopo a Roma si terrà il cda di Acea, per l´approvazione dei conti del semestre. Ma entrambe le occasioni serviranno per definire le linee generali con cui, dopo l´estate, si dovrebbero appianare i contrasti sorti con i partner francesi.
A Milano, il presidente del consiglio di gestione di A2a Giuliano Zuccoli cercherà il via libera politico dai due sindaci per definire la via di uscita dall´avventura in Edison. I manager di A2a hanno capito l´errore di essere entrati in una società con una quota di minoranza e da cui non ottengono alcun beneficio industriale né finanziario. Entro marzo 2011 vanno disdettati i patti di governance di Edison, ma già a ottobre bisognerà rivedere quelli che legano A2a e il gruppo di Foro Bonaparte in Edipower. Quella sarà l´occasione per definire i termini del divorzio. Secondo l´opinione prevalente degli advisor, la soluzione che potrebbe accontentare tutti prevede la cessione delle quote dell´utility lombarda in cambio di asset (un paio di centrali e una quota di idroelettrico) e cash. Cade così la possibilità che A2a avanzi una proposta di acquisto delle quote di Edf, ipotesi che vede la netta contrarietà dei sindaci. Così come sono contrari all´ingresso di A2a nel piano di rilancio del nucleare in Italia: troppo dispendioso.
A Roma, l´incarico di spiegare i termini generali dell´accordo con Gdf Suez spetterà al presidente di Acea Giancarlo Cremonesi. In questo caso il divorzio è limitato al business della produzione, all´interno della joint venture Acea-Electrabell (pari all´8-9% del fatturato dell´utility capitolina). Francesi e romani, invece, dovrebbero continuare a collaborare nel settore idrico. E sempre nel cda di martedì, verrà dato l´incarico a Cremonesi di cercare un nuovo direttore generale che dovrà rilanciare la società da cui il mercato non si aspetta conti brillanti. Nel caso in cui Cremonesi dovesse diventare presidente della Camera di Commercio di Roma non è escluso che Staderini, ora ad, diventi presidente di Acea e il suo posto venga preso dal prossimo dg. In questo modo si dovrebbe porre fine alle polemiche tra i francesi e l´imprenditore Francesco Caltagirone salito, nei giorni scorsi, al 13% dell´utility.
www.repubblica.it


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domenica, 25 luglio 2010; 17:58



l'acqua e la nostra indifferenza


STAMANI, sotto la doccia, non ho potuto fare a meno di pensarea un vecchio film di fantascienza: "2022: i sopravvissuti". La regia? mi sono chiesto, cercando di allontanare una vaga angoscia. E sono andato subito, quasi grondante, a consultare il "Dizionario dei film" del Mereghetti: "Soylent Green", Usa, 1973, di Richard Fleischer. Ma l'angoscia scaturiva da un ricordo-sequenza davvero opprimente: Charlton Heston che usufruisce del raro privilegio di una doccia in un mondo snaturato che sopravvive grazie a un inconsapevole cannibalismo. Ogni anno che passa la vecchia buona science fiction diventa sempre più realistica, sempre più attuale e meno profetica. E non ci vuole molto a prevedere che in poco più di un decennio la situazione potrebbe sul serio precipitare. L'allarme acqua in Sicilia è già scattato (e d'altronde, su questo fronte è stata sempre una continua emergenza). Ci eravamo preoccupati per lo sprofondamento di 70 metri delle falde acquifere etnee. E subito dopo, come un destro-sinistro da knock out, arriva la notizia che gran parte della zona costiera, da Palermo a Ragusa, da Catania a Marsala, è interessata da un abbassamento di minore entità, ma anche più inquietante a causa del rischio di contaminazione col sale marino. oLtre alla quantità, sempre più scarsa, esiste quindi anche un problema della qualità delle acque, che si rivela sempre più scadente. Le cause, convergenti, sono due: la diminuzione della piovosità e l'aumento dei prelievi. Questi due fattori determinano infatti il livello delle falde. Ma è difficile immaginare che i consumi possano diminuire. Anzi, è lecito (e forse perfino auspicabile in termini economici) ipotizzare che i consumi siciliani in futuro tenderanno ad avvicinarsi alla media nazionale che è di 213 litri a testa, mentre gli agrigentini, per esempio, se ne fanno bastare meno della metà. Bisogna quindi intervenire sulle perdite, che ammontano a una media del quaranta per cento. Insomma, tappare i buchi. Ma non basta, occorre anche la pioggia. E non serve pregare o magari sparare alle nuvole per ottenerla. Ci vuole una seria politica ecologica, una progettazione territoriale che miri a riequilibrare un contesto idrogeologico fortemente compromesso (come ci segnalano anche le sempre più frequenti frane). Ma la parola progettazione, pur così preziosa, è anche infida, ché ci proietta e aggetta in un domani indefinito, nebuloso (ma non necessariamente gravido di piogge). Al problema dell'acqua bisogna invece dare una risposta immediata in termini di risoluzione e di efficienza. I nostri amministratori avranno sicuramente studiato un po' di filosofia e ricorderanno quel che diceva Talete di MiO leto. Se l'acqua è il principio di tutte le cose (l' arché) è proprio da essa che dobbiamo cominciare o ricominciare. Così hanno fatto quei cittadini (ben un milione e quattrocentomila) che hanno firmato la richiesta di un referendum contro la privatizzazione dell'acqua: insolita notizia rassicurante sullo stato di salute della nostra cagionevolissima democrazia. D'altronde è proprio "sulle implicazioni sociali e morali dell'acqua" che l'architetto anarchico Colin Ward basava una sua riflessione sulla città solidale. E che la sua analisi riguardasse la Gran Bretagna, nulla toglie alla validità, anche per noi, del suo messaggio: "Il dramma è che nessuno sa come tornare all'antica saggezza secondo cui l'acqua, bene vitale quanto il sangue, deve essere condivisa e conservata". Ove il "nessuno sa" va inteso come ironia dell'utopista che sa bene, al pari dei suoi contendenti, ciò che andrebbe fatto col più elementare buon senso e realismo. In Sicilia (tutti lo sanno) le lotte per l'acqua sono sempre state lotte contro la mafia, come l'esperienza di Danilo Dolci ci ha insegnato. Ma sono state e sono anche battaglie, il più delle volte perse, contro i nonsensi della burocrazia, la sua inettitudine e le sue negligenze (che talora colludono con gli interessi mafiosi). Qualcuno dovrà spiegarci come mai la disponibilità degli invasi non si traduce operativamente in un'irrigazione delle campagne, che invece rimangono assetate e quindi non pienamente produttive. Talora si tratta di guasti alle condotte apparentemente irreparabili. Talaltra di tubature fatiscenti e da sostituire, ma evidentemente insostituibili. Guarda caso, si tira avanti con i pozzi privati. Ma il fatto è che ormai, privata o meno, l'acqua scarseggia. La vecchia metafora dell'acqua alla gola non rende più l'idea. Siamo con l'acqua alle caviglie. E forse questo spiega la lentezza dei provvedimenti. Come se sprofondassimo in una palude, ovviamente non potabile. Mentre l'acqua lambisce il nostro tallone d'Achille, forse potremmo ripensare alle sagge parole del Tao-Tê-ching: "Niente al mondo è più molle e debole dell'acqua; ma nell'avventarsi contro ciò che è duro e forte, niente può superarla". Proprio perché posta in basso, dice il Tao, l'acqua indica la Via. E potrebbe essere la forza trascinante e travolgente di una grande protesta civile. Che non sia allora proprio questa siccità, questo venir meno delle riserve vitali, il modo in cui noi siciliani possiamo rivedere il nostro rapporto con la cosa pubblica, le istituzioni, la politica, il nostro atavico servaggio? Sarebbe, per dirla in qualche modo con Talete, un principio anche questo. - 
MARCELLO BENFANTE
 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/07/24/misteri-dellacqua-la-nostra-indifferenza.html

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sabato, 24 luglio 2010; 20:20


Acqua, l'allarme degli esperti
le falde sono scese di 70 metri

Le falde acquifere siciliane stanno sprofondando. Negli ultimi trent'anni il livello dei pozzi nell'area di Catania si è abbassato di 70 metri fino a toccare una profondità di 250 metri. Uno sfruttamento esagerato delle falde, conferma l'Arpa, si registra in tutta la regione. Ora gli esperti denunciano che senza un'inversione di tendenza i danni saranno irreparabili. Nonostante ciò, manca ancora un piano organico per ridurre sprechi e disservizi. Le condotte continuano a essere dei colabrodo: in media, il 40 per cento delle risorse idriche si perde per strada e i siciliani continuano ad avere poca acqua
di CRISTOFORO SPINELLA

Non si è ancora toccato il fondo, ma ci siamo vicini. Le falde acquifere siciliane stanno sprofondando. L'acqua si estrae a livelli sempre più bassi e il rischio è quello di prosciugare le risorse idriche. L'allarme è ai livelli massimi, o meglio dovrebbe esserlo. Perché finora, tra progetti di tutela ambientale e piani di gestione delle acque, manca una strategia per arginare la deriva.

La situazione più preoccupante riguarda le falde dell'Etna. Il Piano regionale di tutela delle acque, approvato nel dicembre 2008, illustra un'evoluzione drammatica dell'acquifero dell'area di Catania e Acireale. Negli anni Sessanta i 700 pozzi attivi prendevano l'acqua a una profondità compresa tra i 100 e i 150 metri. Trent'anni dopo, il numero dei pozzi è salito a 1.100 con una profondità di 200-250 metri. Gli effetti appaiono devastanti: le falde acquifere della zona si sono abbassate di almeno 70 metri. Dicono ora gli esperti che se non si inverte la tendenza, le conseguenze saranno irreparabili: "Lo sfruttamento delle falde non è ecocompatibile: in questo momento stiamo prelevando più acqua di quanto il territorio possa sopportare".

Finora, per diminuire la quantità di risorse idriche non si è fatto quasi nulla. Anzi, in Sicilia sembra quasi che il problema non ci sia. Nell'agosto 2009 la provincia di Piacenza ha elaborato un allarmato rapporto sul livello della falda acquifera di superficie, definendo "improcrastinabile" un intervento per limitare i prelievi. Lì, però, negli ultimi 30 anni la falda si è abbassata per un massimo stimato tra 5,5 e 6 metri.
"Negli ultimi anni in tutta la Sicilia c'è stato uno sfruttamento esagerato delle falde", conferma il direttore dell'Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) Sergio Marino. A chiarirlo sono le stesse componenti chimiche trovate nelle acque. "Si registra un evidente abbassamento del livello di profondità, ma molto dipende dalla situazione idrogeologica", spiega Marino.

Il maggiore sfruttamento delle falde si lega all'aumento della richiesta di acqua. Per prelevarne meno, però, basterebbe sprecarne meno. Secondo Arpa le perdite totali si aggirano intorno al 40 per cento in tutte le province siciliane, con picchi che sfiorano il 60 per cento a Catania e Ragusa. Non sorprende, perciò, che i consumi siano in molti casi inferiori alla media nazionale di 213 litri per abitante: ad Agrigento, ogni cittadino ne consuma 100 litri, a Caltanissetta 103, a Palermo 174.

Poi, c'è il problema degli sprechi legati alla mancata manutenzione delle reti idriche. Nell'ultimo anno e mezzo, i mancati lavori alla condotta della sorgente di Scillato danneggiata da una frana hanno causato la perdita in mare di mille litri d'acqua al secondo. Ad aggravare la situazione è anche la qualità dell'acqua che riesce ad arrivare nelle case dei siciliani. A maggio è finita in tribunale la vicenda della mancata riparazione del depuratore di Casteldaccia da parte dell'Aps: la società che si occupa delle acque potabili siciliane è accusata di aver caricato i costi nelle bollette senza essersi occupata della manutenzione. Nel novembre dello scorso anno, invece, si scoprì che le acque dell'invaso Fanaco, a cui si approvvigionano 23 comuni delle province di Caltanissetta, Enna e Agrigento, erano inquinate da triolometani e manganese.

Entro un anno, la Regione si è impegnata a emanare una legge organica sulla materia. In ballo ci sono appalti per 6,6 miliardi di euro, con oltre un miliardo di fondi europei da spendere.

http://palermo.repubblica.it

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venerdì, 23 luglio 2010; 17:04


Access to clean water is most violated human right
The world's running out of clean water. Unless the UN acts, the private sector will appropriate supplies and the poor will suffer
by Maude Barlow
On 28 July, for the first time ever, the general assembly of the United Nations will hold a historic summit on the human right to water. It will consider and debate a resolution supporting the right to "safe and clean drinking water and sanitation" that was presented on 17 June by Pablo Solon, the Bolivian ambassador to the UN, and co-sponsored by 23 other countries. The desired outcome of the day is consensus on recognising the human right to water. However, some governments are withholding consensus and it appears likely that the resolution will have to be put to a vote, a process that has the potential to divide the world body along north/south lines.
When the 1948 universal declaration on human rights was written, no one could foresee a day when water would be a contested area. But in 2010, it is not an exaggeration to say that the lack of access to clean water is one of the greatest human rights violation in the world. Nearly 2 billion people live in water-stressed areas of the world and 3 billion have no running water within a kilometre of their homes. Every eight secondsa child dies of a waterborne disease, in every case preventable if their parents had money to pay for water. And it is getting worse as the world runs out of clean water. A new World Bank reports says that by 2030, global demand for water will exceed supply by more than 40%, a shocking prediction that foretells of terrible suffering.
For several years, international and local community groups fighting for water justice have been calling for a UN commitment that clarifies once and for all that no one should be denied water for life because of an inability to pay, especially in the light of the water markets now being set up, allowing the wealthy to appropriate dwindling water supplies for private profit. The fact that water is not now recognized as a human right has allowed decision-making over water policy to shift from the UN and governments to institutions such as the World Bank, the World Water Council and the World Trade Organisation, which favour market solutions.Support for the human right to water has been steadily growing in recent years but several wealthy countries – notably the UK, US, Canada and Australia – have emerged as negative forces, finding excuses not to support the resolution in its current form. The new Conservative government of David Cameron is already on record that it will oppose this resolution unless it is amended to remove sanitation and only refer to "access" to clean water, not the human right to water itself. Canada hides behind the false claim that such a resolution might force it to share its water with the US; Australia has gone the route of water markets and so is unlikely to sign onto a commitment that would favour public ownership of water; and it disappointedly appears that the Obama administration is not charting a new course for his country when it comes to human rights obligations at the UN.Nevertheless, there is great hope that 28 July will see a historic commitment of the nations of the world to once and forever recognise that every human on earth has the right to safe, clean drinking water and the dignity of good sanitation services. Will the crisis be solved the day after a successful vote on the human right to water? Of course not. The work to provide clean water in a world of diminishing supplies is just beginning.
But every now and then, humanity takes a collective step forward in its evolution. Such a time has come again and we must be up for this challenge.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cif-green/2010/jul/21/access-clean-water-human-right

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giovedì, 22 luglio 2010; 06:57


Un po' di fresco
di Massimo Gramellini

Sarà l’afa, o l’appiccicaticcio che trasuda dalle intercettazioni, ma in questa estate gelatinosa si sentiva il bisogno di un sorso d’acqua pura. Quasi un milione e mezzo di italiani, ormai indotti a scansare come la peste i banchetti della firmocrazia, hanno apposto il loro autografo sotto la richiesta di referendum contro la privatizzazione dell’acqua. Un record (neppure per il divorzio erano stati così numerosi), consumato nel sostanziale silenzio dei partiti e dei media, che all’argomento hanno riservato solo qualche tiepida polemica. Poiché si ripromette di cancellare una legge di sinistra e una di destra, la battaglia per l’acqua non ha eccitato le opposte tifoserie. E poiché nessuno l’ha «buttata in politica» (ci ha provato Di Pietro, ma è stato messo da parte), questa raccolta di firme è forse la scelta più politica che sia stata compiuta negli ultimi anni: difendere la natura pubblica di un bene essenziale, e farlo in un Paese che considera ciò che è pubblico una terra di nessuno, anziché un patrimonio di tutti.

A mettere in moto quel milione e mezzo di biro non è stato un esame ponderato dei pro e dei contro, ma uno slancio naturale, quasi un impulso atavico: l’acqua è vita, e non si privatizza la vita. Ai cinici sembrerà l’apoteosi del buonismo. Ma a noi, che cinici non siamo, e che veniamo da decenni in cui l’idea di bene comune si è progressivamente ridotta fino a coincidere con l’orticello del proprio clan, piace sperare che quest’alluvione di firme per «l’acqua di tutti» sia il preludio di un cambio di stagione.

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