27 milioni di cittadini italiani, la
maggioranza assoluta, hanno votato un referendum per sottrarre la gestione dei
servizi, acqua in primis, alle grinfie di privati, multinazionali, fondi d’investimento
e altri “vampiri” più o meno neoliberisti. Neanche un mese dopo quel voto, tra
deficit e debiti pubblici, la speculazione finanziaria internazionale mise in
ginocchio la gracile economia italiana e sotto scacco Eurolandia1.
Si passò dall’arlecchinesco governo Berlusconi, che in pochi mesi varava
manovre bis da 54 miliardi di euro2
sotto dettatura della Bce3,
al sobrio governo tripartisan bocconian/style, per fare il compito
direttamente, senza dettati. Il filo conduttore rimane incostituzionalmente
definito sia sotto il profilo del lavoro4,
che diventa soggetto a deroga privata al vaglio delle necessità dei mercati,
sia sotto l’ondata di privatizzazioni5 che
tentano di vanificare l’esito referendario6.
Nelle turbolenze speculative che travolgono economie comatose sull’orlo del
default, tra rating, indici e spread, tra acronimi attorcigliati a cifre
vomitate da un unico tubo catodico, “con l’Euribor c’è chi sta impazzendo”7 in
una sorta di sabba finanziar-mediatico.
Sindacati
più o meno labilmente indignati invocano il fantasma della crescita come se
fosse un obbligo contabile, senza mettere in dubbio il modello fallimentare,
condiviso con una classe politica che finge contrapposizioni, convergendo sulla
necessità di tagliare, spremere ed attendere le reazioni dei mercati, in nome
di una coesione che, paradossalmente, si invoca tra chi subisce gli effetti
della crisi e chi l’ha causata. Fasce tricolori scendono in piazza denunciando
il rischio che ai comuni squattrinati rimangano solo funzioni anagrafiche
mentre i loro soci privati, padroni di acqua o costruttori di inceneritori,
piangono lacrime di coccodrillo dopo aver venduto la pelle dell’orso e gli
uragani speculativi sgretolano pacchetti azionari in mano pubblica: Bologna,
comune azionista di Hera8,
se vendesse oggi le proprie quote incasserebbe poco meno di 200 milioni di
euro, quando a fine 2007 ne valevano circa 5509!
Magia
nera? Certamente se Merola piange, Doria, Pisapia, Alemanno o Fassino10 non
ridono: l’estate passata scioglie quasi un quarto dei titoli della lombarda A2A11,
squaglia il 30% della romana Acea12,
dissolve circa il 40% del gigante Iren13 e
l’odore di zolfo è ancora più intenso di qualche mese fa (Rileggete “Multiutility,
multibusiness…“). Le decapitazioni del prof. Woland14
toccano tanto ai manager quanto a quegli economisti che, con dire più o meno
keynesiano, vaticinano accademismi da salotto televisivo, ammonendo che i
numeri son numeri e che i sacrifici vanno fatti, così com’è stato in Argentina,
com’è in Grecia o come sarà, ma guai parlare di Islanda15,
Bolivia, o di altri mondi, seppur possibili. Tra imbrogli alla Goldman Sachs16,
di cui vantiamo eminenti esponenti al governo, ed apocalissi alla Lehman
Brothers17,
la libera volpe è rimasta sola nel libero pollaio ad azzannare i resti fumanti
delle carcasse e le exit-strategy, in questa crisi costituente vengono affidate
a ministri tecnici che si formano proprio con le ricette del fallimento,
sostenuti da destra a pseudosinistra da primarie, al netto delle sfumature:
aiuti pubblici a banche intossicate con debiti sovrani, riduzione drastica di
spesa pubblica, tagli a bilanci sociali a cui corrisponde aumento di
disoccupati e rarefazione di servizi proporzionale alla loro privatizzazione.
Cose di un altro mondo, cose da demoni.
Il diavolo farà anche le pentole,
ma spesso si dimentica i coperchi. Il consiglio comunale di Forlì viene
chiamato ad esprimersi sulla fusione tra l’emiliana Hera e l’omologa
veneto-giuliana Acegas-Aps. Chissà se qualche accolito di Woland si sia impossessato
del sindaco che, nonostante la linea del partito (Pd), si oppone ad
un’operazione che acuirà la “debolezza strutturale della ‘politica’ sulle
scelte della multiutility” alimentando la difficoltà “di ri-orientare le
politiche aziendali, per portarle là dove vogliono i cittadini, elettori e
insieme consumatori” e Forlì, che incentiva il porta a porta, si scontra
con l’azienda che punta sull’incenerimento dei rifiuti18.
Lo zampino luciferino evidentemente non si ferma a Forlì, ma continua a
burlarsi di Politburo e Cda strappando il no alla fusione anche i Comuni di
Rimini, Cesenatico (Fc), Porretta Terme (Bo), Monghidoro (Bo), Sassuolo (Mo),
Rocca San Casciano (Fc), Civitella di Romagna (Fc), Premilcuore (Fc), Predappio
(Fc), Portico (Fc) e San Benedetto (Bo).
Dall’altro
lato dell’Emilia cambiano gli attori ma l’odore è il medesimo, di zolfo. Too
big to fail: se la montagna scricchiola va resa ancora più mastodontica e
l’ombra pantagruelica della fusione tra l’emilian-torines-genovese Iren e la
lombarda A2A si fa minacciosa in chiave di costituzione di una grande
multiutility del Nord, al netto della “guerriglia” dei comitati in difesa
dell’acqua. Scendiamo di latitudine e nel Lazio troviamo 30mila demoni, tutti
con diritti di cittadinanza, che firmano per una legge d’iniziativa popolare
regionale su “Tutela, governo e gestione pubblica delle acque”19,
ed alcune amministrazioni locali deliberano il proprio sostegno all’iniziativa.
Chissà se Woland si è impossessato anche della fascia tricolore di Corchiano
(Vt), tant’è che il comune “virtuoso” coinvolge altre 26 amministrazioni, in
rappresentanza di oltre 220mila elettori, per sostenere la possibilità di
indire un referendum propositivo sul testo proposto, qualora la Regione non
legiferi. Nel mentre Woland si è anche travestito da Batman, il consiglio
regionale si è sciolto20,
e con tutta probabilità i laziali andranno a referendum. The devil makes work
for idle hands.
Liguria, La Spezia, Acam. Quella che fu
l’Azienda Consortile Acqua e Metano, oggi è una Holding Spa pubblica, con soci
i comuni spezzini: una scatola
che contiene Ambiente, Acque, Gas (con quote pubbliche solo per il 51%, il
resto è in mano della privata ItalGas SpA), Clienti, InTeGra e Centrogas, un
presidio produttivo fondamentale per occupazione, prospettive economiche del
territorio e per i servizi essenziali che eroga. L’enorme deficit aziendale
porta a cliché risolutivi: tagli, privatizzazioni, cessioni. L’operazione più
succosa, la fusione per incorporazione con Hera, salta rovinando a qualcuno uno
dei giorni più belli della vita21,
ma i problemi, al netto dei matrimoni falliti, sono sempre i soliti e se dal
punto di vista aziendale si manifestano nell’enorme indebitamento, da un punto
di vista semantico si traducono nel significato di responsabilità. Per salvare
l’azienda dal baratro non servirà riproporre la storia della sua gestione,
decisamente poco oculata (se vogliamo limitarci agli eufemismi) tra
clientelismi e vani sogni di grandezze, ma far luce sull’ultimo atto della
saga, il Piano di
Riassetto - (pdf -
552.89 kB).
Il
bilancio 2011 certifica il significativo miglioramento dei profili di
redditività – produzione aziendale e nelle ipotesi di riassetto si afferma che
“il risultato netto è negativamente influenzato dalla gestione straordinaria
per l’effetto di svalutazioni di rettifiche di valori di attività”,
tuttavia si chiede di vendere l’azienda del gas. Responsabilità non significa
vendere i settori più redditizi impoverendo la società sotto il profilo
patrimoniale e finanziario, in un film peraltro già visto quando venne ceduto
il 49% del gas nel 2003 o quando si contrattò il project financing per coprire
gli “investimenti” della società idrica. Come allora si disse ”non si può fare
altrimenti”, anche oggi il primo cittadino spezzino, che a differenza del suo
parigrado forlivese è decisamente fedele alla linea, propone una versione amministrativa
della Hobson’s choice: “chiedetemi tutto ma non di non vendere”. Casomai
non bastasse, nel piatto del mercato c’è anche il 49% di Acam Ambiente, ma che
cosa c’è di responsabile anche in questa cessione? Nulla, se si pensa che nell’ipotesi
di riassetto si assume l’obbiettivo di raggiungere il 65% di raccolta
differenziata nel 201722,
nulla se si pensa di riaprire una discarica già satura (Vallescura) fino alla
fine dell’anno per poi attendere che qualche privato risolva la questione,
sulle tariffe e sulla pelle dei cittadini.
Riavvolgiamo il nastro. Acam
è pubblica, tradotto i proprietari sono i cittadini spezzini, ma alcuni
sindaci, delegati a rappresentarli, stipulano contratti con l’azienda, di cui
rappresentano la proprietà, non adeguati ai servizi erogati, ossia tali da essere
in perdita per l’azienda stessa. Nell’accordo sul riassetto, e quindi nella
prospettiva di cessione del 49% dei servizi ambientali ad un privato, i primi
cittadini si impegnano a “riadeguare i contratti di servizio secondo criteri
di sostenibilità economica e finanziaria”, tradotto, finché era in mani
pubbliche si gestivano i servizi anche in perdita, se la vendiamo paghiamo il
dovuto. Curioso concetto di res pubblica, tant’è che i contratti di
servizio si rifanno sulle tariffe: sarà un caso che su 32 comuni spezzini solo
3 sono a TIA, mentre gli altri sono ancora a TARSU? Una domanda non banale se
si pensa che la TIA deve coprire l’intero costo del servizio, mentre la TARSU
no, consentendo un margine di bilancio che la tariffa non permette e quindi un
margine nel contratto di servizio stesso. Woland ci rimette lo zampino e
prevede un’adeguamento tariffario per quei sindaci maghi della contabilità, ma
ancora una volta riemerge il concetto di responsabilità: questi sindaci
dovrebbe dire, prima della prossima tornata elettorale, quanto ammonta il
debito dei loro comuni per aver stipulato contratti di servizio in perdita per
l’azienda, e quantomeno iniziare a rinunciare a qualche “evento” contribuendo
al risanamento del debito su cui Acam, ed i suoi lavoratori, incombono. Più in
generale sembra un film già visto che fa pensare ad un disegno ben preciso:
finché l’oggetto del contendere è di tutti, allora lo lasciamo andare in
malora.
Vi ricordate i 27 milioni di “Si” con
cui abbiamo iniziato la storia? 100mila di loro sono spezzini che twitteranno
#oppureirresponsabile? Nel Piano di Riassetto, badate di riassetto (cercasi
Piano Industriale disperatamente!), non si fa chiarezza sulla pubblicità
dell’acqua, anzi, si prospetta l’aumento della tariffa idrica nonostante la
diminuzione dei consumi. Qual’è la responsabilità di chi pensa all’acqua come
mera voce di bilancio? Forse si perde nell’ignoto come si è persa la ragione e
la logica responsabile di chi ha contratto derivati facendo perdere ad Acam
qualcosa come 11 milioni di euro23,
e nonostante ciò c’è chi ci sta provando a venirne fuori: le procure di Milano
e di Acqui Terme, dove i giudici hanno rinviato a giudizio un alto funzionario
di UniCredit per il reato di truffa aggravata nei confronti del comune di Acqui
Terme per i sei derivati venduti tra il 2004 e il 200624.
Possibile che la responsabilità diventi
irresponsabilità e le proposte di salvataggio di un’azienda pubblica finiscano
nel ormai desueto e logoro socializzare le perdite e privatizzare i ricavi? Destino
cinico e baro quello della cosa pubblica in epoca montiana, dove un percorso
assunto come unico ed ineludibile e che conduce verso il baratro è definibile
responsabilmente, mentre dare a Cesare quel che è di Cesare(o ad Acam quel che
è di Acam) un’evidente irresponsabilità. Con ovvia conseguenza il pensiero
unico corrisponde all’appiattimento di quasi tutte le forze politiche locali,
eccezion fatta per qualche consigliera comunale25,
in fondo Woland è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini.
Note:
1 D.Rushe, The
Guardian (4 October 2011), “Italy downgrade deepens contagion fears over euro
debt crisis”
2 T. Boeri, www.lavoce.info (7 settembre 2011), “I
numeri della manovra approvata dal Parlamento”
3 Corriere della Sera
(29 settembre 2011), “Lettera della Bce all’Italia: liberalizzazioni, pensioni,
lavoro”
4 D.d’Amati, Articolo
21 (9 settembre 2011), “Plateale incostituzionalità dell’art. 8: demolisce i
diritti dei lavoratori”
5 F.De Benedetti, Il
Fatto Quotidiano (28 agosto 2011), “Manovra incostituzionale sui servizi
pubblici. E non basta tenere fuori l’acqua”
6 U. Mattei, Il
Manifesto (30 settembre 2011), “I buoni motivi per evitare il saccheggio”
7 Brunori Sas – Vol.
1 (2009),“Come stai” – [Video clip]
8 Quotazioni Hera – [http://www.borsaitaliana.it/]
9 Il comune di
Bologna possiede il 14,99% di Hera, società con capitalizzazione dichiarata a €
1.218.933.036. A dicembre 2007 il titolo Hera veniva quotato a 3,083. Oggi vale
1,020 (26/09/2011)
10 Rispettivamente
sindaci di Bologna (14,990%
di Hera), di Milano (27,456%
di A2A), Roma (51,00%
di Acea), Torino (35,964%
di Iren)
11 Quotazioni A2A – [http://www.borsaitaliana.it/]
12 Quotazioni Acea – [http://www.borsaitaliana.it/]
13 Quotazioni Iren – [http://www.borsaitaliana.it/]
14 M.Bulgakov, “Il
Maestro e Margherita” (Newton Compton, 1990) p.111
15 R.Sorrentino, Il
Sole24Ore (6 Gennaio 2010), “Dietrofront dell’Islanda: non paga i debiti”
16 F.Rampini –
Repubblica (17 aprile 2010), “A sorpresa arriva il colpo più duro per gli
inaffondabili di Wall Street”
17 “Lehman Brothers
Holdings Inc. announces it intends to file chapter 11 bankruptcy petition”,
Lehman Brothers Press Release (September 15, 2008)
18 Il consiglio
comunale di Forlì dice no alla fusione tra HERA e ACEGAS - http://www.informaforli.it
19 www.referendumacqualazio.it
20
News - Consiglio regionale del Lazio
21 M.Ursano, www.cronaca4.it (19
novembre 2010), HERA-ACAM, Paita: “Dopo la nascita di mio figlio è il giorno
più bello della mia vita”
22 La legge impone il
65% di raccolta differenziata per la fine del 2012.
23 Il Secolo XIX (28
ottobre 2009), lop dei derivati, Acam cita l’ex ad Tortora
24 M.Frisone, Il
Sole24Ore (22 novembre 2012), “Derivati agli enti locali, UniCredit a processo
ad Acqui Terme con l’accusa di truffa aggravata”
25 M.Toracca, Il
Secolo XIX (23 novembre 2012), “Cossu (PRC) volta le spalle a Federici”