domenica 29 gennaio 2012



RIMUNICIPALIZZAZIONE
Berlino SPD vuole nazionalizzare elettricità e acqua
Sabato, 7
Agosto 2010 20:50
I piani della SPD di Berlino, di rinazionalizzare l'acqua e l'elettricità, sono più concreti. Un gruppo di lavoro sorto sotto la direzione del leader SPD Michael Mueller non ha ancora avanzato proposte in tal senso.


Sotto la direzione nazionale del leader  del partito SPD Michael Müller , è stato costituito un gruppo di lavoro per studiare la nazionalizzazione della Berlino Water Works (BWB l'azienda idrica di Berlino) e il riacquisto della rete di teleriscaldamento. Nello studio rientra anche il progetto di integrazione dell'attività di  fornitura del gas, in un'unica azienda comunale (Gasag).  
Anche il senatore con l'incarico alle finanze Ulrich Nussbaum (indipendente) e la senatrice per lo sviluppo urbano Ingeborg Junge-Reyer (Spd) hanno offerto la loro collaborazione al progetto di rimunicipalizzazione. Faranno inoltre parte di questo gruppo di lavoro il responsabile del settore finanziario e l'esperto economico del partito, Frank Jahnke e Stefan Zackenfels, nonchè la vice presidente nazionale del partito Barbara Loth . Il portavoce del partito ha confermato che i risultati del gruppo di lavoro , verranno presentati dalla Giunta Regionale dell'SPD, probabilme  

cbr


Inviato il 2010/08/07 

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giovedì, 19 agosto 2010; 11:07


Referendum Acqua a Berlino 

Più di 21.000 firme per un referendum sull'acqua nel primo mese - e nonostante le vacanze estive!
La tavola dell'acqua Berlino corregge il comunicato stampa del dirigente elettorale comunale. Il numero riportato dal funzionario comunale non è stato come stabilito inizialmente, concordato con i comitati dei cittadini ', in modo che le firme raccolte nei giorni scorsi hanno superato quelle indicate nel comunicato. Complessivamente, nel primo mese sono state raccolte oltre 21.000 firme. Michel Tschuschke, che organizza gratuitamente la raccolta di firme per la petizione insieme a Ulrike Kolver ha affermato: "grazie a tutte le persone e le organizzazioni, che hanno contribuito a questo grande risultato   che continuiamo a sostenere. Abbiamo iniziato la raccolta di firme  proprio nel mezzo delle vacanze estive, ma sappiamo che è solo dopo le vacanze che la campagna prenderà il via ", ha detto Tschuschke.
Il giudizio positivo sul referendum viene anche da Bender Michael dell'Associazione Ambientalista Lega Verde di Berlino, anche lui molto colpito dal risultato: "Subito dopo la nuova versione del Freedom of Information Act e la sentenza della Corte Costituzionale di Berlino sulla possibilità da parte dei cittadini di poter accedere agli atti delle aziende di gestione dei servizi locali ci sono giunte molte telefonate da parte di cittadini che sono stati profondamente colpiti dalle notizie che avevano appreso, da qui abbiamo deciso di indire il referendum ". Che la raccolta firme per la petizione deve procedere, viene confermato anche dall' avvocato di Berlino Sabine Finkenthei : "Il Freedom of Information Act è solo per i contratti a termine che devono essere rinegoziati". Anche la decisione di consentire l' ispezione da parte dei membri del consiglio comunale non esclude "che i passaggi chiave del consiglio di amministrazione possono essere visualizzati, a patto che i consiglieri comunali non abbiano preventivamente firmato un accordo che li impegna al segreto", ha detto Finkenthei. "Quindi continueremo a raccogliere firme, e a tutte le persone che si impegnano con noi, chiediamo di pubblicizzare la nostra iniziativa e a sostenere il referendum".
Per Gerlinde Schermer  la collaborazione con il funzionario delle elezioni Auslegestellen potrebbe consentire al comitato referendario di lavorare meglio: "Ci sarebbe piaciuto che i nostri manifesti informativi sul referendum potessero essere affissi  sulle porte di ingresso dei vari  municipi e degli uffici pubblici. Questo non è stato possibile in quanto presumibilmente  ci sarebbero stati dei disordini. Si tratta di sciocchezze naturalmente, perché il nostro manifesto non obbliga nessuno a firmare. I cittadini sono semplicemente informati dell'esistenza di questa iniziativa a cui si può aderire firmando ", ha detto Schermer. "Malgrado la mancanza di una informazione molti cittadini si sono recati nelle sedi degli uffici pubblici alla ricerca di informazioni  senza riuscire a trovarle". La raccolta che mira a raggiungere il quorum delle 172.00 firme proseguirà fino al 27 Ottobre;essa mira ad ottenere una legge che obblighi le imprese di servizi locali ad offrire una completa divulgazione degli accordi e dei contratti fino ad ora tenuti segreti, a causa della parziale privatizzazione della Berlinwasser, l'azienda che fornisce l'acqua a Berlino. 
E' possibile firmare e scaricare i materiali divulgativi anche su Internet all'indirizzo  http://www.berliner-wassertisch.net/
Thomas Rudek - Presidente del referendum "stop alla segretezza degli accordi - ripubblicizziamo la Berlinwasser"
Tel: 030-261 33 89 begin_of_the_skype_highlighting 030-261 33 89 end_of_the_skype_highlighting (AB) o. 030-44 33 91 44

http://www.grueneliga-berlin.de/?p=9007&gtlang=it


Il colonnello è in procinto di investire per realizzare, ad Antrodoco, un hotel con beauty farm e una azienda di imbottigliamento per  acque minerali. Il sindaco rassicura. Ma i cittadini della zona ricca di “oro blu” sono perplessi.

Antrodoco è un piccolo comune, di circa 2.800 abitanti, della provincia di  Rieti.
Un bellissimo borgo, del quale Gheddafi pare essersi innamorato. Al punto da decidere di investirci 15 milioni. Scatendando le perplessità degli abitanti, che vogliono vederci chiaro e che non si accontentano delle rassicurazioni del sindaco Maurizio Faina. “Gli antrodocani sono fieri – racconta stamane L’Unità - orgogliosi, non è gente con il cappello in mano. Il lavoro è importante, ripetono, ma non a tutti i costi. Per questo nel paese del reatino crescono in numero e autorevolezza le voci di quanti pretendono chiarezza sulla vera natura, e i veri obiettivi dell’innamoramento del Rais“.
LE MANI SULL’ACQUA – C’è fermento. Secondo quanto fatto sapere dal sindaco del paese di provincia, si sta concretizzando il rapporto industriale e commerciale tra Antrodoco e la Libia che prevede la possibilità di realizzare un hotel con annesso beauty center e uno stabilimento di imbottigliamento diacque minerali. Ma di più non è lecito sapere. “Si parla– racconta L’unità – di un investimento da 15-16 milioni di euro“. La nota del primo cittadino non dice molto. Secondo il comunicato l’incontro avuto con i funzionari libici in occasione del secondo anniversario del Trattato di amicizia tra Italia e Libia sarebbe la conferma dei loro buoni propositi e lascerebbe più certezze sull’esito positivo dell’iniziativa. “Iniziativa che purtroppo alimenta – recita la nota – attacchi politici che mirano solo a screditare e infangare chi si sta prodigando per un futuro migliore di Antrodoco“. Infatti l’ostruzionismo c’è. Manifestano i loro interrogativi l’ex sindaco, il direttore del giornale locale, consiglieri dell’opposizione: “Cosa possiamo dare noi – chiedono - in cambio ad un leader che afferma pubblicamente in un Paese cristiano che l’Islam deve essere la prima religione?“.
ZONA RICCA DI ORO BLU – Oro blu, è la risposta. Nei paesi vicini, i comuni di Cittaducale eCastel Sant’Angelo, si trova l’oggetto, nascosto, al momento, del desiderio libico: le sorgenti del Peschiera, il lago sotterraneo che fornisce l’acqua a gran parte di Roma e che ha un potenziale per servire un’altra città di pari grandezza. Secondo quanto trapelato finora, la figura giuridica che gestirà i finanziamenti provenienti da Tripoli potrebbe essere la cessione in comodato d’uso delle due strutture, o la costituzione di una società che vedrà il Comune di Antrodoco e il governo nordafricano rappresentati nel consiglio di amministrazione. La Libia metterebbe i finanziamenti, il Comune di Antrodoco le strutture e i terreni.

Fonte: Giornalettismo.com




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giovedì, 02 settembre 2010; 10:55


giovedì 26 gennaio 2012


Report says Afghan city and region will need six times more water by 2050, as Oxfam warns of violence over scarce resource

More than half the shallow wells people use will dry up if temperatures continue to rise as predicted.
Kabul and its surrounding region are perilously short of water and may not be able to supply a fast-growing, more affluent population, a joint US and Afghan government scientific report has warned.
Rapid population growth and expected temperature rises due to climate change mean the area – which just manages to support 6 million people today – will need six times more water by 2050, the US Geological Survey report says.
More than half the shallow wells people now rely on will dry up if temperatures continue to increase as expected, it warns.
Thousands of wells have been sunk in Kabul in the last decade as the city's population has more than doubled. But the water table has dropped several metres, and many settlements already experience water shortages.
In addition, most of the shared water points and wells are contaminated, leading to illness. According to current United Nations estimates, Kabul's population could reach 9 million by 2050.
The two-year Kabul basin water survey warned that barely exploited deep underground water sources may not be sufficient to provide for all human and farming needs.
Mountain snow, which feeds rivers throughout the basin, is melting earlier each year, leaving less water for use later on, particularly during summer, when it is needed most.
Kabul residents use around 40 litres a day each, far less than most other Asian cities, but demand is expected to soar as communities develop and numbers grow.
The study backs up Oxfam research which shows that competition for water in both rural and urban Afghan communities is increasing, leading to heightened tensions and violence. According to the aid agency, 43% of local conflicts are now over water.
The Oxfam policy officer, Ashley Jackson, said: "Thirty years of war has left sources of water co-opted, stolen and contaminated.
"Oxfam research has found that water is now a major cause of local conflicts. Disputes over these scarce resources lead to violence and even, in some instances, fuel the greater conflict."
Last year, two men were killed after being found trying to steal water from the river Paghman in Kabul province. Families took sides, the row escalated and fights broke out between people armed with knives.
The conflict was only resolved when elders found a new way to channel the river, which provides 20 villages with water.
 John Vidal, environment editor

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domenica, 22 agosto 2010; 06:56


In Detroit: No Money, No Water

Water Department cuts connections to thousands of city’s poor


By Brett Walton
Circle of Blue
Detroit’s water utility supplied 20 percent less water in 2009 than it did in 2003. The obvious reasons why are a steep decline in Industrial activity and population. Michigan’s largest city–home to 820,000 residents, 1 million less than in 1950–is losing 10,000 residents annually.
But a third important source of the department’s diminishing market is that many poor residents simply can’t afford the basic service. Thousands of Detroit residents have had their water connections cut by the city, forcing people to adopt informal methods to gain access to drinking water.
“I’ve been to some neighborhoods where they run a hose through the window from their neighbor’s house,” said Maureen Taylor, chair of the Michigan Welfare Rights Organization (MWRO), which educates low-income workers and welfare recipients on social services rights.
“I’ve seen hoses from house to house. I’ve seen people with big water canisters getting water from the neighbors. Most folks understand the situation and give a hand.”
More than 42,000 residences in 2005 lost their connection to the city’s water system, according to figures provided by the Detroit Water and Sewerage Department, Taylor said. The number of homes without access has decreased since then but, according to Taylor, the exact figure remains unknown because DWSD is reluctant to provide data about the shut offs.
DWSD officials, despite requests from Circle of Blue, were not available for comment.
The drop in Detroit’s water has prompted the city’s water utility to increase rates to compensate for lost revenue, a response that is almost certain to accelerate the decline in water demand as homeowners and businesses cut water use to save money. In 2008 the average annual bill increased by almost $55. Last year, the average annual bill rose to almost $83. The DWSD is considering another 9.2 percent increase in July.
Even with these changes, Detroit still has some of the least expensive water of the 20 major U.S. cities surveyed by Circle of Blue.
While many U.S. cities would see a decline in water consumption as an indication that conservation and efficiency programs are working, the drop in Detroit is one more measure of a city in peril. On average one in six Detroit workers is jobless and in some areas half of the population is out of work, according to Taylor, who has led MWRO since 1993. Many people who lost their job have not been able to keep up with their utility bills, even with city and state financial assistance.
As a result, DWSD–-the third largest municipal water department in the country–suffered a $50 million shortfall in projected revenue before the last rate increase in July 2009. Meanwhile rising costs for treatment chemicals, interest rates on debt the utility already owes, and a legal settlement requiring the city’s residents to fix sewer overflows that contaminated regional waterways have added to the utility’s financial woes.
The finance crisis will take years to solve. The Southeast Michigan Council of Governments, the regional research and planning agency, predicts that Detroit’s population will hit bottom in 2020. Meanwhile, some city officials and academics think Detroit’s recovery can only start when it becomes smaller.
Mayor Dave Bing talked in February about the need to relocate people within the city. “If they stay where they are I absolutely cannot give them all the services they require,” Bing said according to Detroit News.
But the creative possibilities for reimagining the urban space are no consolation for those without access to water now. “The economy has wreaked absolute havoc in Detroit,” Taylor said. “We have tens of thousands of people in the city right now without water. It is unreal.”
Brett Walton  
19.aprile.2010

http://www.circleofblue.org

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sabato, 21 agosto 2010; 09:44



COMUNICATO STAMPA DELLA TAVOLA DELL'ACQUA DI BERLINO



L'SPD  diffonde false notizie sulla divulgazione dei contratti segreti stipulati tra il socio privato e l'azienda idrica di Berlino parzialmente privatizzata.

Berlino, 9.8.2010



Nel week end è apparso sul quotidiano di Berlino Berliner Tageszeitung il seguente articolo:

"Resi noti comunque dopo sei mesi i contratti conclusi con la clausula della segretezza, anche senza l'intervento degli investitori".

Si tratta di una notizia falsa. Con la modifica della legge sulla libertà di informazione (freedom of information act) sono state create le condizioni per cui i contratti stipulati segretamente tra l'azienda idrica di Berlino (BWB) e i partner privati (Veolia e RWE) non vengano resi noti alla cittadinanza, ma, nella migliore delle ipotesi, rinegoziati. Ma ciò non basta:  i soci privati RWE Water e Veolia Water hanno la possibilità, se non è nel loro interesse renderlo pubblico prima, di non far sapere dell'eventuale insorgere di un contenzioso, non prima dell'apertura di una  procedura legale ufficiale. Tale procedura può arrivare a durare, nei tre gradi previsti dalla giurisdizione amministrativa della Corte Costituzionale Federale di Karlsruhe, fino a dieci anni. 
Ciò significa che nel caso in cui dovesse insorgere un contenzioso, per sei mesi non verrebbe reso noto alcunchè, ed in particolar modo non verrebbero resi noti i contratti stipulati segretamente.
Il falso comunicato apparso sui giornali serve solamente ad uno scopo:  diffondere lo sconcerto tra la popolazione attraverso false informazioni e tenerla lontano dalla consapevolezza della reale importanza del referendum. 
Inoltre le considerazioni della SPD circa la rimunicipalizzazione dell'azienda idrica di Berlino comparse nel medesimo articolo, dimostrano come questi non hanno alcun interesse ad un reale cambiamento della gestione dell'azienda idrica, a favore di una gestione che sia meno dispendiosa e più vicina alle esigenze dei berlinesi.
Finchè  la BWB e i  suoi soci privati potranno stipulare contratti segreti, sarà mantenuto segreto il profitto garantito ai privati, e ciò consentirà loro di appropriarsi anche dei fondi stanziati per il buy-back.
Anzichè di una legge per la completa trasparenza sui contratti stipulati dal gestore idrico, creando le premesse per una rimunicipalizzazione legale del servizio idrico, Michael Muller (Dep. Land Berlino- die Linke) ed altri vogliono seguire la strada del riacquisto delle azioni da parte dell'amministrazione, tutelando gli interessi degli investitori ma facendo gravare tutto il peso dell'operazione solo sugli utenti.
La tavola dell'acqua di Berlino ha creato le condizioni per indire un referendum che sia realmente portatore degli interessi degli utenti, e soprattutto economicamente sostenibile. Possibilmente anche attraverso un' azione risarcitoria per danni .

Thomas Rudek Presidente del comitato referendario "Per la fine dei contratti segreti. I berlinesi rivogliono la loro acqua".



http://www.berliner-wassertisch.net/

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giovedì, 19 agosto 2010; 15:16



Un po più di stato nell'economia 
I piani dell'SPD: elettricità ed acqua tornano in mani pubbliche

Regine Zylka

Il senatore della sinistra Harald Wolf  poco prima di prendere congedo  in vista delle vacanze estive, ha mandato un messaggio molto visibile ai suoi partner di coalizione. Dalle colonne del quotidiano dei berlinesi, il Berliner Zeitung, il senatore ha chiesto all'SPD  di essere più coraggioso in materia di  rimunicipalizzazioni. Quando si va a rendere pubblica l'intenzione di voler accrescere l'influenza del settore pubblico sull' acqua, l'energia elettrica o la S-Bahn (la rete di trasporto ferroviario urbana), ai socialdemocratici chiaramente manca il coraggio.
I più stretti collaboratori di Michael Muller hanno rivelato che il segretario dell'SPD si è detto seccato per questa osservazione.
In primo luogo, Wolf sapeva bene che la questione era già stata affrontata dai Social Democratici molto tempo fa. Per diversi mesi  lo stesso Muller  assieme al responsabile delle finanze del partito  Ulrich Nussbaum, e al responsabile SPD degli enti locali Ingeborg Junge-Reyer si è riunito per discutere sulle possibili modalità per un ritorno ad una gestione pubblica dell'acqua, dell'elettricità e del teleriscaldamento.
 Nel mese di settembre l'organo dirigenziale del partito deciderà su tale questione, mentre a metà novembre è previsto un congresso sul tema di un nuovo partito SPD-stato.
La critica  alla visione dell'economia del senatore 
Il commento di Müller alle affermazioni del senatore è stato critico,  anche perché Wolf ",mostra poco entusiasmo per l'azione", che fino a questo momento Muller ha svolto come membro del consiglio di amministrazione dell' SPD. Il partito della Linke aveva già deciso al congresso tenutosi nel mese di aprile la creazione di "Public Utility for Berlin" entro la fine ideale del 2010 . Finora die Linke non ha mosso alcun passo in tal senso, anche se Wolfe è il responsabile di questa questione all'interno della dirigenza della Linke.  
Un dirigente del partito socialdemocratico ha detto:" progettare belle etichette a noi non basta"  . Wolf ci deve dire come  intende affrontare concretamente la rimunicipalizzazione.
Per quanto riguarda gli obiettivi di base, i partner della coalizione non sono molto distanti. Anche la SPD desidera tornare ad una maggiore influenza del settore pubblico, principalmente sul fornitore di energia.  "Lo stato ha bisogno di queste funzioni di base, di responsabilità", si legge in un articolo di Muller, che riassume le considerazioni precedenti del progetto generale dell'SPD. L'esperienza passata ha spesso dimostrato che le aziende  gestite da privati non sempre sono state più efficienti di quando erano gestite dal settore pubblico. 
I cittadini oggi  chiedono allo stato di prestare attenzione soprattutto alla stabilità delle tariffe.
A differenza del partito di sinistra, la SPD sottolinea che le privatizzazioni hanno avuto anche i loro lati positivi. Il  coinvolgimento dei privati è essenziale ed è necessario per lo sviluppo della città. In molti settori  le ex imprese pubbliche hanno funzionato abbastanza bene. La rimunicipalizzazione non dovrebbe quindi essere fine a se stessa. Lo Stato può assumere su di se eventuali rischi finanziari, che  con i privati invece vengono fatti gravare solo sui cittadini. "Il cambiamento di prospettiva è quindi privo di rischi per quanto riguarda il ritorno ad un'economia di stato", scrive Mueller.
Acqua rinegoziare i contratti
Gli obiettivi a lungo termine della SPD per quanto riguarda  il Land di Berlino, sono la rimunicipalizzazione dell'elettricità e del teleriscaldamento del sistema distrettuale.
 Il requisito indispensabile, è tuttavia, che il prezzo d'acquisto  sia nel medio termine ripagato attraverso la gestione, afferma il documento della direzione del partito . Il bilancio della città, fortemente indebitato, non può essere ulteriormente gravato dal costo della riacquisizione. Questo vale anche per le aziende idriche. L'SPD intende  in effetti parlare con i soci privati di BWB, RWE e Veolia, sul possibile riacquisto delle loro azioni. Se però questo fosse troppo elevato, si deve in alternativa ottenere di rinegoziare il contratto, con l'obiettivo di ridurre il rendimento netto del gestore.
Altro obiettivo della SPD è quello di integrare Gasag, il gestore del gas domestico,  in una rete locale. La cessione della rete del gas, invece, ha poco senso perché potrebbero alterare in tal modo la fissazione dei prezzi  in gran parte non regolamentata. Su questo punto l'SPD ha deciso rafforzare  l'influenza del Senato sugli investitori privati.

 http://www.berlinonline.de/berliner-zeitung/

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giovedì, 19 agosto 2010; 12:19



RIMUNICIPALIZZAZIONE
Berlino SPD vuole nazionalizzare elettricità e acqua
Sabato, 7
Agosto 2010 20:50
I piani della SPD di Berlino, di rinazionalizzare l'acqua e l'elettricità, sono più concreti. Un gruppo di lavoro sorto sotto la direzione del leader SPD Michael Mueller non ha ancora avanzato proposte in tal senso.


Sotto la direzione nazionale del leader  del partito SPD Michael Müller , è stato costituito un gruppo di lavoro per studiare la nazionalizzazione della Berlino Water Works (BWB l'azienda idrica di Berlino) e il riacquisto della rete di teleriscaldamento. Nello studio rientra anche il progetto di integrazione dell'attività di  fornitura del gas, in un'unica azienda comunale (Gasag).  
Anche il senatore con l'incarico alle finanze Ulrich Nussbaum (indipendente) e la senatrice per lo sviluppo urbano Ingeborg Junge-Reyer (Spd) hanno offerto la loro collaborazione al progetto di rimunicipalizzazione. Faranno inoltre parte di questo gruppo di lavoro il responsabile del settore finanziario e l'esperto economico del partito, Frank Jahnke e Stefan Zackenfels, nonchè la vice presidente nazionale del partito Barbara Loth . Il portavoce del partito ha confermato che i risultati del gruppo di lavoro , verranno presentati dalla Giunta Regionale dell'SPD, probabilmente all'inizio di settembre. Nel mese di novembre lo Convenzione Nazionale del partito deciderà sulla questione.
"La Rimunicipalizzazione" - il riacquisto delle infrastrutture per i servizi pubblici - è oramai una tendenza politica diffusa a livello nazionale, sia da parte del Partito della Linke che dall'SPD, che già da mesi hanno cominciato ad intravedere un accordo in tal senso. Questa  settimana (5 agosto) è stata discusso il ritorno alla gestione della municipalità di Berlinio della rete S-Bahn, il  sistema di trasporto ferroviario berlinese veloce, di proprietà in maggioranza dello stato federale. 
 Fino ad ora i progetti di rinazionalizzazione del servizio di trasporto veloce e di quello di  teleriscaldamento, sono sempre stati cavalli di battaglia della Linke. All'interno della SPD questi piani di rinazionalizzazione sono  stati in passato origine di intense controversie. In particolare l'oggetto della disputa è sempre stata la questione di come gli investimenti avrebbero dovuto essere forniti dallo stato federale.



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UNA BATTAGLIA PER L'ACQUA E PER LA VERITÀ
di Luca Nivarra


Un buon modo per orientarsi in quel po' di dibattito che, nonostante la censura mediatica trasversale, si è sviluppato attorno al referendum sull'acqua pubblica, è la lettura del libro di Franca D'Agostini Verità avvelenata (Bollati Boringhieri, 2010). Questo libro infatti contiene un'analisi delle principali forme di perversione a cui la verità, intesa come predicato di enunciati descrittivi del reale, viene sottoposta allo scopo di confondere, influenzare e orientare un'opinione pubblica oggi già abbastanza passiva e inerte. Sotto questo profilo il caso dell'acqua è appunto emblematico. Si prenda l'esternazione di Tremonti, il quale ha escluso che il referendum possa superare il vaglio di ammissibilità di fronte alla Consulta perché le norme oggetto dei quesiti avrebbero origine in un trattato internazionale e godrebbero, pertanto, dello scudo offerto dal secondo comma dell'art.75 Cost. Ora, tralasciando le osservazioni di carattere tecnico-costituzionale, il succo di una tanto autorevole presa di posizione (Tremonti è anche un eminente giurista) è che la disciplina dei servizi pubblici locali contenuta nell'art. 23 bis l.133/2008 (quella sulla quale verte il primo dei tre quesiti) ci sarebbe stata imposta dall'Ue, con la conseguenza che essa sarebbe inattaccabile per via referendaria.
Questo argomento che, assieme a quello della promozione della concorrenza e della ontologica superiorità del "privato" sul "pubblico", compone la trimurti retorica dei privatizzatori, trova un esplicito riscontro nell'incipit dello stesso art. 23 bis (ove il legislatore si richiama esplicitamente alla disciplina comunitaria): e, tuttavia, esso è falso e incarna in modo paradigmatico uno di quei casi di perversione della verità illustrati dal libro della D'Agostini. Basterà menzionare al riguardo una recente pronunzia della Corte di Giustizia secondo la quale «un'autorità pubblica, che sia un'amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso a entità esterne non appartenenti ai propri servizi». In altri termini, l'Ue non impone affatto di esternalizzare i servizi locali, ammettendo esplicitamente la possibilità che questi ultimi vengano affidati ad articolazioni e uffici dell'ente pubblico, sia pure nei limiti del cosiddetto «controllo analogo» secondo quanto stabilito sempre dalla Corte di Giustizia nella sentenza Teckal del '99. Il diritto comunitario, soltanto laddove l'ente pubblico decida di avvalersi, per l'erogazione del servizio, di un soggetto terzo, impone il ricorso alla cosiddetta evidenza pubblica, ossia a un procedimento che, simulando una gara, dovrebbe assicurare gli stessi benefici effetti della concorrenza (anche se qui la concorrenza è per il mercato e non nel mercato, posto che il servizio verrà comunque somministrato in regime di monopolio). 
Da questo punto di vista è fuor di dubbio che il referendum sia ammissibile: in caso di suo esito positivo, il modello di organizzazione del servizio del quale le amministrazioni pubbliche potrebbero avvalersi sarebbe quello dell'azienda speciale, perfettamente compatibile con i dettami dell'Ue. Per concludere: la battaglia referendaria dovrà mirare alla salvaguardia non di uno ma di due beni comuni, l'acqua e la verità, contro chi vuole privatizzare la prima e avvelenare la seconda.

Fonte: Il Manifesto



Water funds tempt investors with booming growth


Investors look to water funds as alternative to volatile credit and equity markets, with water-technology businesses fuelling growth

Funds that invest in water are booming, as investors shun volatile credit and equity markets and commodities that have already reached dizzying heights.
Global water indices have gained about 9% so far this year against a 4% drop in the FTSE 100 index, according to Guardian research. Water funds have grown to more than 100 over the past few years.
Growth is mostly driven by water-technology businesses as utilities invest in improving the quality of pipes to reduce waste, investors say. The average person in the UK uses about 150 litres of water every day and of this about one third is wasted, according to Waterwise, an organisation that promotes water efficiency.
"Water is scarce, and scarcity is a technology question," said Klaus Kämpf, who manages the Sarasin Sustainable Water Fund in Basle, Switzerland.
The fund has gained 8.7% so far this year, after rising 33% in 2009. The fund has expanded in size to €113m (£94m), from €33m at the end of 2008.
Geneva-based Pictet & Cie runs the biggest and oldest water fund, with €2.38bn under management. The portfolio, which is invested in water-related stocks around the world, has gained 24% over the past 12 months, and 9% so far this year. Almost half of the fund is allocated to the US, where municipal water companies such as Aqua America or California Water Service are publicly traded.
The fund has dropped companies that produce water bottles since bottled-water consumption has fallen in developing countries over the past few years amid high transportation and other costs.
Some of its top-performing holdings include Roper Industries, a US water-meter maker, which has gained 20% this year, and Hyflux, a Singaporean water treatment company.
Asset managers say water investment is not a short-term bubble, or an alternative whose value may plunge when equity and credit markets stabilise and investors return to them. Water companies, – some of which are heavily regulated – have long-term investment horizons of as long as 30 years to guarantee returns, investors say. Demand is rising, since less than 1% of the planet's water is drinkable and consumption increases as economies develop and become more affluent.
The UN estimates global water requirements will grow by 40% by 2020. Every year millions of people, most of them children, die from diseases associated with inadequate water supply, sanitation, and hygiene, according to the UN. Every day 3,900 children die because of dirty water or poor hygiene, the World Health Organisation says.
Water demand is also driven by technology and farming companies, with about 70% of fresh water used in agriculture, Kämpf said. Heavy water users also include chipmakers, such as ST Microelectronics, in Switzerland, he said.
Financial companies such as Janney Capital Markets in the US and Standard & Poor's have developed water indexes to track the sector. The S&P Global Water Index, for instance, has gained 9.5% over the past 12 months. Its holdings include Geberit AG, a German developer of sanitary technology. Britain's United Utilities, Severn Trent and Pennon Group are also part of the portfolio.
High returns are making investors pour more money into water funds. ETF Securities says that its water Exchange Traded Fund has $9m under management, a 10-fold increase from when it started in November 2008.
Elena Moya
The Guardian

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martedì, 24 agosto 2010; 07:03


Territori palestinesi: emergenza acqua,
 un ulteriore ostacolo alla pace

di MICHELA PERATHONER

Con una media di 63 litri pro capite al giorno, la quantità di acqua a disposizione della popolazione palestinese nei Territori occupati sembrerebbe quasi tollerabile. Una cifra ben lontana dai 100 litri giornalieri raccomandati per ogni abitante dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma pur sempre superiore a molte altre zone considerate in via di sviluppo.
L’accesso ad acqua corrente però varia decisamente da zona a zona, da città a città e da comunità a comunità. A tal punto che, solo nel 16 per cento dei casi (100 delle 708 comunità palestinesi), i litri disponibili pro capite sarebbero superiori alla quantità minima indicata dall’organizzazione internazionale. Come riportato dall’organizzazionePalestine Monitor, associazione a tutela dei diritti umani, nel 7 per cento delle comunità palestinesi (43 pertanto), invece, i litri mediamente disponibili al giorno sarebbero 30 o addirittura meno, nel 36 per cento (225 comunità) tra i 30 e i 50, nel 41 per cento dei casi (264 comunità) tra i 50 e i 100.
Dati preoccupanti? Non sono gli unici. La statistica, infatti, si riferisce solo al 69 per cento delle comunità palestinesi, quella percentuale insomma, che risulta essere connessa a risorse idriche. E i restanti abitanti della Cisgiordania? Per loro niente tubature. Certo, l’acqua si può pur sempre comprare da distributori privati (il cui prezzo sarebbe aumentato fino al 200 per cento rispetto a quello di alcuni anni fa) oppure ci si può accontentare di sorgenti naturali e acque piovane.
Mancanza d’acqua. Ma a complicare la situazione umanitaria, già compromessa da difficoltà economiche e conflitti, ci si mette, poi, anche il fattore qualità. Il massiccio utilizzo di pesticidi e fertilizzanti nel settore agricolo, come denunciato da Palestine Monitor, e l’assenza di un sistema di fognature idoneo, comprometterebbe, infatti, anche la qualità delle acque a disposizione della popolazione. La Striscia di Gaza, dove grazie alla desalinizzazione i litri pro capite sarebbero 140, solo il 7 per cento è conforme agli standard indicati dall’OMS. Le conseguenze? Problemi intestinali e malattie come colera, epatite e febbre gialla, registrate negli ospedali locali.
Ma non è finita. I vicini israeliani, a differenza delle comunità che risiedono nei Territori occupati, hanno un consumo pro capite di circa tre volte superiore a quello palestinese. E, due terzi delle acque utilizzate provengono da sorgenti condivise con i palestinesi. Qualche problema nella distribuzione? Sembrerebbe. Israeliani e palestinesi utilizzano due sistemi: uno sotterraneo, lungo circa 130 chilometri lungo il confine tra Israele e Cisgiordania, è suddiviso in tre “sotto-acquedotti”. Come denunciato da Palestine Monitor, il primo viene utilizzato al 95 per cento da Israele, il secondo, situato quasi interamente in Territorio palestinese, al 70 per cento da Israele, e il terzo- anche questo in Cisgiordania- al 37 per cento da Israele. O meglio, dai coloni israeliani che risiedono in Cisgiordania.
E il sistema del fiume Giordano con i suoi 330 chilometri di risorse sotterranee? Acque non disponibili per i palestinesi. Secondo l’associazione Israele limita l’accesso alle risorse sia tramite vie legali, che tecniche e fisiche. L’accesso alle risorse idriche, in quanto considerate beni di proprietà pubblica e pertanto israeliana, è reso difficile, se non impossibile, da procedimenti amministrativi lunghi e complicati. Per costruire un pozzo, o ripararne uno esistente, ad esempio, prima di ottenere un permesso si passerebbe, sempre secondo quanto riportato da Palestine Monitor, per 18 fasi diverse in dipartimenti amministrativi separati. E ad ogni pozzo verrebbero poi imposti limiti in termini di quantità estraibile. In molti casi, inoltre, i palestinesi non avrebbero comunque accesso alle fonti in quanto l’espropriazioni di terreni, soprattutto nelle aree ricche di acqua, come al valle del Giordano, sarebbero frequenti.
“Una moltitudine di problemi e difficoltà nel migliorare uso e sfruttamento delle risorse limitate disponibili” - sono questi i termini in cui l’associazione descrive le conseguenze delle politiche israeliane dal 1967 in poi in relazione alla questione dell’accesso all’acqua da parte dei palestinesi.
“Nonostante la mancanza di attenzione nei confronti della questione dell’acquarispetto ad altri aspetti centrali, trovare una risoluzione giusta è importante al pari di giungere a una pace duratura, a uno Stato palestinese, alla rimozione delle colonie e dei checkpoint. Le difficoltà che circondano questo argomento potrebbero differenziarsi in maniera unica dalle altre questioni in quanto l’utilizzo delle acque, la sua conservazione e produzione danno a Israele e Palestina l’opportunità di collaborare per risolvere una problematica comune in maniera scientifica piuttosto che in un’atmosfera politicizzata” - dichiara Palestine Monitor. “Un’opportunità”, come viene espresso in conclusione, “non ancora colta”.
Michela Perathoner 
(Gerusalemme – inviata di Unimondo)

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lunedì, 23 agosto 2010; 09:34


Aquino urged to junk water privatization


Citing a recent United Nations (UN) resolution declaring water and sanitation as a fundamental human right, militants urged the government anew to junk water privatization.

The Water for the People Network (WPN) said privatization violates the human right to water, adding that water shortage is a direct result of the privatization of water resources and utilities.

"In the Philippines, the privatization of public water utilities has worsened the people’s access to water ... 16 out of 100 families in all income classes do not have access to safe water," the group said.

The group added that in Metro Manila, water rates have continued to increase since the privatization of the Manila Waterworks and Sewerage System (MWSS).

According to a report of the WPN, the privatization of MWSS resulted in a drastic rise in water rates, by 357.6% for Maynilad and by 414.4% for Manila Water, in a span of only a decade, between August 1997 and January 2007.

The group urged government to junk current privatization projects such as the Angat Dam, and instead conduct a review of major privatization projects like the MWSS.

On July 28, the UN General Assembly approved a resolution recognizing access clean water and sanitation as a basic human right.

It cited concern for around 884 million people worldwide without access to water, and called on governments to scale up efforts in ensuring clean, safe, adequate water especially in poor countries.

WPN noted less than 60% of Maynilad’s service area in the west zone has 24-hour water service, while Manila Water claims 99% water supply coverage in the east zone but does not distinguish areas with direct household connection from those serviced by private water suppliers.

WPN said the recent water shortage in Metro Manila should challenge the Aquino administration to urgently reverse the privatization of water services "that has benefited only the private water corporations and elite families in the country, while further increasing the burden of poor Filipinos with excessive user rates and deficient service."

"The UN resolution should also prompt the government to take more seriously its responsibility of providing adequate and affordable water for the poor," it said. –VVP, GMANews.TV

http://www.gmanews.tv/story/197641/aquino-urged-to-junk-water-privatization

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lunedì, 23 agosto 2010; 09:30


Water shortage hits 50% of Metro

Manila—DPWH Chief 

MANILA, Philippines – There is a water crisis in close to 50 percent of areas serviced by Maynilad Water Inc. after the level in Angat Dam in Bulacan reached a record-low – a situation that is expected to last for at least 60 days if the current dry spell continues, Public Works Secretary Rogelio Singson said Wednesday.
And Singson blamed this water shortage to the alleged excessive release of water from Angat dam due to the rains spawned by tropical storm “Ondoy” and typhoon “Pepeng” late last year.
“Water crisis in the area of Maynilad I believe, they are in a crisis situation because almost 50 percent [of the residents] are affected,” Singson told reporters at a press briefing in Malacanang on Tuesday.
“All told, we have 344 barangay (villages) who are affected and that translates to 49 percent of the Maynilad concession area. Also that translates to approximately close to three million of the west concession.” said Singson.
Maynilad services over seven million residents inManila except portions of San Andres and Sta. Ana; in parts of Quezon City and Makati; Caloocan, Pasay, Parañaque, Las Pinas, Muntinlupa, Valenzuela, Navotas, and Malabon; and the municipalities of Bacoor, Imus, Kawit, Noveleta, and Rosario in Cavite.
With the water level at 157.6 meters above sea level (masl) in Angat Dam, Singson said Maynilad's supply was reduced to 1,800 million liters a day from the normal 2, 400 million liters a day.
The reduction has severely affected Maynilad customers with 117 villages getting less than six hours of water supply and 32 having no water at all.
Sixty percent of the water supply in Angat goes to Maynilad while 40 percent goes to the Manila Water Co. that services the eastern portion of Metro Manila.
“But in the case of Manila Water, they are still within a very manageable situation so depende sa kung nasan ka [it depends where you are]. But nationwide, I don't think we have water crisis,” he said.
Manila Water supply is down to 1, 245 million liters from 1,600 million liters a day, said Singson.
Singson said that only 21 percent of areas serviced by Manila Water Co. were affected. And this is only less than 12 hours [of water supply]. Wala pa naman silang area na [They still do not have areas that are] over 6 hours,” he said.
Singson said that “based on the current reduction, assuming no water, we’re still good for 60 days, assuming no water or no rainfall in Angat, were good for 60 days,” said Singson, referring to Maynilad’s situation.
Singson blamed the water crisis to what he said was the “excessive release of water” in December, 2009.
Before “Ondoy” struck the country in October last year, Singson said the water level in Angat was at its “spilling level” of 210 masl.
But the National Power Corp, Singson, said, allowed the release of water from Angat equivalent to three months supply for domestic use by Metro Manila residents.
On Dec.14, 2009, Singson said they wrote the National Water Resource Board and the Metropolitan Waterworks and Sewerage System to stop the release of the water.
“The water level if only if it was managed properly, we would not have any of this difficulty or at least as not severe as what we're encountering at this time,” he said.
Singson refused to say however who should be held accountable for this mess.
To mitigate the impact of the water shortage, Singson said the government has started cloud seeding to raise the water in Angat.
In return, the government asked the public to start conserving water.
By Maila Ager
INQUIRER.net

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domenica, 22 agosto 2010; 07:11






Il reportage pubblicato oggi sul Venerdì, più la video-intervista al governatore della Puglia.


BARI. Quella dell’acqua in Puglia è la classica storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Parli con il governatore Nichi Vendola e ti inonda di parole rivoluzionarie: investimenti decuplicati in quattro anni, perdite ridotte e tariffe congelate al grido di «l’acqua privata profuma di guerra, quella pubblica di vita». Poi leggi i giornali dell’ultima settimana e il bollettino è quello di metà Lecce a secco per un giorno per la rottura di una condotta, del sindaco di Taranto che reclama il riallaccio per decine di famiglie abusive da anni o ancora di Pane e Pomodoro, la spiaggia barese popolare come una bruschetta per l’ennesima volta inagibile causa liquami. Il bello (e il brutto) è che hanno ragione entrambi. E per dar conto delle due prospettive la vicenda rischia di assomigliare a un Picasso del periodo cubista. Dove il soggetto del quadro è ovviamente l’Acquedotto Pugliese, ircocervo levantino di una spa con azionista pubblico, che nell’immortale definizione di Montanelli, per lungo tempo «ha dato più da mangiare che da bere». Anche oggi, che non è più vero, resta l’epicentro di record antitetici. Tipo quello del suo amministratore unico che vince (meritatamente) il premio come miglior manager idrico mentre la sua vetusta rete continua a perdere (oggettivamente) più di tutte le altre, dovendo immettere 187 litri per farne arrivare 100, secondo le recenti stime di Confartigianato. Dunque?
Indizi mezzopienisti sono disseminati dappertutto. La ragione per cui, cercando un testimonial del dibattito acqua pubblica versus privata, abbiamo puntato dritti verso il Tavoliere è semplice. Se non «il» più grande d’Europa, secondo l’orgoglio popolare adottato sbrigativamente dai media, l’acquedotto pugliese è di certo tra i più lunghi e complessi. Aggiungete che la regione non ha fonti proprie – né fiumi per la depurazione – ed è costretta a comprare l’acqua da Basilicata e Irpinia, spingendola con enorme dispendio elettrico per ventimila chilometri di tubi per farla arrivare a quattro milioni di persone. Infine considerate la dimensione politica. Nel milione e 400 mila firme raccolte per il referendum contro la privatizzazione della gestione delle acque, il cosiddetto decreto Ronchi, oltre 100 mila sono confluite da qui. Un entusiasmo militante figlio di una penuria storica e di un governatore carismatico che ne ha fatto un punto chiave del suo programma.
Sono giorni concitatissimi, Vendola ha confessato le sue ambizioni nazionali, auto-candidandosi alla guida del centrosinistra. Il Consiglio regionale è sotto una tempesta di telefonate romane ma il presidente non rinuncia a spiegare la sua campagna delle acque. Distingue tra un prima e un dopo, fissando nel 2005 il giro di boa. Da «un’azienda spolpata viva, tipico carrozzone del Sud, avviata a una malinconica deriva» che, con qualche decennio di ritardo, familiarizza con i concetti di efficacia e efficienza. Esegue un’arringa perfetta, dove non manca né «il pane» né «le rose». «Abbiamo internalizzato la depurazione, con un centinaio di macchine avanzatissime e risparmiando cinque milioni di euro all’anno. Avviato la ricerca perdite su oltre un terzo della rete. E stabilito un principio che pareva esotico: a chi non paga tagliamo la fornitura».
Già, le perdite. Uno studio Fondazione Civicum-Mediobanca di un paio d’anni fa le quantificava in metà (la media nazionale è del 25 per cento). Distinguendo in «fisiche» (37,7 per cento), falle, infiltrazioni, tubi rotti e «amministrative» (12,6 per cento), che comprendono quelli che si attaccano di rapina alla rete e i contatori manomessi. L’uomo chiamato per far uscire dalle secche l’Aqp, dopo il non rimpianto interregno dell’ideologo del Manifesto mondiale delle acque Riccardo Petrella, è un ingegnere idrico di nome Ivo Monteforte. Genovese serio e no frills, non prova neppure ad arrampicarsi sugli specchi: «Senta, a lungo siamo stati un appaltificio e un assumificio. È mancata la manutenzione sulle condutture, non sono stati cambiati i contatori. Era un ente, e l’ente fa fare mentre l’azienda fa. Noi abbiamo invertito il trend, sia per la produttività dei lavoratori che per gli investimenti. Però abbiamo ancora molta strada davanti». L’opzione teorica pubblico-privato non lo appassiona: «La politica prende le decisioni. Io sono quello che le fa rendere al massimo». Una dicotomia di scarso aiuto anche per desumerne indicazioni sul peso della bolletta: «Ce ne sono di salatissime sia pubbliche, come in Germania e Danimarca, che private economiche, come in Gran Bretagna. La qualità si paga sempre». La loro, a dispetto della girandola di cifre che circolano, è al quarantunesimo posto (su 88) della classifica del Blue Book italiano («e siamo gli unici a pagare, tra acqua grezza e energia per trasportarla, quasi 100 milioni di euro!»). Ma l’orgoglio maggiore, che fa funzionario sabaudo post-unitario di fronte ai misteri del Meridione, è aver ripristinato un po’ di legalità: «C’erano comuni con metà abitanti non allacciati alla rete eppure con i rubinetti zampillanti. Ieri, se osavamo staccare l’acqua interveniva subito il politico di turno. Oggi, per toglierla al comune di Foggia, i miei dirigenti non mi consultano neppure: applicano un protocollo uguale per tutti». La democrazia è automatica.
Ovviamente c’è chi non si beve la favola bella dell’azienda risanata. La fazione mezzovuotista è guidata da Rocco Palese, capogruppo del Pdl in giunta. «Sono entusiasti, ma di che cosa? Se il bilancio va meglio è perché stanno vendendo il patrimonio. Il personale dell’azienda è in un contenzioso perenne (si è registrato il primo sciopero della storia, ma Monteforte lo rivendica come merito in un’impresa che si concepiva come una mangiatoia). E hanno perso 163 milioni di euro in fondi comunitari per non aver realizzato dissalatori autorizzati dalla giunta precedente». Lo fa imbestialire il metodo Vendola, che sarebbe «specializzato in leggi regionali opposte a quelle dello statoproprio per far fare la figura di nemico della Puglia a chi, come Fitto, le impugna prima della bocciatura di incostituzionalità». Un rischio, nel caso specifico, segnalato anche da Carmine Dipietrangelo, esperto di questioni idriche per il Pd regionale: «I proprietari delle reti sono i comuni. Se si andasse, come chiede la regione, verso la società pubblica, dovrebbero farne parte anche loro. Il governatore non può prendersi poteri che non ha. E in ogni caso c’è più rischio che un ente diventi un carrozzone che succeda a una spa».
L’argomento pesante per la ripubblicizzazione lo cala Fabiano Amati, assessore alle opere pubbliche: «Mettiamo che manchi l’acqua o un costosissimo depuratore in una località dove vive una decina di famiglie: che interesse avrà un gestore privato a portarceli? Nessuno. Per questo dev’essere pubblico». Quando lo riferisco a Franco Tatò, attuale presidente della Treccani ma che da amministratore dell’Enel aveva un piano per rifondare radicalmente l’Aqp, trasecola: «Pura demagogia! Nessuno discute che l’acqua sia e debba restare bene pubblico ma altra cosa è la sua gestione. È il pubblico che stila il contratto di servizio e, se vuole che sia servita anche una singola famiglia, il gestore privato deve obbedire. Ovviamente con costi che ricadranno sulla collettività. Ma davvero esiste ancora chi dubiti, tra pubblico e privato, quale sia più inefficiente e incline alla corruzione?».
Un’obiezione che il governatore salta in souplesse, come eco fastidiosa di un evo lontano. La annega alzando il livello del discorso su scala mondo, globalizzandolo: «I propugnatori del privato hanno il grave torto di non guardarsi attorno. Alla guerra dell’acqua in Bolivia. Alla fallita privatizzazione di Atlanta. Alla marcia indietro di Parigi. La mercificazione dell’acqua ha dentro di sé un paradigma autoritario. Sul serio pensiamo di blindare le nuvole?». Resterebbe in piedi il dettaglio prosaico della tariffa stellare della pubblicissima Berlino.
La mitopoiesi del politico-filosofo però non si impantana nelle eccezioni alle regole. «C’è, nel tentativo di disaccoppiare sostanza dell’acqua e sua trasmissione, una furbizia che punta a inquinare la religiosità naturale di questo tema. In ultimo, una bestemmia contro Dio». E fu così che, di metafora in metafora, nel carpiato dalla scatologia all’escatologia, il bicchiere mezzo pieno divenne un calice.

http://stagliano.blogautore.repubblica.it/

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mercoledì, 11 agosto 2010; 18:28



Se il mondo perde il senso del bene comune

Stefano Rodotà

Pochi giorni fa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che riconosce l’accesso all’acqua come diritto fondamentale di ogni persona. L’anno scorso il Parlamento europeo ha parlato di un diritto fondamentale di accesso ad Internet.
Apparentemente lontane, queste due importanti prese di posizione di grandi istituzioni internazionali si muovono sullo stesso terreno, quello dei beni comuni, attribuiscono il rango di diritti fondamentali all’accesso di tutti a beni essenziali per la sopravvivenza (l’acqua) e per garantire eguaglianza e libero sviluppo della personalità (la conoscenza).

Nell’ottobre del 1847, quattro mesi prima della pubblicazione del Manifesto dei comunisti, Alexis de Tocqueville gettava uno sguardo presago sul futuro, e scriveva: «Ben presto la lotta politica si svolgerà tra coloro che possiedono e coloro che non possiedono: il grande campo di battaglia sarà la proprietà». Quella lotta è continuata ininterrotta e il campo di battaglia, che per Tocqueville era sostanzialmente quello della proprietà terriera, si è progressivamente dilatato. Oggi sono appunto i beni comuni – dall’acqua all’aria, alla conoscenza, ai patrimoni culturali e ambientali – al centro di un conflitto davvero planetario, di cui ci parlano le cronache, confermandone la natura direttamente politica, e che non si lascia racchiudere nello schema tradizionale del rapporto tra proprietà pubblica e proprietà privata.

Tra India e Pakistan è in corso una guerra dell’acqua; in Italia la questione dell’acqua è divenuta ineludibile dopo che un milione e quattrocentomila persone hanno firmato la richiesta di un referendum; il parlamento islandese ha deciso che Internet debba essere il luogo di una libertà totale, uno sterminato spazio comune dove sia legittimo rendere pubblici anche documenti coperti dal segreto. Il tema dei beni comuni segna davvero il nostro tempo, e non può essere affrontato senza una riflessione culturale e politica.

Un misero esempio italiano di questi giorni ci mostra l’inadeguatezza degli schemi tradizionali e i rischi che si corrono. Da poco dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità, le Dolomiti sono oggetto di una mortificante contabilità, che sarebbe ridicola se dietro di essa non si scorgesse lo sciagurato "federalismo demaniale" che, trasferendo agli enti locali beni importantissimi, mette questi beni nella condizione di poter essere più agevolmente destinati a usi mercantili o privatizzati o comunque destinati "a far quadrare i conti". E proprio questa eventualità mostra la debolezza dell’argomento, usato per l’acqua, secondo il quale basta che un bene rimanga in mano a un soggetto pubblico perché venga salvaguardato. Non è questione di etichette. È la natura del bene a dover essere presa in considerazione, la sua attitudine a soddisfare bisogni collettivi e a rendere possibile l’attuazione di diritti fondamentali.
I beni comuni sono "a titolarità diffusa", appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà.
Incorporano la dimensione del futuro, e quindi devono essere governati anche nell’interesse delle generazioni che verranno.
In questo senso sono davvero "patrimonio dell’umanità".

Nel pensare il mondo, e le sue dinamiche, non possiamo sottrarci alla "ragionevole follia" dei beni comuni. Questo ossimoro, che dà il titolo a un bel libro di Franco Cassano, rivela un compito propriamente politico, perché mette in evidenza il nesso che si è ormai stabilito tra beni comuni e diritti del cittadino. Un bene come l’acqua non può essere considerato una merce che deve produrre profitto. E la conoscenza non può essere oggetto di "chiusure" proprietarie, ripetendo nel tempo nostro la vicenda che, tra Seicento e Settecento, in Inghilterra portò a recintare le terre coltivabili, sottraendole al godimento comune e affidandole a singoli proprietari. Per giustificare quella vicenda lontana si è usato l’argomento della crescita della produttività della terra. Ma oggi il nuovo, sterminato territorio comune, rappresentato dalla conoscenza raggiungibile attraverso Internet, non può divenire l’oggetto di uno smisurato desiderio che vuole trasformarlo da risorsa illimitata in risorsa scarsa, con chiusure progressive, consentendo l’accesso solo a chi è disposto ed è in condizione di pagare.
La conoscenza da bene comune a merce globale?

Così i beni comuni ci parlano dell’irriducibilità del mondo alla logica del mercato, indicano un limite, illuminano un aspetto nuovo della sostenibilità: che non è solo quella imposta dai rischi del consumo scriteriato dei beni naturali (aria, acqua, ambiente), ma pure quella legata alla necessità di contrastare la sottrazione alle persone delle opportunità offerte dall’innovazione scientifica e tecnologica.
Si avvererebbe altrimenti la profezia secondo la quale "la tecnologia apre le porte, il capitale le chiude". E, se tutto deve rispondere esclusivamente alla razionalità economica, l’effetto ben può essere quello di "un’erosione delle basi morali della società", come ha scritto Carlo Donolo.
In questo orizzonte più largo compaiono parole scomparse o neglette. Il bene comune, di cui s’erano perdute le tracce nella furia dei particolarismi e nell’estrema individualizzazione degli interessi, s’incarna nella pluralità dei beni comuni.
Poiché questi beni si sottraggono alla logica dell’uso esclusivo e, al contrario, rendono evidente che la loro caratteristica è quella della condivisione, si manifesta con nuova forza il legame sociale, la possibilità di iniziative collettive di cui Internet fornisce continue testimonianze.
Il futuro, cancellato dallo sguardo corto del breve periodo, ci è imposto dalla necessità di garantire ai beni comuni la permanenza nel tempo.
Ritorna, in forme che lo rendono ineludibile, il tema dell’eguaglianza, perché i beni comuni non tollerano le discriminazioni nell’accesso se non a prezzo di una drammatica caduta in divisioni che disegnano davvero una società castale, dove ritorna la cittadinanza censitaria, visto che beni fondamentali per la vita, come la stessa salute, sono più o meno accessibili a seconda delle disponibilità finanziarie di ciascuno. Intorno ai beni comuni si propone così la questione della democrazia e della dotazione di diritti d’ogni persona.

Spostando lo sguardo sui beni comuni, dunque, non siamo soltanto obbligati a misurarci con problemi interamente nuovi.
Dobbiamo sottoporre a revisione critica principi e categorie dei passato.
Dobbiamo rileggere in un contesto così mutato la stessa Costituzione, quando stabilisce che la proprietà dev’essere resa "accessibile a tutti" e quando, nell’articolo 43, indica una sorta di terza via tra proprietà pubblica e privata.
Qui è l’ineludibile agenda civile e politica non di un solo paese, ma di tutti coloro che vogliono affrontare con consapevolezza e cultura adeguate le questioni concrete che ci circondano.

La Repubblica, 10 agosto 2010

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martedì, 10 agosto 2010; 11:47




di Andrea Palladino

Consumiamo meno acqua, ci dicono le statistiche. Forse è la crisi, forse sta accadendo che la cultura del risparmio delle risorse ambientali sta iniziando a prendere piede. La notizia potrebbe, quindi, essere più che positiva.
Ed è probabile che essere più accorti con l'acqua, controllando i rubinetti, utilizzando le accortezze di buon senso per non sprecare le risorse idriche, sia una conseguenza più o meno indiretta del lungo e profondo lavoro del movimento per l'acqua pubblica. Nei territori dove sono attivi i comitati gli incontri di sensibilizzazione hanno creato una coscienza diffusa e solida: ripubblicizzare vuol dire soprattutto investire nel futuro dell'ambiente.
In realtà il risparmio idrico in Italia - almeno in alcune regioni - ha una storia quasi decennale. È il caso della Toscana, dove fin dai primi anni 2000 diverse campagne d'informazione hanno convinto i cittadini ad usare con più criterio il rubinetto. Fatto che non è piaciuto a Publiacqua, il gestore privato delle risorse idriche fiorentine. Meno acqua vendo - hanno spiegato i manager - meno fatturo e meno guadagno.
Nel 2001 veniva approvato il Piano d'Ambito, ovvero il piano industriale del bacino fiorentino, affidato alla società per azioni partecipata da Acea. Si prevedeva che nel 2005 il volume dell'acqua venduta ai fiorentini dovesse raggiungere i 92,5 milioni di metri cubi, contro gli 89,8 del 2001. Un aumento che andava in sostanza ad incrementare il profitto di Publiacqua. Alla prima revisione del piano i tecnici si accorgono di aver esagerato, perché tutta quell'acqua a Firenze non serviva. Non solo. Nel 2006 il gestore privato fa sapere che i conti non tornano, perché qualcuno si era messo in testa di risparmiare. «A fine anno 2006 Publiacqua comunica all'Autorità - spiega un documento scritto dall'Ato 3 del Medio Valdarno - un nuovo aggiornamento dei dati sulla fatturazione, che evidenzia per la prima volta una forte contrazione dei volumi per l'anno 2005. La società comunica, inoltre, che la diminuzione dei consumi per l'anno 2005, circa 2 milioni di mc, deriva essenzialmente da una contrazione dei consumi da parte delle utenze domestiche». Ovvero le famiglie usavano, per la prima volta, meno acqua. A questo punto accade l'incredibile: visto che si vende meno acqua e visto che va rispettata la formula magica del "ricavo garantito" per il gestore, i prezzi vanno aumentati.
Il costo dell'acqua si basa su una formula tanto semplice quanto micidiale. Prendendo la variabile indipendente del ricavo garantito per il gestore, questo numero viene diviso per la quantità di metri cubi d'acqua erogati, ottenendo la tariffa media. È evidente che, diminuendo la quantità della merce venduta, il costo unitario automaticamente sale. Il sistema si chiama "metodo normalizzato" ed ha una doppia filiazione: il principio venne sancito nel 1994 dalla legge Galli e reso esecutivo con un decreto firmato Antonio Di Pietro del 1996.
È dunque evidente come la gestione industriale che i tre quesiti referendari dei movimenti per l'acqua pubblica vorrebbe abolire non può garantire il risparmio dell'acqua. Tutto il peso della responsabilità ambientale viene lasciata sulle spalle dei cittadini, che vengono penalizzati con aumenti delle bollette quando attuano una gestione virtuosa dell'acqua. E non saranno di certo le società per azioni a salvare il pianeta.

Fonte: Il Manifesto

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domenica, 08 agosto 2010; 06:48
Acqua a Iride senza una gara 
la bacchettata dell´antitrust
E chi l´ha detto che la fornitura di acqua a Genova e dintorni debba 
essere affidata, fino al 2032, a Iride, il colosso dei servizi nato dal 
matrimonio fra l´Amga di Genova e l´Aem di Torino e da poco unitasi al
polo emiliano di Enia in Iren? L´Antitrust non ci sta e contesta il 
provvedimento. In una nota l´autorità garante della concorrenza e del 
mercato (Agcm) interviene sul nuovo affidamento diretto del "servizio 
idrico integrato" nell´Ato (ambito territoriale e quindi esteso a una 
porzione provinciale molto ampia) di Genova a Iride Acqua e Gas fino al 31 
dicembre 2032. Secondo l´autorità - che ha scritto in merito al presidente 
della Regione Burlando, alla conferenza dei sindaci dell´Ato della 
Provincia di Genova e a Iride - il nuovo affidamento diretto «introduce 
ulteriori ed ingiustificati elementi di distorsione della concorrenza nel 
mercato di riferimento». Per l´Antitrust, l´affidamento diretto è una 
scelta «in chiaro contrasto con la legislazione nazionale in materia di 
modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali e con i
principi concorrenziali» e viene quindi chiesto di «riconsiderare la 
scelta fatta, alla luce della normativa sui servizi pubblici locali e dei 
principi a tutela della concorrenza». L´assessore della Provincia 
responsabile delle politiche dell´acqua Paolo Perfigli, interpellato sulla 
questione, afferma che il tema «è molto controverso». Dinanzi alla Corte 
Costituzionale, sottolinea, sono in atto contenziosi tra alcune regioni e 
il governo in merito alle competenze sull´affidamento dei servizi idrici. 
Fonte: Repubblica di Genova

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domenica, 08 agosto 2010; 06:08


La promessa di Formigoni

"L'acqua resterà pubblica"

E il governatore assicura: “Con la riforma le tariffe non aumenteranno”.
Il voto ad autunno

di STEFANO ROSSI

"Le tariffe dell'acqua non aumenteranno, perché a stabilirle saranno le Province. Nessuno vuole privatizzare l'acqua, la Regione sta riorganizzando la gestione dei sistemi idrici in vista dell'abolizione degli attuali organismi di gestione, gli Ato, imposta dalla legge nazionale per il 2011". Così il governatore Roberto Formigoni e l'assessore Marcello Raimondi rispondono ai Comitati per l'acqua pubblica e al centrosinistra che martedì hanno manifestato contro la legge regionale in preparazione. Legge che sarà discussa a settembre, ieri in giunta è passata solo una informativa: "Come avevamo sempre detto". 


Anche il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, difende il decreto Ronchi: "La proprietà delle reti idriche rimarrà in mani pubbliche. Il decreto Ronchi prevede che la fornitura dell'acqua sia messa in gara al 100 o al 40%. Le Province lombarde privilegiano la seconda opzione e auspicano la costituzione di società al 60% pubbliche e al 40% private". 


A tutti risponde Roberto Fumagalli, dei Comitati per l'acqua pubblica: "È vero solo in teoria che le tariffe saranno stabilite dalle Province. A fare i prezzi saranno i gestori privati del servizio, come in Toscana dove hanno impugnato i piani tariffari in sede giudiziaria perché troppo contenuti. Lo spezzettamento fra proprietà di reti, investimenti ed erogazione era già in una legge che Formigoni tentò di far passare nel 2006 e che è stata bocciata tre volte dalla Corte Costituzionale". 

Il centrodestra obietta che il governo si limita a recepire la normativa europea. "La Ue non obbliga a privatizzare  -  replica ancora Fumagalli  -  chiede agli Stati membri di decidere per ogni servizio quale va gestito a livello pubblico perché di interesse generale e quale è privatizzabile perché di rilevanza economica. Olanda e Belgio hanno dichiarato l'acqua bene di interesse generale, l'Italia è l'unico Stato membro, per ora, per cui l'acqua è una merce. Pertanto la privatizzazione è una scelta del governo, non una imposizione dell'Europa". 


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sabato, 07 agosto 2010; 06:17



giovedì, 05 agosto 2010; 06:34




di Simone Pieranni


L'ipersviluppo cinese ha effetti collaterali importanti sulle risorse idriche: fiumi inquinati, corsi d'acqua deviati in modo autoritario. Qualcuno prova a resistere. Qualcun'altro vede nella «bonifica» nuove opportunità di business 

PECHINO. Il fiume delle Perle è qualcosa in cui non ci si può certo specchiare. Si può tentare di scorgere nel suo letto oscuro qualche traccia della civiltà che ha nutrito. Tempo fa, non oggi. La passeggiata che sovrasta il tratto di fiume a Canton è un paesaggio tipico cinese, sospeso tra case diroccate e centri commerciali avveniristici. È Blade Runner e Medio Evo, a guardarsi su acque melmose, nere, piene di alghe e ogni tipo di spazzatura depositabile in un corso d'acqua. Accanto al punto d'osservazione un cane scheletrico, di fronte una pompa - grande, rumorosa e antiquata. Nell'acqua ci sono alcuni uomini su una barchetta, intenti a creare una piccola diga. È un esperimento: nanotecnologie provenienti da qualche fabbrica locale, nel disperato tentativo di ripulire la risorsa che più soffre in Cina - l'acqua. 
In serata alcuni notabili del Partito esprimeranno il loro rammarico e la loro necessaria impresa: 40 milioni di euro per risanare il tratto che attraversa Canton, con sistemi tecnologici in grado di risucchiare melma e alghe, consentendo al fiume di respirare. Se funzionerà l'esperimento verrà esteso a tutta la regione. Negli occhi di un membro del partito si vede già la scalata: dopo la regione, il paese. Un progetto in cui ambizione personale e necessità hanno i contorni di quello specchio d'acqua che osserviamo in silenzio: sbiaditi, opachi, cinesi. Eppure, qualcosa in Cina si muove, tra il fiorire di Ong e associazioni di cittadini e piccole, ma importanti lotte ecologiste, che movimentano i progetti governativi, creando un confronto tra popolazione e funzionari. 
Lo spettro della siccità
Gli ultimi dieci mesi di quest'anno sono stati il periodo più secco nella storia della Repubblica Popolare. Secondo le cifre pubblicate dall'Ufficio di stato che controlla inondazioni e siccità sarebbero almeno 19 milioni le persone che soffrono di mancanza di acqua potabile e circa 6 milioni di ettari le aree coltivabili completamente a secco nello Yunnan, Guizhou, Sichuan, Guangxi e Chongqing. La siccità è ormai un pericolo naturale ricorrente negli ultimi anni e ha colpito in tempi diversi e in circostanze diverse, tanto a sud quanto a nord del paese per la mancanza di precipitazioni associate anche ai cambiamenti climatici. Questo fenomeno naturale del resto è anche una conseguenza della deforestazione e la rapida trasformazione industriale di un paese agricolo, con il conseguente danneggiamento delle fonti di acqua naturale. I progetti cinesi non facilitano la vita di corsi d'acqua e di fiumi: recentemente è stato approvato il progetto di deviazione di una parte del fiume Han che finirà per andare a riempire le bocche assetate della parte nord del paese, specie i dintorni di Pechino, la capitale che non guarda in faccia neanche i propri connazionali. «Il fiume Han scivola dolcemente attraverso il cuore della Cina, si snoda da nord a sud per 1500 chilometri, attraverso una valle fertile che copre più di 150.000 chilometri quadrati. Nella sola provincia di Hubei, il fiume Han è un'ancora di salvezza per quasi 20 milioni di persone» ha scritto la rivista cinese Caixin, sempre attenta a lanciare allarmi economici ed ecologici. Le popolazioni toccate da questo mega progetto hanno già protestato: non sono stati tenuti in considerazione, nulla è stato fatto trapelare, in modo che non si potessero organizzare e tentare una manovra disperata.
È andata diversamente a Wuhan, esempio di come la società civile stia trovando linfa sul tema della sostenibilità dello sviluppo. Il 25 marzo scorso, come riporta il sito chinastudygroup.net, il quotidiano di Canton, Time Weekly ha pubblicato un reportage dal titolo Indagine sullo sviluppo del lago est di Wuhan che ha rivelato informazioni su funzionari del governo locale corrotti e legati al piano di sviluppo, ottenuto senza le approvazioni necessarie. Si sono affittati una parte del lago, imbrigliato in un progetto che nega alla popolazione la possibilità di sfruttare un bene comune. La transazione è stata illegale perché gran parte dell'area interessata è compresa nell'Area panoramica del lago est, protetta dallo stato, e il governo locale non aveva ottenuto il permesso per i lavori dal governo centrale. Le proteste sono state immediate: è nato un gruppo su QQ (il social network più famoso in Cina), che ha organizzato una protesta, sotto forma di passeggiata: marcia bloccata dalla polizia che ha blindato tutti a casa, compresi gli studenti tirati dentro all'iniziativa.
No tav alla cinese
Non solo acqua: i conti con lo sviluppo economico cinese sono tanti, molti dei quali sconosciuti e con visibilità nulla sui media abilmente controllati dal Partito. Il progetto del Maglev, il treno super veloce a levitazione magnetica e già presente a Shanghai, doveva avere una linea anche a Pechino. Sottoposto al giudizio degli abitanti della zona interessata, il progetto ha trovato l'opposizione della popolazione, attraverso una lettera dei cittadini in cui denunciavano alcuni rischi dovuti all'impatto ambientale del treno, nonché alla scarsa conoscenza riguardo le radiazioni cui sarebbero sottoposti i suoi passeggeri. Zhao, uno dei pechinesi coinvolti nella lotta anti Maglev, alla Beijing Review ha dichiarato: «queste tipologie di treni sono stati bloccati già in molti paesi nel mondo a seguito di dimostrazioni: perché la Cina vuole realizzare questi progetti in modo così frettoloso?» La linea pechinese prevede circa 20 chilometri di rete: la Beijing Railway Mentougo o S1 Line come è chiamata la Maglev futura della capitale, dovrebbe unire due distretti di Pechino: 12 fermate e treno a velocità ridotta rispetto a quella shanghaiese, circa 150 km all'ora.
Una parziale, ma importante, vittoria è arrivata il 12 maggio: la Eaec ha infatti annunciato l'allungamento della tratta prevista sotto terra, per ridurre l'impatto sulle case circostanti: da 455 metri a quasi a 3 chilometri. Una vittoria momentanea e per niente definitiva, in attesa della risposta del governo.
**************
1.500 chilometri Tanto è lungo il fiume Han, che copre un'area di 150.000 chilometri quadrati in cui vivono decine di milioni di persone. 
Il corso d'acqua sarà deviato per portare acqua nella capitale

Fonte: Il Manifesto

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mercoledì, 04 agosto 2010; 09:46


La Regione Lombardia tenta di regalare l'acqua ai privati

di Luca Fazio

Comitati e partiti protestano al Pirellone (ore 17) contro una legge che porterebbe alla privatizzazione

MILANO. Fare classifiche è sempre antipatico. Però la Lombardia è la regione dove è stato raccolto il maggior numero di firme contro la privatizzazione dell'acqua (237 mila su 1 milione e 400 mila). La rete idrica del capoluogo lombardo, Milano, è riconosciuta come un'eccellenza a livello europeo: la dispersione è contenuta nei limiti dell'11% contro una media italiana del 30% ed europea del 20% - e la tariffa è la più bassa d'Europa, con 60 centesimi al metro cubo contro una media nazionale che supera l'euro e mezzo (non per niente, di fronte a queste evidenze, il sindaco Letizia Moratti, senza aver mai messo nulla per iscritto, ha sempre giurato che a Milano l'acqua non verrà mai privatizzata).
Allora perché, con il classico blitz agostano, la Regione Lombardia oggi mette all'ordine del giorno la discussione di un progetto di legge sulla gestione dei servizi idrici integrati che, in applicazione al decreto Ronchi, di fatto obbligherebbe alla privatizzazione della gestione dell'acqua? Il Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l'Acqua Pubblica - che oggi alle 17 manifesta di fronte al Pirellone (via Fabio Filzi) - non ha dubbi. «Se la giunta regionale approverà il progetto di legge in discussione - spiegano - avremo la totale privatizzazione dell'acqua. Il rischio è che l'acqua di tutta la Lombardia finisca nelle mani di poche imprese private interessate solo a fare profitto». E i nomi che circolano, nel poco trasparente giochetto delle probabili acquisizioni, sono sempre i soliti: le multinazionali francesi Suez e Veolia. Il meccanismo che permette questo attentato si metterebbe in moto affidando alle Province, e non più ai Comuni, poteri fondamentali come decidere piani di investimento e nuove tariffe: i Comuni rimarrebbero proprietari della rete, ma l'erogazione verrebbe affidata a delle società controllate dalle Province ma partecipate al 40% da privati. Uno scippo incomprensibile che scatena un sussulto inedito (perché immediato) nel centrosinistra lombardo, che oggi scende in piazza senza tante differenze. «Non si può permettere che un bene di tutti possa diventare strumento di profitto per i privati», dice Giuliano Pisapia, unico candidato sindaco che per ora si è palesato sulla scena. «Togliere ai Comuni - prosegue - il potere di decidere sui piani di investimento e sulle tariffe, a beneficio delle Province, significa esporre i consumatori al rischio di dover pagare bollette notevolmente più alte». Anche per Luca Gaffuri e Maurizio Martina, capogruppo e segretario regionale del Pd, «i Comuni non possono essere espropriati dal loro ruolo». Mentre Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd a Palazzo Marino, invita il sindaco di Milano a farsi sentire. «Su questo terreno - scrive - non possono esserci ambiguità e il sindaco Moratti dovrebbe far sentire con grande chiarezza la propria voce, facendo valere un principio che non può essere indebolito per ragioni contabili».
Fonte: Il Manifesto


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Un documento «riservato» del ministero dell'Ambiente finisce nel bilancio Acea. E svela la riforma dei prezzi

Acqua, nuove tariffe segrete ma non per le multinazionali

di Andrea Palladino 

E contenuta in un documento riservato che circola negli uffici del ministero dell'Ambiente la riforma del prezzo dell'acqua, che potrebbe rivoluzionare i bilanci delle Spa dei servizi idrici e le bollette dei cittadini. Un testo che sta per arrivare sul tavolo del ministro Prestigiacomo, pronto a diventare esecutivo. L'elaborazione è stata affidata a un gruppo di lavoro del Conviri, la commissione per la vigilanza sui servizi idrici presieduta da Roberto Passino, organismo da molti indicato come privo di reali poteri di controllo. La segreteria della, commissione non ha voluto rivelare i nomi degli esperti che stanno ridisegnando le tariffe, spiegando che si tratta di «informazioni riservate». Tutto sta avvenendo in gran segreto.
La riservatezza non vale però per le multinazionali che oggi controllano buona parte del servizio idrico in Italia. Nell'ultimo bilancio di Acea Ato 2 Spa - primo gestore idrico per popolazione servita - i manager romani scrivono nero su bianco che la commissione di Passino «ha diffuso un documento riservato contenente le linee guida per l'aggiornamento del metodo normalizzato», ovvero la serie di formule utilizzate per calcolare il costo dei servizi idrici e il ricavo dei gestori. «È in corso un'analisi approfondita della proposta», prosegue Acea nella nota di commento al bilancio 2009. La società partecipata dal Comune di Roma, da Caltagirone e dalla Suez, dunque, sembra conoscere le linee guida riservate e non divulgabili, tanto da annunciarne l'esistenza agli azionisti.
Il Conviri ha dichiarato ufficialmente che in realtà il documento - proprio perché riservato - «non è mai stato divulgato». Negli uffici del ministero dell'Ambiente non si spiegano quanto scritto nel bilancio ufficiale di Acea, assicurando di non aver mai dato copia dei documenti ai gestori. All'oscuro dei contenuti dello studio sono anche le associazioni dei consumatori, che hanno da anni rapporti istituzionali con la commissione sulle risorse idriche. Mauro Za-nini della Federconsumatori si dice sicuro di non avere mai ricevuto nessun documento preparatorio alla riforma del metodo di calcolo delle bollette dell'acqua. «Ed è una questione molto importante - spiega - visto che il metodo attualmente in uso risale al 1996». 
Nelle complesse formule matematiche contenute nella legge che il governo vuole rivedere c'è il vero cuore della gestione dell'acqua. C'è, ad esempio, quella «remunerazione del capitale investito» che garantisce un profitto sicuro del 7% ai gestori; c'è il principio - che il movimento per l'acqua contesta - che basa le tariffe solo sui conti delle società, vera e unica variabile indipendente del mercato dei beni comuni. Dovrebbero esserci anche i sistemi di controllo della qualità del servizio, che però sono di fatto disattesi in buona parte del paese. Ed è proprio questo uno dei punti centrali per i gestori: un eventuale sistema di sanzioni o la revisione di quel guadagno garantito per legge renderebbe l'affare acqua meno attraente. Dietro i documenti "riservati" potrebbero nascondersi pessime sorprese.

Fonte: Il Manifesto

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I 4 fiumi della Corea

di Pala Desai

È raro che un progetto governativo coalizzi contro di sé settori così ampi della società. eppure è quello che sta succedendo in Corea del sud, dove il governo ha deciso di mandare avanti un faraonico progetto di opere fluviali - il «Progetto di restauro dei Quattro fiumi», su cui prevede di spendere 20 miliardi di dollari - nonostante una massiccia opposizione che ha unito gruppi di cittadini, intellettuali, clero, autorità locali, insegnanti, media.
Il progetto deve servire, nelle intenzioni del governo, ad assicurare fornitura stabile di acqua potabile, garantire opere di controllo delle inondazioni e sviluppare opportunità turistiche in un'ampia zona che abbraccia i fiumi Nakdong nel sud-est, Yeongsan nel sud-ovest, Geum a occidente e Han nel nordovest del paese. Il «restauro» 8ma secondo gli oppositori la parola più appropriata è «costruzione»! consiste nella costruzione di 20 nuove dighe, alzare 87 dighe già esistenti, costruire argini e canalizzazioni lungo centinaia di chilometri di rive fluviali, e dragare circa 700 chilometri di fiumi fino alla profondità di 6 metri, riferisce la Federazione coreana del movimenti ambientali, che ha raccolto i dati disponibili sul progetto. In effetti si tratta di stime: il governo e l'opposizione sono impegnate in un braccio di ferro sulle informazioni fin da quando il progetto è stato ufficialmente annunciato nel giugno 2009. la determinazione del governo a mandare avanti il progetto si capisce però dal fatto che in un recente rimpasto il presidente Lee Myung-bak ha lasciato ai propri posti proprio i ministri dell'ambiente e dei trasporti («trasporti, terra e affari marittimi» è il nome completo del dicastero). L'opposizione però accusa proprio il ministro dell'ambiente, Lee Maa-nee, di aver fatto un gioco scorretto sugli studi di fattibilità, liquidati in gran fretta e senza veri studi di impatto ambientale.
Per migliorare l'immagine ambientale del progetto, di recente il governo ha lanciato una campagna di public relations, leggiamo in un dispaccio dell'agenzie di notizie ambientali Environment news network. Sono comparse così brochures patinate, stampate su carta «post comsumer» e con inchiostro ricavato da semi di soia, con immagini a colori di barchette a vela su reservoirs d'acqua circondati da zone versi e piste ciclabili, o elenchi di opere come depuratori per i reflui agricoli. la tesi del governo è: nonostante le grandi piogge estive, il paese usa solo un quarto dell'acqua piovana che fluisce verso i mari, il resto evapora ; se potesse usarne un altro 5 o 10 percento potrebbe «cambiare il clima della penisola coreana e prevenire le alluvioni», mentre le nuove op'ere permetterebbero di bonificare fiumi pesantemente inquinati da decenni di industrializzazione.
Gli argomenti degli oppositori sono diversi. C'è chi chiede come una serie di nuove opere industriali possa curare i mali dell'industrializzazione. C'è chi accusa il governo di aver messo insieme una nuova torta (decine di dighe) da spartire nell'industria ingegneristica e delle costruzioni. La protesta cresce, e un gruppo di ambientalisti ha deciso di occupare una gigantesca gru già in posa presso il fiuume Han: hanno portato su viveri e perfino un piccolo generatore, prevedono di resistere a lungo.

Fonte:Il Manifesto

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martedì, 17 agosto 2010; 07:00


La battaglia di Aprilia

di Andrea Palladino


La situazione ad Aprilia, dove il Comune ha avviato la ripubblicizzazione dell'acqua, merita un aggiornamento. La settimana scorsa il sindaco ha chiesto ai legali di portare in Tribunale Acqualatina, il gestore partecipato dal colosso francese Veolia. Le vie bonarie non sono servite ed ora dovrà essere un magistrato civile a decidere sulla questione. Festa rimandata, almeno per ora.
La società per azioni che dal 2005 gestisce l'acqua ad Aprilia affila intanto le armi. Lo fa utilizzando gli squadroni con vigilantes armati, mandati in giro a chiudere i contatori, a ridurre il flusso fino a rendere impossibile l'utilizzazione dei rubinetti. Lo fa con anziani, famiglie, persone che da cinque anni contestano il servizio, molto spesso con la legge dalla loro parte. Lo fa nonostante un giudice di Latina abbia dichiarato vessatoria la clausola che permette alla società di tagliare i tubi in caso di presunta morosità. Una storia che il manifesto già raccontò nell'estate del 2008. E da allora nulla è cambiato.
Per ora Acqualatina continua ad avere il coltello dalla parte del manico. Apparentemente cerca di ignorare - almeno pubblicamente - l'intimazione del consiglio comunale che ad aprile ha chiesto la restituzione degli acquedotti. La parte pubblica della società - costituita da pezzi anche di peso della politica del Pdl di Latina e dintorni - è occupata a tessere i giusti rapporti politici, facendo leva anche sulla nuova giunta regionale. 
La risposta al comune di Aprilia della conferenza dei sindaci è stata lapidaria: della questione se ne occupi la Regione. La Polverini per ora non si è pronunciata, anche se appare evidente come sulla sua posizione peserà il Pdl pontino, fondamentale per la sua elezione.
Il percorso che il comune di Aprilia sta affrontando non ha solo un risvolto locale. Lo scontro riguarda più che mai le democrazie locali, che - nonostante la propaganda sul federalismo - vengono svuotate sempre più di poteri reali. Ad iniziare dai bilanci, divenuti drammatici, che rendono spesso impossibile affrontare decentemente l'erogazione dei servizi pubblici locali. Come appunto l'acqua.
E' bene ricordare che la costituzione e l'intera legislazione italiana rimettono ai consigli comunali la competenza sulla gestione del servizio idrico. Sono le assemblee più vicine ai cittadini a decidere le modalità della distribuzione dell'acqua, bene che la stessa Unione europea considera con un valore a rilevanza pubblica. La battaglia di Aprilia va in questo senso e si basa su una decisione del consiglio comunale della città, che non ha mai approvato la convenzione di gestione con Acqualatina. 
Dunque lo scontro con la società - e di riflesso con il gotha politico del Pdl che comanda in provincia e in regione - si basa su un principio costituzionale non secondario e riguarda direttamente il sistema democratico. Non solo. Il risultato finale che potrà raggiungere l'amministrazione comunale di Aprilia mostrerà quanto veramente conta oggi lo stato di fronte al potere economico e di lobby delle multinazionali dei servizi. 
E' ancora possibile per i Comuni italiani esercitare in autonomia il mandato democratico, nonostante le pressioni sempre più soffocanti delle società per azioni?

Fonte: Il Manifesto

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lunedì, 16 agosto 2010; 14:42


«Sequestrati i conti di Acqualatina»


Crocetti, del Consorzio di bonifica: «Stiamo rateizzando le somme che ci devono»

La Gerit ha bloccato i conti correnti di Acqualatina, su richiesta del Consorzio di bonifica, che pretende il pagamento degli arretrati sulla gestione del servizio delle acque bianche. A darne notizia proprio il Presidente del Consorzio Carlo Crocetti, che in questi giorni sta fronteggiando anche l’emergenza legata al mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti. «La Gerit - spiega Crocetti - ha bloccato i conti di gestione della società per azioni, che non ha versato nelle nostre casse le somme dovute, come prevedeva la sentenza del Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio. L’ente Consorzio quindi, ha chiesto l’incasso del dovuto ed ora i vertici di Acqualatina (che contro la sentenza del Tar hanno presentato ricorso) stanno trattando la rateizzazione delle somme dovute per sbloccare i propri conti». State trattando un accordo - chiediamo a Crocetti - che farebbe comodo ad entrambi? «Non è una trattativa - spiega Crocetti - ma un contenzioso tra due enti, in cui saranno i legali a trovare una strada per il compromesso. Noi chiediamo le somme dovute, secondo un contratto siglato a suo tempo fra il consorzio e l’Ato4. Il tribunale ci ha dato ragione e adesso la Spa chiede la rateizzazione delle somme. Una manovra che non ha senso se non si chiude tutto il contenzioso aperto, compreso il ricorso presentato da Acqualatina, che non ritiene di doverci versare le somme più volte richieste». Il contenzioso su cui si è espressa la sezione di Latina del Tar del Lazio, vede coinvolti il Consorzio di Bonifica, la Regione Lazio, l’Ato4 e la Provincia di Latina. Il Tribunale ha riconosciuto le ragioni della giunta regionale a scapito della Spa Acqualatina chiamata a saldare ai Consorzi 4,5 milioni di euro. Alla sentenza si è opposto anche l’ente Provinciale guidato da Armando Cusani, che ha dato ai legali mandato per contestare la decisione. «Ricordiamo - hanno fatto sapere dall’ente di via Costa in occasione della sentenza - che la Regione Lazio pretende, erroneamente, che le spese di gestione e manutenzione dei canali di Bonifica siano poste a totale carico del Servizio Idrico Integrato e quindi sulle bollette che i cittadini pagano. Mentre la legge Galli e poi ancora quella regionale d’attuazione escludono dalla gestione del Servizio Idrico Integrato sia le acque superficiali sia le cosiddette acque bianche, cioè, quelle piovane». Detto questo Cusani ha espresso parole di lode nei confronti dei Consorzi di bonifica, per il prezioso lavoro svolto quotidianamente. Resta il fatto che il contratto originario proposto e firmato da Acqualatina comprendeva anche il trattamento delle acque bianche e il pagamento delle somme dovute, non potrà non incidere sulle prossime bollette.
Elisabetta Bonanni

Fonte: La Provincia

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lunedì, 16 agosto 2010; 14:29