lunedì 23 gennaio 2012


 "Libera acqua in libero stato: no alla privatizzazione"

Cronaca | Paola Zanca

Contro corteo a Roma: "Caro-tariffe del 64%"
Di azzurro, qui c’è solo l’acqua. Dipinta sulle guance, disegnata sui rubinetti di cartapesta. Sono quelli che il governo ha deciso di chiudere. A tutti quelli che non pagano. Ieri, per le strade di Roma, una gran folla di persone - 200mila secondo gli organizzatori - è venuta a dire che per l'acqua soldi non ne vuole dare: perchè è un bene di tutti. Chiedono un referendum per abrogare il decreto approvato dal governo (con tanto di fiducia) che stabilisce che entro dicembre 2011 la gestione del servizio idrico dovrà aprirsi al mercato, con quote del 40% di capitale privato. "Sindaco, svegliati, l’acqua non è più tua", gridano i manifestanti. Di sindaci, in piazza, ce ne sono tanti. Agliana, Modica, Vittoria, Melilli, Lanuvio, alcuni dei gonfaloni in testa al corteo. Bengasi Battisti il sindaco lo fa a Corchiano, un paese in provincia di Viterbo. É del Pd. "Il mio partito non ha aderito alla manifestazione – dice – ma io sono qui lo stesso". Battisti è uno dei 200 primi cittadini – alcuni anche del Pdl – che fanno parte del Coordinamento enti locali per l’acqua pubblica. Tutti hanno votato ordini del giorno o inserito nello statuto comunale il principio per cui l’acqua è un bene comune, privo di rilevanza economica ed è un diritto dell’uomo.

Hanno ben chiaro in testa che cosa significa privatizzazione: "Diminuiscono gli investimenti da 2 miliardi a 700 milioni di euro – spiega il sindaco – Si perde il 30% dei posti di lavoro, aumentano del 20% le perdite d’acqua e le bollette lievitano del 64%". Numeri che parlano da soli. E infatti, dice Battisti, "su questo, la gente è con noi". La gente, per esempio, è Gianni Fabiani. Settantaquattro anni, pensionato, iscritto alla Cgil, viene da Treviso. "La vede questa goccia?", dice indicando il blu che ha dipinto sulla guancia. "Se la diamo in mano agli strozzini ce ne lasceranno un po’ o dovremo pagare tutto?". Quando gli chiedi la differenza tra questo corteo e quello del Pdl fa la faccia scura: "Quelli hanno un interesse forte per loro, noi per la comunità. Ma siamo vigili, non passeranno". Vigile, e parecchio arrabbiata, è anche Antonella Renzullo, 54 anni da Portici. È a Roma con il Comitato beni comuni della sua città, a sostenerli c’è anche la parrocchia. "Per molti di noi – racconta – questo viaggio è come un pellegrinaggio: il mondo è pieno di persone assetate dalle multinazionali, noi rischiamo di fare la stessa fine".

Colpa dell'arroganza del governo: "In Parlamento c’è depositata una proposta di legge di iniziativa popolare, sostenuta da 500mila cittadini, che definisce l’acqua bene comune e dice che va gestita senza profitto. E il governo che fa? Mette la fiducia su un decreto che impone tutto il contrario". E gli italiani in piazza per il Pdl? "Ognuno è libero di manifestare per chi crede. Ma c’è chi è venuto qui a proprie spese e chi per arrivare a Roma ha preso i soldi. Il potere economico compra anche le coscienze". "Lucrare sui bisogni primari – le fa eco Elena, 28 anni, di Capannori, provincia di Lucca – è l'apice di una politica che è solo tutela dell'interesse privato e non della collettività". I numeri sono strani. In tanti (nemmeno troppi) a difendere uno. In pochi (nemmeno troppi) a pensare a tutti.

Da Il Fatto Quotidiano del 21 marzo


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domenica, 21 marzo 2010; 16:42


Gli impagabili inondano la capitale

E’ terra, è acqua, è democrazia. Sono i beni comuni, quell’insieme di diritti naturali e essenziali, che compongono il nostro quotidiano. Qualcosa che hanno già capito le grandi aziende multiutility: «Gestiamo l’essenziale della vita», recita, non a caso, lo slogan della francese Suez. Sabato i beni comuni avevano duecentomila volti, differenti tra loro, ma con storie e lotte che riproducevano l’intero paese. In prima fila il grande popolo dell’acqua pubblica, raccolto dietro la sigla del Forum nazionale, che da quattro anni ha iniziato una rivoluzione silenziosa ma terribilmente efficace. E poi, a seguire, le tantissime vertenze sull’ambiente, sui territori divenuti terre di conquista per le ecomafie, sui veleni industriali e sociali che stanno intaccando il quotidiano, la stessa aria da respirare e la stessa acqua da bere.
Comitati contro le discariche della Campania, i No Tav scesi dalla Val di Susa, i gruppi nati intorno alla lotta contro la base Dal Molin, i comitati calabresi con ancora negli occhi le manifestazioni contro la costruzione del ponte e per la verità sulle navi dei veleni. Storie che si incrociavano, mentre il corteo scendeva - imponente - lunga via Cavour, entrando nei Fori imperiali, sfiorando il  Campidoglio, dove la giunta Alemanno sta preparando l’atto finale della storia centenaria di Acea, affidandola definitivamente ai privati.
E’ festa, è entusiasmo ed è voglia di riprendersi la vita. Gli slogan cercano di riprodurre in qualche modo questo strano mondo del movimento dei beni comuni. «Terra vuol dire democrazia», grida un gruppo che vuole unirsi idealmente alla lotta dei palestinesi, poi non così lontana dal movimento per l’acqua pubblica. O ancora «più società e meno spa», tanto per far capire quale sia l’alternativa alla gestione privata dell’acqua, dei rifiuti, del quotidiano. La
questione, da queste parti, è chiara e semplice: non possono essere i consigli di amministrazione a gestire i nostri territori. Si deve ritornare ai consigli comunali e poi alla gestione partecipata, ricordava ieri Marco Bersani delForum italiano dei movimenti per l’acqua. Ed è questo il percorso di quattro anni che è sfociato nella manifestazione romana. Lo ricorda Patrizia, dell’Abruzzo social
forum: «Il consiglio comunale de L’Aquila ha votato tre mesi fa la dichiarazione dell’acqua come bene senza rilevanza economica». Ovvero un passaggio che sottrae - simbolicamente e politicamente - le risorse idriche dal decreto Ronchi, la legge che consegna la gestione dell’acqua alle multinazionali.
Il corteo era aperto da un unico striscione del Forum, seguito immediatamente dai gonfaloni dei comuni. Perché è dai consigli comunali, da quella parte di istituzioni più vicine al quotidiano e ai beni comuni, che sta ripartendo nel paese la vera resistenza alle privatizzazioni, ai veri interessi della destra al governo. Sono duecento cinquanta i comuni che già hanno cambiato lo statuto, inserendo il principio della non rilevanza economica dell’acqua. Comuni come quello di Napoli, in prima fila nella manifes-t-azione di ieri. O come quello di Bassiano, mille e seicento abitanti e una resistenza strenua contro Acqualatina, che si è presa gli acquedotti usando commissari di governo, per vincere con la
forza la resistenza dei sindaco e dei consiglieri. O ancora, come quello di Lanuvio, paesino della provincia di Roma, dove l’acqua da tre anni è gestita da Acea.
L’altra parte del vasto movimento sono i lavoratori. I dipendenti di Hera - il gestore multiutility emiliano, da poco quotato in borsa - hanno ben chiaro qual è l’impatto della privatizzazione anche per chi lavora nelle spa. «Da quando siamo diventati a tutti gli effetti una società privata - racconta un delegato di Hera - c’è stata una riduzione del personale del 30%, con l’esternalizzazione di molti servizi operativi». Come quello, poco redditizio per i privati, della gestione dei depuratori nella zona appenninica. Gestioni che incidono direttamente sulla qualità della vita delle comunità locali, che ora si trovano davanti bollette stratosferiche per poter garantire il profitto dove prima esisteva il servizio pubblico. «E noi lavoratori sappiamo - continuano i dipendenti di Hera - che ora è peggiorata la qualità del servizio per gli utenti». Qualità che nella gestione
dell’acqua e dei rifiuti ha un impatto diretto sulla vita.
Enti locali, cittadini e lavoratori, tre pezzi di un movimento intenso, che riesce a tenere da parte - senza escluderli però - i partiti della sinistra. Questo era il volto del corteo dei duecentomila militanti per i beni comuni, che ha messo in prima fila il missionario comboniano padre Alex Zanotelli, lasciando in coda i pezzi dei partiti politici. C’era Sel, c’era Rifondazione, Sinistra critica, i Verdi di
Bonelli, l’Italia dei valori e altre sigle della sinistra. Non da protagonisti per una volta, lasciando il ruolo di primo piano alle centinaia di comitati locali. E anche le sigle storiche e nazionali dell’ambientalismo - come il Wwf e Legambiente - pur facendo parte a pieno titolo del Forum, hanno accompagnato il corteo con una presenza in secondo piano. «Vedi quello che ci unisce al movimento dell’acqua -
spiega Giovanni del comitato contro la discarica di Caiano e Marano, in Campania - sono persone come Alex Zanotelli, che sul territorio ci fanno conoscere, ci mettono in contatto». Una rete diffusa, che si è presentata a Roma, con tutta la sua forza.
E forse anche per questo, anche per questa differenza che spiazza, i media mainstream hanno quasi ignorato il lungo corteo, puntando le telecamere solo su Berlusconi. «A noi non ci paga nessuno», dicevano tantissimi cartelli portati dal popolo dell’acqua. L’unico riferimento, pieno di orgoglio, all’altra manifestazione. Pochi, pochissimi erano gli slogan verso Berlusconi, molto meglio, per chi difende i beni comuni, proporre l’altro mondo possibile. E chissà forse proprio questa piazza ha decretato la fine inesorabile del cavaliere.

di Andrea palladino

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sabato, 20 marzo 2010; 07:47


In piazza per l'acqua bene comune



 La manifestazione del 20 marzo è solo il primo passo di una vasta campagna per la ripubblicizzazione dell’acqua. E’ un passo fondamentale, di fronte ad un governo che voleva chiudere la vicenda con il decreto Ronchi - con un articolo inserito in un provvedimento di legge su cui è stata chiesta la fiducia -, ovvero con un vero colpo di mano tentato nel silenzio più totale. Noi vogliamo, perciò, mostrare al governo che la partita è tutt’altro che chiusa, anzi, si è completamente riaperta. 
Il primo passaggio è la manifestazione di oggi che ha il valore aggiunto di riportare in piazza il popolo dell’acqua - che dopo la manifestazione del 2007 è ulteriormente cresciuto - e tutte le altre lotte per i beni comuni. Noi abbiamo sempre detto che l’acqua è un paradigma e che quello che vale per l’acqua riguarda tutti i beni comuni naturali e sociali e, in buona sostanza, riguarda la democrazia. 
Il secondo passaggio sarà la stagione primaverile che vedrà da metà aprile a metà luglio una grande campagna di raccolta firme per tre quesiti abrogativi per arrivare ad un referendum sull’acqua l’anno prossimo. E il senso di questo percorso è che i cittadini sull’acqua stanno dicendo chiaramente “adesso basta, decidiamo noi”. Siamo sicuri che le cittadine e i cittadini di questo paese sono a favore della tutela delle risorse idriche e della gestione pubblica e partecipativa dell’acqua .
La questione non può essere racchiusa nella dicotomia pubblico-privato. Noi vogliamo, chiaramente, che l’acqua sia fuori dal mercato e che i profitti siano fuori dall’acqua e che quindi i privati non intervengano sulle risorse idriche. La gestione pubblica, però, pur essendo necessaria, non basta. Se in questi vent'anni è passato il concetto che la gestione privata può funzionare, è perché spesso la gestione pubblica è stata distante dai bisogni dei cittadini tanto quanto il privato. In questo senso i cittadini molto spesso erano già stati espropriati prima delle privatizzazioni. Va quindi rifondato il concetto di pubblico riportando la gestione dell’acqua in capo alle comunità locali, ai cittadini e ai lavoratori del servizio idrico che devono poter partecipare a tutte le decisioni fondamentali. Se oggi decidono i consigli di amministrazione, la gestione deve tornare subito ai consigli comunali, ma l’obiettivo è la partecipazione, perché tutte le decisioni fondamentali sul servizio idrico non possono essere prese solo dai consigli comunali. Servono percorsi che coinvolgano nella decisione l’intera comunità locale, perché l’acqua è un bene da cui dipende il futuro delle comunità stesse.
Quello che sta avvenendo oggi con il movimento per l’acqua è un’esperienza straordinaria. E la sintesi dei tre poli che stanno alla base dei beni comuni: i cittadini che usufruiscono dei servizio, i lavoratori che lo erogano e gli enti locali, che sono i garanti dell’accessibilità e della fruibilità del servizio stesso. E’ una risposta ad una cultura - spesso trasversale - che ha ridotto il ruolo del pubblico per consegnare progressivamente tutto al mercato. Oggi saremo in piazza per indicare questo nuovo percorso.
*Forum italiano dei movimenti per l’acqua
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giovedì, 18 marzo 2010; 11:36



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giovedì, 18 marzo 2010; 11:11


CARISSIMA ACQUA

La privatizzazione dell'acqua romana è iniziata con Veltroni e Rutelli. Il salto di qualità con lo sbarco della destra in provincia e poi nella capitale, fino alle polemiche di questi giorni. Nella multinazionale Acea cresce il peso di Caltagirone e Suez Gdf. E salgono le bollette 

Aldo C. da tre anni riceve a casa una strana bolletta. Ha una pensione da poco più di 700 euro al mese e vive nelle case popolari di Velletri, città della provincia di Roma. Il mese scorso ha aperto quella busta con il logo di Acea, guardando con attenzione i due fogli pieni di cifre. Si è messo gli occhiali, per essere sicuro di leggere bene: per il 2009 deve pagare quasi 800 euro. Di acqua.

La sua casa ha un solo bagno e una cucina. Da un paio d'anni non lava più i piatti, compra al supermercato le stoviglie di plastica: «Devo risparmiare l'acqua, non riesco più a pagare queste bollette e ho paura che che mi taglino i tubi». Al condominio della zona 167 di Velletri - gestito dall'Ater - l'acqua Acea l'ha già tagliata, mettendo un grosso blocco d'acciaio, con il logo della Gori, il gestore della zona del vesuviano, in provincia di Napoli. Perché in una multinazionale si ottimizza tutto, anche i sistemi per togliere l'acqua alle famiglie.

Aldo C., scorrendo la sua bolletta, non può leggere una sorta di tassa che paga in nome della privatizzazione dell'acqua. Si chiama «remunerazione del capitale investito», corrisponde al 7% ed è nascosta nella tariffa, molto nascosta. Su nessuna bolletta in Italia è riportata con chiarezza, ma dove c'è un gestore privato - ovvero una società per azioni - e dove non ci sono più i comuni, le famiglie pagano questa percentuale fissa, su ogni investimento fatto. Ma in realtà le cifre milionarie che le multinazionali incassano vanno ben oltre il semplice ricavo sugli investimenti reali.

Il primo gestore idrico italiano è la romana Acea, che a breve verrà ulteriormente ceduta al capitale privato. Oggi il 51% delle azioni è in mano al Comune di Roma, che trasformò nel 1998 l'ex azienda pubblica in società per azioni. Nel giugno del 1999 il 49% delle azioni venne collocato sul mercato borsistico, mantenendo, però, due grossi investitori privati. Il primo oggi è la francese Suez Gdf, che controlla quasi il 10% delle azioni ed esprime due consiglieri di amministrazione; il secondo è il romanissimo Francesco Gaetano Caltagirone, che dopo l'elezione di Alemanno è salito dal 4% a quasi il 9% del pacchetto azionario, diventando il competitor interno di Suez Gdf, società che è cresciuta in Acea sotto il governo di Rutelli e di Veltroni.

Aldo ricorda le bollette che gli arrivavano dal Comune di Velletri, prima che Acea divenisse il gestore dell'acqua dell'intera provincia romana: «Pagavo molto meno, non capisco cosa sia avvenuto». Basta in realtà leggere i numeri riportati sui bilanci e nella documentazione finanziaria custodita nei palazzi della provincia di Roma, dove funziona l'Ato 2, l'organismo dei Sindaci che - almeno sulla carta - dovrebbe controllare l'operato di Acea, per iniziare a capire meglio il peso della privatizzazione. C'è quell'espressione - magica per le società multinazionali - introdotta dalla legge Galli del 1994 e riaffermata nel corso degli anni: remunerazione del capitale investito. E' normale, dice il mercato, pagare il rischio d'impresa. Ma smontando le cifre di Acea la realtà è ben differente.

Nel 2003 (primo anno della gestione privatizzata di Acea in provincia di Roma), la remunerazione del capitale è stata pari a 62,9 milioni di euro; nell'ultimo bilancio, la cifra è salita fino a 73,9 milioni di euro. Dal 2003 al 2008 Acea ha incassato una cifra totale di 404,3 miloni di euro. Solo per la remunerazione degli investimenti, ovvero soldi che con la gestione pubblica sarebbero andati - a parità di tariffa - in acquedotti e impianti. Ma quali sono gli investimenti che Acea ha realizzato dal 2003 al 2008? Di poco superiori, 421,8 milioni di euro. Qualcosa non torna. Per capire il meccanismo dobbiamo tornare al 2002, all'anno in cui l'assemblea dei Sindaci della provincia di Roma affidò - senza gara - il servizio ad Acea. All'anno zero della gestione, ovvero il 2003, nella contabilità dell'Ato 2, risulta un capitale investito di 894,3 milioni di euro. Cifra che corrisponde al valore del ramo idrico di Acea. E' bene sapere che in questa cifra non è inclusa la proprietà delle reti e degli acquedotti che, per legge, rimangono intestati ai comuni. Si tratta di un valore fortemente immateriale, che deriva dal posizionamento nel mercato, dal management, dalla conoscenza. Ed è per questo che l'assemblea dei sindaci del 26 novembre del 1999 - dove partecipò uno schieramento assolutamente bipartisan, da Michele Meta, all'epoca assessore regionale dei Ds della giunta Badaloni, fino a Silvano Moffa, Pdl, ex presidente della provincia di Roma, veri padri politici della privatizzazione dell'acqua nel Lazio - aveva stabilito che serviva una perizia del Tribunale di Roma per valutare quanto valesse il settore idrico di Acea. Da quella cifra sarebbe, infatti, derivata parte della tariffa e la remunerazione del capitale per il gestore. Di quella perizia, però, non c'è traccia. Anzi, secondo al Segreteria tecnica operativa «non è stata mai redatta».

Il vero nodo è dunque quanto poi alla fine pesi l'interesse di una società per azioni di fronte ai deboli controlli lasciati al pubblico. E anche le dichiarazioni di ieri dell'esponente del Pdl romano, Federico Guidi, danno l'idea di come in Acea prevalga oggi la parte privata. Le critiche all'ulteriore privatizzazione venute dalla sinistra, secondo Guidi, «rischiano di destabilizzare un'azienda quotata in borsa». Il centrodestra punta a difendere il business idrico, dove i rischi d'impresa per i privati sono vicino allo zero. E dove gli unici che rischiano veramente sono le famiglie, come quella di Aldo C., con una bolletta dell'acqua che oggi non riesce più a pagare.

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martedì, 09 marzo 2010; 22:45

   
Acea, concluso con successo lancio bond

(Teleborsa) - Roma, 9 mar - Acea ha concluso oggi con successo l'emissione di un prestito obbligazionario per un importo complessivo di 500 milioni di euro della durata di 10 anni, a tasso fisso, collocato esclusivamente presso investitori istituzionali sull'Euromercato. Lo si legge in una nota.
Le obbligazioni, che hanno un taglio unitario minimo di 50 mila euro e scadono il 16 marzo 2020, pagano una cedola lorda annua pari al 4,5% e sono state collocate a un prezzo di emissione pari a 99,779. Il tasso di rendimento lordo effettivo a scadenza è pari a 4,528%, corrispondente ad un rendimento di 120 punti base sopra il tasso di riferimento (mid-swap a 10 anni). Le obbligazioni sono regolate dalla legge inglese. La data di regolamento è stata fissata il 16 marzo 2010. Da tale data le obbligazioni saranno negoziate presso il mercato regolamentato della borsa del Lussemburgo, dove sarà depositato un prospetto informativo.
L'operazione di collocamento è stata curata da Banca IMI, BNP Paribas, Mediobanca, MPS Capital Services e UniCredit Bank quali Joint Bookrunners.
E' previsto che Standard & Poor's e Fitch attribuiscano all'emissione un rating rispettivamente pari ad A- e A+. 

http://www.teleborsa.it


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lunedì, 08 marzo 2010; 07:52





A Montecitorio la Lega propone, la maggioranza decide, il resto d'Italia assiste alla decretata morte di Ato idrici e Ato rifiuti: soppressa con l'emendamento “comma quinqiues all’art.1” del decreto legge n°2 del 25 gennaio 2010, titolato “interventi urgenti per enti locali e regioni”, l'esistenza degli Ato rifiuti e degli Ato idrici.
La Regione Sicilia si era affannata, non senza fatica, a ridurli di numero, da 27 a 9, uno per provincia, cercando di sgravare le spese che li accompagnano senza traumi. Che tipo di conseguenze questa decisione potrebbe comportare in Sicilia, forse, è ancora troppo presto per stabilirlo. Anche all'interno dello stesso schieramento politico, il Partito Democratico, i pareri sembrano non del tutto allineati.
Se per Franco Piro, della direzione regionale del Pd, "il testo di riforma della filiera dei rifiuti del governo regionale prevede un sistema fondato sugli Ato e sulla gestione unica territoriale basandosi sull’art 201 del decreto legislativo 152/06; proprio quello che è stato abrogato, ieri, dalla Camera. Non c’è dubbio, si tratta di un intervento di legge radicale che cambia tutti i termini e moduli gestionali nei settori regionali dei rifiuti e dell’acqua che impone la necessità di una riflessione attenta sul ddl di riforma del sistema rifiuti in Sicilia sul quale si sta discutendo all’Ars”.
L'Assemblea Regionale sta affrontando proprio in questi giorni la sua riforma dei rifiuti Rimarrà dunque bloccata? Si dovrà ricominciare da capo? Secondo il deputato messinese del Pd Giuseppe Picciolo, invece, la portata "rivoluzionaria" della scelta presa alla Camera, destinata comunque a passare al vaglio del Senato prima di diventare legge, non esiste, almeno sul piano politico: "L'intenzione è sempre stata quella di eliminare gli Ato. L'onorevole Laccoto aveva già depositato in Parlamento la richiesta di immediata abolizione degli Ato, soprattutto di quello idrico, una vera e propria truffa per i cittadini. Avevamo già pensato ad una misura transitoria alla Regione, per recepire la norma in attesa di emenare il provvedimento di legge, che richiede più tempo. Di sicuro c'è che dovranno scomparire: noi stiamo addirittura cercando di avvalerci dell'autonomia legislativa di cui gode la Sicilia per anticipare i tempi".
La fine delle società d'ambito è dunque segnata. Una questione di tempo, di iter legislativi, di passaggi burocratici. Che si tratti della prosecuzione di una rivoluzione già iniziata o di una scelta epocale da parte della Camera, comunque, pare che anche in Sicilia acqua e rifiuti non passeranno più dagli Ato.
http://www.98cento.it

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