sabato 27 luglio 2013

Larghe intese contro l'acqua pubblica









Democrazia a casa nostra: tutti uniti, destra ed ex sinistra, quando rispettare la volontà popolare significa contrastare consistenti interessi privati Lo sporco lavoro del governo Letta. Fino a quando abuseranno della nostra pazienza? Il manifesto, 27 luglio 2013
1. L'allarme lanciato venerdì dal manifesto sull'intenzione politica di far tornare l'acqua di Napoli in mano ai privati è più che giustificato. La proposta di legge della giunta Caldoro, nel ridisegnare i confini degli ambiti territoriali ottimali in cui è suddiviso il servizio idrico in Campania e quindi l'affidamento dello stesso, appare esattamente congegnata per provare ad affossare la prima esperienza di ripubblicizzazione definitivamente completata dopo i referendum di 2 anni fa, quella che si è costruita attorno alla nuova Azienda speciale Abc di Napoli.

Quello che però va rimarcato non è solo la gravità di questo disegno, ma che esso è ben lungi dall'essere un fatto isolato ed estemporaneo. In realtà, dopo il periodo che va dalla fine dell'anno scorso alla primavera di questo, in cui l'esempio di Napoli stava contagiando altre importanti realtà territoriali del Paese, da Reggio Emilia a Vicenza, da Palermo a Torino e altre ancora e si stava delineando un quadro che faceva balenare come possibile la ripubblicizzazione del servizio idrico nel Paese procedendo per progressive "conquiste" territoriali, da un po' di tempo in qua ( da quando è nato il governo Letta, potrebbe pensare qualche persona maliziosa come il sottoscritto) l'aria sembra improvvisamente cambiata. C'è in corso un tentativo di isolamento del percorso di Reggio Emilia in quella regione, dove assistiamo ad una sempre più marcata titubanza del comune di Piacenza ad incamminarsi sulla strada della ripubblicizzazione, cosa che pareva assodata qualche mese fa e che ora, invece, sembra nuovamente propendere per la ricerca di un partner privato e dove il comune di Rimini, altra situazione dove la concessione è scaduta e dove la ripubblicizzazione è possibile, pare orientarsi per costituire una società mista con l'ingresso di un soggetto privato. In Sicilia il governo Crocetta ha deciso di mettere da parte la proposta di legge di iniziativa popolare promossa a suo tempo dal Forum siciliano per l'acqua, sostenuto da più di 135 amministrazioni locali e da 35.000 siciliani, per approdare ad una soluzione "gattopardesca" che, nella sostanza, lascerebbe inalterato il quadro di gestione privatistica lì esistente. A Mantova da lungo tempo, ancora da prima del referendum, era iniziata e poi si era fermata la procedura di gara per la scelta di un socio privato nella gestione del servizio idrico e ora, invece, proprio in questi giorni, siamo in presenza di una fortissima accelerazione per giungere a quell'esito. Potrei continuare ancora in quest'elenco che inizia ad essere troppo lungo per essere considerato un fatto casuale. 

L'ultima citazione, però, se la merita la vicenda torinese: lì il Consiglio comunale, all'inizio di marzo, aveva approvato una delibera, non del tutto convincente, ma che comunque apriva la strada alla possibilità di trasformare il soggetto gestore Smat, SpA a totale capitale pubblico, in Azienda speciale. Qualche giorno fa la Provincia di Torino, con una delibera sostenuta da uno schieramento di larghe intese, sbarra la strada a quest'ipotesi, con una serie di motivazioni inconsistenti e addirittura tenendo a precisare nel testo della stessa delibera (sic!) che " l'approvazione delle presenti linee di indirizzo si pongono in naturale contraddizione con l'approvazione della proposta del Comitato Acqua Pubblica ( noi e il comitato torinese l'avevamo capito bene, ma forse bisognava spiegarlo a qualche consigliere provinciale !). Siamo in "trepida" attesa di conoscere l'intendimento del sindaco Fassino e del Consiglio comunale, con la curiosità di capire se esso confermerà la delibera approvata a suo tempo oppure se si piegherà al diktat dell'Amministrazione provinciale. 

2. La questione, peraltro, non si ferma qui, al tentativo di chiudere gli spazi che si erano aperti in molte realtà territoriali. C'è qualcosa di ancora più inquietante, vari tasselli che iniziano a comporre un mosaico che sembra andare in un'unica direzione. Qualche giorno fa al Ministero del Tesoro si è tenuta una riunione per studiare sul come dare applicazione ad un provvedimento previsto dal decreto liberalizzazioni del governo Monti ma mai attuato, e cioè l'assoggettamento delle SpA a totale capitale pubblico e delle Aziende speciali al Patto di stabilità previsto per gli Enti locali: non c'è bisogno di dire che tale ipotesi equivale da sola ad aprire un nuovo ciclo di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, rendendo nei fatti impraticabili tali forme di gestione. 

Ancora meno simpatici sono gli avvertimenti che arrivano dall'Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale: la prima, alla fine di maggio, nel momento in cui ha chiuso la procedura di deficit eccessivo relativa al nostro Paese, tra le felicitazioni pressoché unanimi, ha formulato 6 raccomandazioni al governo Letta, tra cui spicca quella di " promuovere l'accesso al mercato per la prestazione dei servizi pubblici locali"; il secondo, al termine della sua consultazione con il governo italiano il 4 luglio, ha redatto un documento, passato all' "onore" delle cronache giornalistiche per la sua ingerenza in tema di IMU, in cui si legge testualmente che " l'agenda delle privatizzazioni, specialmente a livello locale,...deve essere implementata velocemente". 

Se a ciò aggiungiamo le recenti dichiarazioni di Letta, davanti ai banchieri della City londinese, e di Saccommani al recente vertice del G-20 a Mosca, con le quali si evidenziano le forti possibilità esistenti rispetto a nuove privatizzazioni, iniziando dalle grandi SpA pubbliche nazionali per finire a quelle locali, non ci vuole molto a comprendere che siamo in presenza di un'idea corposa, in base alla quale un governo, incapace di affrontare i veri nodi della crisi se non propagandando l'ideologia delle grandi opere e una nuova iniezione di flessibilità ( ma è più serio dire precarizzazione) del lavoro, sceglie di fare di un nuovo ciclo di privatizzazioni uno dei volani, peraltro destinato a dare risultati fallimentari, della propria azione. Che, molto probabilmente, si proverà a costruire, sempre che il governo ci sia ancora, con la prossima legge di stabilità dell'autunno, magari anche con una nuova legge sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali volta ad impedire il ricorso all'azienda speciale. 

3. Si deve sapere che questo progetto urta violentemente contro la volontà della maggioranza assoluta del corpo elettorale che si è espresso 2 anni fa con i referendum sull'acqua e che troverà sulla sua strada l'insieme del variegato movimento dell'acqua, che, nonostante tanti detrattori e, a parte lodevoli eccezioni, tra il silenzio assoluto dei mass-media, ha continuato a lavorare in questi anni che ci hanno separato da quella scadenza, dimostrando una persistenza che è stata e sarà il più forte ostacolo per chi vorrebbe ignorare e contraddire quell'esito referendario. Abbiamo praticato l' "obbedienza civile" per il rispetto del risultato referendario sulle tariffe del servizio idrico, violato palesemente dall'Authority per l'Energia elettrica e il Gas, e, proprio per questo, impugnato in sede giudiziaria quel provvedimento; abbiamo promosso una forte iniziativa nei territori per la ripubblicizzazione del servizio idrico, elaborato proposte sul finanziamento del servizio idrico e per promuovere gli investimenti, sollecitato la nascita dell'Integruppo dei parlamentari per l'acqua pubblica per ripresentare la proposta di legge per il governo e la gestione pubblica dell'acqua e del servizio idrico. Andremo ancora avanti nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, sapendo che la nostra è una battaglia che riguarda l'insieme dei soggetti che si battono per i beni comuni e per la democrazia: ma di questo, e delle iniziative da mettere in campo, avremo senz'altro modo di tornare a parlare. 

L'autore è un autorevole esponente di  Funzione Pubblica  Cgil  e del Forum Italiano Movimenti per l'Acqua, ed è stato uno dei protagonisti della battaglia per il referendum

www.ilmanifesto.it

martedì 23 luglio 2013

L'acqua dei romani










Su un totale di 2.359.119 aventi diritto di voto, i cittadini romani che si sono recati al seggio alle scorse amministrative - 26-27 maggio - sono stati 1.245.927, pari al 52,81% - 45,05% al secondo turno.
Bene, dei 27 milioni di italiani che nel 2011 hanno votato contro la privatizzazione del servizio idrico, 1.200.000 erano romani. Ne deriva che le scelte che l'amministrazione capitolina compirà in merito alla gestione del servizio idrico sono prima di tutto una questione di democrazia.

Una verifica ulteriore della rappresentatività della politica di fronte alla reale volontà degli elettori. In effetti già con la delibera n. 585/2012/R/IDR l'Autorità per l'Energia Elettrica e per il Gas ha riproposto,attraverso la nuova tariffa idrica, una“remunreazione finanziaria ” che altri non è che quel famigerato 7%, ovvero quella remunerazione del capitale investito che il referendum aveva bocciato, ma che lo Stato, ovvero noi utenti attraverso la bolletta dell'acqua, continua ad assicurare al gestore privato “a prescindere”, come direbbe Totò.

Già da tempo gli elettori hanno dimostrato in vari comuni d'Italia cosa pensano di questa nuova tariffa attraverso la “campagna di obbedienza civile”. In molte località infatti si sono costituiti gruppi di cittadini che hanno deciso di ottenere il rispetto del risultato referendario, attraverso lo scorporo dalla loro bolletta dell'acqua di questo 7%. Sono oramai centinaia di migliaia le vertenze portate avanti in tutta Italia nei confronti di diversi gestori idrici, tutte accomunate dal ricalcolo della bolletta e dalla pretesa di obbedianza della volontà di quei 27 milioni di cittadini.

Il coordinamento romano acqua pubblica, che a Roma porta avanti questa vertenza, ha recentemente chiesto di incontrare il nuovo sindaco di Roma, Ignazio Marino, per poter discutere del modello di gestione dell'acqua dei romani.
Il coordinamento ha fornito allo staff del neosindaco una relazione molto approfondita sulle criticità dell'attuale modello, spiegando anche quali vantaggi si avrebbero attraverso il ritorno ad una gestione pubblica. 

L'attuale gestore del servizio idrico di Roma e provincia, Acea Ato 2 spa, vede drenare tutti i suoi profitti, in media 50 milioni di euro l'anno, in direzione della holding Acea spa.

Di contro la casa madre Acea spa, presta al gestore le risorse necessarie allo svolgimento dell'atttività ordinaria, ad un tasso di interesse di mercato.Questo meccanismo ha creato un buco nel bilancio di Acea Ato2, con un indebitamento che è passato da 345 milioni nel 1999, agli 844 milioni attuali. 

Dal punto di vista dei ricavi, ad un aumento dei dividendi, passati nel 2012 a 64 milioni di euro, ha corrisposto una riduzione degli investimenti programmati, nel complesso pari a 104 milioni di euro, a fronte dei 202 inizialmente previsti.
Tale situazione ha impedito al gestore di fare gli investimenti necessari, in particolare i dearsenizzatori previsti in varie località, col risultato di arrivare ad erogare acqua con percentuali di arsenico superiori a quelle consentite per legge.

Oltre all'arsenico il gestore ha dovuto fronteggiare la questione delle perdite: la mancanza di risorse ha infatti impedito ad Acea Ato 2 di sostituire in molte occasioni le condutture, con un aumento esponenziale delle perdite dalla rete idrica.

Nel rapporto intitolato “Le società controllate dai Comuni italiani: costi, qualità ed efficienza, realizzato per conto di Civum dall'Ufficio Studi di Mediobanca, si legge chiaramente come l'ex municipalizzata del Comune di Roma perda ogni giorno 67.914 litri di acqua per chilometro di rete idrica, contro i 51,183 dell'Acquedotto Pugliese, secondo in classifica.

I tagli dei costi all'interno dell'azienda sono stati declinati nella forma delle esternalizzazioni. I servizi di call center sono stati affidati ad aziende esterne. Analoga sorte è toccata al software per la fatturazione delle bollette dell'acqua, esternalizzato alla Engeneering spa.
 Il risultato in quest'ultimo caso è stato che da anni l'amministrazione di Acea sforna bollette sbagliate, con spesso notevoli aggravi nella fattura dell'acqua degli utenti e conseguenti contestazioni e congestionamento nell'ufficio reclami di piazzale Ostiense.

Altra conseguenza delle esternalizzazioni sono i distacchi per morosità, appaltati a società esterne prive di qualsiasi responsabilità, con un aumento esponenziale dei costi per il riallaccio del servizio. 

Le esternalizzazioni oltre a ridurre il livello di professionalità dei dipendenti, spesso scarsamente formati, disperdono in un meccanismo di scatole cinesi la responsabilità della gestione e delle inefficienze. Oltre a questo, creano delle profonde sperequazioni dal punto di vista del trattamento economico, distinguendo i nuovi lavoratori assunti con contratti precari, dai lavoratori più vecchi.

In merito al contratto di gestione in forza del quale Acea Ato2 svolge il servizio, ci troviamo di fronte ad un affidamento diretto ad spa mista, illegittimo in base alla normativa europea, che prevede questo tipo di affidamento solo in caso di gestione “in house”, ovvero svolta da una spa interamente pubblica. 

A parte l' illegittimità del titolo, il giudizio espresso dai comuni della provincia di Roma è abbastanza eloquente: a partire dal 1997 data in cui Acea è stata privatizzata, dei 111 comuni che ricadono nell'ATO 2, solo 72 hanno deciso di affidare il servizio ad Acea Ato2. Ne sono rimasti fuori anche comuni importanti come Ladispoli e Civitavecchia.

Altro tasto dolente è l'approvvigionamento idrico. E' infatti da tempo in corso presso il Tribunale di Roma un contenzioso tra il Consorzio Media Sabina e Acea Ato2 spa. La ragione del contendere riguarda il contratto di sfruttamento del bacino del Peschiera, da cui Acea Ato2 ha fino a poco tempo fa attinto, senza mai pagare nulla. 
Acea Ato2 chiede il pagamento di alcune fatture non saldate, minacciando il distacco della fornitura, il Consorzio invece chiede la restituzione degli importi corrisposti a partire dal 1990, che ammontano a circa 3,5 milioni di euro. 
 Le sorgenti del Peschiera sono state fino a poco tempo fa la principale fonte di approvvigionamento per Roma, assieme al Lago di Bracciano. 

Finchè i ricavi derivanti dalla gestione del servizio saranno destinati al pagamento dei dividendi degli azionisti, la qualità del servizio non potrà che peggiorare, poiché non potranno essere effettuati tutti quegli investimenti necessari a mantenere un elevato livello qualitativo. Sostituzione della rete idrica, nuovi impianti di depurazione, dearsenizzatori, formazione del personale addetto, sono tutti investimenti da cui un servizio idrico di qualità non può prescindere.

Affidare ad un privato la gestione dell'acqua dei romani determinerebbe solo un aumento dei costi che si ripercuoterà necessariamente sulle fatture degli utenti. Le recenti eperienze di ripubblicizzazione di Parigi e Berlino, ma anche quella di Napoli, oltre all' esperienza ormai consolidata di Milano, sono li a testimoniare come l'unico modo per uscire dalla logica finanziaria e predatrice sia quello delle completa e totale ripubblicizzazione, attraverso la cotituzione di una azienda speciale, coinvolgendo nella gestione gli utenti, assieme ai lavoratori ed ai tecnici del servizio.

cm



domenica 21 luglio 2013

Turchia, la corsa per l'acqua


In una delle più belle regioni della Turchia, nella zona del Mar Nero, è prevista, e in parte è già stata realizzata, la costruzione di centinaia di centrali idroelettriche. La popolazione locale si sente minacciata e lotta per il diritto all'integrità dell'ecosistema. Un reportage


La regione del Mar Nero, una delle più belle della Turchia, avrà presto un inquietante primato: ricca di corsi d’acqua come nessun’altra zona del paese, diventerà anche quella con il numero più alto di centrali idroelettriche. Ne sono previste ben 660 solo nella tratta orientale tra Artvin e Giresun fra già operative, in fase di costruzione o di progettazione. Ma ad affiancare questi impianti di potenza superiore ai 30 MW ci saranno almeno altre duemila micro-centrali che sorgeranno sui torrenti con una portata idrica minore.
Uno scenario che la popolazione locale percepisce come una vera e propria minaccia alla propria sopravvivenza, all’integrità dell’ecosistema e della biodiversità e combatte utilizzando ogni mezzo a disposizione: con battaglie legali, organizzandosi in associazioni e, quando non resta altra via, anche in forme di guerriglia.

 

La Valle Solaklı, Karaçam e Köknar

“In passato lo stato veniva da queste parti giusto prima dei periodi elettorali. Perfino Dio si era dimenticato di noi. Tutto ciò che è stato costruito nei nostri villaggi è stato realizzato grazie alle rimesse dei compaesani che vivono all’estero. Ora ci dicono che il paese ha bisogno di energia, che dobbiamo pensare al bene della nazione e rinunciare alla nostra terra. Io sono nata qui e tutto ciò che chiedo è continuare a invecchiarci”. Remziye Oğuz è una delle duemila anime che popolano Köknar e Karaçam, due villaggi gemelli situati a 1200 metri di altitudine sulla Valle Solaklı, in provincia di Trabzon.
I due paesi sono speciali, e non solo perché i suoi abitanti sono tra le rare comunità della regione ad avere come madrelingua il greco. Da due anni a questa parte la zona è teatro di ripetuti scontri tra militari e paesani per via della ferrea resistenza dimostrata da questi ultimi alla costruzione della centrale idroelettrica Derebaşı, una delle 36 previste nella valle.
“Quando nel 2008 hanno costruito la prima centrale nella vicina Çamlıkaya nessuno si è opposto perché era un progetto di piccole dimensioni, che non ha causato danni all’ambiente”, racconta ad OBC Murat Sarı, abitante di Karaçam e membro della “Piattaforma per proteggere la Valle Solaklı”. “Oltretutto gli appaltatori erano persone del luogo e benvolute dalla popolazione. All’inizio abbiamo creduto che anche i progetti successivi avrebbero avuto lo stesso impatto sulla natura. Quando in paese hanno organizzato la prima riunione informativa, la gente non si è opposta. Ma ci eravamo sbagliati. L’abbiamo capito con la devastazione ambientale causata dall’impianto Balkondu-1 a Uzuntarla dove intere sezioni del terreno sono state disboscate. Da quel momento abbiamo iniziato a mobilitarci e ad impedire l’accesso delle società costruttrici nella valle.”
“Lo scontro più violento si è verificato il 3 novembre 2011”, prosegue Ahmet Kalma, proprietario del caffè di Köknar. “Le autorità hanno inviato nell’area un plotone composto da 668 gendarmi per accompagnare le macchine da lavoro. Di fronte alla resistenza dei paesani i militari sono intervenuti non risparmiando nemmeno le donne, peraltro, sempre tra le prime file dell’opposizione”.
“Prima dello scontro, mentre facevamo la guardia di notte sotto la neve, un anziano del villaggio è arrivato con dei sacchetti pieni di pane. Ci sembrava una scena surreale, ci sentivamo quasi sul fronte di guerra. Qualcuno ha offerto il pane anche ai gendarmi, eppure sapevamo che il giorno dopo quel pane ci sarebbe stato restituito in forma di manganellate”, proseguono i due giovani.
Entrambi hanno trascorso decine di giorni in cella. Hanno a carico diversi processi. “Ci chiamano continuamente a deporre in procura”, racconta con un sorriso Aliye Tatlı. Come molte altre donne della regione ha un forte senso dell’umorismo che trasforma la narrazione delle loro battaglie in un’avventura comico-cavalleresca. Eppure è anche molto decisa: “In questo modo pensano che ci stancheremo e che ci faranno gettare la spugna. Ma non sarà così”.
Per Karaçam e Köknar le vie di difesa legali sembrano per il momento esaurite, visto che il ricorso presentato dai due villaggi è finito in prescrizione. Dalla parte opposta hanno avversari molto forti. “La società concessionaria Derebaşı A.Ş., la cui azionista principale è la Şekerbank, ha affidato il progetto in subappalto ad una ditta che fa capo ai Saral, una potente famiglia della nostra provincia con importanti legami in politica. Tra i nomi coinvolti in primo piano figurano l’ex capo della polizia di Ankara Cevdet Saral e l’ex ministro dell’Energia Fahrettin Kurt”, spiega Sarı.
Anche se la costruzione della centrale non è ancora stata avviata, il quadro complessivo della vicenda, assieme alle intrusioni ormai quotidiane delle forze dell’ordine nella vita del paese, sembrano alimentare un senso di impotenza e di rassegnazione tra la popolazione. “La mia vita è condizionata interamente da questa situazione”, aggiunge Sarı, “ma se non opponessi resistenza morirei di rimorso in futuro”.

 

La Valle Hemşin e il Villaggio Hilal

A est di Trabzon, a partire da Sürmene, inizia la patria del tè. Nel villaggio Hilal, come in tutta la valle di Hemşin, da sei anni l’attività principale è la coltivazione del tè biologico. A lavorare la terra, come di frequente in queste zone, sono esclusivamente le donne. Abdurrahman Aydın, tornato nel 2006 ad abitare nel suo villaggio natio dopo una vita trascorsa tra Istanbul e New Orleans, negli Stati Uniti, è un capo villaggio che si fa in quattro per migliorare le condizioni di vita delle sue compaesane. Spiega che sebbene lo stato incentivi la produzione del tè biologico, poi lo acquista allo stesso prezzo di quello coltivato con i concimi chimici. I tempi di crescita del biologico sono molto più lunghi, e alla fine il suo prezzo sul mercato risulta essere tre volte superiore all’altro.
Sul futuro della valle Hemşin pendono come spauracchi tre centrali elettriche, i cui lavori sono stati per il momento bloccati. Secondo gli abitanti della zona, se gli impianti dovessero essere costruiti causerebbero dei danni irreparabili all’ambiente e alle attività agricole di tutti i villaggi della valle. Mentre un primo impianto è stato abbandonato dalla società di costruzione per propria scelta dopo l’edificazione dello sbarramento della diga, il progetto della Şaraksel Enerji A.Ş., approvato dal ministero dell’Ambiente, è stato respinto nel 2009 da una sentenza del tribunale perché privo di un rapporto sull'impatto ambientale. Un decreto che ha messo i freni anche al progetto della terza centrale della Mars Enerji Elektrik Üretim Ltd. presentato nel 2010.
“Il torrente già non è più come quello di una volta”, afferma Ayşe Aydın, “in passato il flusso era così forte che non ci faceva prendere sonno di notte. L’acqua rimasta basta appena ai nostri bisogni, se costruissero la diga sarebbe la fine per noi.” Ayşe Zorbozan e Melahat Aydın riferiscono che nei mesi invernali quasi tutti gli abitanti si trasferiscono nelle grandi città,“il paese diventa quasi impraticabile per le forti nevicate e la mancanza di infrastrutture adeguate”, spiegano. A partire da aprile inizia il ritorno e la popolazione del villaggio si moltiplica per l’affluenza dei visitatori venuti a trascorrere l’estate tuffandosi nelle acque del fiume Hemşin. “Ci piacerebbe abitare a Hilal tutto l’anno ma non è possibile. Vorremmo che ci fossero maggiori possibilità di lavoro e di attività legate al turismo.”
Tra le oppositrici più incallite delle centrali c’è anche Seher Sarıçam, 75 anni, voce acuta e un lungo bastone che accompagna il moto dei suoi discorsi. “Sai quanti mezzi devo prendere da qui per andare in ospedale a fare una visita? Almeno tre. E sai quanto costa? Prima di pensare a costruire una centrale elettrica devono metterci un ospedale qui”.
Abdurrahman Aydın è convinto che la questione di fondo delle centrali progettate nella loro valle non sia la produzione di energia, ma l’appropriamento dell’acqua.“In uno dei progetti presentati venivano descritte le caratteristiche idriche del torrente, affermando che si tratta di acqua pulita e bevibile. Perché mai si dovrebbe specificare che è bevibile se l’obiettivo è unicamente la produzione di energia?” chiede.
“Anche se non viene pronunciata apertamente l’espressione ‘privatizzazione dell’acqua’ è quello che di fatto sta avvenendo”, sostiene anche l’avvocato Yakup Okumuşoğlu, esperto di tematiche ambientali e legale in oltre una ventina di processi avviati dalla popolazione della zona contro le centrali. “Lo stato concede alle società committenti il diritto di sfruttamento dell’acqua in tratti di fiumi per 49 anni, prorogabili per altri 49. E si consideri che alcune volte su un unico fiume vengono costruite anche decine di centrali”, ricorda l’avvocato.
L’inizio del boom delle centrali idroelettriche è riconducibile al biennio 2004-2005, quando alcune riforme di legge hanno aperto le porte della produzione dell’energia elettrica alle società private. Il piano governativo mira a ricavare energia da ogni possibile risorsa idrica per contribuire a diminuire la forte dipendenza del paese da fonti di approvvigionamento estero. Il potenziale idrico nazionale ammonterebbe (ad un livello puramente teorico) a 433 miliardi di Kw/h annuali. Secondo il quotidiano Milliyet, a dicembre 2012 risultavano 985 le società titolari di un accordo di concessione per lo sfruttamento dell’acqua.
Finora le cause avviate dalle associazioni ambientaliste hanno avuto in buona parte esiti a favore dei ricorrenti. Tuttavia, recenti modifiche legislative rischiano di rendere più difficili gli interventi del tribunale in futuro. Una recente legge ha infatti abolito l’obbligo del rilascio del rapporto di impatto ambientale, mentre un’altra in parlamento prevede l’apertura delle aree protette dei parchi nazionali all’edificazione.

 

La Valle Fırtına, Çamlıhemşin

La meravigliosa Valle Fırtına è una di queste aree protette. Özlem e Özay Erol, attiviste per l’ambiente, gestiscono un motel a Çamlıhemşin, in provincia di Rize, famosa anche per l’apicoltura. Negli anni ’90 la valle ha già avuto la sua prima esperienza di lotta contro un progetto di centrale idroelettrica con esito positivo grazie alla reazione compatta della popolazione locale. “Abbiamo appena scoperto che ora se ne stanno progettando altri 7”, racconta Özlem. “La gente di questa regione ha un legame viscerale con l’acqua. Se un giorno si riproponesse il problema sono sicura che la difenderebbero a tutti i costi.”
Secondo l’attivista, per il momento, la cosa essenziale è mantenere lo stato naturale della Valle Fırtına. “Questo posto ha già ferite da curare. Il nuovo settore turistico con orde di visitatori incuranti di sporcare o danneggiare l’ambiente ha creato danni a sufficienza. È una terra difficile da abitare, ma anche molto speciale per le sue caratteristiche naturali e culturali. Quello che vorremmo è che questi due valori vengano mantenuti attraverso progetti sostenibili. Applicare le regole del capitalismo selvaggio in un’area di questo tipo creerà un danno irreparabile”.


http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Turchia-la-corsa-per-l-acqua-137988

A Tuxla Gutièrrez, Chiapas, un marcia contro la privatizzazione del servizio idrico

 
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A Tuxla Gutièrrez, Chiapas, un marcia contro la privatizzazione del servizio idrico

I cittadini raccolgono firme per una revisione del progetto di legge che privatizza il servizio idirco, chiedendo alle autorità politiche di organizzare una consultazione popolare.

San cristobal de Las Casas. Circa 500 persone hanno sfilato questo pomeriggio a Tuxtla Gutierrez nel Chiapas, per protestare contro la privatizzazione del servizio idrico e fognario comunale (SMAPA), proposta dal Consiglio e dal Congresso locale.

Un partecipante che ha chiesto di mantenere l'anonimato ha affermato che sono state raccolte già quattromila firme di persone contrarie a questo progetto, e che contano di arrivare a settemila nelle prossime settimane. Lo scopo e di raccogliere il numero di firme necessarie per poter indire un referendum popolare: Quello che chiediamo è che la proposta venga presentata a tutti i residenti per vedere quanti di loro sono favorevoli ad affidare la gestione del servizio idrico ad una società privata”. La marcia è partita poco dopo le 17 dal Bicentennial Park, situato nella zona ovest della capitale del Chiapas, e si è conclusa dopo circa un'ora con un comizio presso il Congresso locale.

L'attivista intervistato ha affermato che le mobilitazioni continueranno perchè “non credono che la gestione del servizio idrico possa migliorare una volta che l'amministarzione di Tuxla, responsabile politicamente, lo abbia affidato a privati”.

La marcia “è stata una mobilitazione della cittadinanza” prosegue l'attivista, e tutti i sindacati e le organizzazioni che vi hanno partecipato hanno rispettato l'accordo di non esporre bandiere.

Il Consiglio comunale ha proposto di affidare ad una società privata per venti anni la gestione del servizio idrico e delle fogne, a patto che questa costruisca diversi impianti, paghi i debiti e contribuisca al risanamento del bilancio dell'acquedotto.

Questa è la seconda marcia che gli abitanti di Tuxtla organizzano per questo stesso motivo.

Secondo il direttore dell'acquedotto la privatizzazione comporterà il taglio di 200 dipendenti, anche se il privato ha assicurato di volerne assumere circa seicento.Se il Congresso locale approverà la proposta di privatizzazione, il gestore privato dovrà effettuare un investimento iniziale di 560 milioni di pesos, di cui 365 per la costruzione di due impianti di trattamento delle acque, oltre che per liquidare i duecento dipendenti e terminare altre opere in corso di realizzazione.

L'obiettivo del privato è quello di fornire servizi di distribuzione, depurazione e raccolta di acqua potabile nella capitale dello stato, con lo scopo di “conseguire una riorganizzazione dell'attività che permetta di salvare l'acquedotto garantendo la fornitura di un servizio essenziale per gli anni a venire”.



giovedì 18 luglio 2013

L'esrecito onduregno uccide un leader della comunità Lenca










Il 15 luglio è stato assassinato per mano di appartenenti all'esercito regolare onduregno Tomas Garcia, leader Lenca. Questo omicidio da visibilità alla campagna di repressione condotta dal governo contro la comunità indigena Lenca, per il fatto di essersi opposta alla costruzione sul suo territorio di una diga idroelettrica.

Il giorno 15 luglio nei pressi di Achotal nello stato del Rio Blanco, e' stato assassinato dall'esercito onduregno Tomas Garcia, membro del Consiglio Indigeno ed Ausiliario della comunità, nonché del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell'Honduras (COPINH).
L'attivista e dirigente politico stava partecipando assieme ad altri membri della comunità ad un presidio pacifico portato avanti già da106 giorni, in prossimità dei cantieri della diga in corso di realizzazione da parte dell'impresa DESA y SINOHIDRO.
Assieme a Tomas Garcia è stato ferito gravemente anche suo figlio, Llenca Allan Garcia Dominguez, trasferito in condizioni critiche all'Ospedale di Santa Barbara.
 cm

sabato 13 luglio 2013

Bolletta da 22 mila euro alla onlus l'errore dell'Acea sui disabili


La Anfass di Ostia si è ritrovata un conto salatissimo, ottenuto con la solita 'lettura stimata' da parte del gruppo energetico, relativo al consumo di un solo bimestre. Come più volte denunciato dalle associazioni di tutela dei consumatori, quello delle bollette pazze è un sistema utilizzato da alcune imprese per iscrivere a bilancio crediti importanti vantati nei confronti degli utenti

di DANIELE AUTIERI

Una bolletta da 22mila euro per un consumo 99.844 kilowatt/ora. Non stiamo parlando della Fiat ma di una onlus specializzata nella tutela dei disabili, la Anfass di Ostia, che si è vista recapitare dall’Acea il salatissimo conto per un solo bimestre. La modalità ancora una volta, come in tanti altri casi simili, è quella della “lettura stimata” elaborata da Acea Distribuzione (la controllata del Gruppo che si occupa appunto dell’approvvigionamento energetico) non su dati certi ma sulla base di calcoli legati ai consumi medi.
Tuttavia la povera Anfass di Ostia era abituata a bollette di ben altro tenore. "La nostra spesa bimestrale media — racconta oggi il direttore generale Stefano Galloni — si è sempre aggirata intorno ai 1.200 euro che sono scesi a 6/700 da quando abbiamo installato i pannelli solari. Quando abbiamo aperto la busta arrivata lunedì scorso e letto 22.970 euro ci sono tremate le ginocchia".

Il seguito è stata la corsa in banca e la richiesta di bloccare il pagamento automatico della bolletta direttamente sul conto corrente che avrebbe rischiato di far finire la onlus nella lista dei protestati. Tra l’altro l’associazione, oltre ad essere uno dei principali centri di riabilitazione neurologica presenti nel Lazio, si vanta di non aver mai pagato in ritardo un’utenza e di aver ottenuto negli anni una tripla certificazione internazionale sul proprio operato. Tra queste anche la Iso 14001, riconosciuta solo a chi produce energia pulita attraverso l’uso dei pannelli solari.
E il contratto di Anfass con Acea per un consumo previsto di 25 kilowatt al mese, equivalenti a meno di 1.500 euro, era proprio ritagliato sulla base di queste esigenze e caratteristiche. Nessuno aveva previsto la roulette delle bollette pazze, che a quanto pare arrivano a colpire anche con una certa ripetitività. "Già lo scorso anno — prosegue Galloni — abbiamo ricevuto dall’Acea una richiesta di pagamento per altri 20mila euro di arretrati. Un altro errore che finì con le scuse dell’azienda e un rimborso nei nostri confronti di 2.200 euro".

Un anno dopo l’azienda quotata in Borsa e controllata dal Comune di Roma al 51% è tornata a presentare le sue scuse, annullando in pochi giorni la salata bolletta e anzi accertando a favore dell’associazione una nota di credito da 700 euro. Purtroppo, non era stata questa la prima risposta ottenuta da un operatore del call center Acea al momento della denuncia che — confessa il direttore della Anfass — avrebbe detto: "Non pensate di chiedere di parlare con un dirigente tramite noi o gli sportelli perché non siamo autorizzati a farlo; potete soltanto utilizzare carta e penna e fare una raccomandata. Ci scusiamo per l’increscioso operato dell’azienda nei vostri confronti, sono cose che non dovrebbero accadere".

E in effetti, dopo essersi resa conto dell’abbaglio, è stata proprio l’Acea a tornare sui suoi passi. Un atto di contrizione che non basta ai vertici dell’associazione decisi una volta per tutte a cambiare operatore. "Quello che fa pensare — conclude Galloni — è che il nostro caso non è il solo. Sappiamo di tanti colleghi e imprenditori che si sono trovati di fronte a errori del genere. E molti, meno avveduti o meno conosciuti di noi, hanno dovuto pagare sperando di essere in seguito risarciti".
Come più volte denunciato dalle associazioni di tutela dei consumatori, quello delle bollette pazze (siano esse nel settore energetico, dei rifiuti o altro) è un sistema utilizzato da alcune imprese per iscrivere a bilancio crediti importanti vantati nei confronti degli utenti. Questa massa di crediti si trasforma in una garanzia da presentare al tavolo della trattativa con le banche per ottenere nuovi prestiti. Uno stratagemma finanziario pagato dai cittadini.
 



http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/07/12/news/bolletta_da_22_mila_euro_alla_onlus_l_errore_dell_acea_sui_disabili-62827796/

Ato 5: si ricorre contro i 75 milioni ad Acea





Riunita la Consulta dei Sindaci  dell’Ato 5. Stabilite le contromisure alla richiesta dei 75 milioni di euro da parte di Acea (relazione Commissario Dell’Oste). Associazioni sul piede di guerra.
di CiociariaReport24@ciociariareport

Giovedì 11 luglio, si è riunita la Consulta d’Ambito dei sindaci dell’Ato 5. L’organismo, rinnovato da poco grazie alla spinta in avanti del Commissario Straordinario Patrizi, ha analizzato attentamente tutti i punti caldi della convenzione in atto tra Ato5 e Acea S.p.a.
Senza dubbio, uno dei obbiettivi principali della riunione era la messa a punto di un piano di attacco contro le decisioni contenute nella relazione del Commissario ad acta Dell’Oste. In questa relazione, infatti, si riconosce ad Acea il diritto di riscuotere un mancato introito di 75 milioni di euro, circoscritto alla sola provincia di Frosinone.
Circa 400 euro per utente, secondo le associazione che lottano per l’acqua come bene comune. Per le associazioni, del resto, la gestione del servizio idrico ciociaro da parte di Acea non ha recato che danni. Agli utenti, per dirne una, non è mai stato presentato un contratto da firmare. La gestione di Acea, infatti, è stata decisa e concordata nelle stanza del potere e, da lì, calata direttamente sulle teste degli utenti. Non sono pochi, infatti, i cittadini della provincia che ogni mese scelgono di non pagare più le bollette Acea, contestando anche le cifre spesso esorbitanti delle bollette. Per queste persone, soprattutto, la richiesta dei 75 milioni è l’ennesima beffa.
La Consulta, in ogni caso, ha votato all’unanimità per il ricorso contro la decisione del commissario Dell’Oste, incaricando un ingegnere idraulico interno della Provincia per un sostegno tecnico ai legali incaricati di presentare il ricorso. Una volta completate le indagini e presentato il ricorso, verrà convocata l’Assemblea dei Sindaci dell’Ato 5. In quell’occasione verranno presentati e discussi gli atti dell’azione legale e, si legge in un comunicato stampa, potrebbe essere discussa anche l’applicazione dell’Art. 34 della convenzione col gestore. L’articolo che definisce i termini per lo scioglimento del contratto con Acea.



http://ciociariareport24.it/2013/07/12/ato-5-si-ricorre-contro-i-75-milioni-ad-acea/

giovedì 4 luglio 2013

Il Lazio alla prova dell'acqua pubblica


di Luca Martinelli - 3 luglio 2013
 
Il coordinamento regionale dei comitati per l'acqua pubblica è stato audito oggi in consiglio regionale. Si è parlato del referendum propositivo numero 31 "Tutela, governo e gestione pubblica delle acque". Entro marzo 2014 la Regione deve approvare una legge verso la ripubblicizzazione, altrimenti i cittadini saranno chiamati a una consultazione popolare

Al centro d'Italia c'è il Lazio, al centro del Lazio c'è Roma e a Roma -in centro- ha sede Acea, la più grande utility italiana del servizio idrico integrato, una piovra che ha occupato (quasi) tutti gli spazi in regione: dalla Capitale ai Castelli romani, da Frosinone a Rieti, dove "succhia" milioni di litri d'acqua ogni anno dalle Sorgenti del Peschiera

Per questo, quando stamani Davide (il coordinamento regionale dei comitati per l'acqua pubblica) è entrato in consiglio regionale, Golia (Acea) deve aver tremato: non era in programma nessuna manifestazione, infatti; gli attivisti erano lì, nel Palazzo lungo la via Pisana, oltre il raccordo anulare, per essere "auditi" dalla Commissione Ambiente, lavori pubblici, mobilità, politiche della casa e urbanistica della Regione Lazio, in qualità di promotori dell'iniziativa referendaria propositiva numero 31 denominata "Tutela, governo e gestione pubblica delle acque".
Insieme a loro c'era il vice-sindaco di Corchiano, comune capofila degli enti locali depositari della proposta di legge, sostenuta attualmente da 39 comuni e da 40.000 firme di elettori del Lazio.

La proposta di legge "recepisce a livello regionale, il risultato referendario del giugno 2011, nel quale i cittadini di tutta Italia hanno espresso chiaramente la volontà di una gestione del servizio idrico che sia pubblica e libera dalle logiche di mercato". In Lazio hanno votato 2,5 milioni di persone.

L'audizione è stata fissata a tempo (quasi) record, perché il tempo stringe, e la giunta Zingaretti lo sa bene: "Gli ambiti territoriali ottimali del Lazio sono 'abrogati' dal dicembre 2012. A quel punto, non c'era il consiglio regionale: oggi la materia si regge su una deroga, fragile -racconta Simona Savini, del Comitato romano acqua pubblica, che fa parte del coordinamento regionale-. In più, la Regione ha tempo fino a marzo 2014 per approvare una legge in materia, altrimenti dovrà essere sottoposto ai cittadini il nostro referendum propositivo".

I comitati hanno presentato un documento, e chiesto ai membri della commissione, "una delle 4 o 5 cui è stata assegnata la legge", spiega Simona, di essere informati su ogni passo in avanti. Anche perché qualora il testo di legge predisposta dai comitati venisse modificato, "per noi ci sarebbe un'unica strada: quella del referendum" aggiunge Simona, secondo cui "i consiglieri paiono tutti concordi rispetto alla volontà di non snaturare la legge". Il presidente della commissione è l'ex sindaco di Cannepina, Enrico Panunzi, che come amministratore era stato molto attivo sul proprio territorio. Un altro membro della commissione è l'ex sindaco di Ciampino, "uno dei promotori della legge" racconta Simona.

Il prossimo 6 luglio 2013, a partire dalle ore 9, il Coordinamento regionale acqua pubblica Lazio s'incontra a Rieti,"per ribadire l'importanza di tutelare la risorsa idrica dalle speculazioni dei privati avviando un tavolo tecnico partecipato tra istituzioni, comitati e cittadini" spiega un comunicato. Per questo, "come location è stato scelto un luogo simbolo, le Sorgenti del Peschiera nel Comune di Cittaducale (Ri), principale risorsa idropotabile per la Regione e al centro da anni degli interessi speculativi di Acea" di cui abbiamo scritto anche sul numero 128 di Altreconomia. Dopo un'escursione naturalistica per far conoscere, e quindi tutelare, i bellissimi luoghi che circondano le sorgenti presso il Comune di Cittaducale verranno avviati i lavori del tavolo tecnico per l'approvazione della legge di ripubblicizzazione.




mercoledì 3 luglio 2013

Acqua pubblica, a due anni dal referendum poco (o nulla) è cambiato

Nella consultazione popolare del giugno 2011 il 54% degli elettori ha votato contro la privatizzazione del sistema idrico. Da allora ad oggi la situazione è praticamente la stessa, con qualche eccezione come Napoli e Reggio Emilia. I comitati: "Ci siamo trasformati in guardiani. Continuiamo la lotta"


Si fa presto a dire acqua pubblica. Non sono bastati 26 milioni di ‘Sì’ per trasformare il sistema di gestione del servizio idrico italiano. Oggi, a più di due anni dal referendum del 12 e 13 giugno 2011, dove il 54% degli elettori si disse contrario a qualunque forma di privatizzazione, le tariffe non sono cambiate e non esiste una norma post-voto. L’Italia, da Nord a Sud, appare come un mosaico di situazioni differenti. Ci sono città, tra cui Ferrara, che hanno ridotto la partecipazione pubblica nelle multiutility, e Regioni, come la Toscana, che davanti alle richieste dei comitati hanno chiuso la porta al dialogo. Ma anche comuni come Reggio Emilia, Napoli e Palermo, che invece hanno aperto la strada alla ri-pubblicizzazione delle risorse idriche. Veri e propri “casi” diventati esempi per altre amministrazioni, a partire da quella appena nata di Roma, per arrivare fino a quella di Torino.
LA BATTAGLIA DELLE TARIFFE
La vera guerra dei comitati per l’acqua pubblica è iniziata una volta chiuse le urne. “Ci siamo trasformati nei custodi del voto, in continua lotta contro l’indifferenza e la mancanza di volontà delle istituzioni”, dice Mariangela Rosolen del gruppo di Torino. Ed è sulle tariffe che si sta combattendo la battaglia principale. Due anni fa, gli elettori avevano votato per l’abolizione della “adeguata remunerazione del capitale investito dai gestori”. Dunque, dopo il referendum, i cittadini, pagando la bolletta dell’acqua non avrebbero più dovuto foraggiare i profitti delle aziende. Tutto liscio quindi? Non proprio. Alla fine del 2012 l’Aeeg, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che si occupa di determinare i criteri per calcolare le tariffe del servizio idrico, ha inserito una nuova voce: il “rimborso degli oneri finanziari”. E secondo il Forum dei movimenti per l’acqua questa formula non è altro che un modo per continuare a garantire gli utili ai gestori. In altre parole, cambierebbe la forma, ma non la sostanza.
Per questo è già partito il ricorso al Tar della Lombardia, regione sede dell’Aeeg. La quale a sua volta respinge ogni accusa. “Il metodo tariffario transitorio definito dall’Autorità si basa sul cosiddetto ‘full cost recovery‘, ovvero sul criterio europeo del pieno riconoscimento dei costi. Perché se vogliamo che l’acqua sia effettivamente un bene pubblico gratuito, di buona qualità e disponibile a tutti, i costi devono essere coperti. A cominciare da quelli molto rilevanti per gli investimenti e per la tutela ambientale”, spiega Cristina Corazza, direttore comunicazione dell’Aeeg. Intanto, in attesa che gli enti locali approvino il nuovo modello (molti comuni lo hanno già bocciato) e che sulla questione si esprima il tribunale, sulla bolletta continua a pesare la remunerazione del capitale.
ROMA E TORINO AL LAVORO PER RI-PUBBLICIZZARE IL SERVIZIO IDRICO
Ora gli occhi sono puntati su Roma. Dopo un lungo braccio di ferro con l’ex sindaco Gianni Alemanno, fatto di sit-in dentro il Campidoglio per protestare contro la vendita delle quote di Acea da parte del Comune, la speranza dei comitati è che la musica cambi con la gestione di Ignazio Marino. Le premesse ci sono tutte. “Abbiamo già fatto un primo incontro in cui era presente Roberto Tricarico, consigliere comunale del Pd”, racconta Simona Savini, del gruppo per l’Acqua pubblica di Roma. “E altri sono in programma nelle prossime settimane. Il dialogo è aperto”. A Torino, invece, qualche risultato gli attivisti del comitato l’hanno già portato a casa. A marzo infatti il consiglio comunale, non senza qualche mal di pancia, ha dato l’ok alla trasformazione della Smat spa, azienda al 100% a capitale pubblico che serve acqua in 283 comuni della provincia, in un’azienda di diritto pubblico. La partita però è ancora tutta da giocare. “Ora la questione è passata alle commissioni, che da mesi stanno discutendo una serie infinita di punti. Cercano di sfinirci, ma noi non molliamo”, ribadisce Rosolen.
REFERENDUM IGNORATO IN TOSCANA E IN EMILIA
Per i comitati va peggio in Toscana: il dialogo con la Regione non si è mai aperto, nonostante le pressioni dei referendari. “Abbiamo chiesto al presidente Enrico Rossi di aprire un tavolo di lavoro sulla ri-pubblicizzazione del servizio idrico. Non ci ha mai ricevuto”, spiega Colin Du Liege, secondo cui “la politica si sta muovendo pochissimo”. Del resto Matteo Renzi non ha mai nascosto di essere contrario all’esclusione dei privati dalla gestione del servizio idrico. E a Firenze infatti nulla è cambiato. Anche a Bologna, città roccaforte del Pd, l’amministrazione non sta andando nella direzione indicata dagli elettori con il referendum. Lo scorso inverno il consiglio comunale ha approvato la fusione di Hera, la multiutility emiliano-romagnola che si occupa di gas, rifiuti, energia e acqua, con la veneta Acegas-Aps, un colosso con affari anche in Bulgaria e in Serbia. L’operazione oltre a spaccare la maggioranza, con Sel e Idv contrari, ha scatenato la protesta dei comitati, che la considerano “un ulteriore passo verso la privatizzazione”. Il timore, espresso anche da alcuni malpancisti del Pd come il consigliere Benedetto Zacchiroli, è che aumentando le dimensioni della società diminuiscano i pacchetti azionari dei singoli comuni (da 52% a 41%), riducendo quindi anche il potere decisionale dei soci pubblici. Anche pochi chilometri più in là, a Ferrara, l’esito del referendum è rimasto lettera morta. A inizio giugno il comune ha dato il via libera alla vendita di 5 milioni di azioni di Hera , passando così da una quota del 2,28% a una pari a 1,8%. A Milano si è discusso per mesi della creazione di una multiutility del nord, risultato della fusione tra Iren, Hera e A2a. Un progetto che oggi, dopo una pioggia di petizioni e appelli contrari, sembra essersi arenato. Di fatto, però, dopo il referendum, nel capoluogo lombardo non si è andati oltre la modifica dello statuto comunale, dove a ottobre è stato inserito il riconoscimento dell’acqua come bene comune. Per ora questa è rimasta la principale vittoria dei comitati.
DOVE L’ACQUA PUBBLICA E’ GIA’ REALTA’: I CASI DI NAPOLI E REGGIO EMILIA
Nella pratica, per le tasche degli italiani poco è cambiato e poco cambierà. Per ora. Perché qualcosa si sta muovendo. Negli ultimi mesi infatti diverse amministrazioni locali hanno cominciato a ragionare su come ri-pubblicizzare il servizio idrico. Piccole gocce nel mare, è il caso di dirlo, che non produrranno effetti visibili se non nel lungo periodo. Ma che indicano una strada verso un modello diverso. A fare da apripista è stata Napoli. Pochi mesi dopo il referendum, il consiglio comunale ha dato l’ok alla trasformazione dell’azienda Arin Spa in un ente di diritto pubblico, ‘Acqua bene comune Napoli’, con il compito di gestire le risorse idriche. Pochi mesi dopo Imperia ha seguito l’esempio. Stessa scena anche a Palermo, Forlì, Savona, Vicenza, Varese e Piacenza. Fino ad arrivare nella Reggio Emilia guidata da Graziano Delrio, dove nel dicembre del 2012 i comitati per l’acqua bene comune hanno ottenuto un risultato storico: il consiglio comunale ha approvato la mozione popolare che prevede di affidare il servizio idrico a un ente di diritto pubblico, mettendo di fatto la parola fine alla gestione da parte della multiutility Iren.
IN PARLAMENTO L’INTERGRUPPO PER L’ACQUA BENE COMUNE
Di sicuro la macchina legislativa ha fatto fatica a mettersi in moto e l’inerzia dei partiti non ha aiutato. “Dopo il referendum, sia a livello locale, sia a livello di amministrazione centrale, si dovevano studiare delle ipotesi per riportare il servizio idrico sotto il controllo pubblico. E invece questo non è mai avvenuto”, denuncia Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia, da sempre impegnato nella battaglia per l’acqua pubblica. In effetti, su questo tema nei palazzi romani non si è fatto granché.  Solo per costituire un intergruppo di lavoro ci sono voluti due anni. Inaugurato nel secondo compleanno del referendum, il gruppo è composto da Sel, Movimento 5 stelle e alcuni esponenti del Pd. Tra gli obiettivi, spiega la deputata del M5s Federica Daga, ci sono la “discussione della legge d’iniziativa popolare del 2007, e la presentazione di una mozione per restituire al ministero dell’Ambiente il potere di regolare le tariffe, togliendolo all’Aeeg”.
di David Marceddu e Giulia Zaccariello

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/03/acqua-pubblica-referendum-violato-tra-speranze-e-delusioni/639512/