domenica 26 febbraio 2012





Il Sindaco di Scafati Pasquale Aliberti, questo pomeriggio si è recato a Napoli per incontrare il Sen. Carlo Sarro, presidente dell’Ente D’Ambito e Pasquale Marrazzo, presidente dell’Assemblea dei soci dell’Ato, per un confronto decisivo sull’ADAN (Addebito anticipato), imposto dalla Gori, sulla bolletta dell’acqua.
Alle giuste rimostranze dei cittadini di Scafati, oggi, il Sindaco, risponde con una buona notizia. Nel corso del colloquio, il primo cittadino, oltre a ribadire le innumerevoli inadempienze della società che gestisce il servizio idrico nel territorio cittadino, ha sollevato anche una ‘questione sociale’, ponendo all’attenzione dei presenti le difficoltà economiche di molte famiglie nell’affrontare un’ ulteriore spesa. 
Il Presidente Sarro accogliendo in pieno le istanze del primo cittadino, ha assicurato un intervento immediato, mediante una missiva di intimazione alla Gori, per sospendere il pagamento dell’ADAN, un rincaro che da regolamento dovranno pagare solo le nuove utenze. 
“Ringrazio il Sen. Sarro – ha dichiarato il Sindaco Pasquale Aliberti – per aver accolto e ascoltato le nostre richieste. Questo pomeriggio, come referente di tutti i sindaci che hanno manifestato contrarietà nei confronti di questo ingiusto rincaro, posso dire di aver vinto una prima battaglia contro la Gori, un carrozzone politico che fino ad oggi non ha assicurato al nostro territorio servizi adeguati e risolutivi. La risposta del presidente Sarro è la dimostrazione che avevamo visto giusto nell’interpretazione del regolamento. Sono estremamente soddisfatto, pertanto, del risultato raggiunto. La lettera che il presidente dell’Ente d’Ambito invierà alla Gori, che tra l’altro non aveva concertato con l’Ato il balzello, servirà ad annullare il pagamento per le vecchie utenze e ad aprire una discussione seria anche con i sindaci dei singoli territori riguardo alle tariffe e alla futura programmazione degli interventi da rispettare in maniera capillare. Il provvedimento comporterà altresì di evitare l’innesco di inutili e costosi contenziosi legali che servono solo ad arricchire comitati e ad impoverire i cittadini. Resto dell’opinione che la Gori sia solo un carrozzone politico, che ha dimostrato nel tempo di essere inadempiente verso il nostro territorio, avvalendosi di logiche clientelari slegate dagli interessi complessivi dei cittadini. Basta pensare al venir meno della società nella gestione delle rete idrica e fognaria di molte strade del territorio dove l’acqua siamo stati costretti a portarla noi con un aggravio economico per l’ente o allo stato di abbandono di altre strade, come via Passanti e via Rotondelle. In sede commissariale, come se non bastasse, la Gori, non ha rispettato gli accordi relativi al completamento della rete fognaria, mettendo in serio pericolo il progetto di risanamento del bacino idrografico del Fiume Sarno. E’ finito il tempo delle logiche clientelari è arrivato il momento di pensare ai reali problemi del territorio. I sindaci hanno vinto”.
 www.inagro.it


claudiomeloni; ; commenti ?


sabato, 11 settembre 2010; 23:18


Rubinetti avvelenati

Rossella Anitori
DENUNCIA. Cresce la concentrazione di pericolosi inquinanti nelle falde dei Castelli romani. Colpa del sovrasfruttamento, ma in progetto resta l’inceneritore al quale servirebbero quasi 55 milioni di litri l’anno.
«La qualità dell’acqua che esce dai rubinetti delle nostre case peggiora di giorno in giorno, ma il gestore del servizio, anziché prendere provvedimenti seri, chiede di cambiare le normative e di ammettere come legali valori di concentrazioni di arsenico e altri pericolosi inquinanti sempre più elevati». È la denuncia dei cittadini dei Castelli romani, riuniti nel Coordinamento contro l’inceneritore di Albano che in un dettagliato dossier documentano la situazione di progressivo deterioramento delle falde acquifere del territorio, sottoposte a uno sfruttamento crescente.

L’aumento di arsenico, vanadio e altri metalli pesanti nelle acque potabili sarebbe dovuto, secondo i membri del comitato, ad un prelievo eccessivo, superiore alle capacità di ricarica della falda. L’incremento di queste sostanze avrebbe riguardato tutta l’area: «Nessuno dei Comuni dei Castelli romani - spiegano - si sottrae al disastro qualitativo delle risorse idriche. A Lanuvio, tra il 2008 e il 2009, su 11 controlli analitici da noi realizzati, l’arsenico era fuori limite in ben nove casi con punte di 34,4 microgrammi per litro. A Velletri - continuano - dove i valori sono aggiornati a giugno 2010, abbiamo riscontrato valori fuori limite di arsenico nelle rete pubblica di via Colle Zioni per 23,6 microgrammi per litro. A Roncigliano invece, specie nelle acque delle zone circostanti la discarica, in via Ardeatina, la concentrazione della sostanza è arrivata nel 2009 a 27,5 microgrammi per litro».

E per “risolvere” il problema Acea Ato 2 avrebbe richiesto e ottenuto dalla Regione Lazio ripetute deroghe. È così che la concentrazione di arsenico consentita sarebbe passata da 10 a 50 microgrammi per litro, i floruri da 1,5 a 2,5  e il vanadio da 50 a 160 microgrammi per litro. «Migliaia di pagine di letteratura scientifica dimostrano che la presenza di sostanze come l’arsenico nell’acqua potabile è direttamente correlata  all’insorgenza di tumori», denunciano preoccupati dal Coordinamento, ricordando che la massima concentrazione di arsenico prevista dell’Organizzazione mondiale della sanità è di 10 microgrammi per litro. Una situazione, quella dei Castelli romani, che, avvertono dal comitato cittadino, non potrebbe che peggiorare se il tanto contestato progetto dell’inceneritore vedesse la luce.

«Se il mostro venisse realizzato - spiegano - oltre a degradare dal punto di vista ambientale il territorio, la qualità dell’acqua peggiorerebbe inevitabilmente». Per funzionare l’impianto necessita infatti di circa 150 metri cubi di acqua al giorno, pari a quasi 55 milioni di litri all’anno.

«Qualunque ulteriore sottrazione di acqua al territorio - sostiene il comitato cittadino -, che si tratti di estrazione dal sottosuolo o cementificazione della superficie, è un attentato alla nostra salute e a quella delle generazioni future. Dunque non solo per questo, ma anche per questo, l’inceneritore è una scelta criminale».   

Fonte: Terranews

domenica 19 febbraio 2012


  


I “campioni nazionali” dell'acqua, a dispetto della dichiarazioni sull'esigenza di “liberalizzare” il mercato, sono allergici all'idea di concorrenza. 
Iren, ad esempio, è stata “bacchettata” dall'Antitrust. Con una nota del 22 luglio (diffusa ad inizio agosto) l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha contestato l'affidamento diretto del servizio idrico integrato genovese ad Iride Acqua Gas (oggi Iren Acqua Gas). Questa decisione, che consegna a Iren l'acquedotto fino al 2032, era stata presa nell'agosto del 2009 dall'Ambito territoriale ottimale (Ato) di Genova. Secondo il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, che ha indirizzato una lettera alla società, al presidente della Regione Liguria Claudio Burlando e ai dirigenti di Iren, “l'Autorità ritiene che […] tale decisione introduca nuovi ed ingiustificati elementi di distorsione della concorrenza nel mercato di riferimento, ponendosi in chiaro contrasto con la legislazione nazionale in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali”. 
Concorrenza, del resto, sembra essere solo una bella parola, utilizzata spesso anche da Roberto Bazzano, il presidente di Iren che è anche alla guida di Federutility, la federazione delle aziende di settore. 
Il problema, per l'Autorità, è che Iride (oggi Iren) ha ricevuto un affidamento diretto, cioè senza gara. L'affidamento diretto, però, è appannaggio di società per azioni interamente controllate dagli enti locali. Nel capitale di Iren, invece, oltre ai Comuni di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, di quelli di Torino e Genova (attraverso la Finanziaria sviluppo utilities) ci sono Unicredit (con la Fondazione Crt) e Intesa San Paolo.  

Quella dell’Antitrust è solo una segnalazione. L'Autorità non ha il potere di revocare la concessione, anche se la lettera dà conto di un “peccato originale” che peserà sul futuro di Iren -1,71 miliardi di euro il ricavo dei primi sei mesi del 2010, con 105 milioni di euro di utile-. La società, nata ad inizio luglio, vorrebbe diventare “il più grande gestore del servizio idrico in Italia”. E l'acquedotto di Genova è l'architrave sul quale costruire questo impero. A fine agosto Bazzano, in una conference call con gli analisti finanziari, ha annunciato che il piano industriale di Iren sarà pronto per dicembre 2011, lasciando intendere -scrive l'Ansa- “che la caccia avviata nel settore idrico con l'Opa su Mediterranea delle Acqua, lanciata assieme al fondo F2i, andrà avanti”. F2i è il fondo di Vito Gamberale, con capitali tra l'altro di Cassa depositi e prestiti e di Merryl Linch (vedi Ae 118). “L'operazione San Giacomo (il veicolo con cui è stato condotta l'Opa su Mediterranea delle Acqua, ndr) non è stata fine a se stessa, sull'ambito della sola Genova -ha detto Bazzano- ma è una joint-venture per consolidare in modo più ampio i servizi idrici, guardando ovviamente prima ai territori storici di riferimento delle aziende del gruppo”. A Piemonte, Liguria e all'Ovest dell'Emilia Romagna. 

Dalla rivista Altreconomia un articolo di Luca Martinelli datato 01 settembre 2010.

L'Autorità garante per la concorrenza bacchetta la multiutility piemontese-ligure-emiliana

Qui di seguito il parere completo dell' Antitrust di cui tratta l'articolo:


AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO NELL'AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE DI GENOVA 
Roma, 22 luglio 2010  
Presidente della Regione Liguria 
Conferenza dei Sindaci dellATO della Provincia di Genova 
Iride Acqua Gas S.p.A. (ora Iren Acqua Gas S.p.A.) 

Nellesercizio dei poteri di cui allarticolo 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, lAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato intende formulare alcune osservazioni in merito alla legittimità dellaffidamento diretto del Servizio Idrico Integrato nellAmbito Territoriale Ottimale (di seguito, ATO) di Genova,  sino al 31 dicembre 2032, alla società Iride Acqua Gas S.p.A. (oggi Iren Aqua Gas S.p.A.).
LAutorità sottolinea di aver già valutato la questione relativa alla legittimità e allopportunità del sopra citato 
affidamento con la segnalazione AS510 del 26 marzo 2009. In detto contesto, lAutorità aveva rappresentato al 
Parlamento, al Governo e alle Amministrazioni locali competenti le diverse criticità di natura concorrenziale che 
caratterizzavano, da un lato, la Legge Regionale della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39, recante Istituzione delle autorità dambito per lesercizio delle funzioni degli enti locali in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dallaltro, la decisione n. 9 del 17 dicembre 2008, con cui la Conferenza dei Sindaci dellATO di Genova aveva disposto, sulla base della citata normativa regionale, la proroga dellaffidamento diretto del Servizio Idrico Integrato in favore della società Iride Acqua Gas S.p.A. Gruppo Iride S.p.A. almeno fino al 30 giugno 2009.  
Nella citata segnalazione, lAutorità aveva ricordato, tra laltro, il principio secondo cui laffidamento di un servizio 
pubblico mediante gara costituisce uno strumento essenziale per lindividuazione dei gestori del servizio secondo modalità che consentono il corretto funzionamento del mercato ed assicurano la c.d. concorrenza per il mercato. Inoltre, lAutorità aveva sottolineato come la natura eccezionale del ricorso allaffidamento diretto del servizio trovasse esplicito riconoscimento nelle modifiche normative alla disciplina delle modalità di affidamento e gestione dei servizipubblici locali, introdotte dallarticolo 23-bis del decreto legge n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008. Allo stesso modo, lAutorità aveva sottolineato la natura anticoncorrenziale delle disposizioni, contenute nella citata legge Regione Liguria n. 39/2008, che consentono alle AATO di posticipare la cessazione della concessione qualora la medesima risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati dal gestore, fermo restando l'aggiornamento e la rinegoziazione delle convenzioni in essere (articolo 4, comma 5), evidenziando come prevedere la possibilità in capo alle AATO di rideterminare la data di cessazione della concessione, a fronte della mera rinegoziazione della convenzioni in essere, comportasse, di fatto, lelusione della normativa nazionale in materia ed impedisse agli operatori presenti nel mercato di candidarsi alla gestione del servizio oggetto di affidamento. Per tali ragioni, lAutorità aveva auspicato un adeguamento della normativa regionale ai richiamati principi di matrice comunitaria e nazionale, con conseguente revisione delle relative determinazioni amministrative già in assunte o in via di assunzione da parte della Conferenza dei Sindaci in indirizzo. Tuttavia, alla luce di una nuova segnalazione effettuata dalla Commissione Nazionale per la Vigilanza sulle Risorse Idriche (Co.N.Vi.Ri.), è emerso che, successivamente allintervento dellAutorità, non essendo intervenute nel frattempo le auspicate modifiche della legislazione regionale di settore, la Conferenza dei Sindaci dellATO di Genova ha provveduto, con decisione n. 9 del 7 agosto 2009, mediante rinegoziazione della convenzione e rideterminazione della data di cessazione della concessione esistente, peraltro già scaduta ad un nuovo affidamento diretto del Servizio Idrico Integrato alla società Iride Acqua Gas S.p.A. sino al 31 dicembre 2032, senza peraltro menzionare, nella citata decisione, le intervenute modifiche legislative di natura sostanziale e procedurale introdotte dal già richiamato articolo 23-bis della legge n. 133/2008, anche con riferimento al regime transitorio disciplinato dal comma 8 dellarticolo 23-bis, così come modificato dal decreto legge n. 135/2009, convertito in legge n. 166/2009.  

LAutorità ritiene che, per le argomentazioni già svolte nel precedente intervento segnalatorio AS510 del 26 marzo 2009, tale decisione introduca nuovi ed ingiustificati elementi di distorsione della concorrenza nel mercato di riferimento, ponendosi in chiaro contrasto con la legislazione nazionale in materia di modalità di affidamento e gestione  dei servizi pubblici locali, così come disciplinata dallarticolo 23-bis del decreto legge n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008, e successive integrazioni e modifiche, nonché con i principi concorrenziali più volte richiamati da questa Autorità, anche con specifico riferimento al settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Sulla base di tali considerazioni, lAutorità sollecita le Amministrazioni in indirizzo a tener conto, con riferimento al caso segnalato, dei principi concorrenziali espressi e auspica che laffidamento del Servizio Idrico Integrato nell'ambito dellATO Genova venga riconsiderato secondo i criteri e le modalità previsti dal citato articolo 23-bis, nonché alla luce dei principi di natura concorrenziale già illustrati nella citata segnalazione AS510 del 26 marzo 2009.
In linea più generale, si richiamano le Amministrazioni competenti a interpretare la normativa rilevante in conformità ai principi di concorrenza stabiliti dallordinamento comunitario e nazionale e si rappresentano, altresì, al legislatore regionale lopportunità e lurgenza di una modifica delle normative di settore attualmente vigenti che tenga conto dei principi concorrenziali sopraenunciati, al fine di stimolare anche nel mercato del Servizio Idrico Integrato un maggiore confronto concorrenziale, volto da una parte a stimolare una crescita del settore e, dallaltra, a migliorare le condizioni di offerta dei servizi a vantaggio degli utenti finali.


IL PRESIDENTE 
Antonio Catricalà

«Gheddafi vuole l'acqua dei Reatini:

no ai progetti libici su Antrodoco»

Legambiente denuncia: nel borgo il colonnello investirebbe milioni di euro, ma mira al suo oro blu

ROMA - Giù le mani dei libici da Antrodoco. Proprio mentre nella capitale italiana si diffonde la notizia che ci sarebbe anche un fondo libico fra i possibili acquirenti della A.s. Roma, Legambiente lancia l'allarme su un affare che di sportivo ha ben poco. 
Secondo l'associazione il colonnello Gheddafi avrebe progetti nascosti - e non confessabili - per il piccolo borgo laziale di Antrodoco, che nell'estate del G8 aquilano aveva fatto notizia per una improvvisa visita del colonnello.
L'ORO BLU - Gheddafi - che in seguito aveva spedito nel borgo Reatino ai piedi del Monte Giano l'ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, accompagnato da Muri El Mishari, generale dell'esercito a capo del cerimoniale - sotiene di aver adottato il paesino per simpatia, ma in realtà sarebbe interessato a divenire comproprietario dell'acqua che scaturisce dalle fonti della zona.
I progetti sull'oro blu del leader libico, ben visti dagli amministratori locali, starebbero per concretizzarsi. All’orizzonte del piccolo comune, 2800 abitanti, un albergo di lusso con beauty farm e uno stabilimento per imbottigliare l’acqua minerale.
LE FONTI DELLA CAPITALE - Il retroscena era stato già raccontato dal Corriere della Sera nel giugno scorso: Gheddafi ha scoperto il piccolo centro, sovrastato peraltro dalla scritta Dux (realizzata con gli alberi piantati nel ’39 dagli allievi del corpo forestale), mentre si recava al G8 dell’Aquila seguendo un percorso alternativo all’autostrada. Ma qualcuno sospetta la «scoperta» non sia stata casuale.
«A poca distanza da Antrodoco - ricorda Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio - ci sono le sorgenti del Peschiera, che forniscono acqua potabile di altissima qualità alla stragrande maggioranza dei romani. Non vorremmo che l'operazione del colonnello Gheddafi ad Antrodoco prefigurasse un primo passo per una più ampia "conquista" delle riserve idriche appenniniche».

PROGETTI E DUBBI - Sul progetto di sfruttamento delle acque di Antrodoco, nel quale il leader libico investirebbe 15 o 16 milioni di euro, Legambiente chiede sia fatta chiarezza: «L'acqua è un bene comune, pubblico e universale, come hanno appena ribadito quei milioni di cittadini italiani che hanno firmato per il referendum contro ogni ipotesi di sua privatizzazione - scrive Parlati -. Per questo siamo molto preoccupati dalle oscure operazioni che sembrano ruotare attorno alle preziose riserve idriche sotterranee dei Monti Reatini e in particolare dalle voci di ingenti investimenti del "regime autoritario" libico nel Comune di Antrodoco».
Legambiente si domanda poi «quale possa essere l'interesse pubblico tale da giustificare un'operazione del genere senza alcuna gara per la scelta del partner, con l'ipotesi di cessioni di importanti beni in comodato gratuito o attraverso la costituzione di un'apposita società mista».
Paolo Brogi
11 settembre 2010

Fonte: Corriere

mercoledì 15 febbraio 2012


ACEA, IL DIVORZIO DA GdF NON MUTA
LE PROSPETTIVE

Le voci sempre più insistenti di un addio a Gaz de France-Suez non mutano le prospettive degli analisti sul futuro di Acea. Nei giorni scorsi indiscrezioni giornalistiche hanno parlato di uno scioglimento ormai prossimo per la joint venture Acea-Electrabel, come sbocco definitivo alle divergenze di vedute emerse negli ultimi mesi. A Gaz de France andrebbero le attività della produzione (e probabilmente il trading) inclusa Tirreno Power, fatta eccezione per l'idro e le vecchie centrali termoelettriche, mentre alla utility romana finirebbero le attività di cessione dell'energia e un conguaglio tra i 150 e i 200 milioni di euro (le fonti sono discordi), di cui una buona parte in contanti.
Il clima tra i due gruppi appare orientato alla collaborazione, tanto che i francesi sarebbero interessati a sviluppare futuri accordi nel settore idrico. Per Websim non sono attesi cambi di rotta significativi: Acea subirà una diluizione a livello di Ebitda, compensata da una riduzione del debito. Così sul titolo viene confermata la raccomandazione “neutrale”, con un target price a 9,50 euro. Gli analisti di Banca Leonardo calcolano per la joint venture un enterprise value di 784 mln euro: considerando un rapporto tra debito e patrimonio netto del 50%, l'equity value in capo ad Acea dovrebbe aggirarsi sui 392 milioni. Anche in questo caso, la prospettiva non cambia il giudizio di fondo, con una conferma tanto del rating “buy”, quanto del prezzo obiettivo di 10,6 euro. Nel secondo trimestre 2010 Acea ha superato le attese del mercato, registrando un Ebitda di 166,8 milioni di euro (rispetto ai 154 milioni stimati dagli analisti), un Ebit a 82 milioni di euro (in linea) e un risultato netto di 44 milioni (dieci in più delle stime).

Il debito netto che ha chiuso a quota 2,21 miliardi (contro i 2,29 previsti) grazie al miglioramento del circolante, che era atteso solo alla fine dell'anno. Dopo l'emissione di un bond da 500 milioni a marzo, il debito risulta posizionato sul lungo termine con una vita media di circa dieci anni: il 70% è a tasso fisso, con un tasso medio complessivo inferiore al 3,50%. Infine, la relazione semestrale offre un quadro positivo anche sul fronte della liquidità, con 1,5 miliardi euro disponibili.

Luigi Dell’olio – la Repubblica, Affari & Finanza

sabato 11 febbraio 2012



Acque minerali e veleni

ALLARME. Dal nuovo atlante “Geochemistry of European bottled water”, pubblicato dalla EuroGeo Surveys, emergono dati inquietanti su quello che bevono gli italiani. Metalli tossici e uranio nelle bottiglie di plastica.

Com’è l’acqua che beviamo? Ricca di sostanze potenzialmente pericolose per la salute, specie quella minerale in bottiglia, che nel nostro paese è diffusissima, visto che arriva nel 98 per cento delle famiglie italiane. I nostri connazionali sembrano vedere nell’acqua in bottiglia qualcosa di sano e sicuro, ma leggendo i risultati del nuovo atlante delle acque minerali “Geochemistry of European Bottled Water”, appena pubblicato dall’organizzazione EuroGeoSurveys, che raggruppa 32 servizi geologici del vecchio continente, i dubbi nascono spontanei.

Infatti, se i valori medi di elementi come arsenico, piombo, vanadio, antimonio contenuti nelle bottiglie esaminate nel nostro paese (in tutto 157) sono abbastanza lontani dai limiti massimi previsti in Europa per le acque potabili in generale, è però vero che la situazione cambia, e molto, se si guardano i valori massimi di queste e altre sostanze. In una bottiglia italiana sono stati riscontrati infatti valori di arsenico pari a 8,91 microgrammi per litro (il limite di allarme per la salute è 10), mentre altre delle nostre acque contengono 4,69 microgrammi di berillio o 48,9 di vanadio (che ha come limite 50): la situazione da studiare meglio è però quella del manganese, metallo tossico che se respirato può favorire il Parkinson, di cui un’acqua del nostro paese contiene 292 microgrammi, a fronte di un limite europeo che per l’acqua minerale è di 500 mentre per quella del rubinetto è di appena 50 microgrammi. 

La presenza di soglie di attenzione così diverse non può che suscitare qualche sospetto, visto che esistono acque minerali che superano di ben sei volte il limite stabilito per le acque del rubinetto, e chissà qual’è il motivo per cui le soglie sono così diverse, a livello europeo. Ancora più allarmante il fatto che per alcune sostanze i limiti non esistano proprio: in primo luogo per l’uranio, che nelle acque censite in Italia ha un valore medio di 1,24 microgrammi, ma abbiamo anche una marca che arriva a 31, nonché per lo stronzio, che può essere radioattivo e ha un valore medio di 750 microgrammi per litro arrivando ad un massimo di 14mila 100.

Non è solo il nostro Paese ad avere una situazione così particolare: in tutta Europa esistono valori sorprendenti, ad esempio un’acqua della Repubblica Ceca contiene 229 microgrammi di uranio, altre hanno 25mila 500 micogrammi di stronzio, 49 di vanadio o 371 di selenio. La prudenza sui dati è d’obbligo, i ricercatori che hanno partecipato al lavoro sull’atlante dicono che «la qualità delle acque minerali italiane è certamente superiore alla media europea», e che molte delle stranezze nei valori potrebbero essere causate da «discrepanze nelle metodiche analitiche utilizzate a livello Europeo e Nazionale o a cause naturali, cui non sono generalmente associabili effetti negativi sulla salute». Infatti, il contenuto “totale” di un analita nelle acque «non coincide con quello effettivamente biodisponibile per l’organismo», che potrebbe provocare effetti avversi sulla salute. Gli studi condotti in tal senso a livello nazionale ed europeo finora non avrebbero «evidenziato correlazioni tra tenori naturali elevati di sostanze inorganiche nelle acque ed effetti negativi sulla salute delle popolazioni esposte», e questo varrebbe perfino per l’uranio, anche se certo, un intervento in materia, magari da parte dell’Unione Europea, non sarebbe male. 

è uno degli stessi autori del libro, Clemens Reimann del servizio geologico norvegese, ad ammettere che la veranovità emersa dalla ricerca è la scoperta  di «un’enorme variabilità (fino a 7 ordini di magnitudine per alcuni elementi, tra cui l’uranio) in molti elementi contenuti nell’acqua potabile». Una novità che dovrebbe incoraggiare ulteriori studi sulla bevanda più amata dagli italiani.      

Fonte: TerraNews

I veleni dell’acqua

Alessandro De Pascale
BASILICATA. Dopo anni di voci sullo smaltimento illecito di rifiuti in Lucania, le analisi di sorgenti e dighe che riforniscono gli acquedotti confermano la presenza di boro, bario, berillio e nitrati. Ma la Regione tace.
L'ultima indiscrezione sui possibili traffici di rifiuti pericolosi, porta ai Laghi di Monticchio. Si tratta delle bocche crateriche di un antico vulcano sul monte Vulture, in provincia di Potenza. Due laghi parte di una riserva naturale regionale. C’è chi giura di aver visto camion scaricare fusti. Una prima parziale conferma arriva dalle analisi delle locali sorgenti, condotte a Berlino dal Servizio geologico tedesco, per conto del Dipartimento di scienze della terra dell’università Federico II° di Napoli, diretto dal professore Benedetto De Vivo.

La sua squadra, nell’ambito di un progetto europeo teso alla caratterizzazione geochimica delle acque minerali imbottigliate e degli acquedotti dei Paesi membri, ha analizzato 158 differenti marche italiane sulle 415 ufficialmente accreditate dall’Unione europea. I risultati sono stati pubblicati a marzo su Science. Ci sono anche quelle del Vulture, come Gaudianello, Toka, Felicia, Lilia e Sveva. Dalle analisi è risultata una elevata quantità di boro, un «elemento pericoloso», la cui esposizione provoca gravi danni all’apparato riproduttivo maschile ma anche infezioni a stomaco, fegato, reni e cervello.

In quelle acque è stata trovata la concentrazione di boro più alta d’Italia: 1.170 microgrammi per litro, quantità superiore sia al valore guida stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità (500 µg/l) che delle legislazioni italiana ed europea per l’acqua minerale imbottigliata (5.000 µg/l). Alte concentrazioni di boro sui suoli e nelle falde si possono trovare solo in due casi: un traffico aereo sostenuto o delle discariche (tramite il percolato prodotto dai rifiuti). Ma in quelle acque c’erano anche solfati e berillio, un elemento di classe A cancerogeno per l’uomo, che sul Vulture sfiora i 4 microgrammi per litro, limite stabilito dalla legge italiana per le falde acquifere oltre il quale è obbligatorio «un intervento di bonifica delle acque, anche se non destinate al consumo umano».

L’equipe di De Vivo sottolinea però che paradossalmente «sia in Italia che in Europa non è stato stabilito alcun limite di concentrazione per il berillio nelle acque destinate al consumo umano, tanto meno per le minerali». Prima dell’estate era scoppiato anche il caso delle dighe lucane della Camastra, del Pertusillo e di Montecotugno, la più grande in terra battuta d’Europa. Si tratta di invasi per uso potabile. L’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata (Arpab) aveva scoperto alte concentrazioni di bario e boro. Giuseppe Di Bello è l’ufficiale della polizia provinciale di Potenza che ha reso pubblici questi dati, oggi sospeso e indagato per rivelazione del segreto di ufficio.

«Un dirigente della direzione ambiente della Regione mi chiese di fare dei controlli perché i dati dell’Arpab su quelle dighe erano allarmanti», ricorda Di Bello. «Così decisi di fare delle contro analisi dalle quali risultò un inquinamento addirittura maggiore rispetto ai primi rilievi». Da allora le associazioni ambientaliste, i cittadini e i Radicali lucani, chiedono l’apertura di un’inchiesta per stabilire le ragioni che hanno determinato l’inquinamento dell’acqua lucana. Ma soprattutto un’adeguata depurazione, visto che quegli invasi continuano a rifornire i rubinetti delle loro case.    
www.terranews.it

venerdì 10 febbraio 2012



April 19, 2011
U.S. Urban Residents Cut Water Usage;

Utilities are Forced to Raise Prices


As municipal water consumption declines, cities raise rates and civic ire.

By Brett Walton
Circle of Blue
Last week the Metropolitan Water District of Southern California, one of the nation’s largest municipal water suppliers, announced that along with requiring its customers to use less water under mandatory conservation measures it also would hike up the price for water by 15 percent over the next two years.
The board of the Los Angeles-based water district, which supplies drinking water to nearly 19 million people in parts of Ventura, Los Angeles, Orange, San Diego, Riverside and San Bernardino counties, anticipates a public push back.
Indeed as water sales have declined because of the recession and conservation, water utility boards all across the country have raised rates, prompting civic dismay. A growing number of raucous council meetings, street protests and petition drives in opposition to higher water prices have occurred in cities large and small–Detroit; San Diego; Joplin, Mo.; Prairie Township, Ohio.
In effect, in too many American cities to count, water consumers are dramatically reducing the amount they use only to be hit with higher water rates. Existing designs for deciding water rates are the culprits. A handful of cities are restructuring their billing systems to benefit conservation-minded consumers who deserve to be rewarded rather than penalized.

The trend favors even more water conservation. A recent report from the Denver-based Water Research Foundation found that the recession has bottled up water demand in many areas of the country-–particularly in regions hard hit by unemployment and foreclosures. And since the mid-1990s, federal law has required new fixtures to be low-flow, meaning they use less water. Showerheads, for instance, are limited to a flow of 2.5 gallons per minute. And toilets can only use 1.6 gallons per flush, down from the 3.5 gallons that were standard in the 1980s.
The unintended consequence of using less in most cities is that ratepayers pay more. The Cleveland region has increased water rates 45 percent to 80 percent since 2007. Cleveland Water Commissioner Chris Nielson explained to the The Plain Dealer last week that “revenue was $25 million below projections last year because of a decrease in consumption.”
“With a deductive reasoning applicable only to a public service monopoly, the answer is to punish the consumers’ conservation efforts with a rate increase,” said Kevin Bakley, a resident and water customer from Strongsville, in a letter to the editor. “At least the return of spring will allow completion of road repairs for the continual, unimpeded egress of corporations and citizens leaving Northeast Ohio.”
Water consumption in St. Charles, Illinois dropped to 1.5 billion gallons last year from 1.68 billion gallons in 2008. John Lamb, the director of the city water department, is preparing a recommendation to the St. Charles City Council to raise rates 4 percent. It would be the third increase in as many years.
“It’s funny, in the sense that it’s a double-edged sword,” Lamb told the Kane County Chronicle. “We tell people all the time to conserve water, conserve water. But then we, as the municipality providing the water, suffer because there’s less money coming in to maintain that system.”
Well, it’s not so funny to thousands of water customers. Ratepayer protests are erupting, many of them in California, a state entering the fourth year of drought. Residents of San Diego submitted 14,000 written protests to the city clerk’s office in November 2009 opposing a new rate–the sixth since 2007–that would have increased the average monthly bill by $4.73.
To a large extent, say some authorities, water conservation should not necessarily translate into higher prices. Rather the system for deciding water rates needs to be redesigned to reward customers who conserve, not lash them.
“There’s no reason why municipalities who implement conservation programs should have to raise their rates,” said Peter Gleick, president of the Pacific Institute. “If that happens it’s a failure of rate design.”
Conservative Conservation and the Death Spiral

Las Vegas water officials call the tradeoff between saving water and raising rates the conservation death spiral. Water utilities are natural monopolies–the cost of delivering water is lowest when there is just one supplier. In the U.S. water utilities are generally publicly–owned and the rules governing each utility differ by city, with most not allowed to make a profit. Any rate increase, even for investor-owned water companies, usually has to be approved by a public service commission. The interjection of public policy and politics is ostensibly to keep the water supplier from gouging the customer, but it has the consequence of affecting a utility’s business incentives.
“Water agencies in the past have tried to keep rates low, in part because of political pressure,” said Heather Cooley, a researcher at the Pacific Institute’s water program. “Members of the board are often elected. It does create problems in the long term, namely failure to adequately invest in infrastructure. Part of the reason utilities are not making those investments is the pressure to keep rates low.”
As a result, cities are often playing catch-up with rates, burning through cash reserves and ignoring system improvements until a rate increase becomes absolutely necessary. Historically, to keep revenue stable, public utilities charged a flat fee for water regardless of how much was used. With the introduction of water meters in the early 20th century, some cities began charging based on the volume of water used, sometimes $2.00 per 1,000 gallons.
The use of meters, however, varied widely around the country. By 1927, 100 percent of the water connections in Portland, Ore. were metered, but this isn’t the case for all cities. To date, Sacramento still has meters in only 25 percent of its houses.
A big shift in pricing occurred in the arid Southwest in the late 1970s. Because of rising use and declining water supply, Tucson, Ariz. instituted an increasing block tariff to encourage conservation. Under an increasing block tariff the cost for a unit of water gets more expensive the more a customer uses. For example, the first eight 1,000 gallon-units might cost $2.00 each, but every 1,000 gallons over that limit would cost $5.00 each, with potentially more tiers added to the rate, depending on the price agenda of the utility.
Fernando Molina, conservation manager at Tucson Water, the city’s utility, explained the circumstances prompting the rate changes in Tucson.
“The 1970s is when the strong conservation movement emerged,” Molina told Circle of Blue. “Back then infrastructure had not kept up with growth. During peak times in summer the utility had trouble meeting demand, especially in the higher elevations in the city. There was a lack of distribution lines and reservoir capacity. When the block rate was introduced it caused a lot of controversy.”
Businesses accused the council of being anti-growth while residents gathered signatures to recall the council. At a special election that fall, every council member who voted for the price increase was voted out of office.
The political fallout in Tucson did not stop the inevitable spread of block tariffs. Cities in which water was scarce had kept the price of water too low and needed to cut rampant use. In areas with limited water supply, block tariffs encouraged conservation by raising the price of consumption for high-volume users. Certain municipalities dealt with the peak demand problems by ordering seasonal rates, which are higher in dry seasons. Though tiered pricing was slow to take hold and poorly implemented where it did, the shift in rates was clear–prices were now a tool to steer conservation.
This is often when death spirals, which are products of utilities allocating costs, occur. Mention conservation and water rates to water managers using a block tariff and they will give you a similar version of the story told by Doug Bennett, conservation manager for the Southern Nevada Water Authority:

“You say [to the customer] we want you to conserve. No rate changes, just a call for conservation. If people react more strongly than you thought they would, then suddenly there’s a revenue shortfall. Now we have to increase rates to recover that. Sometimes we raise rates in upper tiers, but that just increases conservation. The wise thing to do is put it in a service charge or lower tiers, but that sours the relationship with the public.”
Utilities face two major categories of cost: fixed and variable. Fixed costs do not change regardless of whether the utility sells any water or not, such as system maintenance and staff salaries. Variable costs–energy, purchased water, chemicals for treatment–change depending on demand.
Most utilities charge all customers a fixed monthly service fee in order to pay for fixed costs, but most utilities have a serious imbalance in assigning revenues to costs. While 72 percent of the Las Vegas Valley Water District’s costs are fixed, the utility’s fixed fee covers only 18 percent of its fixed costs. The balance is covered by charges on consumption, so if water use goes down too rapidly the utility gets into financial trouble.
“Water agencies have a disincentive to conservation because if customers cut use, it cuts sales,” Cooley told Circle of Blue.
In essence, water utilities make money selling water. And since selling less water decreases revenue, utilities develop a perverse incentive that welcomes dry periods because people will use more water on their lawns and generate more income for the utility.

“Rising conservation has contributed to revenue volatility,” said Rusty Cobern, budget and finance manager for the Austin Water Utility. “We would have expected a revenue windfall during the [recent] drought. Aggressive conservation pricing model can eliminate windfall opportunities.”
Phoenix is contemplating the same problem. Price increases and education programs have kept water usage stable for the past decade despite a 28 percent increase in population. But now the utility wonders how much conservation is too much.
“How low can we go?” asks Steve Rossi, the principal water resources planner for Phoenix. “From a revenue standpoint, our capital obligations are pretty substantial. Assumptions were made in the past made about revenue flows. We are looking at how things balance down the road if you reduce demand.”
Because publicly-owned utilities are often barred from making a profit, they go through detailed budgeting when setting rates so that they can cover their costs while keeping rates low. Included in these budgets are estimates for how much the customers will conserve. The Marin Municipal Water District in California based its 2009 budget on a projected three-percent decline in sales due to conservation, said Libby Pischel, the district’s public information officer.
As it turned out, customers responded too well to conservation requests, cutting back water use by eight percent, leaving the utility short of cash and forcing an unwelcomed rate increase.
Utilities could avoid the problem by shifting some of their revenue from consumption to fixed charges, but that increases the cost for low-volume customers.
Conservation Instinct Still Strong
Despite the perils of the death spiral, the argument for conservation is strong. Developing new sources of water is expensive, especially as the distance to untapped rivers and reservoirs increases. In Seattle conservation measures have led water managers to predict that the two water supply reservoirs the utility operates will meet the city’s demands until well after 2060.
Conservation can also prevent supply problems during dry periods.
“Long-term conservation improves the supply reliability of system,” said Drew Beckwith, a water specialist with Western Resources Advocates. “If you conserve now, when there’s a drought there will be water in the reservoirs.”
“When I was young I always wanted a rate increase, an aggressive rate structure,” added Bennett in an interview with Circle of Blue. “I wasn’t aware of what the finance people do. It’s really a fine art. What is terrifying to finance people is to throw out rate structure completely and try something new. It’s like cooking — you turn up or turn down the burner. If you throw something big in there it can turn ugly fast.”
“There’s not a lot of benefit to achieving conservation goals ahead of schedule,” he said.
The Irvine Model
Several water utilities have figured out how to resolve the conflict between conservation and revenue.
Irvine Ranch Water District in Orange County, Calif. pioneered a new model when it instituted an allocation-based rate structure in 1991.

Every household is given an allocation based on personal use needs of 55 gallons per person per day and lawn needs based on efficient watering. Customers can apply for an adjustment if there are more people in the house than the utility assumes. A base price is set for the allocation. If a household exceeds its allocated use, it is penalized with rates up to eight times higher than the base rate. On the other hand, if a household is water-frugal it receives a discounted rate.
“Our water rates are the second lowest in our county,” said Fiona Sanchez, IRWD’s conservation manager. “Customers who use water efficiently are rewarded with low rates.”
Not only are rates low, but use is low too. The average customer served by Irvine Ranch uses 52 percent less water per day than the average person served by other Orange County utilities. Efficient use helps to keep prices low by reducing the need to buy water imported from the Colorado River.
IRWD’s success stems from a prudent division of costs and allocation of revenues.
“The key to revenue stability is that we separated fixed and volumetric charges,” Sanchez told Circle of Blue. “We know what our operating costs are and that’s distributed across all customers. If our volumetric sales go down, we’ve got our fixed costs covered.”
IRWD also separated its capital costs from its operations costs. Capital projects to build or maintain water infrastructure are paid for by property taxes and one-time connection fees charged to new users in the system. This keeps water bills in check, but transfers the costs of expansion and repair to a resident’s tax bill.
IRWD customers seemed to be pleased with the system. The utility earns extremely high customer satisfaction scores, and its board members get re-elected, Sanchez said.
Irvine Ranch has conservation, lower prices and customer satisfaction. A handful of utilities in California, because of drought and pumping restrictions, have shifted to allocation-based pricing in the last year and a few others are considering it, Sanchez said.
So why aren’t more following this model?
Data needs are one problem, Sanchez said. The utility needs information about each household’s irrigated acreage. Allocations for lawns are based on micro-climates within the service area and the water requirements from plant use and evaporation.
Another problem is antiquated billing systems, which are often expensive to upgrade.
While there are certainly technical issues to be sorted out, utilities can avoid the backlash from rate increases by improving communication with their customers, the Pacific Institute’s Cooley said.
“Water agencies should be communicating to customers that yes, rates went up in the short term, but it is far less than if we had to build new facilities for a new water source. I don’t think agencies have been good in communicating.”
“I think it’s a failure across the board to engage people,” she added. “It’s a missed opportunity. Most people don’t understand what it takes to provide a clean water supply. When you explain it to them, the utility is able to better maintain a functioning system.”
Residents are looking for leadership from their utilities. At the water rate hearing in Marin County, Calif., board members were urged to make the case for why rate increases were necessary.
“Stop penalizing homeowners who conserve and start rewarding them,” said one resident, the Marin Independent Journal reported.

http://www.circleofblue.org/waternews/2010/world/u-s-urban-residents-cut-water-usage-utilities-are-forced-to-raise-prices/



Coming Era of Water Scarcity Will Prompt Global Industrial Transformation, According to Survey of International Experts

Acute water shortages will change strategy, business operations; depletion of global water resources is more rapid, severe, and complex than anticipated.

WASHINGTON, D.C. – Population growth, urban development, farm production, and climate change is increasing competition for fresh water and producing shortages so acute that virtually every industry in the world anticipates sweeping systemic transformation over the next decade in their strategic planning, production practices, and business models.
That is the conclusion of a global opinion poll of more than 1,200 sustainability experts conducted and made public today by GlobeScan, an international public and stakeholder opinion research firm, and SustainAbility, a think tank and business strategy consultancy.
Jeff Erikson, senior vice president at SustainAbility, told Circle of Blue that the decisions executives make to respond to freshwater scarcity will penetrate almost every aspect of their business operations. For instance, executives who consider locating plants in China are likely to more carefully consider the consequences of rapidly melting Himalayan glaciers in theTibetan Plateau that feed some of China’s most important rivers. In the United States, manufacturers may shift new plants from the increasingly dry Southwest back to the water-rich Great Lakes region.
“Over the last 20 years water shortage has not been a lens that has been heavily considered in plant siting,” said Erikson. “That will change.”
Poll Results
The Sustainability Survey Poll on Water was conducted in more than 80 countries. Some 1,200 influential thought leaders from companies, governments, NGOs, and academia said that multi-faceted engagement with water will be required for companies and governments to effectively manage businesses and communities. The new SustainAbility and GlobeScan survey comes six months after a Circle of Blue/GlobeScan survey of 15,000 people in 15 countries found that water scarcity and water pollution are the top environmental concerns in the world. (See Sustainability Survey Poll on Water Infographics below.)
Along with return on investment, capital requirements, and quarterly returns companies that want to stay in business will need to add expertise to their staffs to manage the new market signals in the era of water scarcity. New business practices will stress water conservation and efficiency, ecosystem protection, public education and engagement. Companies also will need to anticipate market pressure to appropriately price water.
“Our panel of experts has been very good at predicting implications for companies in the sustainability agenda,” said Chris Coulter, senior vice president at GlobeScan. “These findings should sound the alarm for companies that haven’t yet established robust water strategies. This is about literally retaining license to operate in many parts of the world.”

Shortages Produce Systemic Change
The experts who were surveyed said water scarcity will deeply influence virtually every major company that wants to stay in business in the 21st century. Water shortages will shift public perception of the value of water, prompting governments and companies to view clean water not as a commodity to exploit but as a precious resource.
That in turn, for instance, will prompt food companies and farmers — who use 70 percent of the world’s fresh water — to develop much more effective water-conserving irrigation and production practices.
Water scarcity will change products and how they are marketed. For example, household appliance manufacturers are already touting water savings right alongside energy savings in their product advertising. And apparel manufacturers and retailers are exploring how to help consumers reduce water consumption by developing clothing fabrics that require less frequent washing.
Industrial companies, said Erikson, will add a new “layer of consideration” in how they operate to anticipate the consequence of fresh water shortages in their markets. They no longer will have the luxury of producing water-intensive products — cars, steel, chemicals, energy to name a few — in water stressed areas just because labor, land, and electricity costs are low. The availability of water in a water-scarce world will become a much higher priority in business decisions.
Communities that operate sewage treatment plants are likely to pursue partnerships with clean energy producers to fertilize algae and other biofuel crops with wastewater. Such crops also simultaneously soak up nutrients and purify wastewater, significantly reducing sewage pumping and treatment costs.
Reduce Demand, Increase Efficiency, “Footprint”
The experts polled by SustainAbility and GlobeScan strongly favored measures that reduce demand over those that increase supply. And rather than anticipating that new technology will solve the world’s water crisis, experts said that they expected better use of existing technologies coupled with more effective government policies and public education as offering more promise. Experts also cited strong links between water and energy in developing effective public policy.

“Private sector actions to reduce water use in supply chains, to cut pollution and to conserve are vital, welcome, and should be talked about,” said Maggie Catley-Carlson, former UN executive and chair of the Global Water Partnership, and a world-renowned expert on fresh water. “Companies should also be prepared to enter the public forum to expand knowledge and awareness – and to make public authorities feel that they will be supported in moving to better water policies. It is more and more evident that there is a growing, intuitive and widespread appreciation of the fact that access to water can no longer be taken for granted and that something must be done. We have to make it the right ‘something’.”
The poll’s experts said that companies will need to develop programs in “water footprinting” — understanding the full life-cycle impacts of a company’s operations and products — which they viewed as being as important or more important than carbon footprinting. In addition, corporations are expected to establish water management goals at the corporate-level as well as for specific facilities. When asked to identify corporate leaders in sustainable water management, Coca-Cola was cited most frequently followed by Nestlé, GE, SAB Miller, Pepsi, and Unilever.
“Stresses on water supply will continue to grow over the next couple of decades, causing increasingly difficult challenges for communities, regional and national governments and operating facilities across the corporate value chain,” said Erikson. “Companies that are planning now for the changes in their operations, supply chains and markets due to water shortages — rather than focusing only on reducing their direct water consumption — will be much better positioned to capture opportunities and minimize risks and disruptions.”
Keith Schneider, a journalist and producer, is senior editor of Circle of Blue
http://www.circleofblue.org.


lunedì 6 febbraio 2012


Growing Shortages of Water
Threaten China’s Development
With 20 percent of the world’s population but just 7 percent of its available freshwater, China faces serious water shortages as its economy booms and urbanization increases. The government is planning massive water diversion projects, but environmentalists say conservation — especially in the wasteful agricultural sector — is the key.
by christina larson

On a recent visit to the Gobi desert, which stretches across China’s western Gansu province, I came upon an unusual sign. In the midst of a dry, sandy expanse stood a large billboard depicting a settlement the government intended to build nearby — white buildings surrounded by lush, green, landscaped lawns, and in the center a vast, gleaming blue reservoir. The illustration’s bright colors were quite unlike the actual surroundings, which consisted of dull sky that faded into a horizon of undulating, parched-brown hillsides.

Still, the billboard’s promise was clear: Through feats of engineering and willpower, specifically the planned construction of a series of aqueducts to bring water from a tributary of China’s Yellow River, the government pledged to build new homes and remake nature. Let there be water.

A billboard in rural Gansu province, depicting the water-rich settlement the government promises to build nearby.
My companion, the young Chinese environmentalist Zhao Zhong, founder of the nonprofit group, Green Camel Bell, was dubious. He pointed out that not only has the water level of the Yellow River been declining in recent years, in some months no longer reaching the Pacific Ocean, but that the river is now an estimated 10 percent sewage by volume. Watering the desert seemed to him, quite literally, a pipe dream.

Yet the sign conjuring an oasis in the desert does point to a very real dilemma: In order to sustain its rapid development, China needs a lot of water. It can only build as many cities as it can supply with clean water. And the country’s water supply is precariously limited: The Middle Kingdom is home to 20 percent of world’s population, but just 7 percent of its available freshwater resources. Rapid urbanization is quickly increasing demand for fresh water, while climate change threatens to further reduce availability.

Wang Rusong, an expert in urban ecosystems at the Chinese Academy of Sciencesand an environmental advisor to Beijing’s mayor, told me when I visited his offices in May that China’s most worrisome environmental challenge is not what it has too much of — pollution, sewage, carbon emissions, etc. — but what it doesn’t have enough of: “The limiting factor in Beijing’s development is water,” he said. And Beijing is hardly alone.

Over the next 20 years, 350 million people in China — more than the population of the United States — are expected to move from the countryside to the cities, requiring an immense infrastructure build-out. (Imagine constructing all America’s cities in one generation.) One measure
World Bank estimates show China has only one-fourth the global average amount of water per capita.
of the nation’s rapid growth and urbanization is its production of cement — China is by far the world’s largest user of cement, producing seven times more cement than the second-largest user, India. For other natural resources, Beijing is scouring the earth: importing vast quantities of timber from Southeast Asia and Latin America; financing oil rigs in Nigeria, Chad, and Sudan; investing in copper mines in Afghanistan. Yet securing enough fresh water may be the gravest challenge of all, as it is the one resource that cannot be imported.

Instead, China must learn to make due with the water it has. World Bank estimates show that China possesses only one-fourth the global average amount of water per capita. As more and more of its people move to cities, household demands will grow. Professor Wang estimates that Beijing’s water use has grown 150 percent in just the last decade. China’s power sector is extremely water-intensive, and steeply rising energy use is also driving water demand.

A recent study, “Charting Our Water Future,” by the global consultancy, McKinsey and Co., and the Water Resources Group, looks at increasing water demand across sectors (residential, agricultural, industrial) and forecasts that by 2030 China could face a gaping water shortage of 201 billion cubic meters. To make matters worse, much of the available water is located in southern China, while the majority of the population is in the north.

Across China today, one encounters frequent scenes of people struggling to deal with water scarcity. In Gansu province, not far from where the billboard boasts of a modern oasis, local farmers eke out an existence growing vegetables in low greenhouses that they cover with straw mats to retain every last drop of moisture. “There is nothing to spare,” one 40-something farmer told me. Nearby, the wells supplying rural schools have had to be dug deeper in recent years, as groundwater levels sink. In many Gansu villages, canals that run behind homes are dry in the winter months.
Children in rural Gansu province collect water from a well on the grounds of their school.
In southwest China, a severe drought this spring affected as many as 18 million people, drying fields and limiting drinking water to residents in large cities. Such water-scarce regions in China have little buffer against even naturally occurring dips in precipitation — a problem that could be exacerbated as the world warms. As Ma Jun, author of the seminal book, China’s Water Crisis, explained: “In some regions, the environmental capacity is very low, and the groundwater is now quite depleted. We have either to change our livelihoods, or make space for natural restoration to happen. We have to recognize that in certain parts of our earth, existence is fragile.”

In northern China and adjacent Mongolia, the sands of the Gobi desert are expanding — a process known as “desertification” — largely due to land-use changes, soil erosion, and perhaps climate shifts. Each spring, seasonal sandstorms strike Beijing; on the worst days, the skies are yellow, and residents are advised to remain inside. In the 1950s, sandstorms hit Beijing only every seven or so years; now they strike each spring.

In western China, the melting glaciers on the Tibetan-Qinghai Plateau have already begun to shrivel streams in Tibet, Qinghai, and Gansu. The Chinese Academy of Social Sciences estimates that the glaciers, the world’s largest outside the poles, are shrinking by about 7 percent each year. Tenzin Dorje, a Tibetan shepherd living in the rugged Qilian mountains, where streams are fed by glaciers, says that each year he must trudge further to find streams where his sheep can drink.

In west China, the Chinese government projects that 150 million people must move from their homes to secure reliable access to water. As Wen Bo,
‘We can’t think only about economic development, we have to think about ecological capacity,’ says Wen Bo.
an environmentalist in Beijing, points out: “This is a clear indication that we can’t think only about economic development. We have to think about ecological capacity.” He adds that part of the problem is man-made. “Problematic irrigation policies and dam construction [on the nearby Yangtze River] contributed to the recent drought,” he says. “China is not good at water resources management.”

Indeed, Beijing’s typical mindset is to dig its way out of a hole and fight challenges with massive engineering projects. One example is the plan to move vast quantities of water from the southern Yangtze River to the northern Yellow River through a series of grand aqueducts carved through mountainsides and etched across deserts; the eastern leg of the project has already been built, but subsequent stretches appear, many argue, to be geologically and financially unsound. Yang Yong, an independent Chinese geologist who has studied some of the engineering pitfalls of the current proposals, estimates that there may be better ways to approach the dilemma: “You can get more water through better conservation measures than actually building the South-to-North Water project,” he said.

Indeed, China is starting to emphasize conservation. The city government of Beijing last December announced price hikes of 8 percent on residential water use, one of a series of such increases across the country recently designed to discourage household water waste. As Julian Wong, a senior fellow at the Center for American Progress in Washington, DC, observes: “Natural resource inputs have long been underpriced in China. Conservation measures are going to be a priority in the coming years.”
Currently the greatest culprit of water waste in China is the agricultural sector, which accounts for more than two-thirds of all water use. Yet up to 45 percent of that water disappears before it reaches farmers — evaporating off the surface of open canals, seeping into the dirt walls of poorly constructed rural diversions, or being literally skimmed off the top by any number of unaccounted-for water users, according to research by Christine Boyle, a recent Fulbright fellow at the Chinese Academy of Science’s Center for Chinese Agricultural Policy. She points out that when it comes to water management in China, “there are a lot of moving parts, but not a lot of oversight.”

The reasons for such water waste include poor rural infrastructure (every village or district is responsible for maintaining its irrigation infrastructure, and some have little money for repairs); lack of coordination between governing bodies; and lack of measurements or accountability to tell where, precisely, water is being lost.

Recognizing the problem is the first step to fixing it. As Professor Wang told me in Beijing, “First we have to change people’s minds – then our systems.”
 

sabato 4 febbraio 2012



Le mani delle multinazionali sull'acqua
che diventa privata

Erasmo Venosi
COMMENTI. Evidente l’interesse del sistema bancario e della finanza al grande business della “privatizzazione “ dell’acqua.
Il Centro Studi di Intesa San Paolo ipotizza che il regolamento attuativo della legge Ronchi sulla “privatizzazione” dell’acqua potrebbe essere emanato nel 2012. Evidente l’interesse del sistema bancario e della finanza  al grande business della “privatizzazione “ dell’acqua. I pacchetti azionari delle prime cinque multi utilities valgono almeno 2 miliardi di euro. Continua la grande mistificazione sui benefici che apporterà ai cittadini la mitica concorrenza in termini di diminuzione delle tariffe, aumento degli investimenti e miglioramento dei servizi.

L’acqua è un bene comune e l’accesso all’acqua un diritto umano. Il  Nobel dell’Economia Samuelson definisce i beni pubblici in rapporto alla “non rivalità” (l’uso da parte di un individuo non incide sulla quantità disponibile per gli altri) e “non escludibilità” (impossibile escludere gli altri dall’uso). I sostenitori della privatizzazione escludono l’acqua dalla categoria dei beni pubblici perché è un bene scarso, quindi classificabile come bene economico e soggetto alle logiche del mercato. Acqua scarsa?

Lo stress idrico nasce da prelievi superiori alla capacità di rigenerazione. Prelievi aumentati a causa del cambiamento nell’alimentazione, all’aumento dell’urbanizzazione che comporta la cementificazione crescente del territorio, da un’agricoltura che in Occidente ne assorbe il 30%, l’industria il 59% e le famiglie l’11%. Il servizio idrico integrato (captazione, potabilizzazione, erogazione, depurazione, fognatura) è un monopolio naturale (non si possono costruire condotte parallele e/o separare approvvigionamento, depurazione etc) e quindi non assoggettabile al regime della concorrenza nel mercato.

Le gare di appalto per la concessione del servizio trasferirebbe il monopolio naturale nelle mani del privato il quale per massimizzare l’utile comprime i costi, incentiva i consumi, aumenta i prezzi. L’esperienza della “privatizzazione” è a dir poco inquietante. Il potere delle multinazionali dell’acqua è rilevante: Veolia presente in 60 Paesi, Lyonnaise des Eaux presente in 120. Nel grande business entrano anche le banche: esempio ne è la privatizzazione della società di servizi idrici Thames Water alla Kemble Water controllata dal Macuqerie Group, una multinazionale dei servizi bancari e gestore dei fondi d’investimento.

Anche in Italia è nato il polo industriale dell’acqua dall’alleanza tra Iren (aggregazione fra le ex municipalizzate di Genova, Torino, Parma, Piacenza, Reggio Emilia) e il fondo d’investimento F2 (Cassa Depositi e Prestiti, Fondazioni Bancarie e Grandi Banche). Le esperienze italiane di privatizzazione sono nefaste ma anche la gestione pubblica è stata, in alcuni casi, totalmente fallimentare. Gli aumenti potrebbero essere tollerati in presenza di diminuzione di perdite, qualità dell’acqua, bollette trasparenti! Invece a 15 anni dalla riforma gli investimenti effettuati (che giustificherebbero gli aumenti) sono meno della metà di quelli programmati.

Valore medio che spazia tra in vestimenti al 100% di Liguria e Friuli al negletto 6% della Sicilia e della Puglia. Eppure le tariffe pugliesi sono le seconde più alte d’Italia e le perdite della rete idrica ammontano al 56% del totale. Il cittadino di Agrigento invece ha il consumo più basso d’Italia e la tariffa più alta (445 euro a famiglia contro una media nazionale pari a 253).  
Fonte: Terranews



venerdì 3 febbraio 2012



Don Alessandro Cirillo, responsabile della Commissione diocesana Giustizia Pace e Salvaguardia del Creato, interviene sulla vicenda “ADAN” – Addebito Anticipi effettuato in bolletta dalla GORI.
«L’acqua è e resta un bene di tutti. Come Chiesa ci si schiera dalla parte degli utenti» dichiara don Cirillo. «In questi giorni apprendiamo dagli organi di stampa, dopo le opportune verifiche, di un ingiustificato addebito in bolletta da parte della GORI per migliaia di utenti del comprensorio dell’ATO 3 ed in particolare per gli utenti dei comuni dell’Agro nocerino – sarnese.
Tale addebito – spiega don Alessandro Cirillo –, da me personalmente verificato tramite il numero verde della GORI, non ha alcun tipo di giustificazione. Alla mia domanda rivolta alla centralinista del numero verde per capire il perché di questo addebito mi è stato risposto: «E’ l’addizionale come cauzione sul contatore installato dalla GORI». Come è possibile se ve ne era già uno installato dai Comuni già da diversi anni, solo adesso la GORI se ne accorge? Una risposta del tutto immotivata e giustificata dalla GORI col fatto di essere stata dichiarata sulla Gazzetta Ufficiale. Una cauzione in bolletta che, a mio parere, non va pagata e senza alcuna autorizzazione del Consiglio di amministrazione della GORI, di cui fanno parte i Sindaci dei Comuni dell’Agro, forse voluta perché qualcuno intende così sollevare le sorti economiche, già precarie, della società. Ritengo, quale responsabile diocesano della Commissione per la Salvaguardia del Creato, che l’acqua sia un bene primario, creato da Dio per la vita dell’uomo e l’uomo, che non è creatore, non può in alcun modo appropriarsene, gestendone l’uso in modo privato e arbitrario. L’acqua è e resta un bene di tutti. Come Chiesa ci si schiera dalla parte di quegli utenti che, non potendo pagare questo ulteriore addebito su tariffe già salate, si vedranno forse sospesa la fornitura idrica. Pertanto – aggiunge il responsabile della Commissione diocesana Giustizia Pace e Salvaguardia del Creato – si invita la GORI a voler riconsiderare questo addebito in bolletta e provvedere ad eliminarlo perché ingiustificato. San Francesco, uomo povero e di Dio, lodava il Signore per sorella acqua che è casta e preziosa, non lasciamola diventare una cattiva sorellastra nelle mani di pochi, che ne gestiscono l’utilizzo. Acqua per tutti, vita per tutti!»
http://www.agro24.it/2010/08/27/anche-la-chiesa-dellagro-contro-la-gori/




venerdì, 27 agosto 2010; 17:42



Ma che stipendi all'Iren
  di Stefano Caprettini Pietro Affini 

C'erano due mega municipalizzate del Nord, Enìa ed Iride, tutte strettamente controllate dal Pd. Adesso si sono fuse, dando luogo a quella che viene descritta come una «mega-utility» (giusto per non farsi capire dal popolo) che si chiama Iren.
Nell'ultimo cda gli amministratori, di sinistra, impressionati dal livello degli stipendi concessi ai loro dirigenti e dalle inevitabili proteste che potrebbero venire dal loro elettorato magari cassintegrato o licenziato o semplicemente disoccupato, ha invitato (sì, invitato; gli amministratori del Pd non prendono decisioni che spetterebbe loro per paura di disturbare l'amico manovratore) hanno inviato, dicevo, i mega dirigenti di Iren a ridursi lo stipendio del 10 per cento. Non è detto che lo faranno.
In ogni caso, anche con questo taglio, il presidente dell'Iren, Roberto Bazzano, prenderebbe ancora 496 mila euro all'anno e l'amministratore delegato 475 mila.
Stipendi del genere in un'azienda che opera in condizioni di monopolio e che può adeguare le tariffe ai costi sono uno scandalo.
Contro questi emolumenti però, tutti sono stati zitti, Pdl e Lega compresi. L'unico che si è fatto sentire è il segretario regionale emiliano del Prc, Nando Mainardi, che ha annunciato una battaglia negli enti locali dove sono essi presenti, «con indennità che sono un insulto ai lavoratori e ai cittadini» anche perché «sono decisamente più elevati di quelli delle altre ex municipalizzate di pari importanza»

Fonte: Italia Oggi



mercoledì, 01 settembre 2010; 14:27


Caro acqua, Marrazzo convoca l' Ato 3


ANGRI. Prosegue la polemica scatenata dalla richiesta della Gori del pagamento di un anticipo su consumi idrici. Da più parti arrivano pareri contrari e mentre continua il duello verbale tra il sindaco di Scafati e la societá, scendono in campo su fronti diversi l’Ato 3, l’ambito territoriale che raccoglie i comuni dell’area sarnese-vesuviana, e il comitato "Angri Attiva". • L’annuncio della Gori ha dunque catalizzato umori che erano in giro da un po’. Da tempo, infatti, diversi comuni stavano pensando di uscire dall’Ato per svincolarsi dalla politica gestionale della Gori. A prendere posizione è stato allora Pasquale Marrazzo, presidente dell’assemblea dei sindaci dell’ambito territoriale, al quale si è rivolto il sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, che ha annunciato un tavolo finalizzato al chiarimento con la spa. • «In merito alla polemica che infuria tra i dirigenti della Gori, i sindaci dell’Ato 3, le associazioni dei consumatori e gli utenti, circa l’addebito nelle fatture emesse per il servizio idrico integrato - ha scritto Marrazzo in un comunicato - nella qualitá di presidente dell’assemblea dei sindaci, voglio rassicurare tutti che la questione sará affrontata in una specifica riunione, giá fissata per l’inizio dell’entrante settimana, tra i vertici dell’Ente d’ambito e quelli della Gori e, se del caso, sottoposta all’assemblea, come mi è stato chiesto dal sindaco Aliberti, anche a nome di altri colleghi». • Oggetto del contendere - come noto - è l’"adan", l’addizionale sui consumi futuri chiesta agli utenti. Secondo indiscrezioni, la societá starebbe incontrando grosse difficoltá economiche, da qui la necessitá di fare cassa. La vicenda potrebbe avere anche strascici giudiziari con migliaia di ricorsi presso i giudici di pace. • Dura la nota diffusa ieri sul tema dal comitato "Angri Attiva". «La Gori oltre a distribuire l’acqua, che è un bene primario per l’essere umano, distribuisce periodicamente tasse, tributi e dispiaceri. Da giorni è aumentato il coro di proteste da parte dei cittadini dell’Agro contro la Gori per l’ennesimo balzello. L’opinione che si raccoglie fra la gente è che da quando è arrivata la Gori si è registrato un peggioramento del servizio. Insieme all’aumento delle tariffe, non sfugge ai cittadini la cattiva gestione che spesso spreca preziosa acqua. A questo si aggiunge che la rete ormai obsoleta e bisognevole di ammodernamento produce perdita di carico». • Poi un invito all’amministrazione comunale di Angri: «Attendiamo risposte precise dai nostri amministratori. Vorremmo capire cosa intendono fare il sindaco e l’amministrazione e se condividono il comportamento della Gori. Chiediamo inoltre al presidente del consiglio comunale di convocare una riunione straordinaria per discutere dell’ennesima gabella imposta dalla Gori. Vorremmo vedere la delibera di aumento dell’anticipo sui consumi per conoscere nomi e cognomi dei personaggi che hanno tanto a cuore i problemi dei cittadini. Rinnoviamo l’invito al sindaco, ai consiglieri di maggioranza ed opposizione di prendere una precisa posizione nei confronti della Gori». Pippo Della Corte

Fonte: la Città di Salerno — 28 agosto 2010





sabato, 28 agosto 2010; 18:08


Il battere cassa della GORI, l’azienda che monopolizza la gestione idrica dell’ATO3 sta creando un forte dissenso sociale. Anche la chiesa dell’Agro è intervenuta sulla spinosa questione GORI oramai impossibilitata a gestire la mastodontica struttura partorita negli anni dall’ingegneria politica. Una struttura che in principio doveva essere snella e risolutiva per la gestione ottimale delle risorse idriche e che invece è diventata un collettore di risorse umane.
L’azienda sta cercando in tutti modi di fare cassa. L’ultima trovata è quella relativa all’ Addebito anticipo consumi – ADAN – nelle fatture per il servizio idrico integrato dell’ATO3. Un azione vessatoria che ha fatto mobilitare alcuni primi cittadini dell’agro su tutti il sindaco di Scafati Pasquale Aliberti. Una rumorosa mobilitazione, chiedendo ai cittadini dell’Ato3, con una lettera pubblica affissa in città di non pagare tale balzello, una lettera che non è piaciuta ai vertici della GORI tanto che l’amministratore delegato della Gori, la società che gestisce il servizio idrico integrato nei settantasei comuni dell’Ato3 Campania ha fatto sapere di voler querelare il sindaco di Scafati.
Una sfida che Aliberti accetta stizzito: ‹‹Se davvero l’amministratore delegato, Giovanni Marati dovesse querelarmi, ne sarei contento perché sarebbe un’occasione per poter chiarire una serie di responsabilità rispetto ai servizi inadempienti ››. Il sindaco Pasquale Aliberti ricorda quanto Scafati sia stata martoriata dalla gestione Gori asserendo che ‹‹gli unici vantaggi sono state le assunzioni di parenti ed amici di qualche ex amministratore, ma non i benefici che avrebbe dovuto offrire. Negli ultimi tempi per garantire l’acqua a venti nuclei familiari, abitanti di una zona periferica di Scafati, il Comune ha dovuto eseguire, a proprie spese, parte dei lavori che spettavano a Gori, per una giusta erogazione idrica. Inoltre, nell’accordo stipulato col Commissario Roberto Jucci per la realizzazione della rete fognaria, la Gori avrebbe dovuto garantire il trenta per cento dell’investimento, ma ad oggi nulla è stato fatto. A Scafati bisogna ancora realizzare l’ultima delle trentatre reti fognarie ed i lavori ancora non sono partiti, a causa della gestione scellerata della Gori che è venuta meno all’impegno preso››. Il sindaco denuncia fatti estremamente gravi ai quali l’amministratore delegato Marati, non ha risposto. In mancanza di risposte brevi Aliberti fa sapere di portare al vaglio del prossimo consiglio comunale un atto d’indirizzo per chiedere al consesso cittadino ‹‹ la volontà di delegare me perché possa bloccare i pagamenti dell’acqua, oppure per avviare una richiesta risarcitoria per i danni che la città subisce durante ogni pioggia a causa dei mancati lavori alla rete fognaria, di cui Gori è uno dei massimi responsabili››.
Il sindaco Aliberti, eventualmente, farà redigere una stima dei danni finora prodotti affinché Gori paghi fino in fondo i danni prodotti. Danni che in molti cittadini denunciano nelle varie cittadine. Dall’esplosione delle tubature, per la forte concentrazione di calcio e sabbia nella rete fognaria, alla totale mancanza di acqua in alcune zone centrali delle varie cittadine. Tutte azioni che potrebbero a breve dare vita ad una sorte di “action class” contro la Gori.
Getta, è il caso di dirlo, “acqua” sul fuoco delle polemiche Pasquale Marrazzo, il presidente dell’assemblea dei sindaci , che ha convocato per la prossima settimana un summit con i sindaci dell’ATO3 oramai rivoltosi contro l’azienda di Ercolano, già teatro nei mesi scorsi, di una eclatante occupazione, portata avanti dall’allora sindaco di Nocera Inferiore Antonio Romano. Marrazzo lascia il suo pensiero ad un comunicato stampa ‹‹ In merito alla polemica – dice Marrazzo – che infuria tra i dirigenti della GORI Spa, i sindaci dell’Ato 3, le associazioni dei consumatori e gli utenti, circa l’addebito dell’ADAN nelle fatture emesse per il servizio idrico integrato, voglio, nella qualità di presidente dell’assemblea dei sindaci, rassicurare tutti che la questione sarà affrontata in una specifica riunione, già fissata per l’inizio dell’entrante settimana, tra i vertici dell’Ente d’Ambito e quelli della Gori e, se del caso, sottoposta all’assemblea come mi è stato chiesto dal sindaco di Scafati Aliberti anche a nome di altri colleghi››.
 
http://www.agro24.it/2010/08/27/gori-bollette-e-dazi-e-guerra-sociale/


claudiomeloni; ; commenti ?