mercoledì 25 dicembre 2013

La privatizzazione dell'acqua in Grecia





 Malgrado l'esperienza internazionale abbia dimostrato come la privatizzazione del servizio idrico sia dannosa per gli interessi dei cittadini, il governo greco sta portando avanti la privatizzazione delle risorse idriche e del sistema fognario del paese. In questo report realizzato per la rivista UNFOLLOW, Christos Avramidis  e Antonis Galanopoulos mettono in luce diversi aspetti di questa vicenda, incluso il tentativo molto discusso di acquisizione da parte dei cittadini, della società di gestione del servizio idrico EYATh
di Augustine Zenakos

"L'idea che l'acqua rappresenti un diritto umano proviene da alcune NGO 'estremiste' ". Nel 2005 il presidente della Nestlè ha affermato che l'acqua è un alimento come gli altri, e quindi come tale deve avere un prezzo di mercato.
Si tratta dell'unica persona ad avere definito l'ONU, che nel 2010 con il voto favorevole di 122 membri contro 41 astensioni ha dichiarato l'acqua diritto umano fondamentale, 'un' organizzazione estremista', sebbene uno di quei 41 stati  sia stato proprio la Grecia. Tuttavia quest' astensione appare meno sorprendente se si considerano i diversi tentativi di privatizzare sia il servizio idrico che quello fognario, verificatisi negli ultimi decenni. Attualmente il processo di vendita del 51% del capitale della EYATh, la società che gestisce il servizio idrico e quello fognario a Salonicco (Thessaloniki Water Supply and Sewerage SA) è già in corso, mentre EYDAP, l'omologa che gestisce acqua e fognature ad Atene (Athens Water Supply and Sewerage company) è in procinto di seguire la stessa sorte. Guardando gli altri paesi, anche la società di distribuzione del servizio idrico portoghese è in corso di privatizzazione. David Hall, direttore del PSIRU (Public Services International Research Unit) ritiene che la spinta dei nuovi processi di privatizzazione "venga offerta da quei gruppi che sostengono le politiche di austerità e di ristrettezza dei bilanci pubblici, apportando pesanti tagli ai servizi essenziali: si tratta di politiche imposte in modo stringente a quei paesi con un elevato livello di indebitamento, i quali hanno invocato il salvataggio del FMI e dell'Unione Europea."

Un business molto florido malgrado la crisi
La società EYATh è stata costituita nel1998, a seguito della fusione tra l'azienda di distribuzione dell'acqua di Salonicco e quella delle fognature.  Nel 2001 la società è stata quotata in borsa, dopo essere stata scorporata nella società di infrastrutture EYATh e in quella di gestione dei servizi EYATh SA. Oltre a ciò, il 25% del capitale di quest'ultima è stato ceduto ad azionisti privati. EYATh SA serve la regione allargata di Salonicco, che conta oltre un milione e mezzo di abitanti. Il prezzo al metro cubo di acqua erogata è stato per molto tempo il più basso d'Europa.

Nonostante la crisi le società greche di gestione del servizio idrico producono ingenti profitti
Sfruttando il servizio idrico che rappresenta un monopolio naturale, EYATh SA garantisce livelli elevati di profitto. In particolare nel periodo 2007-2011 essa ha conseguito un livello di profitti pari a 75,2 milioni di euro: solo nel 2012 i profitti  sono stati 17,8 milioni. Oltre a ciò la società ha un ammontare di riserva pari a 35 milioni. Il signor Archontopoulos, presidente del sindacato dei lavoratori della EYATh, afferma:" Le municipalità ed altri grandi debitori hanno accumulato un debito complessivo nei nostri confronti di oltre 50 milioni di euro, cosa che lascia supporre che gli investitori effettueranno i loro pagamenti in un lasso di tempo molto breve". Sicuramente i profitti della EYATh sono associati ai tagli salariali ed a quelli del personale che si sono susseguiti negli anni passati, posto che le assunzioni sono state bloccate nel 2003, anno in cui si è tenuto l'ultimo concorso. Così se nel 1998 la EYATh aveva 650 dipendenti per un'area servita più piccola rispetto a quella attuale, il numero dei dipendenti attuale è pari a 250, con solo 11 tecnici idraulici per tutta la città. Ma nonostante tutto le società che gestiscono il servizio idrico in Grecia hanno un' elevata redditività a dispetto della crisi. Si pensi che l'amministrazione centrale e le municipalità hanno un accumulato nei confronti di tutte le società idriche greche un debito complessivo   pari a 356 milioni di euro, elemento questo che pone sotto una luce particolare il paradosso della privatizzazione: il governo greco, per rimborsare i debiti accumulati nei confronti dei nuovi proprietari, dovrà rinunciare oltre alla sua quota di dividendi azionari, anche ad una parte dei ricavi della vendita della società idrica EYATh.
Il parlamentare europeo Kriton Arseni ci ha confessato:" Gli unici beneficiari di questa vendita saranno i nuovi proprietari, mentre a perdere saranno i cittadini".

I gruppi interessati a rilevare la EYATh
Il 30 marzo del 2013 il TAIPED, un fondo di investimento per lo sviluppo della repubblica ellenica, creato dal governo per implementare il processo di  privatizzazione, ha approvato due schemi di investimento che daranno luogo alla seconda fase della gara per la privatizzazione della EYATh SA.  I consorzi che prenderanno parte alla gara sono attualmente due: il primo è guidato dalla multinazionale francese SUEZ Environnement SA (il cui nome è legato a molte delle proteste circa le conseguenze nefaste di una privatizzazione) e dall'operatore AKTOR Concessioni SA, di proprietà di George Bobolas. Il secondo  è invece guidato dalla società israeliana Mekorot Development and Enterprise Ltd, dalla società greca di costruzioni G. Apostolopulos Partecipazioni SA, dalla società olandese di progettazione MIYA Water Projects BV, dalla società TERNA Energy SA di G.Peristeris. Mekerot viene indicata dai siti specializzati come uno degli strumenti principali attraverso cui il governo israeliano compie violazioni dei diritti umani fondamentali nei territori palestinesi occupati.
Secondo alcune informazioni, il consorzio guidato da Suez sta portando a termine una serie di colloqui per cercare di convincere le parti sociali che la sua acquisizione del 51% del capitale della EYATh SA non rappresenterebbe una privatizzazione, ma la costituzione di una società mista pubblico-privata. I rappresentanti della EYATh SA da parte loro si sono dimostrati fino ad ora disponibili al dialogo ed alla collaborazione. Alcuni osservatori parlano di una cauta fiducia. Altri due consorzi di imprese sono stati esclusi dalla seconda fase della gara: si tratta dell'imprenditore Ivan Savvides e del gruppo "Sindacato dei Cittadini per l'Acqua". Il primo era già stato escluso a partire dalle fasi iniziali, a causa dell'impossibilità di individuare un partner tecnico, vale a dire un'impresa operante nel settore dei servizi idrici, e quindi di rispettare i requisiti previsti dalla gara stessa. L'altro consorzio, il Sindacato dei Cittadini per l'Acqua, scaturito dall'iniziativa K136, ha proposto  una gestione sociale del servizio idrico, attraverso una serie di cooperative tra comuni limitrofi. Il suo rappresentante, Lazaros Angelou ha dichiarato:"Nel caso in cui partecipassero tutti i fruitori dei 510 mila metri cubi di acqua consumata, servirebbero 136 euro a metro cubo a testa per rilevare la società. In base al programma stabilito i contributi verranno sottoscritti in favore del Sindacato dei Cittadini, e verranno convertiti in azioni. Ogni singolo sottoscrittore, a prescindere dalla quota versata, avrà diritto ad un solo voto all'interno dell'Assemblea Generale. Le decisioni verranno assunte all'interno dell'Assemblea in modo democratico. L'Assemblea sarà convocata ogni trimestre, e per revocare un membro dell'Assemblea sarà necessaria una maggioranza qualificata. La società di gestione del servizio idrico e di quello fognario EYATh cesserà di avere una natura privatistica orientata al profitto. I ricavi che supereranno i costi saranno reinvestiti nel servizio, o saranno destinati alle necessità delle comunità locali".
Alcuni giorni successivi alla sua esclusione dalla gara, il Sindacato dei Cittadini  ha ricevuto una lettera dal Presidente della TAIPED, in cui veniva giustificata l'esclusione con l'assenza delle condizioni necessarie per poter partecipare alla fase successiva. Il Sindacato ha risposto al TAIPED che non avrebbe accettato una giustificazione così vaga e insufficiente, ed ha presentato un ricorso contro la decisione di esclusione in cui viene chiesto l'annullamento dell'esclusione alla gara, o in alternativa la cancellazione della gara stessa.

K136 e gli Investitori Socialmente Responsabili
Secondo i rappresentanti del Sindacato dei Cittadini, la loro partecipazione al secondo livello della gara era dato quasi per certo, grazie al  parere di un esperto che aveva verificato il soddisfacimento di tutte le condizioni previste. Il Sindacato avrebbe depositato la somma necessaria per partecipare alla gara, fissata dal TAIPED, con una percentuale di capitale preso a prestito non superiore al 5,5% della somma totale, così come richiesto. Il signor Angelou ci ha spiegato più dettagliatamente dove il Sindacato dei Cittadini avrebbe trovato il denaro necessario ad acquistare la EYATh:"Abbiamo coinvolto 22 investitori socialmente responsabili (Social Responsible Investors) nella proposta di acquisto da noi sottoscritta, dopo avere verificato la loro corrispondenza ai criteri di contribuzione sociale che avevamo in precedenza fissato". Una volta constatato che l'adesione dei semplici cittadini all'operazione di acquisto era stata molto scarsa, solo 600 persone, per riuscire a raggiungere la somma necessaria si è resa indispensabile la soluzione degli investitori socialmente responsabili. "E' stato stimato che il loro peso economico superi i 30 miliardi di euro", afferma Angelou, e così la capacità di raggiungere la cifra richiesta per l'acquisto della EYATh è stata documentata". A questo punto non riveste molta importanza il fatto che la proposta del Sindacato dei Cittadini, a dispetto dei propositi e degli obiettivi, presentasse molte lacune e contraddizioni.
Inizialmente sembrava che questi investitori socialmente responsabili non avessero molta voglia di essere coinvolti, mentre alcuni di essi non conoscevano nessuno dei dettagli relativi alla EYATh o al Sindacato dei Cittadini. La stessa partecipazione degli Investitori presentava dei dubbi. Mentre la versione del Sindacato sostiene che gli Investitori Responsabili si sarebbero fatti carico del versamento della somma per l'acquisto della EYATh il giorno stesso della transazione, un'altra versione sosteneva invece che la somma necessaria a concludere la transazione, sarebbe stata messa a disposizione del Sindacato,  attraverso dei prestiti di piccolo importo. Resta da capire se gli investitori avrebbero accettato di finanziare migliaia di cittadini con il denaro necessario, e se il denaro sarebbe stato accreditato direttamente ai cittadini e in quali termini. Date queste zone grigie all'interno della proposta del Sindacato dei Cittadini, l'unica credibilità del gruppo K136 era data dalla presenza di Robert Apfel, responsabile per la comunicazione con gli investitori. La fiducia riposta in Apfel si è basata - racconta Kostas Marioglou uno degli esponenti del Sindacato  - sul fatto di "essere stato incaricato anche dal governo greco di progettare il ruolo del settore privato (Private Sector Involvement)". Secondo quanto afferma il gruppo K136, Apfel ha preso parte al PSI come capo del Bondholder Communications Group. L'iniziativa è stata anche sostenuta da John Redwood e da Citigate Dewe Rogerson. Redwood è stato il consulente per la privatizzazione e in seguito nel 1983 primo consigliere politico del governo di Margaret Thatcher, svolgendo un ruolo chiave nella privatizzazione di British Telecom e in seguito di British Gas, ricoprendo ancora oggi l'incarico di deputato tra le fila dei tories. Citigate Dewe Rogerson è stato invece responsabile della comunicazione finanziaria e di business per quasi tutte le privatizzazioni che sono state fatte in Inghilterra. Tutto questo giustifica la seguente domanda: perchè società e individui che conoscono le privatizzazioni meglio di chiunque altro, hanno accettato di partecipare ad un' iniziativa che si oppone alla privatizzazione?


Robert Apfel: il capitalismo dovrebbe essere instillato in ogni essere umano
Abbiamo rivolto questa domanda al sig. Apfel, il quale ha risposto:" Credo che tutti abbiano da guadagnare con la privatizzazione. Ritengo che il governo debba privatizzare la EYATh SA, in modo tale da rendere l'azienda più vicina ai bisogni dei cittadini. Mi ricorda molto le privatizzazioni fatte dalla Thatcher, quando il 62% delle azioni della British Gas finirono nelle mani dei consumatori. Il governo concesse dei prestiti ad interesse zero per consentire ai cittadini di poter acquistare le azioni della società del gas. Sono consapevole del fatto che ancora oggi molti equiparano la Thatcher a Satana, ma quella sua scelta consentì alla popolazione inglese di entrare in possesso di buona parte del capitale della British Gas.  Erano sufficienti 40 sterline per acquisire una quota del capitale della società". Se dal nostro punto di vista l'iniziativa intrapresa in Grecia dai K136 appare come qualche cosa di nuovo e originale, il sig. Apfel la considera solo una nuova privatizzazione: "La privatizzazione della EYATh eseguita in questo modo, può rappresentare un esempio per tutta l'Europa. Un'altra iniziativa a cui sto lavorando è quella che consentirà ai bambini di partecipare". Secondo la Banca Centrale Greca gli abitanti della Macedonia centrale avrebbero nei loro portafogli e nei loro conti bancari circa 2,8 miliardi di euro semplicemente risiedendo in quella provincia. Questa è la ricchezza posseduta dalla regione della Macedonia centrale, ed essa dovrà essere messa in circolazione. Credo che molti all'interno del governo, incluso il sig. Samaras, saranno eccitati nel vedere 100 mila cittadini-capitalisti con i loro 136 euro a testa in mano, in attesa di rilevare la loro quota della EYATh. Noi abbiamo bisogno di portare le grosse aziende di stato più vicino ai cittadini. E per poter fare questo dobbiamo andarle a prendere all'amministrazione centrale".
E' evidente come l'idea di capitalismo popolare illustrata da Apfel sia in netta contraddizione con gli obiettivi promossi attraverso l'iniziativa K136 di un'economia sociale solidaristica. Mentre L. Angelou continua a  sostenere come  il progetto K136 differisca profondamente da ciò che è accaduto in Inghilterra durante i governi della Thatcher. Ciò principalmente a causa della sua natura "non profit", oltre all'obiettivo di condividere conti e non azioni, Apfel nella sua risposta alla nostra domanda se il progetto K136 sia simile o meno al progetto della Thatcher, non lascia spazio a fraintendimenti: "Indubbiamente, si".
In ultima analisi l'iniziativa K136  si oppone ad un meccanismo consolidato, mentre l'intenzione di Apfel è quella di riprodurre quel meccanismo in tutte le sfere della vita sociale. Solamente se tutti quanti noi diventiamo dei capitalisti convinti, e mettiamo in circolazione i nostri depositi all'interno dell'economia reale, il sistema stesso sarà capace di rigenerarsi e di sopravvivere alla sua attuale crisi. La diversità tra gli obiettivi perseguiti da K136 e quelli di Apfel è dunque evidente. Tuttavia, saranno in grado di condurre allo stesso risultato?


L'esperienza internazionale: La privatizzazione dell'acqua produrrà effetti negativi per i cittadini
Quello che sta accadendo in Grecia, oltre ad essere in contrasto con un grossa esperienza accumulata negli anni passati circa gli effetti negativi sulla popolazione della privatizzazione del servizio idrico, si contrappone ad una tendenza molto attuale di servizi idrici che tornano ad essere gestiti dal pubblico, dopo essere stati in precedenza privatizzati. Il concetto che sta alla base della nazionalizzazione non è rappresentato solo dal principio secondo il quale il servizio idrico deve esser gestito dal pubblico, poichè rappresenta un bene essenziale, ma anche da motivazioni di ordine economico, in quanto è stato ampiamente dimostrato come una gestione pubblica sia in grado di soddisfare pienamente sia gli interessi dei cittadini che quelli delle casse dello stato. Come ci ha raccontato il signor Kolokytha, professore associato al dipartimento di Ingegneria Civile, presso l'Università Aristotele: "Quando si tratta di portare l'acqua nelle case della popolazione, l'acqua stessa deve essere considerata come un bene sociale, ed un servizio idrico capace di portare nelle case della gente un'acqua di buona qualità, in quantità adeguata e ad un costo sostenibile,  rappresenta un obbligo per lo stato centrale o per l'amministrazione locale. Qualsiasi impresa privata ha come obiettivo principale quello di massimizzare il profitto, e questo lascia intendere come essa non possa operare sul terreno dell'interesse sociale generale".
"L'esperienza internazionale mostra come la privatizzazione del servizio idrico metta a rischio il diritto di accesso ad uno dei beni più importanti per la sopravvivenza umana. Il tipico esempio ci viene dall'esperienza inglese. La privatizzazione del servizio idrico portata a termine dalla Thatcher ha causato degli effetti drammatici sulla popolazione, producendo un aumento del prezzo dell'acqua del 50% nei primi quattro anni dall'ingresso dei privati, triplicando il numero delle famiglie insolventi, abbassando il livello di qualità dell'acqua, aumentando i casi di dissenteria dovuti alle pratiche di conservazione dell'acqua, e causando una moltiplicazione esponenziale dei fenomeni di inquinamento della risorsa idrica" afferma il parlamentare europeo Kriton Arsenis. Tra le dozzine di casi di privatizzazioni fallimentari, quello esemplare è rappresentato sicuramente dalla Bolivia, dove la privatizzazione è stata imposta come condizione essenziale per la concessione del prestito da parte del Fondo Monetario Internazionale. La privatizzazione in Bolivia ha causato un aumento insostenibile del costo dell'acqua (200-300%). Le proteste della popolazione sono in seguito sfociate in una tragedia, con sette manifestanti morti, ed il governo è stato alla fine costretto a tornare  sui suoi passi , rinazionalizzando il servizio idrico.


La ripubblicizzazione del servizio idrico ed il referendum
Alcuni esempi di resistenza alla privatizzazione o di ripubblicizzazione del servizio idrico si possono oggi vedere anche in Europa. Il più importante è senza dubbio rappresentato da quello di Parigi, dove nel 2008 l'amministrazione comunale ha deciso di non rinnovare il contratto per la gestione del servizio idrico alle due multinazionali francesi Suez e Veolia, contratto datato 1985. L'amministrazione ha creato l'azienda municipalizzata Eau de Paris affidandole nel 2010 la gestione del servizio idrico. Abbiamo contattato Anne Le Strat, delegata dal sindaco di Parigi e presidente di Eau de Paris, che ci ha detto :"La scelta di ripubblicizzare il servizio idrico è stata dettata da una forte convinzione, quella secondo cui la gestione del servizio idrico debba rispondere ad un interesse pubblico: l'acqua è un bene comune, una risorsa vitale che deve essere controllata e gestita da un soggetto che sia pienamente responsabile. Questa riforma della gestione del servizio idrico si basa sull'impegno preciso da parte del comune di Parigi a considerare l'acqua un servizio pubblico".
I risultati di questa riforma sono oggi apprezzabili in modo evidente: 35 milioni di euro di profitti annuali, mentre il costo dell'acqua potabile è stato per la prima volta ridotto nel 2011 dell'8%, dopo una crescita a partire dal 1985 del 260%.
Nel 2011 in Italia si è tenuto un referendum, con il 95% degli elettori italiani che si sono espressi contro la privatizzazione del servizio idrico. Numerose pressioni esterne, poco democratiche, hanno tentato di sovvertire questo enorme risultato, che tuttavia è stato ratificato nel luglio 2012 dalla Corte Costituzionale.
A Vienna l'87% dei cittadini ha votato contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali, e tra questi anche il servizio idrico.
David Hall ci ha raccontato che "Ogni volta che la privatizzazione del servizio idrico è stata sottoposta a referendum popolare, essa è stata puntualmente respinta in massa". Di conseguenza, la proposta dell'amministrazione di Salonicco di sottoporre la privatizzazione del servizio idrico ad un referendum viene vista molto positivamente, anche se l'esito non viene ritenuto vincolante.
Il referendum è in grado di elevare il livello del confronto, soprattutto a seguito dell'esclusione dell'iniziativa K136, che alcuni consideravano come una soluzione di ripiego rispetto alla privatizzazione pura e semplice.
In questo contesto un ruolo dominante viene svolto dall'iniziativa SOSte to nero
(Salva l'acqua), che coordina attraverso un'assemblea, le iniziative di una serie di agenzie e di organizzazioni che si oppongono alla privatizzazione. Teoricamente la privatizzazione viene anche contrastata da tutte le amministrazioni locali, le quali si sono espresse attraverso una risoluzione unanime da parte dell'Unione Centrale delle Municipalità della Grecia, contro la scelta del governo centrale di privatizzare il servizio idrico locale e quello fognario. Il prossimo passo spetta al governo greco. Accetterà di indire un referendum, con la possibilità di annullare la privatizzazione, e quale sarà la posizione del Presidente della Repubblica, al quale spetta l'ultima parola su questa materia? In ultimo, chi comanda in questo Paese? La Suez ed il fondo TAIPED o la demos ossia la gente? L'etimologia della forma di governo denominata democrazia, lascerebbe presupporre che il potere sia detenuto dalla gente. Fino ad oggi la realtà ci ha dimostrato il contrario. (traduzione di cm)







giovedì 19 dicembre 2013

Nuove norme per la sospensione dell'erogazione di luce o gas


Tempi certi e procedure definite e trasparenti per la messa in mora e la cessazione dell'erogazione di gas o luce. Previsti indennizzi  a favore dell'utente in caso di violazioni da parte del gestore

Con l'introduzione delle nuove tariffe, l'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas ha fissato le nuove modalità di sollecito e sospensione del servizio in caso di morosità dell'utente. In particolare per quel che riguarda il distacco dell'erogazione dell'elettricità e del gas, a partire dal mese di aprile, sono state fissate in modo definitivo le tempistiche relative agli avvisi di sospensione  e i termini ultimi per i pagamenti.
L'avviso di costituzione in mora dovrà essere inviato dall'azienda erogatrice tramite raccomandata, con l'indicazione ben evidente della data di emissione.
In assenza di data nella busta, la raccomandata dovrò essere inviata entro tre giorni dalla data indicata dal corpo della raccomandata.
Con riferimento alla data indicata nella lettera, l'utente ha a disposizione 20 gg. per regolarizzare la propria posizione. Scaduti i venti giorni il fornitore dovrà attendere altri tre giorni prima di inviare la richiesta di sospensione.
A questo riguardo la novità introdotta dalla presente normativa riguarda i casi di contestazione. Se infatti la morosità si protrae oltre i venti gg sopra indicati per via di una contestazione da parte del cliente, il fornitore, prima di sospendere l'erogazione della fornitura, dovrà necessariamente rispondere ai reclami scritti del cliente.
Nel caso in cui il fornitore non rispettasse le tempistiche indicate, l'utente avrà diritto a ricevere un indennizzo che gli verrà accreditato automaticamente in bolletta.
Se il fornitore procedesse alla sospensione del servizio senza prima avere inviato la costituzione in morosità, sarà tenuto a corrispondere al cliente un indennizzo di 30 euro. Nel caso in cui la costituzione fosse stata inviata dal fornitore ma non fossero state rispettate le tempistiche previste dalla normativa  per quanto riguarda il distacco, l'indennizzo che dovrà essere corrisposto all'utente sarà di 20 euro.
In entrambe i casi al cliente non sarà mai richiesto un ulteriore corrispettivo per la sospensione o la riattivazione della fornitura.
Nel mese di giugno mi sono visto recapitare la bolletta della luce da Acea. Bolletta che ho contestato in quanto estremamente più onerosa rispetto alla media delle bollette che avevo fino a quel momento ricevuto. Telefono ad ACEA, comunico la lettura aggiornata , e mi viene risposto che mi verrà recapitata la fattura con il consumo effettivo. Passano i giorni e arriviamo ai primi di luglio, quando da un giorno all'altro senza preavviso mi vedo staccare la luce. Chiedo un permesso a lavoro e mi reco agli uffici di piazzale Ostiense, dove dopo un'attesa interminabile riesco a parlare con l'operatore allo sportello. Che mi dice: "queste sono le bollette da pagare. Oltre a queste però, deve pagare un conguaglio per farsi riattaccare la luce".  Il conguaglio è uguale per tutti ed è di 90 euro. Una rapina. Dopo avere pagato alla posta di via Marmorata faccio il fax dentro gli stessi uffici postali, e l'impiegata mi confessa molto candidamente: "E, lo so. Anche a me hanno fatto così. Succede a tutti.". Recentemente sono venuto a sapere che questa procedura dei distacchi selvaggi, che viene logicamente attuata per incamerare indebitamente i 90 euro di riallaccio, viene applicata dalla stessa Acea anche nell'erogazione dell'acqua. Con una variante, che sarebbe quella di appaltare il servizio ad una ditta esterna, giustificandosi verso gli utenti con la solita storiella per cui la mano destra non sa mai quello che fa la sinistra. In più sembra che se la cooperativa a cui è stato appaltato il servizio dei distacchi, non venga neanche pagata se non raggiunge una data soglia di distacchi effettuati. Con il rischio effettivo per i lavoratori di perdere il posto. Cornuti e mazziati quindi. cm

domenica 17 novembre 2013



Acqua pubblica, giudice Arezzo dà ragione a comitati su ‘auto-riduzione’ della bolletta

Due distinte sentenze per la prima volta danno ragione a due "obbedienti" per la mancata applicazione da parte della Nuove Acque Spa dell'esito del referendum che aveva sancito l'abrogazione della remunerazione del capitale

Si auto-riducono la bolletta dell’acqua, ma sono loro i veri “obbedienti”. A stabilirlo con chiarezza, per la prima volta, è stato il giudice di pace di Arezzo, che con due distinte sentenze ha dato ragione ai comitati per l’acqua pubblica, obbligando il gestore del servizio idrico aretino – Nuove Acque Spa, controllata dai comuni dell’Alto Valdarno con il 54% delle azioni – a non addebitare più in bolletta la remunerazione del capitale investito, abrogata ormai due anni fa.
Il referendum del 2011, infatti, avrebbe dovuto cancellare immediatamente questa voce dalle tariffe idriche: così, almeno, recitava il decreto 116 del Presidente della Repubblica, secondo cui l’abrogazione avrebbe avuto effetto dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (quindi dal 21 luglio 2011). Secondo i comitati, invece, la remunerazione del capitale – leggi, il profitto del gestore – ha continuato a esser pagata dagli utenti: di qui la campagna di “obbedienza civile”, che invita i cittadini ad autoridursi la bolletta nel rispetto della legge e della volontà popolare.
“Tutto è nato da due “obbedienti” che si sono scontati la bolletta del 13,5% nel 2011 e del 13,8% nel 2012″, spiega Lucio Beloni, presidente del Comitato acqua pubblica di Arezzo. “Il gestore li considerava morosi, e reinseriva nelle bollette successive la cifra detratta. Poi, a gennaio hanno deciso di intraprendere un’azione legale e oggi, finalmente, un giudice ha riconosciuto la legittimità del loro comportamento e la validità della campagna di obbedienza civile”.
In effetti, le sentenze sono chiare: “Si ravvisa come la società Nuove Acque abbia compreso nel proprio conto economico anche la voce di remunerazione del capitale […], richiedendone il pagamento in bolletta pur senza evidenziare esplicitamente la posta nella fatturazione”, scrive il giudice Claudio Dal Savio. Di conseguenza “l’addebito appare inapplicabile a far data dal 21/7/2011 e fino alla data della domanda [ovvero, il gennaio 2013, ndr]”; e, quindi, “le somme pagate dall’attore a tale obbiettivo […] devono essergli restituite”.
Stando ai calcoli del comitato i due “obbedienti” riceveranno un rimborso di 100 euro a testa, cui si aggiungeranno 587 euro di spese legali, che Nuove Acque è stata condannata a liquidare. “Già il giudice di pace di Chiavari aveva obbligato il gestore a restituire la quota di profitto, ma solo fino alla fine del 2011″ aggiunge Beloni. “Le sentenze di Arezzo, invece, sono decisive proprio perché coprono anche il 2012 e il 2013, fino alla data in cui sono stati presentati i ricorsi”.
Secondo il Forum dei movimenti per l’acqua la decisione del giudice aretino smentisce anche l’operato dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg), che dopo il referendum era stata incaricata di rimodulare le tariffe. “In realtà hanno solo cercato di annichilire la volontà popolare”, denuncia il presidente del comitato toscano, “il metodo tariffario transitorio che hanno approvato ha stravolto tutte le voci della bolletta. Sulla carta hanno cancellato la remunerazione del capitale, ma nella pratica l’hanno reintrodotta attraverso una nuova voce, il “costo della risorsa finanziaria”, che comprende gli oneri fiscali e finanziari del gestore”.
Secondo gli attivisti, per il solo 2011 Nuove Acque avrebbe dovuto restituire 2 milioni e mezzo di euro a 124mila utenti, pari a circa 20 euro a testa. “Invece di rimborsarci, l’Autorità idrica toscana ha scalato da questa cifra gli oneri fiscali e finanziari, portandola ad appena 1,29 euro a utente. Senza contare che fra le somme detratte compare anche l’Ires, imposta sul reddito che le società pagano solo se generano profitto. Cioè: il referendum ha abrogato il profitto, ma alla fine i gestori hanno ottenuto sia questo, sia il rimborso delle imposte che ci pagano sopra. Una doppia presa in giro”. Per il periodo successivo al 2011, invece, l’Autorità ha dichiarato che la remunerazione del capitale era stata soppressa, e che non ci sarebbero stati rimborsi. I comitati, però, non sono d’accordo: di qui l’importanza delle sentenze del giudice Dal Savio, che hanno individuato il profitto anche dopo il 2011.
“Il nuovo metodo tariffario ideato dall’Aeeg fa rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta”, spiega Paolo Carsetti del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, “la remunerazione del capitale oggi si chiama ‘costo della risorsa finanziaria’, e corrisponde al 6,4% della bolletta. Insieme a Federconsumatori abbiamo depositato un ricorso al Tar della Lombardia contro questa nuova tariffazione, e aspettiamo la prima udienza per il prossimo gennaio. D’altronde, di ricorsi post-referendum ne sono stati presentati almeno trentacinque: alcuni dalle associazioni dei consumatori, altri dagli stessi gestori del servizio idrico, che lamentano un trattamento poco generoso da parte dell’Autority”.
Le sentenze di Arezzo, comunque, segnano un deciso punto a favore dei comitati. E lo fanno dalla provincia che per prima nel 1999 fece entrare i privati nella gestione delle risorse idriche. “La remunerazione del capitale non è mai stata eliminata – ribadisce Carsetti – se non rispetteranno la volontà popolare faremo piovere ricorsi ovunque. E i gestori non dovranno farsi carico solo dei rimborsi, ma anche dei 587 euro di spese legali per ogni utente. Non so quanto sia conveniente, per loro, continuare a ignorare la volontà dei cittadini”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/16/acqua-pubblica-tribunale-di-arezzo-da-ragione-ai-comitati-sulla-auto-riduzione-della-bolletta/780009/

sabato 26 ottobre 2013

La Campania si svende l'acqua












In barba all'esito del referendum sull'acqua e sui servizi pubblici la regione Campania ha presentato una bozza di legge sul ciclo delle acque che offre ai privati, mettendola sul mercato, la gestione del servizio idrico integrato.
La bozza, approvata dalla giunta regionale, è ora passata all'esame della commissione regionale competente. 
La proposta di privatizzazione accoglie in pieno l'idea avanzata dal ministro Zanonato che prevede un allentamento del patto di stabilità, con la possibilità concreta di ricevere fondi da destinare alla spesa pubblica, per quei comuni che decidono di privatizzare i loro servizi.
I movimenti referendari hanno chiesto ai consiglieri regionali un confronto, che è stato fissato per il giorno 30 ottobre.
La bozza di legge prevede anche la riorganizzazione della gestione in tre ATO rispetto ai quattro attuali, con l'accorpamento dell' ATO 2 di Napoli con quello di Caserta ed una parte di quello salernitano. Si avrebbe così un ATO sovradimensionato come numero di utenti, si parla di circa quattro milioni, molto simile all' ATO 2 di Roma. Questo progetto appare tagliato su misura sulle esigenze di economie di scala da parte di un già ben delineato gestore privato. Riguardo all'indebitamento accumulato dalla Regione Campania nei confronti dell'attuale gestore, la Gori spa, pari a 282 milioni (il cui 37% è in mano ad ACEA spa), il commissario straordinario dell' ATO, Carlo Sarro, senatore del Pdl nonchè avvocato di Nick o' Americano, alias Nicola Cosentino, ha negoziato una parziale cancellazione del debito per 70 milioni, mentre la restante parte è stata dilazionata in un periodo di 20 anni, i primi dieci senza interessi. 
Questo piano di rientro ha inoltre disposto un aumento della tariffa idrica a carico della fascia media di utenze del 13,4%, con possibili ulteriori incrementi futuri. Per escludere dall'eventuale gara per l'affidamento l'attuale gestore dell' ATO  2 Napoli, l'azienda speciale ABC, la Regione ha inviato a quest'ultima un' ingiunzione di pagamento per 100 milioni di euro, relativa al mancato pagamento degli oneri di depurazione, atto impugnato da ABC attraverso l'amministrazione comunale. La nuova normativa in esame presso la commissione regionale prevede inoltre un meccanismo sanzionatorio che scatterebbe automaticamente qualora il Piano d'Ambito non venisse approvato dai comuni interessati nei termini previsti dalla legge. Le sanzioni andrebbero da un minimo di 10 centesimi ad un massimo di 50 per ciascun utente del servizio. 

CM

martedì 1 ottobre 2013

L'assemblea dei sindaci dell'Ato4 ripubblicizza Acqualatina







Nell'assemblea dei sindaci della provincia di Latina svoltasi ieri, una stretta maggioranza dei comuni presenti, 15 su 38, ha deciso di dare mandato al presidente dell'assemblea e della provincia Armando Cusani, per riacquistare le azioni di Acqualatina spa attualmente in mano ai privati.
Malgrado l'esito del referendum del 2011 la conferenza aveva fino ad ora continuato ad applicare in tariffa il criterio della remunerazione del capitale investito, quel fatidico 7% abolito attraverso un esplicito quesito referendario. Questo è accaduto fino a qualche mese fa, quando il presidente Cusani proponeva di abolire tale remunerazione e di tornare ad una gestione interamente pubblica. La decisione prevede infatti il trasferimento di tutti i poteri del gestore idrico in mano ai comuni, posto che a partire dal 2014 la provincia di Latina sarà soppressa.
Attualmente il 51% delle azioni di Acqualatina sono in mano ai comuni, in proporzione alla popolazione residente, mentre il 49% è in mano a privati, in particolare alla società Idrolatina spa, il cui capitale è quasi interamente posseduto dalla multinazionale  francese Veolia.
Dopo il rinvio della settimana scorsa, ieri è stato quindi votato il riacquisto delle quote dei privati. I comuni dissenzienti, Aprilia, Bassiano, Pontinia, Formia, , Cori, Roccagorga, , Amaseno, Giuliano di Roma, Nettuno, Priverno e Lenola amministrati dal centrosinistra, hanno presentato un documento alternativo, che però non è stato votato. Nel documento i comuni chiedevano sempre un ritorno in mano pubblica di Acqualatina ma attraverso uno studio di fattibilità che analizzasse la situazione finanziaria ed economica del gestore. Il nodo appare dunque essere stato quello della situazione finanziaria di Acqualatina, con un deficit di bilancio stimato di 80 milioni di euro. I dissenzienti si incontreranno il 5 ottobre a Formia per decidere la strategia da assumere. Questi ultimi contestano la mancanza di un reale dibattito sulla decisone, oltre alla scelta di Cusani di esprimersi nel merito, posto che per regolamento il presidente dell'assemblea non avrebbe diritto di voto.

CM

venerdì 13 settembre 2013

A BERLINO L'ACQUA TORNA AD ESSERE PUBBLICA







La multinazionale francese dei servizi ambientali (acqua, rifiuti, riscaldamento e trasporti) Veolia Environnement SA ha reso noto martedi'10 di avere raggiunto un accordo con il governo della città stato di Berlino, per la cessione della quota (24,95%) di Berlinwasser, per una cifra pari a 59 milioni di euro.
Veolia, la multinazionale dei servizi ambientali più grande in termini di fatturato, ha affermato che i ricavi includeranno anche i 12 milioni di euro di dividendi provenienti dalla Berlinwasser per l'anno finanziario 2013.
Veolia sostiene che questa vendita rientra in un più generale piano di dismissioni già programmate, per un ammontare complessivo di 6 miliardi di euro di assets azionari, per quanto riguarda il periodo 2012-13. Con questa operazione il gruppo francese intende mantenere invariato il suo livello di profittabilità, oltre a ripianare la sua situazione debitoria.
Veolia aveva acquistato il pacchetto di azioni della Berlinwasser nel 1999, a seguito della parziale privatizzazione della multiutility; l'altro 24,95% era stato rilevato dalla multinazionale tedesca RWE.  
E proprio l'anno scorso RWE aveva venduto il suo pacchetto sempre alla città di Berlino per 18 milioni di euro.
Berlino torna quindi ad essere l'unica proprietaria della Berlinwasser, cosi' come richiesto dalla maggioranza dei suoi cittadini. Nel 2011 si e'infatti tenuto nella capitale tedesca un referendum locale per la ripubblicizzazione della multiutility berlinese. Votarono allora 666.000 cittadini, scegliendo una gestione totalmente pubblica, a seguito dello scandalo che rivelo' una direzione completamente opaca del servizio idrico, oltre a continui aumenti delle tariffe.
L'accordo dovrà essere ratificato dall'organo assembleare di Berlino, ma è possibile ritenere fin da ora che otterrà il consenso della maggioranza CDU-SPD, così come già è accaduto per il riacquisto del pacchetto di RWE.

CM


giovedì 22 agosto 2013

Idro Tigullio condannata a risarcire la quota di remunerazione del capitale







Idro Tigullio spa gestore del servizio idrico nell'ATO genovese di Levante, partecipata oltre che dal colosso nazionale Iren, dai comuni di Chiavari, Favale di Malvaro, Lavagna, Leivi e Orero, è stata condannata dal Giudice di Pace di Chiavari a restituire, oltre alle spese legali e agli interessi, la quota in bolletta di remunerazione del capitale investito.
La sentenza rappresenta l'esito di una azione legale mossa da un utente della IdroTigullio spa, che si è rivolto al giudice per chiedere la restituzione di quel 7% indebitamente pagato nella bolletta dell'acqua, a seguito dell'esito del referendum del 2011. Come si ricorderà il secondo quesito referendario abrogava dall'ordinamento quel 7% riconosciuto per legge ai gestori del servizio idrico, e contenuto nella bolletta dell'acqua sotto la voce "remunerazione del capitale investito".
Nella sentenza si legge: "Nell'interesse dell'attrice: condannare la convenuta società Idro Tigullio spa a restituire all'esponente ai sensi dell'art.2033 c.c e/0 quant'altri meglio visti nel caso de quo l'ammontare di Euro 21,09 indebitamente percepiti a titolo di "remunerazione del capitale" per il periodo compreso tra il 21 luglio 2011 fino alla data del 31.12.2011. Il tutto rigorosamente entro e non oltre la competenza per valore dell'adito giudice. Con vittoria di spese, diritti ed onorari".
Interessanti le motivazioni della sentenza  in relazione alla mancata applicazione da parte della Idro Tigullio dell'esito referendario: "Nonostante l'esito referendario e le numerose diffide di cittadini e comitati l'Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale genovese (AATO) e il gestore (Idro Tigullio spa) risultavano inerti nel recepire la volontà espressa con il referendum sopra indicato direttamente applicabile sui contratti in essere oltre che sui nuovi contratti e continuava a pretendere il pagamento di una tariffa contenente la remunerazione del capitale" [...]
"Per quanto sopra riteneva, quindi, non più esigibile la componente di "remunerazione del capitale investito", difettante dell'originaria causa giustificativa (mero riconoscimento del profitto) e, dunque, rilevava che il pagamento della stessa, a seguito dell'esito referendario, costituiva indebito oggettivo ai sensi dell' art.2033 del codice civile. Pertanto richiedeva la restituzione nella somma corrispondente complessivamente ad euro 21.09 indebitamente pagata a titolo di "remunerazione del capitale" dal 21 luglio al 31.12.2011".
D'altra parte, si legge sempre nella sentenza, "la Idro Tigullio spa eseguiva provvedimenti amministrativi ed era obbligata a fare questo in quanto si era convenzionalmente obbligata verso la parte pubblica (Autorità d'Ambito) e la Provincia e, pertanto, non poteva apportare modifiche alla struttura tariffaria in pretesa applicazione degli esiti referendari del luglio 2011, posto che i titolari della relativa potestà erano esclusivamente gli enti pubblici individuati per legge".
Inoltre, prosegue il giudice, occorre ricordare come i rapporti tra le fonti giuridiche siano ordinati secondo criteri di gerarchia per cui le fonti di grado inferiore, di grado secondario nel caso in esame, essendo la delibera n 585/2012/R/IDR  con cui l'AEEG ha introdotto la nuova tariffa idrica, un atto amministrativo, non possono mai modificare la norma di grado superiore (posto che all'esito referendario è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale valore di legge ordinaria, vedi sentenza n. 9/97: "il contrasto tra legge posteriore e abrogazione popolare si configura, nei limiti del formale e sostanziale ripristino, come vizio di legittimità costituzionale").
Da ciò deriva che l'atto amministrativo n 585/2012/R/IDR emesso dall'AEEG e che determina la nuova tariffa idrica, sia da considerare contrario alla volontà popolare così come essa è emersa dal referendum. 
Inoltre  la domanda referendaria può produrre effetti anche nei confronti di tutte quelle norme che, ancorchè non oggetto del quesito, siano tuttavia strettamente connesse ad esso in quanto recanti norme contrastanti con la volontà abrogativa popolare; si fa riferimento in particolare al  D.M. 1°agosto 1996 nella parte in cui esso richiamava ed applicava il criterio della "adeguatezza della remunerazione del capitale investito" criterio applicato tra il 21 luglio ed il 31 dicembre 2011 per la determinazione della tariffa idrica in periodo di vacanza normativa.
Al di fuori delle questioni puramente attinenti all'interpretazione delle norme, il giudice termina le motivazioni di questa sentenza affermando che, sebbene il gestore sia un soggetto di diritto privato, e in quanto tale mosso nella sua missione da logiche di profitto, il servizio idrico in base agli articoli n.822 e 823 del c.c è il bene pubblico per eccellenza e rientra tra i beni del demanio. Come tale esso è  quindi "inalienabile e non può formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano". (art. 823 c.c.). E tra queste leggi va annoverato certamente anche il referendum abrogativo del giugno 2011, e non certo gli atti amministrativi emessi dall'AEEG o le decisioni degli AATO.

cm

mercoledì 7 agosto 2013

Il rapporto di Cittadinanzattiva sugli aumenti delle tariffe dell'acqua per il 2012








 L'associazione di consumatori Cittadinanzattiva ha in questi giorni presentato un report relativo agli aumenti della tariffa dell'acqua riscontrati nelle varie province italiane.
In media negli ultimi 6 anni la tariffa dell'acqua è aumentata in tutta Italia del 33%. In 40 città l'aumento è stato pari al 40%. In particolare gli aumenti più elevati si sono registrati a Reggio Calabria +164,5%, a Lecco +126%, e a Benevento+100%.
La Toscana è la regione più cara, mentre Isernia, Milano, Trento sono le città più virtuose in cui l'acqua costa di meno.
L'indagine, svolta dall'Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva ha esaminato il consumo idrico per uso domestico in tutti i capoluoghi di provincia durante il 2012. Dall'indagine è possibile individuare un prezzo medio a metro cubo dell'acqua pari a 0,826 euro, con un +6% rispetto al 2011, ed un +27,7% rispetto al 2007. A questo viene associato un canone di depurazione e fognatura di 0,669 euro a metrocubo ( +9% rispetto al 2011 e +40% rispetto al 2007) oltre ad una quota fissa pari a 23,5 euro annui, con un +6,85 rispetto al 2011 ed un +38,2% rispetto al 2007.
Gli aumenti maggiori si sono registrati nelle regioni centrali, con un +9% dal 2011 ed un +47,1% rispetto al 2007. In media un residente in una regione centrale spende annualmente per l'acqua 412 euro, contro i 378 dell'anno precedente ed i 280 del 2007. I residenti al nord hanno pagato invece nel 2012 una bolletta dell'acqua annuale media di 284 euro, contro i 270 dell'anno precedente ed i 215 del 2007. Come già detto la regione più cara è la Toscana dove la bolletta annuale dell'acqua per il 2012 è stata di 470 euro. Seguono le Marche con 403 euro, l'Umbria 392 euro, l'Emila 388 euro e la Puglia 366 euro. Le prime cinque città in cui il servizio idrico è più caro sono tutte toscane: la prima è Firenze con 509 euro l'anno, seguono a pari merito Pistoia e Prato (509), Arezzo con 496, Grosseto e Siena con 493 euro, Livorno con 485, Pesaro e Urbino con 481 e infine Pisa, con 471 euro l'anno.
Nella gestione del servizio idrico la qualità e la quantità degi investimenti influiscono positivamente sulla qualità del servizio. Un indicatore importante circa la capacità di gestione è dato dal tasso di dispersione idrica, che misura la capacità del gestore del servizio di controllare e prevedere il grado di usura delle condutture oltre alla capacità di sostituirle per tempo. Un basso tasso di dispersione sta a sigificare un' elevata capacità di gestione della rete idrica. Secondo un'indagine svolta da Legambiente le regioni italiane con il più elevato tasso di dispersione sono l'Abruzzo con un 48%, la Sardegna con un 45%, Sicilia con 42%, Campagna e Calabria con un 40% , Lazio con 39%, Friuli venezia Giulia con 38%, Puglia con 35%. In media le perdite di acqua in Italia raggiungono il 33%, vale a dire circa un terzo dell' acqua immessa nelle tubature viene dispersa dalla rete.
Analizzando le singole città, i tassi di dispersione più elevati si riscontrano a Cosenza con un 68%, Campobasso 65%, Latina 62%, Trieste e Gorizia con 56, seguite da Avellino con 55%, Grosseto con 54%, Palermo 52%, Siracusa 50%.

cm

sabato 27 luglio 2013

Larghe intese contro l'acqua pubblica









Democrazia a casa nostra: tutti uniti, destra ed ex sinistra, quando rispettare la volontà popolare significa contrastare consistenti interessi privati Lo sporco lavoro del governo Letta. Fino a quando abuseranno della nostra pazienza? Il manifesto, 27 luglio 2013
1. L'allarme lanciato venerdì dal manifesto sull'intenzione politica di far tornare l'acqua di Napoli in mano ai privati è più che giustificato. La proposta di legge della giunta Caldoro, nel ridisegnare i confini degli ambiti territoriali ottimali in cui è suddiviso il servizio idrico in Campania e quindi l'affidamento dello stesso, appare esattamente congegnata per provare ad affossare la prima esperienza di ripubblicizzazione definitivamente completata dopo i referendum di 2 anni fa, quella che si è costruita attorno alla nuova Azienda speciale Abc di Napoli.

Quello che però va rimarcato non è solo la gravità di questo disegno, ma che esso è ben lungi dall'essere un fatto isolato ed estemporaneo. In realtà, dopo il periodo che va dalla fine dell'anno scorso alla primavera di questo, in cui l'esempio di Napoli stava contagiando altre importanti realtà territoriali del Paese, da Reggio Emilia a Vicenza, da Palermo a Torino e altre ancora e si stava delineando un quadro che faceva balenare come possibile la ripubblicizzazione del servizio idrico nel Paese procedendo per progressive "conquiste" territoriali, da un po' di tempo in qua ( da quando è nato il governo Letta, potrebbe pensare qualche persona maliziosa come il sottoscritto) l'aria sembra improvvisamente cambiata. C'è in corso un tentativo di isolamento del percorso di Reggio Emilia in quella regione, dove assistiamo ad una sempre più marcata titubanza del comune di Piacenza ad incamminarsi sulla strada della ripubblicizzazione, cosa che pareva assodata qualche mese fa e che ora, invece, sembra nuovamente propendere per la ricerca di un partner privato e dove il comune di Rimini, altra situazione dove la concessione è scaduta e dove la ripubblicizzazione è possibile, pare orientarsi per costituire una società mista con l'ingresso di un soggetto privato. In Sicilia il governo Crocetta ha deciso di mettere da parte la proposta di legge di iniziativa popolare promossa a suo tempo dal Forum siciliano per l'acqua, sostenuto da più di 135 amministrazioni locali e da 35.000 siciliani, per approdare ad una soluzione "gattopardesca" che, nella sostanza, lascerebbe inalterato il quadro di gestione privatistica lì esistente. A Mantova da lungo tempo, ancora da prima del referendum, era iniziata e poi si era fermata la procedura di gara per la scelta di un socio privato nella gestione del servizio idrico e ora, invece, proprio in questi giorni, siamo in presenza di una fortissima accelerazione per giungere a quell'esito. Potrei continuare ancora in quest'elenco che inizia ad essere troppo lungo per essere considerato un fatto casuale. 

L'ultima citazione, però, se la merita la vicenda torinese: lì il Consiglio comunale, all'inizio di marzo, aveva approvato una delibera, non del tutto convincente, ma che comunque apriva la strada alla possibilità di trasformare il soggetto gestore Smat, SpA a totale capitale pubblico, in Azienda speciale. Qualche giorno fa la Provincia di Torino, con una delibera sostenuta da uno schieramento di larghe intese, sbarra la strada a quest'ipotesi, con una serie di motivazioni inconsistenti e addirittura tenendo a precisare nel testo della stessa delibera (sic!) che " l'approvazione delle presenti linee di indirizzo si pongono in naturale contraddizione con l'approvazione della proposta del Comitato Acqua Pubblica ( noi e il comitato torinese l'avevamo capito bene, ma forse bisognava spiegarlo a qualche consigliere provinciale !). Siamo in "trepida" attesa di conoscere l'intendimento del sindaco Fassino e del Consiglio comunale, con la curiosità di capire se esso confermerà la delibera approvata a suo tempo oppure se si piegherà al diktat dell'Amministrazione provinciale. 

2. La questione, peraltro, non si ferma qui, al tentativo di chiudere gli spazi che si erano aperti in molte realtà territoriali. C'è qualcosa di ancora più inquietante, vari tasselli che iniziano a comporre un mosaico che sembra andare in un'unica direzione. Qualche giorno fa al Ministero del Tesoro si è tenuta una riunione per studiare sul come dare applicazione ad un provvedimento previsto dal decreto liberalizzazioni del governo Monti ma mai attuato, e cioè l'assoggettamento delle SpA a totale capitale pubblico e delle Aziende speciali al Patto di stabilità previsto per gli Enti locali: non c'è bisogno di dire che tale ipotesi equivale da sola ad aprire un nuovo ciclo di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, rendendo nei fatti impraticabili tali forme di gestione. 

Ancora meno simpatici sono gli avvertimenti che arrivano dall'Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale: la prima, alla fine di maggio, nel momento in cui ha chiuso la procedura di deficit eccessivo relativa al nostro Paese, tra le felicitazioni pressoché unanimi, ha formulato 6 raccomandazioni al governo Letta, tra cui spicca quella di " promuovere l'accesso al mercato per la prestazione dei servizi pubblici locali"; il secondo, al termine della sua consultazione con il governo italiano il 4 luglio, ha redatto un documento, passato all' "onore" delle cronache giornalistiche per la sua ingerenza in tema di IMU, in cui si legge testualmente che " l'agenda delle privatizzazioni, specialmente a livello locale,...deve essere implementata velocemente". 

Se a ciò aggiungiamo le recenti dichiarazioni di Letta, davanti ai banchieri della City londinese, e di Saccommani al recente vertice del G-20 a Mosca, con le quali si evidenziano le forti possibilità esistenti rispetto a nuove privatizzazioni, iniziando dalle grandi SpA pubbliche nazionali per finire a quelle locali, non ci vuole molto a comprendere che siamo in presenza di un'idea corposa, in base alla quale un governo, incapace di affrontare i veri nodi della crisi se non propagandando l'ideologia delle grandi opere e una nuova iniezione di flessibilità ( ma è più serio dire precarizzazione) del lavoro, sceglie di fare di un nuovo ciclo di privatizzazioni uno dei volani, peraltro destinato a dare risultati fallimentari, della propria azione. Che, molto probabilmente, si proverà a costruire, sempre che il governo ci sia ancora, con la prossima legge di stabilità dell'autunno, magari anche con una nuova legge sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali volta ad impedire il ricorso all'azienda speciale. 

3. Si deve sapere che questo progetto urta violentemente contro la volontà della maggioranza assoluta del corpo elettorale che si è espresso 2 anni fa con i referendum sull'acqua e che troverà sulla sua strada l'insieme del variegato movimento dell'acqua, che, nonostante tanti detrattori e, a parte lodevoli eccezioni, tra il silenzio assoluto dei mass-media, ha continuato a lavorare in questi anni che ci hanno separato da quella scadenza, dimostrando una persistenza che è stata e sarà il più forte ostacolo per chi vorrebbe ignorare e contraddire quell'esito referendario. Abbiamo praticato l' "obbedienza civile" per il rispetto del risultato referendario sulle tariffe del servizio idrico, violato palesemente dall'Authority per l'Energia elettrica e il Gas, e, proprio per questo, impugnato in sede giudiziaria quel provvedimento; abbiamo promosso una forte iniziativa nei territori per la ripubblicizzazione del servizio idrico, elaborato proposte sul finanziamento del servizio idrico e per promuovere gli investimenti, sollecitato la nascita dell'Integruppo dei parlamentari per l'acqua pubblica per ripresentare la proposta di legge per il governo e la gestione pubblica dell'acqua e del servizio idrico. Andremo ancora avanti nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, sapendo che la nostra è una battaglia che riguarda l'insieme dei soggetti che si battono per i beni comuni e per la democrazia: ma di questo, e delle iniziative da mettere in campo, avremo senz'altro modo di tornare a parlare. 

L'autore è un autorevole esponente di  Funzione Pubblica  Cgil  e del Forum Italiano Movimenti per l'Acqua, ed è stato uno dei protagonisti della battaglia per il referendum

www.ilmanifesto.it

martedì 23 luglio 2013

L'acqua dei romani










Su un totale di 2.359.119 aventi diritto di voto, i cittadini romani che si sono recati al seggio alle scorse amministrative - 26-27 maggio - sono stati 1.245.927, pari al 52,81% - 45,05% al secondo turno.
Bene, dei 27 milioni di italiani che nel 2011 hanno votato contro la privatizzazione del servizio idrico, 1.200.000 erano romani. Ne deriva che le scelte che l'amministrazione capitolina compirà in merito alla gestione del servizio idrico sono prima di tutto una questione di democrazia.

Una verifica ulteriore della rappresentatività della politica di fronte alla reale volontà degli elettori. In effetti già con la delibera n. 585/2012/R/IDR l'Autorità per l'Energia Elettrica e per il Gas ha riproposto,attraverso la nuova tariffa idrica, una“remunreazione finanziaria ” che altri non è che quel famigerato 7%, ovvero quella remunerazione del capitale investito che il referendum aveva bocciato, ma che lo Stato, ovvero noi utenti attraverso la bolletta dell'acqua, continua ad assicurare al gestore privato “a prescindere”, come direbbe Totò.

Già da tempo gli elettori hanno dimostrato in vari comuni d'Italia cosa pensano di questa nuova tariffa attraverso la “campagna di obbedienza civile”. In molte località infatti si sono costituiti gruppi di cittadini che hanno deciso di ottenere il rispetto del risultato referendario, attraverso lo scorporo dalla loro bolletta dell'acqua di questo 7%. Sono oramai centinaia di migliaia le vertenze portate avanti in tutta Italia nei confronti di diversi gestori idrici, tutte accomunate dal ricalcolo della bolletta e dalla pretesa di obbedianza della volontà di quei 27 milioni di cittadini.

Il coordinamento romano acqua pubblica, che a Roma porta avanti questa vertenza, ha recentemente chiesto di incontrare il nuovo sindaco di Roma, Ignazio Marino, per poter discutere del modello di gestione dell'acqua dei romani.
Il coordinamento ha fornito allo staff del neosindaco una relazione molto approfondita sulle criticità dell'attuale modello, spiegando anche quali vantaggi si avrebbero attraverso il ritorno ad una gestione pubblica. 

L'attuale gestore del servizio idrico di Roma e provincia, Acea Ato 2 spa, vede drenare tutti i suoi profitti, in media 50 milioni di euro l'anno, in direzione della holding Acea spa.

Di contro la casa madre Acea spa, presta al gestore le risorse necessarie allo svolgimento dell'atttività ordinaria, ad un tasso di interesse di mercato.Questo meccanismo ha creato un buco nel bilancio di Acea Ato2, con un indebitamento che è passato da 345 milioni nel 1999, agli 844 milioni attuali. 

Dal punto di vista dei ricavi, ad un aumento dei dividendi, passati nel 2012 a 64 milioni di euro, ha corrisposto una riduzione degli investimenti programmati, nel complesso pari a 104 milioni di euro, a fronte dei 202 inizialmente previsti.
Tale situazione ha impedito al gestore di fare gli investimenti necessari, in particolare i dearsenizzatori previsti in varie località, col risultato di arrivare ad erogare acqua con percentuali di arsenico superiori a quelle consentite per legge.

Oltre all'arsenico il gestore ha dovuto fronteggiare la questione delle perdite: la mancanza di risorse ha infatti impedito ad Acea Ato 2 di sostituire in molte occasioni le condutture, con un aumento esponenziale delle perdite dalla rete idrica.

Nel rapporto intitolato “Le società controllate dai Comuni italiani: costi, qualità ed efficienza, realizzato per conto di Civum dall'Ufficio Studi di Mediobanca, si legge chiaramente come l'ex municipalizzata del Comune di Roma perda ogni giorno 67.914 litri di acqua per chilometro di rete idrica, contro i 51,183 dell'Acquedotto Pugliese, secondo in classifica.

I tagli dei costi all'interno dell'azienda sono stati declinati nella forma delle esternalizzazioni. I servizi di call center sono stati affidati ad aziende esterne. Analoga sorte è toccata al software per la fatturazione delle bollette dell'acqua, esternalizzato alla Engeneering spa.
 Il risultato in quest'ultimo caso è stato che da anni l'amministrazione di Acea sforna bollette sbagliate, con spesso notevoli aggravi nella fattura dell'acqua degli utenti e conseguenti contestazioni e congestionamento nell'ufficio reclami di piazzale Ostiense.

Altra conseguenza delle esternalizzazioni sono i distacchi per morosità, appaltati a società esterne prive di qualsiasi responsabilità, con un aumento esponenziale dei costi per il riallaccio del servizio. 

Le esternalizzazioni oltre a ridurre il livello di professionalità dei dipendenti, spesso scarsamente formati, disperdono in un meccanismo di scatole cinesi la responsabilità della gestione e delle inefficienze. Oltre a questo, creano delle profonde sperequazioni dal punto di vista del trattamento economico, distinguendo i nuovi lavoratori assunti con contratti precari, dai lavoratori più vecchi.

In merito al contratto di gestione in forza del quale Acea Ato2 svolge il servizio, ci troviamo di fronte ad un affidamento diretto ad spa mista, illegittimo in base alla normativa europea, che prevede questo tipo di affidamento solo in caso di gestione “in house”, ovvero svolta da una spa interamente pubblica. 

A parte l' illegittimità del titolo, il giudizio espresso dai comuni della provincia di Roma è abbastanza eloquente: a partire dal 1997 data in cui Acea è stata privatizzata, dei 111 comuni che ricadono nell'ATO 2, solo 72 hanno deciso di affidare il servizio ad Acea Ato2. Ne sono rimasti fuori anche comuni importanti come Ladispoli e Civitavecchia.

Altro tasto dolente è l'approvvigionamento idrico. E' infatti da tempo in corso presso il Tribunale di Roma un contenzioso tra il Consorzio Media Sabina e Acea Ato2 spa. La ragione del contendere riguarda il contratto di sfruttamento del bacino del Peschiera, da cui Acea Ato2 ha fino a poco tempo fa attinto, senza mai pagare nulla. 
Acea Ato2 chiede il pagamento di alcune fatture non saldate, minacciando il distacco della fornitura, il Consorzio invece chiede la restituzione degli importi corrisposti a partire dal 1990, che ammontano a circa 3,5 milioni di euro. 
 Le sorgenti del Peschiera sono state fino a poco tempo fa la principale fonte di approvvigionamento per Roma, assieme al Lago di Bracciano. 

Finchè i ricavi derivanti dalla gestione del servizio saranno destinati al pagamento dei dividendi degli azionisti, la qualità del servizio non potrà che peggiorare, poiché non potranno essere effettuati tutti quegli investimenti necessari a mantenere un elevato livello qualitativo. Sostituzione della rete idrica, nuovi impianti di depurazione, dearsenizzatori, formazione del personale addetto, sono tutti investimenti da cui un servizio idrico di qualità non può prescindere.

Affidare ad un privato la gestione dell'acqua dei romani determinerebbe solo un aumento dei costi che si ripercuoterà necessariamente sulle fatture degli utenti. Le recenti eperienze di ripubblicizzazione di Parigi e Berlino, ma anche quella di Napoli, oltre all' esperienza ormai consolidata di Milano, sono li a testimoniare come l'unico modo per uscire dalla logica finanziaria e predatrice sia quello delle completa e totale ripubblicizzazione, attraverso la cotituzione di una azienda speciale, coinvolgendo nella gestione gli utenti, assieme ai lavoratori ed ai tecnici del servizio.

cm



domenica 21 luglio 2013

Turchia, la corsa per l'acqua


In una delle più belle regioni della Turchia, nella zona del Mar Nero, è prevista, e in parte è già stata realizzata, la costruzione di centinaia di centrali idroelettriche. La popolazione locale si sente minacciata e lotta per il diritto all'integrità dell'ecosistema. Un reportage


La regione del Mar Nero, una delle più belle della Turchia, avrà presto un inquietante primato: ricca di corsi d’acqua come nessun’altra zona del paese, diventerà anche quella con il numero più alto di centrali idroelettriche. Ne sono previste ben 660 solo nella tratta orientale tra Artvin e Giresun fra già operative, in fase di costruzione o di progettazione. Ma ad affiancare questi impianti di potenza superiore ai 30 MW ci saranno almeno altre duemila micro-centrali che sorgeranno sui torrenti con una portata idrica minore.
Uno scenario che la popolazione locale percepisce come una vera e propria minaccia alla propria sopravvivenza, all’integrità dell’ecosistema e della biodiversità e combatte utilizzando ogni mezzo a disposizione: con battaglie legali, organizzandosi in associazioni e, quando non resta altra via, anche in forme di guerriglia.

 

La Valle Solaklı, Karaçam e Köknar

“In passato lo stato veniva da queste parti giusto prima dei periodi elettorali. Perfino Dio si era dimenticato di noi. Tutto ciò che è stato costruito nei nostri villaggi è stato realizzato grazie alle rimesse dei compaesani che vivono all’estero. Ora ci dicono che il paese ha bisogno di energia, che dobbiamo pensare al bene della nazione e rinunciare alla nostra terra. Io sono nata qui e tutto ciò che chiedo è continuare a invecchiarci”. Remziye Oğuz è una delle duemila anime che popolano Köknar e Karaçam, due villaggi gemelli situati a 1200 metri di altitudine sulla Valle Solaklı, in provincia di Trabzon.
I due paesi sono speciali, e non solo perché i suoi abitanti sono tra le rare comunità della regione ad avere come madrelingua il greco. Da due anni a questa parte la zona è teatro di ripetuti scontri tra militari e paesani per via della ferrea resistenza dimostrata da questi ultimi alla costruzione della centrale idroelettrica Derebaşı, una delle 36 previste nella valle.
“Quando nel 2008 hanno costruito la prima centrale nella vicina Çamlıkaya nessuno si è opposto perché era un progetto di piccole dimensioni, che non ha causato danni all’ambiente”, racconta ad OBC Murat Sarı, abitante di Karaçam e membro della “Piattaforma per proteggere la Valle Solaklı”. “Oltretutto gli appaltatori erano persone del luogo e benvolute dalla popolazione. All’inizio abbiamo creduto che anche i progetti successivi avrebbero avuto lo stesso impatto sulla natura. Quando in paese hanno organizzato la prima riunione informativa, la gente non si è opposta. Ma ci eravamo sbagliati. L’abbiamo capito con la devastazione ambientale causata dall’impianto Balkondu-1 a Uzuntarla dove intere sezioni del terreno sono state disboscate. Da quel momento abbiamo iniziato a mobilitarci e ad impedire l’accesso delle società costruttrici nella valle.”
“Lo scontro più violento si è verificato il 3 novembre 2011”, prosegue Ahmet Kalma, proprietario del caffè di Köknar. “Le autorità hanno inviato nell’area un plotone composto da 668 gendarmi per accompagnare le macchine da lavoro. Di fronte alla resistenza dei paesani i militari sono intervenuti non risparmiando nemmeno le donne, peraltro, sempre tra le prime file dell’opposizione”.
“Prima dello scontro, mentre facevamo la guardia di notte sotto la neve, un anziano del villaggio è arrivato con dei sacchetti pieni di pane. Ci sembrava una scena surreale, ci sentivamo quasi sul fronte di guerra. Qualcuno ha offerto il pane anche ai gendarmi, eppure sapevamo che il giorno dopo quel pane ci sarebbe stato restituito in forma di manganellate”, proseguono i due giovani.
Entrambi hanno trascorso decine di giorni in cella. Hanno a carico diversi processi. “Ci chiamano continuamente a deporre in procura”, racconta con un sorriso Aliye Tatlı. Come molte altre donne della regione ha un forte senso dell’umorismo che trasforma la narrazione delle loro battaglie in un’avventura comico-cavalleresca. Eppure è anche molto decisa: “In questo modo pensano che ci stancheremo e che ci faranno gettare la spugna. Ma non sarà così”.
Per Karaçam e Köknar le vie di difesa legali sembrano per il momento esaurite, visto che il ricorso presentato dai due villaggi è finito in prescrizione. Dalla parte opposta hanno avversari molto forti. “La società concessionaria Derebaşı A.Ş., la cui azionista principale è la Şekerbank, ha affidato il progetto in subappalto ad una ditta che fa capo ai Saral, una potente famiglia della nostra provincia con importanti legami in politica. Tra i nomi coinvolti in primo piano figurano l’ex capo della polizia di Ankara Cevdet Saral e l’ex ministro dell’Energia Fahrettin Kurt”, spiega Sarı.
Anche se la costruzione della centrale non è ancora stata avviata, il quadro complessivo della vicenda, assieme alle intrusioni ormai quotidiane delle forze dell’ordine nella vita del paese, sembrano alimentare un senso di impotenza e di rassegnazione tra la popolazione. “La mia vita è condizionata interamente da questa situazione”, aggiunge Sarı, “ma se non opponessi resistenza morirei di rimorso in futuro”.

 

La Valle Hemşin e il Villaggio Hilal

A est di Trabzon, a partire da Sürmene, inizia la patria del tè. Nel villaggio Hilal, come in tutta la valle di Hemşin, da sei anni l’attività principale è la coltivazione del tè biologico. A lavorare la terra, come di frequente in queste zone, sono esclusivamente le donne. Abdurrahman Aydın, tornato nel 2006 ad abitare nel suo villaggio natio dopo una vita trascorsa tra Istanbul e New Orleans, negli Stati Uniti, è un capo villaggio che si fa in quattro per migliorare le condizioni di vita delle sue compaesane. Spiega che sebbene lo stato incentivi la produzione del tè biologico, poi lo acquista allo stesso prezzo di quello coltivato con i concimi chimici. I tempi di crescita del biologico sono molto più lunghi, e alla fine il suo prezzo sul mercato risulta essere tre volte superiore all’altro.
Sul futuro della valle Hemşin pendono come spauracchi tre centrali elettriche, i cui lavori sono stati per il momento bloccati. Secondo gli abitanti della zona, se gli impianti dovessero essere costruiti causerebbero dei danni irreparabili all’ambiente e alle attività agricole di tutti i villaggi della valle. Mentre un primo impianto è stato abbandonato dalla società di costruzione per propria scelta dopo l’edificazione dello sbarramento della diga, il progetto della Şaraksel Enerji A.Ş., approvato dal ministero dell’Ambiente, è stato respinto nel 2009 da una sentenza del tribunale perché privo di un rapporto sull'impatto ambientale. Un decreto che ha messo i freni anche al progetto della terza centrale della Mars Enerji Elektrik Üretim Ltd. presentato nel 2010.
“Il torrente già non è più come quello di una volta”, afferma Ayşe Aydın, “in passato il flusso era così forte che non ci faceva prendere sonno di notte. L’acqua rimasta basta appena ai nostri bisogni, se costruissero la diga sarebbe la fine per noi.” Ayşe Zorbozan e Melahat Aydın riferiscono che nei mesi invernali quasi tutti gli abitanti si trasferiscono nelle grandi città,“il paese diventa quasi impraticabile per le forti nevicate e la mancanza di infrastrutture adeguate”, spiegano. A partire da aprile inizia il ritorno e la popolazione del villaggio si moltiplica per l’affluenza dei visitatori venuti a trascorrere l’estate tuffandosi nelle acque del fiume Hemşin. “Ci piacerebbe abitare a Hilal tutto l’anno ma non è possibile. Vorremmo che ci fossero maggiori possibilità di lavoro e di attività legate al turismo.”
Tra le oppositrici più incallite delle centrali c’è anche Seher Sarıçam, 75 anni, voce acuta e un lungo bastone che accompagna il moto dei suoi discorsi. “Sai quanti mezzi devo prendere da qui per andare in ospedale a fare una visita? Almeno tre. E sai quanto costa? Prima di pensare a costruire una centrale elettrica devono metterci un ospedale qui”.
Abdurrahman Aydın è convinto che la questione di fondo delle centrali progettate nella loro valle non sia la produzione di energia, ma l’appropriamento dell’acqua.“In uno dei progetti presentati venivano descritte le caratteristiche idriche del torrente, affermando che si tratta di acqua pulita e bevibile. Perché mai si dovrebbe specificare che è bevibile se l’obiettivo è unicamente la produzione di energia?” chiede.
“Anche se non viene pronunciata apertamente l’espressione ‘privatizzazione dell’acqua’ è quello che di fatto sta avvenendo”, sostiene anche l’avvocato Yakup Okumuşoğlu, esperto di tematiche ambientali e legale in oltre una ventina di processi avviati dalla popolazione della zona contro le centrali. “Lo stato concede alle società committenti il diritto di sfruttamento dell’acqua in tratti di fiumi per 49 anni, prorogabili per altri 49. E si consideri che alcune volte su un unico fiume vengono costruite anche decine di centrali”, ricorda l’avvocato.
L’inizio del boom delle centrali idroelettriche è riconducibile al biennio 2004-2005, quando alcune riforme di legge hanno aperto le porte della produzione dell’energia elettrica alle società private. Il piano governativo mira a ricavare energia da ogni possibile risorsa idrica per contribuire a diminuire la forte dipendenza del paese da fonti di approvvigionamento estero. Il potenziale idrico nazionale ammonterebbe (ad un livello puramente teorico) a 433 miliardi di Kw/h annuali. Secondo il quotidiano Milliyet, a dicembre 2012 risultavano 985 le società titolari di un accordo di concessione per lo sfruttamento dell’acqua.
Finora le cause avviate dalle associazioni ambientaliste hanno avuto in buona parte esiti a favore dei ricorrenti. Tuttavia, recenti modifiche legislative rischiano di rendere più difficili gli interventi del tribunale in futuro. Una recente legge ha infatti abolito l’obbligo del rilascio del rapporto di impatto ambientale, mentre un’altra in parlamento prevede l’apertura delle aree protette dei parchi nazionali all’edificazione.

 

La Valle Fırtına, Çamlıhemşin

La meravigliosa Valle Fırtına è una di queste aree protette. Özlem e Özay Erol, attiviste per l’ambiente, gestiscono un motel a Çamlıhemşin, in provincia di Rize, famosa anche per l’apicoltura. Negli anni ’90 la valle ha già avuto la sua prima esperienza di lotta contro un progetto di centrale idroelettrica con esito positivo grazie alla reazione compatta della popolazione locale. “Abbiamo appena scoperto che ora se ne stanno progettando altri 7”, racconta Özlem. “La gente di questa regione ha un legame viscerale con l’acqua. Se un giorno si riproponesse il problema sono sicura che la difenderebbero a tutti i costi.”
Secondo l’attivista, per il momento, la cosa essenziale è mantenere lo stato naturale della Valle Fırtına. “Questo posto ha già ferite da curare. Il nuovo settore turistico con orde di visitatori incuranti di sporcare o danneggiare l’ambiente ha creato danni a sufficienza. È una terra difficile da abitare, ma anche molto speciale per le sue caratteristiche naturali e culturali. Quello che vorremmo è che questi due valori vengano mantenuti attraverso progetti sostenibili. Applicare le regole del capitalismo selvaggio in un’area di questo tipo creerà un danno irreparabile”.


http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Turchia-la-corsa-per-l-acqua-137988