lunedì 23 gennaio 2012


 CRESCE IN ITALIA LA RICHIESTA DI ACQUA POTABILE (+1,7%)
MA AUMENTANO LE DISPERSIONI (+47%)



  Roma, 14 dicembre - Nel 2008 il prelievo d’acqua a uso potabile nel nostro paese ammonta a 9,1 miliardi di metri cubi, in crescita rispetto al 2005 (+1,7%) e al 1999 (+2,6%). Gli aumenti più significativi si registrano nelle regioni del nord-est e del centro, mentre nelle altre ripartizioni si osservano riduzioni dovute alla carenza generalizzata di precipitazioni negli anni centrali del periodo 1999-2008. È uno dei dati più interessanti resi noti dall’Istat nel “Censimento delle risorse idriche a uso civile” riferito all’

A fronte di un prelievo crescente rimangono però le “dispersioni” nel trasporto che toccano la punta del 47%. È invece costante la quantità di acqua immessa in rete rispetto al passato. In testa ci sono Valle d’Aosta e il Lazio con 182 e 172 metri cubi per abitante immessi in rete. L’Umbria e le Marche, con poco più di cento metri cubi per abitante, sono quelle che ne immettono meno. Nell’insieme, gli italiani consumano 250 litri a testa al giorno.

Condotte colabrodo e prelievi non autorizzati - Nel 2008, in Italia per ogni 100 litri di acqua erogata si preleva una quantità di 165 litri, cioè il 65% in più, rispetto al 67% del 2005 e al 68 del 1999. Tali dispersioni sono dovute, da un lato, alla necessità di garantire una continuità di afflusso alle condutture e alle adduzioni di acqua all’ingrosso concesse a imprese industriali (in genere alimentari) e, dall’altro, a prelievi non autorizzati (per esempio, a fini agricoli), a perdite delle condotte o a una mancata regolazione del prelievo al variare periodico delle necessità.
Le maggiori dispersioni totali di acqua si registrano nelle regioni del sud, dove per erogare cento litri di acqua se ne prelevano quasi altri cento, ma anche in Valle d’Aosta, nella provincia di Trento e in Sardegna, dove i prelievi aggiuntivi sono pari, rispettivamente, a 158, 109 e 104 litri. Con riferimento alle dispersioni di rete di acqua potabile, nel 2008 si registra, a livello nazionale, una perdita del 47%, dovuta, anche in questo caso, alle necessità di garantire una continuità di afflusso nelle condutture, ma anche alle effettive perdite delle condutture e alla mancata regolazione dell’immissione in rete al variare delle necessità stagionali.

L’analisi Istat - L’analisi viene svolta per regione e per Ambito territoriale ottimale (Ato). E affronta altri temi importanti come la potabilizzazione, la distribuzione (dove aumenta l’affidamento ai privati), la depurazione, la capacità effettiva degli impianti di depurazione delle acque reflue domestiche e la gestione del servizio idrico. A proposito di quest’ultimo punto: al 31 dicembre 2008 i gestori dei servizi idrici, specializzati e in economia, operanti in Italia sono 3.351.

Per maggiori informazioni:







www.e-gazette.it
    




martedì, 15 dicembre 2009; 15:58

Torino, 14 dicembre 2009



 COMUNICATO STAMPA


 LA REGIONE PIEMONTE CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA



 La Regione Piemonte impugna davanti alla Corte Costituzionale 
l'art 15 della legge 166/2009, meglio nota come "legge sulla 
privatizzazione dell'acqua".

 Il provvedimento di impugnazione è stato adottato oggi dalla Giunta 
regionale su proposta della Presidente Mercedes Bresso, dell'Assessore 
all'Ambiente Nicola De Ruggiero e dell'Assessore al Legale, Sergio 
Deorsola.

 Nella delibera, la Giunta richiama un precedente ricorso del 2008, 
ricorso con il quale si contestava la legittimità dell'articolo 23bis 
della legge 133 del 6 agosto 2008 recante disposizioni in materia di 
servizi pubblici, per violazione degli articoli 5, 114, 117, 118 e 
120 della Costituzione, anche con riferimento agli articoli 3 e 97 
della nostra Carta fondamentale.

 In altri termini, il Governo regionale ritiene che l'articolo 15 
della legge 166 rappresenti sia una riduzione dei diritti 
fondamentali dei cittadini (art 3 della Costituzione) sia una 
prevaricazione rispetto al riconoscimento dei poteri assegnati alle 
Regioni in forza del Titolo V della Costituzione.

 Alle osservazioni già inoltrate in precedenza, la Giunta ne 
aggiunge una serie riguardanti la violazione dei trattati europei e la 
libera concorrenza. HYPERLINK - Lista per la costituzione del Forum Italiano sull'ACQUA

UfficioStampa GiuntaRegionale 

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domenica, 13 dicembre 2009; 22:54

Acqua di provincia   
di Alessandra Fava
LA SICILIA SI RIBELLA AI PRIVATI Decine di piccoli comuni si uniscono per dire no alla privatizzazione dell'oro blu. Il sindaco di Palma di Montechiaro (Sel): «Una proposta dal basso»

Decine di piccoli comuni siciliani, con gli agrigentini in testa (Palma di Montechiaro, Sciacca, Menfi, Bivona, Santo Stefano, Burgio, Calamonaci e Aragona) piuttosto che Catavulturo nel palermitano, si sono riuniti venerdì scorso in contemporanea per dire no alla privatizzazione dell'acqua e sì al mantenimento o il ritorno alla gestione pubblica dell'acqua. Nella provincia di Agrigento la ventata ripubblicizzatrice coinvolge anche diversi politici del centrodestra perché l'esempio di Agrigento dove una decina di reti idriche sono finite in mano a un cartello di aziende private, la Voltano Spa, che a sua volta alla fine di gennaio passerà il testimone alla Girgenti Acque, non è dei più edificanti a partire dalle centinaia di bollette pazze arrivate in questi giorni. E anche la gestione delle Acque potabili siciliane Spa (il 9 per cento in mano alla genova-torinese Mediterranea delle Acque) e l'acqua dei catanesi finita in mano ad Acoset, fa pensare a molti che più che acquedotti queste aziende siano diventate scatole cinesi, lontane mille miglia dal governo degli enti locali. Sembra che la rivolta dei piccoli enti locali si allargherà a macchia d'olio nelle province di Trapani e Catania per puntare a palazzo dei Normanni, vale a dire la Regione Sicilia, e promuovere alla fine una legge regionale che tuteli l'acqua come bene pubblico e faccia da esempio per tutta Italia. 
Il sindaco di Palma di Montechiaro, Rosario Gallo, primo cittadino di 24 mila abitanti, 59 anni, un passato nel Pci, poi Ds, poi Pd oggi con Sinistra e libertà, funge un po' da coordinatore di questa rete di amministratori pro-acquedotti pubblici. E per lui venerdì è stato un giorno di vittoria: «È la prima proposta che nasce dal basso in Sicilia - esclama - non ho più la maggioranza in consiglio comunale da tempo perché molti consiglieri hanno cambiato bandiera eppure per l'acqua pubblica venerdì pomeriggio hanno votato 17 su 17, l'unanimità. E' cambiato il clima, i cittadini hanno capito che la privatizzazione aumenta i costi e riduce i servizi e anche i politici di centro-destra ora sono contro. Ho la sensazione che dopo l'avvio del movimento per l'acqua bene pubblico in regioni come Toscana e Lombardia, ora noi siciliani facciamo un po' da capofila. A pensarci bene possiamo dire che il decreto Ronchi ci ha aiutato». Anche Domenico Giannopolo sindaco di Castelvuturo nel palermitano ha riunito il consiglio e ha votato la delibera e il suo collega di Bivona nell'agrigentino, Giovanni Panepinto, dice che «è stata una mobilitazione straordinaria e senza precedenti». Gallo racconta che quando ci fu una discussione a livello provinciale, all'Ato agrigentino, per introdurre le prime privatizzazioni, solo 3 sindaci tra cui lui erano contro la privatizzazione, 43 a favore. Oggi tanti hanno cambiato idea. Così ora in Sicilia partendo da una norma dello statuto regionale, regolamentata nel 2004, i sindaci possono elaborare una proposta di legge purché passi in un tot di comuni, pari al 10 per cento della popolazione siciliana, 500 mila abitanti. I comuni che non si sono ancora riuniti lo possono fare nei prossimi tre mesi. 
L'idea di riunire simbolicamente tanti consigli comunali proprio il 4 dicembre nasce da una lettera, scritta da un gruppo di sindaci: «Per la prima volta nella storia della Sicilia siamo chiamati a riunire nello stesso giorno, il 4 dicembre, tanti consigli comunali per deliberare la nostra proposta di legge per tornare alla gestione pubblica del servizio idrico. Abbiamo 90 giorni di tempo per raggiungere la soglia di 40 comuni e 500 mila abitanti». 
La delibera ad hoc sta passando di comune in comune scritta in un file in Pdf: vi si legge che «l'acqua è fonte di vita insostituibile per gli ecosistemi e bene comune indisponibile, che appartiene a tutti»; si parla della desertificazione e dei cambiamenti climatici e si ribadisce che l'acqua è «un bene comune pubblico e non merce condizionata dal mercato e dal profitto». Ma l'obiettivo è la proposta di legge regionale di iniziativa popolare e dei consigli comunali intitolata 'Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque. Disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico in Sicilia'. All'articolo 2 si legge che si vuole «favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell'acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale» e che «tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà», che l'acqua per usi domestici è un diritto e che le fonti vanno usate in primis per l'agricoltura e l'allevamento. La legge contiene poi delle disposizioni sulla gestione pubblica della rete, dai bacini idrografici fino alle fogne, considerati demanio pubblico, un aspetto non secondario visto che diversi comuni italiani hanno già venduto reti e dighe. La proposta di legge chiede infine la ripubblicizzazione della Società Siciliacque, di altre aziende nei vari Ato e l'istituzione di un ente siciliano per il governo delle acque, tutto entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge. 
Insieme alla proposta di legge dal basso, gli amministratori puntano anche a raccogliere 10 mila firme per un referendum d'iniziativa popolare contando su un movimento che in Sicilia sta crescendo impetuoso. Tra i vari protagonisti c'è un parroco a Menfi che è sceso in piazza con pistole ad acqua. Poi c'è stato un sit-in alla fine di novembre con oltre 100 sindaci a Palermo davanti alla sede della Regione Sicilia, per chiedere che la regione ricorra alla corte costituzionale contro il decreto Ronchi e che si discuta un disegno di legge per la ripubblicizzazione delle reti. 
Nell'agrigentino poi ad aiutare i pro-acqua pubblica proprio in questi giorni è scoppiato lo scandalo delle cartelle pazze con canoni idrici fino a 20 mila euro recapitati per errore ai cittadini. Sommo della beffa: anche in certi quartieri di Agrigento dove l'acqua arriva a singhiozzo, sì e no una volta alla settimana, sono arrivate bollette pazze per qualche migliaio di euro. Così il presidente della provincia della città dei templi, Eugenio D'Orsi, ora ha intenzione di correre ai ripari: «Se perdureranno questi gravi disagi, si provvederà all'immediata risoluzione del contratto con Girgenti acque» e anche il sindaco Marco Zambuto sta preparando un dossier sulla cattiva gestione del servizio idrico. Nei prossimi giorni ci si attende che si riuniscano i consigli comunali di tante altre città medio-piccole, come Vittoria nel ragusano e altri comuni delle province di Catania e Trapani come Mazara del Vallo. La speranza è che il movimento dei sindaci trovi forza anche nelle città maggiori.

dal manifesto del 10.12.09 

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giovedì, 10 dicembre 2009; 12:03

Acqua La Santa alleanza del Nord nella battaglia delle sorgenti
Repubblica — 08 dicembre 2009    


TREVISO Blindato "alla fonte" con voto di fiducia, il decreto sulla privatizzazione obbligatoria delle acque italiane è già impantanato in un Mekong di pronunciamenti contrari. E' una guerra che ha il suo epicentro al Nord, perché i più arrabbiati sono gli amministratori della Lega, che non perdonano ai rappresentanti in parlamento di avere votato un provvedimento che toglie loro sovranitàe potere. «L' acqua xe de noaltri», l' acqua è nostra, hanno detto chiaro a Treviso, la provincia di Luca Zaia, ministro dell' agricoltura, la più leghista d' Italia. Ed è successo l' inverosimile: il Pd all' opposizione ha presentato un ordine del giorno che rivendicava l' acqua come diritto (quindi non merce), e la maggioranza lo ha votato in cinque minuti, senza pensarci un attimo. «Non si è quasi discusso perché l' acqua è anche una matrice identitaria, dunque non si tocca» spiega Marzio Fàvero, assessore alla cultura di una provincia che tra Piave, Brenta, golene, risorgive, marcite, canali e "canalassi" sembra una carta assorbente. A Roma non hanno capito che non si metteva in discussione semplicemente un bene, ma qualcosa di più complesso: un simbolo. Acqua, terra, sangue: su queste cose la Lega non la governa nessuno. E così ecco il ribaltone delle alleanze, un segnale forte per le elezioni regionali del prossimo anno, dove Lega e Pdl sono già ai ferri corti per la scelta del governatore. «Abbiamo intercettato i malumori dei sindaci e così ci abbiamo provato», fa Lorenzo Biagi dell' Ulivo, primo firmatario del documento. Ed è andata come è andata. Così accade che dal confine francese a quello con la Slovenia il fronte del «no» si rafforza senza riguardo per gli schieramenti. Forte della sua specialità di statuto, la Valle d' Aosta - a due settimane dal voto in parlamento- ha risposto classificando l' acqua nella sua normativa regionale come "bene privo di rilevanza economica", sul quale, di conseguenza, diventa impossibile operare privatizzazioni. Il Trentino ha in canna il proiettile di un ricorso di costituzionalità contro il voto parlamentare; a Bologna la Cgil ha indetto per l' 11 dicembre una manifestazione dove primeggia il tema dell' acqua; a Torino si raccolgono firme per chiedere al Comune di dire "no". A Belluno si raccolgono firme per cambiare gli statuti comunali; e la provincia di Udine, retta dalla Lega, ha dichiarato di opporsi alle multinazionali rivendicando il diritto a servizi gestiti «in loco». Ma il malessere più forte viene dalla Lombardia, dove alla perplessità nei confronti del decreto Ronchi si è aggiunta, pochi giorni fa, la batosta della Corte costituzionale che ha bocciato una legge fortemente voluta dal presidente Formigoni: quella che tentava di affidare ai privati la sola erogazione dell' acqua (leggi i contatori, un' operazione di pura rendita), lasciando alla mano pubblica le rogne e gli oneri, cioè la manutenzione straordinaria e gli indilazionabili investimenti per l' ammodernamento della rete. A Pavia, la provincia-pilota, era già partita la gara il 20 ottobre, ma due giorni fa è arrivata la tegola che ha seminato smarrimento in tutta la regione, ridando fiato al fronte del "No" contro il decreto ministeriale. Gli ambiti territoriali di Cremona, Varese, Como e Lecco, che dovevano mettere in gara le loro reti subito dopo l' esperimento pavese, ora non sanno che pesci pigliare, mentre il servizio acque della Regione guidato da Raffaele Tiscar (ex Lyonnaise des Eaux) insiste perché si parta lo stesso, a prescindere dal "niet" dell' Alta Corte. La partita è grossa, gli appetiti non sono da meno, vista la corposità del business-bollette. Ma ora che la macchina s' è inceppata, i sindaci, inclusi quelli della Lega Nord, chiedono ad alta voce di non svendere le acque lombarde, e il presidente del consiglio regionale Giulio De Capitali del Carroccio, si fa apertamente interprete del loro malumore. La torta che maggiormente ingolosisce è quella delle acque milanesi, divise fra "Amiacque", totalmente pubblica, che cura la rete dell' hinterland,e "Metropolitana Milanese", che governa il Comune capoluogo. Entrambe dovevano iniziare dal primo gennaio un processo di cessione di pacchetti azionari, ma «anche qui cresce la volontà di rivendicare l' acqua come pubblico bene», osserva l' ambientalista Roberto Fumagalli, vicino al "Contratto mondiale per l' acqua". Tanto più che i due enti sono considerati gioielli di efficienza persino dagli occhiuti osservatori di Mediobanca, che in un rapporto ufficiale li hanno classificati ben al di sopra delle Spa quotate in borsa come Hera, Acea, Iride. Fontana - un cognome che pare un programma - è il sindaco di Varese, di nome Attilio, leghista nella terra di Bossi, e ha apertamente manifestato la sua opposizione al decreto Ronchi: «Con la privatizzazione c' è il rischio che il servizio costi di più; e del resto, quando vado in Toscana, dove è già così, non faccio che sentire critiche e lamentele». Ma c' è anche il friulanissimo Fontanini, nome Pietro, altro cognome premonitore, presidente della provincia di Udine, il quale taglia corto affermando che «l' acqua è pubblica per definizione». E anche lì, nella terra che, per le sue precipitazioni abbondanti, è considerata il pisciatoio d' Italia, la Lega rivendica sul tema il più netto autogoverno. La battaglia s' incattivisce, con le Spa in trincea e i movimenti per l' acqua all' assalto, decisi ad andare a referendum popolare - rigorosamente apartitico - con la raccolta di 500 mila firme. Diventa di conseguenza tosto anche il braccio di ferro con gli utenti: in Campania la società "Acqualatina" ha tagliato le forniture alla Sesta flotta della base di Gaeta, che si era trovata di fronte a bollette ritenute eccessive. In Lombardia, la bresciana A2A ha tolto l' acqua a cinque condomini morosi, e da una settimana 150 famiglie devono approvvigionarsi a un pozzo. In questi chiari di luna di alleanze trasversali, il Pd fatalmente si spacca. A Mantova metà del partito (che ha la maggioranza in Comune) ha votato una mozione sull' acqua pubblica presentata da Rifondazione (in minoranza) e l' altra metà si è invece astenuta, per affinità alla linea privatizzatrice di Linda Lanzillotta, che a suo tempo aveva lavorato sulle reti idriche nel governo Prodi. E' guerra aperta fra l' ala "business oriented" e quella che vorrebbe spingere al referendum, con Ermete Realacci, Marina Sereni, Emanuele Fiano e Debora Serracchiani. Che senso ha privatizzare un servizio pubblico che funziona? Se lo chiede Enrico Gherghetta, Pd, presidente della provincia di Gorizia e del suo ambito idrico territoriale comprensivo di 25 Comuni. Rimasto pubblico, eroga acqua giudicata ottima a meno di un euro al metro cubo e contemporaneamente ha fatto partire investimenti per 250 milioni di euro dopo avere ottenuto (caso unico in Italia nel campo dei servizi idrici) finanziamenti della Banca Europea Investimenti a tasso ultra-agevolato, lo 0.48 per cento. «Se a casa mia no son paròn de l' acqua, quela no xe casa mia» scherza Gherghetta, che per il suo servizio non chiede un euro di gettone-presenza. Chiarisce il concetto: «Mentre gli altri si scannano su chi farà da presidente, noi non abbiamo poltrone da difendere; la nostra unica preoccupazione è la qualità». Il suo direttore generale Paolo Lanari: «Vengo dal settore privato, come tutto lo staff, ma posso testimoniare che da nessuna parte sta scritto che il pubblico non debba funzionare. Analogamente da nessuna parte sta scritto che la privatizzazione è il toccasana». Gorizia va bene, costa poco, rende, ha la fiducia delle banche e quella degli utenti. Perché cambiare? A Roma nessuno risponde. - 
Di PAOLO RUMIZ


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martedì, 08 dicembre 2009; 10:08

lunedì 7 dicembre 2009


Affari & Finanza - 
Edf, Gdf-Suez, Veolia la campagna d’Italia dei big francesi del
le utility

Un derby tutto francese, ma giocato in campo neutro: il terreno di gioco è l’Italia, con in palio le gestione dei servizi pubblici, dal gas all’elettricità, dall’acqua ai trasporti pubblici.
Una competizione che vede impegnate le principali utility dei cugini transalpini, colossi che rispondono al nome di Edf, GdfSuez, Veolia che hanno deciso di fare del nostro paese la nazione dove espandersi maggiormente al di fuori dei propri confini.
È questo ciò che emerge dagli avvenimenti delle ultime settimane ed è quello che accadrà anche nelle prossime. Con i gruppi francesi che sono diventati e diventeranno sempre più protagonisti nel settore dei servizi pubblici in Italia. E al centro di dossier che porteranno inevitabilmente al confronto, se non allo scontro, con i campioni nazionali.
Ne sa qualcosa Eni, per esempio, che per ragioni di geopolitica ha dovuto fare spazio a Edfnell’azionariato del South Stream, progetto che fino ad ora la vedeva socia alla pari con i russi di Gazprom: con l’accordo sottoscritto il 3 dicembre, anche la società francese, numero uno in Europa nel settore dell’elettricità, avrà il suo 10% del gasdotto che porterà il metano russo sulle coste balcaniche dell’Adriatico dopo essere passato sotto il Mar Nero. Così hanno voluto Vladimir Putin e Nicolas Sarkozy, con il primo ministro russo impegnato a cercare sponde in Europa occidentale per un progetto malvisto dagli Stati Uniti e il presidente francese interessato a garantire alla Francia forniture sicure di gas.
E l’Italia cosa c’entra? Molto, perché i tubi del South Stream si collegheranno con quelli del progetto Igli, che vede come protagonista Edison, il secondo operatore nazionale di elettricità e gas, controllata proprio da Edf, in alleanza con l’utility lombarda A2a. Non a caso, Edison ha appena lanciato una campagna di sconti destinati alla clientela domestica per la fornitura di metano che ha provocato non pochi malumori tra i soci italiani. A2a, controllata dai Comuni di Milano e di Brescia, rischia di vedersi sottrarre clienti. Un fattore che ha accelerato la richiesta del numero uno di A2a Giuliano Zuccoli di rivedere in anticipo i patti parasociali con Edf. Non è escluso che si arrivi a un divorzio, ma la trattativa partirà soltanto dopo Natale: il nuovo presidente di Edf, Henri Proglio ha chiesto tempo per esaminare il dossier.
Ma il confronto EdfA2a è destinato a incrociarsi con il progetto di rilancio nucleare cui crede molto il governo Berlusconi con il sostegno della Confindustria (i primi impianti andrebbero a regime nel 2015). Edf fornirà la tecnologia degli impianti al consorzio guidato da Enel cui il governo intende affidare il progetto: in cambio, la società italiana ha già rilevato una quota della nuova centrale in costruzione a Flamanville in Normandia.
Lo scontro con un’altra utility, la romana Acea sta portando non pochi grattacapi a GdfSuez, i cui manager per la verità vorrebbero fare di tutto tranne che preoccuparsi delle beghe con il Campidoglio e il costruttore Francesco Caltagirone, gli altri due soci forti dell’utility capitolina. Sul tappeto c’è l’idea di creare società comuni per la vendita e distribuzione di gas ed energia, ma le trattative stanno proseguendo infruttuosamente da più di un anno. E anche se il presidente di Acea Giancarlo Cremonesi si dica ottimista e ha annunciato che porterà un’ipotesi di accordo in cda entro il 15 dicembre, tutto fa pensare che anche in questo caso si vada prossimamente a un divorzio.
Il che non significa che GdfSuez rinuncerà a avere un ruolo in Italia. Anzi: come ha proclamato il numero uno Gerard Mastrellet nella sua ultima trasferta a Roma di poche settimane fa, il gruppo francese «vuole diventare il terzo player nell’elettricità e il secondo nel gas». Anche perché GdfSuez ha bisogno di crescere all’estero, visto che dovrà ridurre le sue quote di mercato in Francia in base agli accordi con la Commissione Ue. Lo dimostra l’attività svolta fino a oggi. In campo elettrico, produce e ritira energia grazie alla presenza nel consorzio TirrenoPower. Nel gas, attraverso Italcogim Energie ha integrato dieci piccole società e ora vanta un fatturato di un miliardo con vendite pari a 4,5 miliardi di metri cubi (contro i 2 miliardi di due anni fa). Non solo: sempre a GdfSuez appartiene Cofely, con un giro d’affari di 1,1 miliardi e 2.600 dipendenti e leader nei servizi energetici.
Ma l’ultima iniziativa del governo, il decreto che apre ai privati la gestione degli acquedotti pubblici, non potrà che offrire nuovi spazi di crescita a Veolia, un tempo conosciuta come Compagnie Generale des Eaux, già presente in forze in tutta Italia. dalla Sicilia alla Lombardia, dal Veneto alla Calabria, gestisce acquedotti e impianti di depurazione, ma è anche socia al 17% di Mediterranea delle Acque, la principale società pubblica del settore che fa riferimento a Iride (controllata dai comuni di Genova e Torino). E, guarda caso, il presidente di Veolia è quello stesso Proglio che da pochi giorni è alla guida di Edf.
FONTE: LA REPUBBLICA AFFARI & FINANZA 

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domenica, 06 dicembre 2009; 17:05


ACQUA. LA MISTIFICAZIONE AL POTERE
di Margherita Ciervo

L’acqua rappresenta l’emblema della relazione popolazione-risorse e la privatizzazione dei servizi idrici realizzata dal parlamento italiano, che ha convertito in legge un decreto del governo sul quale era stata posta la questione di fiducia, solleva problemi e interrogativi non solo in ordine a interessi, obiettivi ed effetti, ma anche rispetto alla modalità con cui avviene e alle motivazioni a sostegno.

Il 18 novembre scorso, infatti, è stato convertito in legge il decreto 135 “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia CE” all’interno del quale è stato inserito l’art. 15 che privatizza, di fatto, la gestione dei servizi idrici stabilendo il loro conferimento “in via ordinaria a favore di imprenditori o società […] e a società a partecipazione mista” e in via straordinaria a società a capitale pubblico. Tuttavia, contrariamente al titolo della legge, non esiste alcun obbligo comunitario per le imprese pubbliche di trasformarsi in società private (come ribadito da: Corte di giustizia CE, 2005; Commissione CE 2003 e 2006; Parlamento CE, 2006). Del resto sono numerosi i Paesi europei che hanno stabilito per legge la gestione pubblica dell’acqua (Belgio, Olanda, Austria, Lussemburgo, Norvegia, Svezia), e diffusi i casi di ripubblicizzazione a partire dalla Francia e da Parigi - sede delle prime due multinazionali mondiali del settore (Veolia e Suez) - che, dopo 25 anni di gestione privata, ha deciso di ripubblicizzare, incoraggiando le municipalità della regione a fare lo stesso.

La discussione sulla natura dell’ente gestore non è dottrinale ma sostanziale poiché la forma giuridica dell’impresa, lungi dall’essere neutra, ne definisce gli obiettivi. Nel caso di una società disciplinata dal diritto privato (art. 2247 c.c.), anche se a capitale pubblico, l’obiettivo è il profitto che sarà tanto più alto quanto più elevati saranno i ricavi e minori i costi.

In Italia, però, si gioca con le parole e i fautori della privatizzazione sostengono a gran voce che ciò che si privatizza non è l’acqua ma la sua gestione, e propagandano i benefici che la concorrenza apporterebbe agli utenti (o, meglio, ai clienti) come la diminuzione delle tariffe, l’aumento degli investimenti e il miglioramento dell’efficienza. Ma la propaganda, soprattutto se costruita su asimmetrie informative, contribuisce a creare una percezione basata su convinzioni (piuttosto che conoscenze) facendo aumentare la distanza fra realtà e credenze. Del resto, le voci discordi, quando hanno accesso allo spazio mediatico, sono presentate e rappresentate, in genere, come ideologiche.

In realtà, come sostiene Raffestin in Geografia del potere, “il potere si sforza di scegliere il sistema che corrisponde meglio al suo progetto, a costo di sconvolgere l’esistenza di quanti vi sono sottoposti” (p. 72); e nel caso specifico il sistema, costruendo le sue tesi sulla mistificazione, sta consegnando la gestione di un bene vitale (e, dunque, il controllo e l’accesso) ai privati, alla logica del profitto e della finanza, espropriando cittadini ed Enti locali di un diritto e di un bene comune.

Ma andiamo per ordine. I servizi idrici possono essere gestiti in un mercato di concorrenza? La risposta è no, perché sono prodotti in condizioni di monopolio naturale, caratterizzato da costi fissi rilevanti per infrastrutture e impianti, economia di scala ed esclusività territoriale (cioè assenza di minacce competitive). In pratica, e come intuibile, il servizio idrico in un dato territorio può essere erogato solo da un’impresa. Dunque, l’unica “concorrenza” possibile è quella per il mercato: le grandi imprese, attraverso le gare di appalto, si contendono la concessione in esclusiva per un dato periodo con effetti ben diversi da quelli di un mercato di concorrenza. Infatti, la concorrenza per il mercato, come l’evidenza empirica dimostra, si sostanzia nella riduzione dei costi operativi che, lungi dal trasferire benefici agli utenti, si traduce in precarizzazione e diminuzione della sicurezza sul lavoro, peggioramento della qualità e della diffusione del servizio, deterioramento delle pratiche di tutela ambientale. A questo si aggiunge, sul piano politico, l’acquisizione privata di un monopolio e di un settore vitale e strategico per la produzione, il benessere individuale e sociale, che richiederebbe meccanismi istituzionali di controllo amministrativamente complessi ed economicamente onerosi. Del resto, anche in paesi con un’elevata capacità istituzionale, come il Regno Unito, “le privatizzazioni sono andate a discapito del pubblico interesse” (UNDP, 2006, p. 128).

Dall’assunto della concorrenza derivano tre leggende metropolitane come dimostra, insieme a tanti altri, il caso di Arezzo, la prima città in Italia a privatizzare.

La prima attiene alla diminuzione delle tariffe che, tuttavia, non si è mai realizzata a seguito di una privatizzazione. Infatti, essendo il servizio idrico un monopolio naturale, il prezzo non è determinato dalle regole della concorrenza ma imposto dal monopolista e, nel caso di un’impresa privata, la tariffa deve coprire non solo i costi di esercizio, ma anche gli investimenti e gli utili. Inoltre, la massimizzazione del profitto spinge l’impresa a estendere i servizi solo se c’è convenienza economica, vale a dire se i ricavi sono superiori ai costi. Tale meccanismo induce ad attuare politiche da un lato di incentivo dei consumi e/o di aumento dei prezzi, dall’altro di riduzione dei costi di gestione penalizzando gli utenti a reddito basso o le cui abitazioni siano localizzate in territori isolati o demograficamente “irrilevanti”. Gli effetti economici si trasferiscono nella sfera sociale determinando una diminuzione del potere di acquisto e, in caso di morosità, il distacco della fornitura di un bene vitale (anche in quei casi, come Acqualatina SpA, in cui tale atto è stato vietato dal tribunale; o in altri, come l’Acquedotto pugliese, in cui la SpA è ad azionariato pubblico).

La seconda leggenda concerne l’aumento generalizzato delle tariffe come politica di risparmio idrico. In realtà, essendo l’acqua un bene essenziale, la sua domanda per la soddisfazione dei bisogni primari è rigida e, dunque, poco sensibile alle variazioni dei prezzi, con la conseguenza che difficilmente un aumento del prezzo anche cospicuo ne contrae il consumo. Il risultato è, piuttosto, quello di ridurre il potere di acquisto degli utenti più poveri. Del resto, se il profitto è l’obiettivo di gestione, una contrazione della domanda non può che ripercuotersi sulle tariffe determinandone un aumento, come accaduto a Firenze dove la diminuzione dei consumi di circa 13,8 milioni mc (dovuta a una campagna per il risparmio idrico) ha ridotto le entrate di circa 30 milioni di euro e Publiacqua (SpA a capitale misto) ha incrementato le tariffe del 9,5% (www.acquabenecomune.org).

La terza leggenda metropolitana riguarda la necessità di privatizzare per aumentare la disponibilità finanziaria per gli investimenti. In realtà, la maggior parte degli investimenti sono “coperti” dalle tariffe e, comunque, nel caso di gestioni private risultano piuttosto contenuti e, a volte, finanche inferiori a quanto previsto nei contratti. Il Rapporto del COVIRI (2008) indica, a seguito dell’apertura ai privati, una riduzione degli investimenti previsti (di circa 2/3) e attuati (meno della metà, con riferimento a una media di tre anni) e l’istat, nel rapporto sullo stato degli acquedotti 2008, segnala un regresso nella capacità di distribuzione della rete idrica rispetto al 1999.

Poiché l’informazione è causa e strumento del potere (Corna Pellegrini, Dell’Agnese, 1995, p. 125) l’apertura ai privati si accompagna a una campagna mediatica volta a screditare il servizio pubblico. Pare un dèjà vu. Queste parole, che scrivevo a proposito della privatizzazione dell’acqua in Bolivia, oggi sembrano adattarsi bene all’Italia. Un aspetto curioso deriva dal fatto che, fra chi grida all’inefficienza statale, agli sprechi e ai cattivi servizi, ai carrozzoni pubblici che distribuiscono poltrone, ci sono anche i politici che su quelle poltrone siedono. Del resto spesso il clientelismo e la corruzione sono connessi alla privatizzazione, come dimostrano i casi della COGESE a Grenoble e di Acqualatina (e altri che coinvolgono Veolia e Suez). In effetti, tali “costumi”, lungi dall’essere prerogativa del pubblico, sono piuttosto il frutto di una “cultura” e di una mentalità in cui l’interesse particolare (del burocrate come del manager) prevale sull’interesse comune.

Difatti, un altro aspetto che solleva il D.L. 135 è la questione della democrazia, vale a dire la capacità del popolo di governare la res publica, la casa comune per il bene comune. In tal senso il primo punto da rilevare è che la privatizzazione dell’acqua sia stata sancita con un D.L. sul quale è stata posta la fiducia, sottraendo la decisione al dibattito parlamentare. Inoltre, l’art. 15 si pone agli antipodi della legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dei servizi idrici – sottoscritta da oltre 406.000 cittadini (a fronte di 50.000 firme necessarie) – ferma alla Commissione ambiente della Camera da più di 2 anni. L’art. 15 non tiene in considerazione neppure le centinaia e centinaia di amministrazioni (di coalizioni diverse) che con delibera hanno sostenuto la legge di iniziativa popolare e che hanno creato il Coordinamento degli Enti Locali per la ripubblicizzazione dei servizi idrici. Del resto è stato ignorato anche il CNEL che in un documento del 5/6/08 dichiarava che “i soggetti gestori è opportuno che vengano configurati come enti pubblici”.

Dunque, se la decisione sulla gestione di un bene vitale come l’acqua è affidata a un parlamento privato di ogni potere se non quello di confermare o togliere la fiducia al governo, senza alcuna considerazione della volontà popolare, delle istanze espresse da molti Enti locali (governati da coalizioni diverse) e neppure della posizione di un organo costituzionale, si può dire ancora che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”? E allora, chi decide realmente sulla gestione della risorsa? A nome di chi? Sulla base di quale legittimità?

Forse è il caso di “rispolverare” Machiavelli? Forse siamo in presenza della prevalenza della “ragion di stato”? E nel caso, di quale “ragione di stato”? La cosa certa è che dopo che il governo ha posto la fiducia sul D.L., il valore delle azioni delle società del settore idrico è salito sensibilmente. Forse è giunto il momento di interpretare quello che accade alla luce delle relazioni fra potere finanziario e potere politico e di analizzare le strutture di potere che, come sostiene Petrella (2008), “scappano” al controllo democratico fino a imporsi a esso.



Riferimenti nel testo:

- Corna Pellegrini G., E. Dell'Agnese, Manuale di geografia politica, Roma, Carocci, 1995
- COVIRI, Rapporto sullo stato dei servizi idrici, Roma, Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, 2008
- Petrella R., L’eau, la question sociale du XXIème siècle, in « Le Monde Diplomatique », 30/11/2008
- Raffestin C., Per una geografia del potere, Milano, UNICOPLI, 1981
- UNDP, L’acqua tra potere e povertà, Torino, Rosenberg & Sellier, 2006.
Riferimenti normativi:
  

  


 inoltre:

Commissione CE, Libro Verde sui Servizi di interesse generale, 21 maggio 2003.
Commissione CE, Comunicazione del 26 aprile 2006.
Corte di Giustizia CE, Sez. i, n. C-26/03, sentenza Stadt Halle, 11 gennaio 2005.
Parlamento CE, Risoluzione sul Libro Bianco della Commissione sui servizi di interesse generale, 27 settembre 2006, n. 2006/2101 (ini).

L'immagine è "Acqua potabile", di Aldoaldoz, http://www.flickr.com/photos/aldoaldoz/3592804408/

tratto da www.luogoespazio.info



claudiomeloni; ; commenti ?


venerdì, 04 dicembre 2009; 22:14

La Liberalizzazione del settore idrico? E'un' opportunità e al Comune di Roma conviene scendere al 30%.Suez_GdF? il 15 dicembre porterò in cda una proposta di accordo. Parla Cremonesi, il presidente dell'utility capitolina.

QUEST'ACQUA   CI FA  GOLA

di Andrea Bassi.

Il rinnovo dei patti con Suez-GdF ancora in discussione. La privatizzazione dell'acqua introdotta dalla riforma Ronchi. Il Comune che sarà obbligato a scendere al 30%: Le sanzioni sulla moratoria fiscale che rischiano di azzerare il dividendo. Per ACEA i passaggi da affrontare nei prossimi mesi  sono cruciali. Nel suo ufficio di Roma all'ottavo piano della storica sede di Piazzale Ostiense, da dove domina la piazza con la Piramide Cestia, Giancarlo Cremonesi, ex presidente dei costruttori romani ed ora al vertice della multiutility capitolina, ostenta tranquillità. "La legge Ronchi? E' un'occasione di sviluppo, non una preoccupazione".
Domanda. Che cosa glielo fa dire?
Risposta. Con oltre 8 milioni di clienti ACEA è il primo distributore italiano dell'acqua. Siamo pronti a partecipare a tutte le gare che, i Comuni saranno obbligati a fare. Ci candidiamo a essere un affidabile partner privato.
D.Ma le nuove norme dicono che, per poter essere considerato partner privato, il Comune di Roma deve scendere dal 51% al 40% entro il 2013, e poi fino al 30%...
R. Sgombriamo immediatamente il campo da qualsiasi equivoco: vendere o meno quote di partecipazione è una decisione che spetta al socio di maggioranza.
D.Quindi?
R. Detto questo, anche il decreto Ronchi mi sembra interessante ed equilibrato anche nella parte riguardante la partecipazione.
D.Perchè?
R. I Comuni, soprattutto quelli di grandi dimensioni, non navigano nell'oro. Hanno il patto di stabilità da rispettare e non possono indebitarsi oltre un certo limite. Supponiamo, ma è solo un esempio, che ACEA voglia fare un'acquisizione all'estero o voglia allargarsi in altri territori. Per farlo avrebbe bisogno di risorse finanziarie fresche e il Comune di Roma avrebbe serie difficoltà in questi casi a fare la sua parte. Anche perchè problemi finanziari a parte, un investimento fuori del suo territorio non sarebbe strategico per le sue politiche, che per definizione devono riguardare i cittadini amministrati.
D.Dunque secondo lei il Campidoglio dovrebbe mollare la presa su Acea?
R. Scendere al 40% e poi al 30% non significa mollare la presa.Anzi, si tratta di una partecipazione che comunque assicura il controllo. Inoltre, come la vendita delle quote il Comune potrebbe incassare mezzi finanziari da investire sul territorio per le sue attività caratteristiche. Se la preoccupazione è quella di volere assicurare che ACEA eroghi buoni servizi ai cittadini. Lo si può benissimo fare con i contratti di servizio, che danno più garanzie rispetto a un 10% in più o in meno di quote azionarie.
D.Suez-GdF non ha mai nascosto ambizioni a salire nel capitale, ma nei giorni scorsi il sindaco Alemanno ha detto che preferirebbe partner industriali legati al territorio. Insomma, se il Comune vende, chi compra?
R. Credo che parlarne sia prematuro. Il primo pacchetto del 10% dovrebbe essere venduto entro 2011. Posso dire che mi sembra ci sia interesse da parte di molti investitori sia industriali che finanzieri, oltre quelli già presenti nel capitale come Suez.GdF o Caltagirone. Ci sono anche fondazioni bancarie che hanno chiesto notizie per verificare l'opportunità di un investimento. Ma non faccio nomi.
D. In questo scenario dove si collocano i soci francesi?
R. Ci sono trattative in corso proprio in questi giorni. Non sarebbe corretto dare anticipazioni.
D.Allora ci dia almeno una sensazione: è ottimista o pessimista?
R.Sono moderatamente ottimista. Il clima mi sembra buono e i ragionamenti sono costruttivi. Mi auguro di poter illustrare nel consiglio del 15 dicembre un'ipotesi di accordo.
D.Qualche settimana fa avevate accusato i francesi di aver violato i patti di esclusiva. Oggi il clima si è rasserenato?
R. Non voglio entrare nel tema della presunta violazione. C'è una joint venture, Acea-Electrabel, il cui riassetto è il tema della trattativa. Quell'alleanza prevedeva obblighi per Acea e per Electrabel, tuttavia quest'ultima nel corso degli anni è stata prima acquistata da Suez, che a sua volta si è poi fusa con GdF. Siamo partiti da un'alleanza con una società di dimensioni simili alle nostre e ora ci troviamo in casa un socio decisamente più grande. Vogliamo capire in che modo possiamo ridisegnare l'alleanza, che non deve essere un limite per lo sviluppo delle attività in Italia di Suez-GdF, ma deve anche essere un valore aggiunto per Acea.
D. Uno dei nodi era se includere o no Italcogim nell'alleanza?
R. Quel problema sembra superato. Con Italcogim si possono anche fare accordi commerciali.
D. I francesi hanno restituito Romanagas a Eni, e ora il Comune metterà a gara la concessione. Parteciperete insieme?
R. Aspettiamo di leggere il bando di gara. Suez-GdF sarà interpellata ma potrebbe anche non essere interessata a partecipare.
D. Cercherete altri partner?
R.Vedremo.
D.Qualcuno dice che potreste allearvi con Snam?
R. E' la società che già gestisce la rete ed è il primo operatore italiano. Per noi sarebbe un alleato di prestigio. Ma non so che cosa ne pensa Snam.
D.Le sanzioni sulla moratoria fiscale rischiano di azzerare il dividendo Acea, stete studiando contromisure?
R. Inoltreremo tutti i ricorsi utili, a partire dalle commissioni tributarie. Siamo sicuri delle nostre ragioni. Gli sgravi fiscali che abbiamo ottenuto per la trasformazione in spa erano in forza di una legge e non rappresentavano un'interpretazione forzata di qualche norma. Come se non bastasse, abbiamo anche fatto un condono tombale proprio su questa fiscalità. Sono convinto che riusciremo a recuperare parte di quanto versato, anche perchè il governo sta valutando con attenzione l'ipotesi prospettata dal sottosegretario Stefano Saglia.
D.Che cosa prevede?
R. Propone di ricalcolare gli interessi sulla sanzione. Ci hanno applicato un tasso del 12% l'anno, decisamente fuori mercato. Pensi che per Acea gli interessi pesano per oltre il 50% della sanzione.
D. Nello statuto di Acea c'è ancora una norma che limita all'8% i diritti di voto dei soci privati. Sarà rivista nell'ottica della privatizzazione?
R. Credo che servirà un nuovo statuto che tenga conto del fatto che il socio pubblico non avrà più il 51% .Bisognerà rivedere questa e anche qualche altra regola di governance. 

da Milano Finanza del 28.11.09




























claudiomeloni; ; commenti ?


mercoledì, 02 dicembre 2009; 19:52

RED VIDA

La Red Vigilancia Interamericana por la Defensa y Derecho al Agua (Rete di Vigilanza Interamericana per la Difesa e il Diritto all’Acqua), REDVIDA, una rete che aggruppa a più di 50 organizzazioni ambientaliste, sindacati, imprese e sistemi comunitari pubblici di tutto il continente americano, vuole pronunciarsi rispetto alla Legge 135/09 approvata giorni fa in senato italiano.

L’acqua è un bene comune, una risorsa che deve rimanere sotto il controllo pubblico e la onda di privatizzazione che si iniziò nel nostro continente durante la decade degli anni ’90, non ha dimostrato altra cosa che essere un completo fallimento. La presenza sempre minore di queste corporazioni nei nostri paesi lo dimostra. Mentre i movimenti sociali di tutte Le Americhe stanno ottenendo che i governi riconoscano l’acqua come un diritto umano che deve stare sotto il controllo pubblico, il senato italiano emette un Decreto Legge che apre la porta alla privatizzazione delle utility pubbliche dell’acqua in Italia per consegnarle alle multinazionali, in un evidente retrocesso rispetto a quanto si sta raggiungendo in paesi come Ecuador, Uruguay e Bolivia. 

Denunciamo il carattere mercantilista del Decreto Legge 135/09 che mette in vendita l’essenza stessa della vita e rende motivo di lucro un diritto di tutti gli esseri umani. Chiediamo al senato italiano il ritiro delle nuove norme che privatizzano l’acqua e la esclusione del servizio idrico come servizio pubblico locale con rilevanza economica, riconoscendo la autonomia di scelta dei modelli di concessione da parte degli ATO ed enti locali. Appoggiamo le proposte del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua che sta lottando per l’approvazione della legge di iniziativa popolare per ripubblicizzare il servizio idrico, e avvertiamo il popolo italiano rispetto le nefaste conseguenze che questo tipo di regolamentazione può portare nel breve periodo.

Le Americhe, Novembre del 2009

Per la Red VIDA:

Sindicato Obras Sanitarias de la Provincia de Buenos Aires, SOSBA, Argentina 
Fundación de Estudios Sanitaristas y Medio Ambiente, FESMA, Argentina
Unión de Usuarios y Consumidores Nacional, Argentina
Asamblea provincial  por el Derecho al Agua de Santa Fe, Argentina
Coordinadora Córdoba en Defensa del Agua y la Vida, CCODAV, Argentina
Central de Los Trabajadores Argentinos, CTA-Córdoba, Argentina
Asociación de Usuarios y Consumidores, ADUC, Argentina
Federación de Trabajadores Fabriles de Cochabamba, Bolivia
Fundación Abril, Bolivia
Escuela Andina del Agua, Bolivia
Escuela del Pueblo Primero de Mayo, Bolivia
Rede Brasileira Pela Integração dos Povos, REBRIP, Brasil
Frente Nacional de Saneamento Ambiental, FNSA, Brasil
Federação Nacional dos Urbanitários, FNU, Brasil
FASE: Solidariedade e Educação, Brasil
Corporación La Ceiba – Medellín. Antioquia, Colombia
Corporación ECOFONDO, Colombia
Centro Cultural Social y del Medio Ambiente Ceibo, Maipú-Chile
Chile Sustentable, Chile
Acción Ecológica, Ecuador 
Observatorio Ciudadano de Servicios Públicos, Ecuador
ISP- Proyecto Andino de Agua
Food and Water Watch, Estados Unidos de Norteamerica
Bloque Popular, Honduras
Alianza Mexicana por la Autodeterminación de los Pueblos (AMAP), México
Asistencia Legal por los Derechos Humanos A.C. (ASILEGAL), México
Centro Mexicano de Derecho Ambiental, A.C. (CEMDA), México
Centro de Derechos Humanos “Miguel Agustín Pro Juárez, A.C.”, México
Centro Derechos Humanos “Fray Francisco de Vitoria, O.P.”, A.C., México
Centro de Servicios Municipales “Heriberto Jara, A.C.”(CESEM), México
Centro Operacional de Vivienda y Poblamiento, A.C. (COPEVI), México
Colectivo Radar, México
Consejo de Ejidos y Comunidades Opositores a la Presa La Parota (CECOP), México
Desarrollo, Educación y Cultura Autogestionarios, Equipo Pueblo, México
Enlace Rural Regional, A.C. (ERRAC), México
Espacio DESC, México
Food First Information and Action Network- México (FIAN-México), México
Guardianes de los Volcanes, A.C., México
Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario, A.C. (IMDEC), México
Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Ríos (MAPDER), México
Otros Mundos, A.C. , México
Red de Género y Medio Ambiente (REGEMA), México
Red Mexicana de Acción frente al Libre Comercio (RMALC), México
Unión Popular Revolucionaria Emiliano Zapata (UPREZ), México
Federación Nacional de Trabajadores del agua Potable del Perú- FENTAP, Perú
Comisión Nacional de Defensa del Agua y la Vida, CNDAV, Uruguay
Federación de Funcionarios de Obras Sanitarias del Estado, FFOSE, Uruguay
Redes, Amigos de la Tierra, Uruguay
Consejo Permanente de sindicatos Andinos del Agua
Corporate Accountability International


 



Lettera in spagnolo:

La Red Vigilancia Interamericana por la Defensa y Derecho al Agua, REDVIDA,  una red que agrupa a más de 50 organizaciones medioambientales, sindicatos, empresas y sistemas comunitarios  públicos de todo el continente americano, quiere pronunciarse sobre la Ley 135/09 aprobada días atrás en el senado italiano.

El agua es un bien común, un recurso que debe quedar bajo el control público y la ola de privatización que se inició en nuestro continente durante la década de los 90, no ha probado otra cosa que ser un
rotundo fracaso. La cada vez menor presencia de estas corporaciones en nuestros países así lo demuestra. Mientras los movimientos sociales de todas Las Américas están haciendo  que los gobiernos  reconozcan el agua como un derecho humano que debe estar bajo control público, el senado italiano emite un decreto Ley que abre la puerta a la privatización de las utilidades publicas del agua en Italia para entregarlas a las transnacionales en un franco retroceso de lo que se  viene logrando en países como Ecuador, Uruguay y Bolivia.

Denunciamos el carácter mercantilizador del Decreto Ley 135/09 que pone a la venta la esencia misma de la vida y vuelve motivo de lucro un derecho de de todo ser humano. Pedimos al senado italiano el retiro  de las nuevas normas que privatizan el agua y la exclusión del servicio hídrico como servicio público local con relevancia económica, reconociendo la autonomía de elección de los modelos de concesión por parte de los ATO y entes locales. Apoyamos las propuestas del  Foro Italiano de los Movimientos por el Agua que están buscando la aprobación de la ley de iniciativa popular para devolver el carácter público al servicio del agua, y advertimos al pueblo italiano sobre las nefastas consecuencias que este tipo de reglamentación puede traer en el corto plazo.

Las Américas, noviembre de 2009

Por la Red VIDA:

Sindicato Obras Sanitarias de la Provincia de Buenos Aires, SOSBA, Argentina 
Fundación de Estudios Sanitaristas y Medio Ambiente, FESMA, Argentina
Unión de Usuarios y Consumidores Nacional, Argentina
Asamblea provincial  por el Derecho al Agua de Santa Fe, Argentina
Coordinadora Córdoba en Defensa del Agua y la Vida, CCODAV, Argentina
Central de Los Trabajadores Argentinos, CTA-Córdoba, Argentina
Asociación de Usuarios y Consumidores, ADUC, Argentina
Federación de Trabajadores Fabriles de Cochabamba, Bolivia
Fundación Abril, Bolivia
Escuela Andina del Agua, Bolivia
Escuela del Pueblo Primero de Mayo, Bolivia
Rede Brasileira Pela Integração dos Povos, REBRIP, Brasil
Frente Nacional de Saneamento Ambiental, FNSA, Brasil
Federação Nacional dos Urbanitários, FNU, Brasil
FASE: Solidariedade e Educação, Brasil
Corporación La Ceiba – Medellín. Antioquia, Colombia
Corporación ECOFONDO, Colombia
Centro Cultural Social y del Medio Ambiente Ceibo, Maipú-Chile
Chile Sustentable, Chile
Acción Ecológica, Ecuador 
Observatorio Ciudadano de Servicios Públicos, Ecuador
ISP- Proyecto Andino de Agua
Food and Water Watch, Estados Unidos de Norteamerica
Bloque Popular, Honduras
Alianza Mexicana por la Autodeterminación de los Pueblos (AMAP), México
Asistencia Legal por los Derechos Humanos A.C. (ASILEGAL), México
Centro Mexicano de Derecho Ambiental, A.C. (CEMDA), México
Centro de Derechos Humanos “Miguel Agustín Pro Juárez, A.C.”, México
Centro Derechos Humanos “Fray Francisco de Vitoria, O.P.”, A.C., México
Centro de Servicios Municipales “Heriberto Jara, A.C.”(CESEM), México
Centro Operacional de Vivienda y Poblamiento, A.C. (COPEVI), México
Colectivo Radar, México
Consejo de Ejidos y Comunidades Opositores a la Presa La Parota (CECOP), México
Desarrollo, Educación y Cultura Autogestionarios, Equipo Pueblo, México
Enlace Rural Regional, A.C. (ERRAC), México
Espacio DESC, México
Food First Information and Action Network- México (FIAN-México), México
Guardianes de los Volcanes, A.C., México
Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario, A.C. (IMDEC), México
Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Ríos (MAPDER), México
Otros Mundos, A.C. , México
Red de Género y Medio Ambiente (REGEMA), México
Red Mexicana de Acción frente al Libre Comercio (RMALC), México
Unión Popular Revolucionaria Emiliano Zapata (UPREZ), México
Federación Nacional de Trabajadores del agua Potable del Perú- FENTAP, Perú
Comisión Nacional de Defensa del Agua y la Vida, CNDAV, Uruguay
Federación de Funcionarios de Obras Sanitarias del Estado, FFOSE, Uruguay
Redes, Amigos de la Tierra, Uruguay
Consejo Permanente de sindicatos Andinos del Agua
Corporate Accountability International


  

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