giovedì 26 gennaio 2012



UNA BATTAGLIA PER L'ACQUA E PER LA VERITÀ
di Luca Nivarra


Un buon modo per orientarsi in quel po' di dibattito che, nonostante la censura mediatica trasversale, si è sviluppato attorno al referendum sull'acqua pubblica, è la lettura del libro di Franca D'Agostini Verità avvelenata (Bollati Boringhieri, 2010). Questo libro infatti contiene un'analisi delle principali forme di perversione a cui la verità, intesa come predicato di enunciati descrittivi del reale, viene sottoposta allo scopo di confondere, influenzare e orientare un'opinione pubblica oggi già abbastanza passiva e inerte. Sotto questo profilo il caso dell'acqua è appunto emblematico. Si prenda l'esternazione di Tremonti, il quale ha escluso che il referendum possa superare il vaglio di ammissibilità di fronte alla Consulta perché le norme oggetto dei quesiti avrebbero origine in un trattato internazionale e godrebbero, pertanto, dello scudo offerto dal secondo comma dell'art.75 Cost. Ora, tralasciando le osservazioni di carattere tecnico-costituzionale, il succo di una tanto autorevole presa di posizione (Tremonti è anche un eminente giurista) è che la disciplina dei servizi pubblici locali contenuta nell'art. 23 bis l.133/2008 (quella sulla quale verte il primo dei tre quesiti) ci sarebbe stata imposta dall'Ue, con la conseguenza che essa sarebbe inattaccabile per via referendaria.
Questo argomento che, assieme a quello della promozione della concorrenza e della ontologica superiorità del "privato" sul "pubblico", compone la trimurti retorica dei privatizzatori, trova un esplicito riscontro nell'incipit dello stesso art. 23 bis (ove il legislatore si richiama esplicitamente alla disciplina comunitaria): e, tuttavia, esso è falso e incarna in modo paradigmatico uno di quei casi di perversione della verità illustrati dal libro della D'Agostini. Basterà menzionare al riguardo una recente pronunzia della Corte di Giustizia secondo la quale «un'autorità pubblica, che sia un'amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso a entità esterne non appartenenti ai propri servizi». In altri termini, l'Ue non impone affatto di esternalizzare i servizi locali, ammettendo esplicitamente la possibilità che questi ultimi vengano affidati ad articolazioni e uffici dell'ente pubblico, sia pure nei limiti del cosiddetto «controllo analogo» secondo quanto stabilito sempre dalla Corte di Giustizia nella sentenza Teckal del '99. Il diritto comunitario, soltanto laddove l'ente pubblico decida di avvalersi, per l'erogazione del servizio, di un soggetto terzo, impone il ricorso alla cosiddetta evidenza pubblica, ossia a un procedimento che, simulando una gara, dovrebbe assicurare gli stessi benefici effetti della concorrenza (anche se qui la concorrenza è per il mercato e non nel mercato, posto che il servizio verrà comunque somministrato in regime di monopolio). 
Da questo punto di vista è fuor di dubbio che il referendum sia ammissibile: in caso di suo esito positivo, il modello di organizzazione del servizio del quale le amministrazioni pubbliche potrebbero avvalersi sarebbe quello dell'azienda speciale, perfettamente compatibile con i dettami dell'Ue. Per concludere: la battaglia referendaria dovrà mirare alla salvaguardia non di uno ma di due beni comuni, l'acqua e la verità, contro chi vuole privatizzare la prima e avvelenare la seconda.

Fonte: Il Manifesto



Water funds tempt investors with booming growth


Investors look to water funds as alternative to volatile credit and equity markets, with water-technology businesses fuelling growth

Funds that invest in water are booming, as investors shun volatile credit and equity markets and commodities that have already reached dizzying heights.
Global water indices have gained about 9% so far this year against a 4% drop in the FTSE 100 index, according to Guardian research. Water funds have grown to more than 100 over the past few years.
Growth is mostly driven by water-technology businesses as utilities invest in improving the quality of pipes to reduce waste, investors say. The average person in the UK uses about 150 litres of water every day and of this about one third is wasted, according to Waterwise, an organisation that promotes water efficiency.
"Water is scarce, and scarcity is a technology question," said Klaus Kämpf, who manages the Sarasin Sustainable Water Fund in Basle, Switzerland.
The fund has gained 8.7% so far this year, after rising 33% in 2009. The fund has expanded in size to €113m (£94m), from €33m at the end of 2008.
Geneva-based Pictet & Cie runs the biggest and oldest water fund, with €2.38bn under management. The portfolio, which is invested in water-related stocks around the world, has gained 24% over the past 12 months, and 9% so far this year. Almost half of the fund is allocated to the US, where municipal water companies such as Aqua America or California Water Service are publicly traded.
The fund has dropped companies that produce water bottles since bottled-water consumption has fallen in developing countries over the past few years amid high transportation and other costs.
Some of its top-performing holdings include Roper Industries, a US water-meter maker, which has gained 20% this year, and Hyflux, a Singaporean water treatment company.
Asset managers say water investment is not a short-term bubble, or an alternative whose value may plunge when equity and credit markets stabilise and investors return to them. Water companies, – some of which are heavily regulated – have long-term investment horizons of as long as 30 years to guarantee returns, investors say. Demand is rising, since less than 1% of the planet's water is drinkable and consumption increases as economies develop and become more affluent.
The UN estimates global water requirements will grow by 40% by 2020. Every year millions of people, most of them children, die from diseases associated with inadequate water supply, sanitation, and hygiene, according to the UN. Every day 3,900 children die because of dirty water or poor hygiene, the World Health Organisation says.
Water demand is also driven by technology and farming companies, with about 70% of fresh water used in agriculture, Kämpf said. Heavy water users also include chipmakers, such as ST Microelectronics, in Switzerland, he said.
Financial companies such as Janney Capital Markets in the US and Standard & Poor's have developed water indexes to track the sector. The S&P Global Water Index, for instance, has gained 9.5% over the past 12 months. Its holdings include Geberit AG, a German developer of sanitary technology. Britain's United Utilities, Severn Trent and Pennon Group are also part of the portfolio.
High returns are making investors pour more money into water funds. ETF Securities says that its water Exchange Traded Fund has $9m under management, a 10-fold increase from when it started in November 2008.
Elena Moya
The Guardian

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martedì, 24 agosto 2010; 07:03


Territori palestinesi: emergenza acqua,
 un ulteriore ostacolo alla pace

di MICHELA PERATHONER

Con una media di 63 litri pro capite al giorno, la quantità di acqua a disposizione della popolazione palestinese nei Territori occupati sembrerebbe quasi tollerabile. Una cifra ben lontana dai 100 litri giornalieri raccomandati per ogni abitante dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma pur sempre superiore a molte altre zone considerate in via di sviluppo.
L’accesso ad acqua corrente però varia decisamente da zona a zona, da città a città e da comunità a comunità. A tal punto che, solo nel 16 per cento dei casi (100 delle 708 comunità palestinesi), i litri disponibili pro capite sarebbero superiori alla quantità minima indicata dall’organizzazione internazionale. Come riportato dall’organizzazionePalestine Monitor, associazione a tutela dei diritti umani, nel 7 per cento delle comunità palestinesi (43 pertanto), invece, i litri mediamente disponibili al giorno sarebbero 30 o addirittura meno, nel 36 per cento (225 comunità) tra i 30 e i 50, nel 41 per cento dei casi (264 comunità) tra i 50 e i 100.
Dati preoccupanti? Non sono gli unici. La statistica, infatti, si riferisce solo al 69 per cento delle comunità palestinesi, quella percentuale insomma, che risulta essere connessa a risorse idriche. E i restanti abitanti della Cisgiordania? Per loro niente tubature. Certo, l’acqua si può pur sempre comprare da distributori privati (il cui prezzo sarebbe aumentato fino al 200 per cento rispetto a quello di alcuni anni fa) oppure ci si può accontentare di sorgenti naturali e acque piovane.
Mancanza d’acqua. Ma a complicare la situazione umanitaria, già compromessa da difficoltà economiche e conflitti, ci si mette, poi, anche il fattore qualità. Il massiccio utilizzo di pesticidi e fertilizzanti nel settore agricolo, come denunciato da Palestine Monitor, e l’assenza di un sistema di fognature idoneo, comprometterebbe, infatti, anche la qualità delle acque a disposizione della popolazione. La Striscia di Gaza, dove grazie alla desalinizzazione i litri pro capite sarebbero 140, solo il 7 per cento è conforme agli standard indicati dall’OMS. Le conseguenze? Problemi intestinali e malattie come colera, epatite e febbre gialla, registrate negli ospedali locali.
Ma non è finita. I vicini israeliani, a differenza delle comunità che risiedono nei Territori occupati, hanno un consumo pro capite di circa tre volte superiore a quello palestinese. E, due terzi delle acque utilizzate provengono da sorgenti condivise con i palestinesi. Qualche problema nella distribuzione? Sembrerebbe. Israeliani e palestinesi utilizzano due sistemi: uno sotterraneo, lungo circa 130 chilometri lungo il confine tra Israele e Cisgiordania, è suddiviso in tre “sotto-acquedotti”. Come denunciato da Palestine Monitor, il primo viene utilizzato al 95 per cento da Israele, il secondo, situato quasi interamente in Territorio palestinese, al 70 per cento da Israele, e il terzo- anche questo in Cisgiordania- al 37 per cento da Israele. O meglio, dai coloni israeliani che risiedono in Cisgiordania.
E il sistema del fiume Giordano con i suoi 330 chilometri di risorse sotterranee? Acque non disponibili per i palestinesi. Secondo l’associazione Israele limita l’accesso alle risorse sia tramite vie legali, che tecniche e fisiche. L’accesso alle risorse idriche, in quanto considerate beni di proprietà pubblica e pertanto israeliana, è reso difficile, se non impossibile, da procedimenti amministrativi lunghi e complicati. Per costruire un pozzo, o ripararne uno esistente, ad esempio, prima di ottenere un permesso si passerebbe, sempre secondo quanto riportato da Palestine Monitor, per 18 fasi diverse in dipartimenti amministrativi separati. E ad ogni pozzo verrebbero poi imposti limiti in termini di quantità estraibile. In molti casi, inoltre, i palestinesi non avrebbero comunque accesso alle fonti in quanto l’espropriazioni di terreni, soprattutto nelle aree ricche di acqua, come al valle del Giordano, sarebbero frequenti.
“Una moltitudine di problemi e difficoltà nel migliorare uso e sfruttamento delle risorse limitate disponibili” - sono questi i termini in cui l’associazione descrive le conseguenze delle politiche israeliane dal 1967 in poi in relazione alla questione dell’accesso all’acqua da parte dei palestinesi.
“Nonostante la mancanza di attenzione nei confronti della questione dell’acquarispetto ad altri aspetti centrali, trovare una risoluzione giusta è importante al pari di giungere a una pace duratura, a uno Stato palestinese, alla rimozione delle colonie e dei checkpoint. Le difficoltà che circondano questo argomento potrebbero differenziarsi in maniera unica dalle altre questioni in quanto l’utilizzo delle acque, la sua conservazione e produzione danno a Israele e Palestina l’opportunità di collaborare per risolvere una problematica comune in maniera scientifica piuttosto che in un’atmosfera politicizzata” - dichiara Palestine Monitor. “Un’opportunità”, come viene espresso in conclusione, “non ancora colta”.
Michela Perathoner 
(Gerusalemme – inviata di Unimondo)

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lunedì, 23 agosto 2010; 09:34


Aquino urged to junk water privatization


Citing a recent United Nations (UN) resolution declaring water and sanitation as a fundamental human right, militants urged the government anew to junk water privatization.

The Water for the People Network (WPN) said privatization violates the human right to water, adding that water shortage is a direct result of the privatization of water resources and utilities.

"In the Philippines, the privatization of public water utilities has worsened the people’s access to water ... 16 out of 100 families in all income classes do not have access to safe water," the group said.

The group added that in Metro Manila, water rates have continued to increase since the privatization of the Manila Waterworks and Sewerage System (MWSS).

According to a report of the WPN, the privatization of MWSS resulted in a drastic rise in water rates, by 357.6% for Maynilad and by 414.4% for Manila Water, in a span of only a decade, between August 1997 and January 2007.

The group urged government to junk current privatization projects such as the Angat Dam, and instead conduct a review of major privatization projects like the MWSS.

On July 28, the UN General Assembly approved a resolution recognizing access clean water and sanitation as a basic human right.

It cited concern for around 884 million people worldwide without access to water, and called on governments to scale up efforts in ensuring clean, safe, adequate water especially in poor countries.

WPN noted less than 60% of Maynilad’s service area in the west zone has 24-hour water service, while Manila Water claims 99% water supply coverage in the east zone but does not distinguish areas with direct household connection from those serviced by private water suppliers.

WPN said the recent water shortage in Metro Manila should challenge the Aquino administration to urgently reverse the privatization of water services "that has benefited only the private water corporations and elite families in the country, while further increasing the burden of poor Filipinos with excessive user rates and deficient service."

"The UN resolution should also prompt the government to take more seriously its responsibility of providing adequate and affordable water for the poor," it said. –VVP, GMANews.TV

http://www.gmanews.tv/story/197641/aquino-urged-to-junk-water-privatization

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lunedì, 23 agosto 2010; 09:30


Water shortage hits 50% of Metro

Manila—DPWH Chief 

MANILA, Philippines – There is a water crisis in close to 50 percent of areas serviced by Maynilad Water Inc. after the level in Angat Dam in Bulacan reached a record-low – a situation that is expected to last for at least 60 days if the current dry spell continues, Public Works Secretary Rogelio Singson said Wednesday.
And Singson blamed this water shortage to the alleged excessive release of water from Angat dam due to the rains spawned by tropical storm “Ondoy” and typhoon “Pepeng” late last year.
“Water crisis in the area of Maynilad I believe, they are in a crisis situation because almost 50 percent [of the residents] are affected,” Singson told reporters at a press briefing in Malacanang on Tuesday.
“All told, we have 344 barangay (villages) who are affected and that translates to 49 percent of the Maynilad concession area. Also that translates to approximately close to three million of the west concession.” said Singson.
Maynilad services over seven million residents inManila except portions of San Andres and Sta. Ana; in parts of Quezon City and Makati; Caloocan, Pasay, Parañaque, Las Pinas, Muntinlupa, Valenzuela, Navotas, and Malabon; and the municipalities of Bacoor, Imus, Kawit, Noveleta, and Rosario in Cavite.
With the water level at 157.6 meters above sea level (masl) in Angat Dam, Singson said Maynilad's supply was reduced to 1,800 million liters a day from the normal 2, 400 million liters a day.
The reduction has severely affected Maynilad customers with 117 villages getting less than six hours of water supply and 32 having no water at all.
Sixty percent of the water supply in Angat goes to Maynilad while 40 percent goes to the Manila Water Co. that services the eastern portion of Metro Manila.
“But in the case of Manila Water, they are still within a very manageable situation so depende sa kung nasan ka [it depends where you are]. But nationwide, I don't think we have water crisis,” he said.
Manila Water supply is down to 1, 245 million liters from 1,600 million liters a day, said Singson.
Singson said that only 21 percent of areas serviced by Manila Water Co. were affected. And this is only less than 12 hours [of water supply]. Wala pa naman silang area na [They still do not have areas that are] over 6 hours,” he said.
Singson said that “based on the current reduction, assuming no water, we’re still good for 60 days, assuming no water or no rainfall in Angat, were good for 60 days,” said Singson, referring to Maynilad’s situation.
Singson blamed the water crisis to what he said was the “excessive release of water” in December, 2009.
Before “Ondoy” struck the country in October last year, Singson said the water level in Angat was at its “spilling level” of 210 masl.
But the National Power Corp, Singson, said, allowed the release of water from Angat equivalent to three months supply for domestic use by Metro Manila residents.
On Dec.14, 2009, Singson said they wrote the National Water Resource Board and the Metropolitan Waterworks and Sewerage System to stop the release of the water.
“The water level if only if it was managed properly, we would not have any of this difficulty or at least as not severe as what we're encountering at this time,” he said.
Singson refused to say however who should be held accountable for this mess.
To mitigate the impact of the water shortage, Singson said the government has started cloud seeding to raise the water in Angat.
In return, the government asked the public to start conserving water.
By Maila Ager
INQUIRER.net

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domenica, 22 agosto 2010; 07:11

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