lunedì 23 gennaio 2012




Il privato costa di più
di Francesca Stroffolini

costa di più Per una gestione pubblica del servizio idrico sottratta alle logiche del profitto
Nel dibattito originato dai referendum per la gestione pubblica del servizio idrico integrato sembrano fronteggiarsi due posizioni: da un lato quella dei promotori che giustificano la necessità di mantenerne pubblica la fornitura con la natura di «bene comune» e socialmente rilevante dell'acqua, che non può dunque sottostare alle logiche di profitto; dall'altra la posizione di coloro che sostengono la convenienza di affidare al privato la gestione del servizio con la convinzione che questo di per sé garantisca minori costi, maggiori investimenti per il miglioramento della rete di distribuzione e quindi anche maggiore vantaggi per i consumatori in termini di minori tariffe e maggiore qualità.
E' proprio questa convinzione che qui si intende brevemente mettere in discussione. 
L'osservazione da cui partire è che nei settori regolamentati, come quello idrico, l'Autorità Pubblica non ha le stesse informazioni dell'impresa regolamentata riguardo alle caratteristiche del settore (tecnologia, domanda) e quindi ai costi efficienti di fornitura del servizio. Ne consegue che l'unico modo che ha per indurre l'impresa privata a ridurre i costi è consentirle di appropriarsi dei maggiori profitti che ne derivano. E' questo il meccanismo di regolamentazione del Price Cap, utilizzato nel settore idrico, che fissa un prezzo massimo che non varia, per un certo intervallo di tempo, al variare dei costi. In tal caso qualsiasi riduzione di costo, non modificando il prezzo, si traduce esclusivamente in profitto dell'impresa privata senza alcun beneficio per i cittadini.
Ma se il prezzo è indipendente dai costi, il profitto dell'impresa aumenta anche nel caso in cui la riduzione di costo derivi da fattori esterni non dipendenti dal comportamento dell'impresa: in tal modo il profitto si converte in pura rendita. Inoltre, proprio l'obiettivo del profitto fa sì che l'impresa privata non tenga conto degli effetti negativi che la riduzione dei costi può avere sulla qualità dei servizi né avrà incentivo a realizzare investimenti costosi quali quelli richiesti da manutenzione e miglioramenti della rete di distribuzione dell'acqua che generano benefici sociali di lungo periodo.
L'Autorità Pubblica non ha modo di ovviare a questi problemi, punendo l'impresa nel caso di cattiva qualità del servizio e di perdite nella rete idrica. Uno dei motivi è che la rete idrica è nel sottosuolo e la sua qualità non è accertabile, quando il contratto di concessione è affidato all'impresa privata. Inoltre, soprattutto nel caso di contratti di lunga durata, si possono verificare eventi esterni, non prevedibili al momento del contratto e non verificabili dalle parti, che influenzano i costi degli investimenti e della gestione dell'infrastruttura. Ne consegue la non dimostrabilità delle cause ultime di un'eventuale perdita o interruzione del servizio: comportamento non adeguato dell'impresa, eventi sopravvenuti o iniziali cattive condizioni della rete idrica. Il risultato è che l'Autorità Pubblica non può richiedere l'intervento di un terzo esterno (giudice) per punire l'impresa.
Infine, è opportuno rilevare che, a causa delle elevate economie di scala che caratterizzano il settore idrico, le imprese private sono spesso multinazionali operanti in diversi settori. Tale aspetto, unitamente alla necessità di garantire la fornitura del servizio, pone l'Ente locale in una posizione contrattuale di debolezza rispetto all'impresa privata, in caso di rinegoziazione del contratto per eventi imprevisti (es. aumenti dei costi), comportando inevitabilmente una modifica dei termini contrattuali a favore dell'impresa privata. 
Alla luce di queste considerazioni ritengo che il «governo» del servizio idrico dovrebbe articolarsi sui seguenti punti:
a) proprietà pubblica della rete e gestione pubblica dell'infrastruttura e della fornitura del servizio idrico, sottratta alle logiche del profitto; 
b) partecipazione e controllo diretto da parte dei cittadini e dei lavoratori alla gestione del servizio; 
c) trasferimenti centrali agli Enti Locali per finanziare investimenti infrastrutturali. 
Ciò richiama la necessità di rimettere in discussione il processo d'attuazione di un federalismo fiscale che - così come va delineandosi - inevitabilmente comporta la privatizzazione forzata dei servizi locali. 
E' un compito irrealistico? Può darsi, ma forse la sinistra ha perso anche per aver scambiato per «realismo» la mancanza di coraggio nell'avanzare proposte davvero alternative rispetto a quelle che sono presentate come direzioni ineluttabili del mutamento nella organizzazione della cosa pubblica.
*Ordinario di Econ. Pubblica,
Univer. di Napoli Federico II

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mercoledì, 23 giugno 2010; 06:46


Acqua pubblica, Davide contro Golia
di Andrea Palladino

Un milione tondo tondo di firme per l'acqua pubblica. Ovvero duecento cinquantamila in più del traguardo che inizialmente il Forum si era dato per questa campagna referendaria. Una gigantesca grande risposta a politiche di governo liberiste. Un movimento in tanti aspetti simile a quello nato all'epoca del G8 di Genova: i partiti sono ospiti, una rete diffusa, capillare e solida di movimenti e associazioni. E' impossibile nelle pagine di un giornale elencare le centinaia di sigle che hanno reso possibile un obiettivo così straordinario. Si possono indicare le aree, sapendo che si sta facendo il torto a qualcuno: i cattolici progressisti insieme ai centri sociali, interi pezzi di sindacato (soprattutto Cgil e Cobas) insieme alle associazioni di consumatori, il mondo ambientalista al gran completo, fino ai lavoratori delle società che gestiscono l'acqua. E poi cittadini comuni, quell'onda che progressivamente cresce attorno al popolo viola, le piazze per la difesa del diritto all'informazione, pezzi di quell'Italia che vuole capire perché siamo il paese più autoritario, più liberista e meno libero d'Europa. 
Per capire conviene fermarsi in uno dei banchetti sparsi in Italia: «Acqua pubblica? Non c'è bisogno di spiegare nulla, firmo subito», è la frase più comune. Poi la seconda domanda riguarda il marchio doc: «Non siete per caso quelli dell'Idv, vero?», come chiedeva un'anziana signora a Roma. Domande a fiumi: come difendersi dalle società private, come ribellarsi all'aumento delle tariffe, come fare le analisi all'acqua che beviamo. In un clima che può ricordare le feste di paese. Come quando sulla cima dello Zoncolan, durante il giro d'Italia, sono apparsi i banchetti, scatenando gli applausi dei tifosi. O come a Nettuno, la settimana scorsa, quando le persone hanno lasciato la spiaggia per andare ad ascoltare Ascanio Celestini, e a firmare.
A ripercorrere a ritroso la strada che ha portato alla mobilitazione milionaria, si trovano episodi che raccontano bene quanto vale questo milione di firme. Due erano gli ostacoli solo apparentemente insormontabili, i partiti politici e l'informazione. Partiamo dall'ultimo, è una storia che ci riguarda da vicino. Fino a pochi mesi fa il tema acqua pubblica era sostanzialmente un tabù. E d'altra parte guardando le grandi imprese e i forti poteri finanziari che si nascondono dietro la privatizzazione delle risorse idriche si trovano nomi che pesano nei media mainstream. Grandi gruppi come Acea, ad esempio, hanno tra gli azionisti industriali di peso come Caltagirone, salito oggi al 13% della società romana, pronto a scalare il gruppo in vista dell'ulteriore privatizzazione già avviata da Alemanno. Il nuovo colosso multiutility del Nord, Iride, ha visto l'ingresso pesante di F2I, alla cui presidenza siede il nuovo banchiere di dio Ettore Gotti Tedeschi, a capo dello Ior, la banca del Vaticano. O le potentissime lobby delle acque minerali, budget destinati alla pubblicità in grado di interferire nelle scelte del mondo televisivo. Golia contro le voci che hanno accompagnato in questi anni la crescita del movimento per l'acqua pubblica, raccontando cosa significa privatizzare l'acqua, trovandosi davanti alla porta i tecnici delle multinazionali e i vigilantes pronti a tagliare i tubi se non riesci a pagare.
Il vero ostacolo, quello apparentemente più difficile, è venuto però dai partiti, anche dell'opposizione. Al momento della presentazione dei quesiti fu l'Italia dei Valori, con un Di Pietro particolarmente agguerrito, a cercare di allungare una gamba per lo sgambetto. Prima l'IdV chiese un posto in prima fila nel comitato organizzatore del referendum, dopo aver capito che quell'anomalo movimento poteva arrivare molto lontano; poi forzò la mano, presentando un quesito alternativo - che mantiene il modello privato come una delle scelte possibili di gestione - sul tema dell'acqua. 
Segue la questione Pd. O meglio, di una parte del Pd. O, meglio ancora, probabilmente di una parte minoritaria del Pd. Una posizione ufficiale, come è noto, ancora non c'è. Ufficialmente si è espresso contro i referendum e contro la totale gestione pubblica dell'acqua il gruppo che si riconosce nella componente "ecodem". L'impressione è che nell'alta dirigenza conti probabilmente molto il Pd "di governo", quella parte del partito che è storicamente vicina alle gestioni miste pubblico private - vedi il modello Toscana, o il colosso Acea - oggi in forte difficoltà rispetto ad un referendum chiaro e radicale. 
I partiti della sinistra hanno invece accolto l'invito del Forum a dare una mano senza protagonismi. Federazione della sinistra, Sel, Verdi, Sinistra critica e PCdL fanno parte del comitato di sostegno al referendum, dando un sostegno deciso ma autonomo.
Quel milione tondo tondo di firme è dunque stato possibile grazie alla mobilitazione nata e cresciuta dal basso, nelle piccole sedi improvvisate di centinaia di comitati locali, abituati ad aprire le porte a cittadini di ogni tipo, arrivati con bollette a tre zeri in mano e magari con l'acqua staccata. Sono comitati dove in prima fila trovi le donne che fanno i conti per prime con la crisi economica e con la scientifica capacità predatoria delle multinazionali dei servizi, o gli anziani, memoria storica della capacità di combattere al minimo odore di ingiustizia. E poi professionisti, operai, insegnanti, precari stufi di essere visti come la parte flessibile del lavoro, stranieri che scoprono come l'Italia non sia quel paradiso promesso e non mantenuto. Un'esperienza di lotte e vertenze accumulate in cinque anni, partite dopo le prime privatizzazioni vere, spacciate per gestione mista.
La macchina organizzativa per i referendum è partita a fine marzo, grazie a volontari e forme creative di autofinanziamento. C'è chi ha creato il gadget richiestissimo delle borracce con la scritta "l'acqua non si vende", chi ha preparato i manifesti che univano il 25 aprile con la liberazione dell'acqua, chi si è ingegnato a realizzare i sistemi informatici per il conteggio delle firme. Ma subito tutti hanno capito la potenzialità dirompente dei tre quesiti: chiedere una gestione pubblica senza se e senza ma, mettendo all'angolo le mediazioni, gli interessi e quel sistema gelatinoso che garantisce lobbies e affari era quello che questo paese aspettava. Non servivano manifesti, campagne pubblicitarie e informazione diffusa. I referendum dell'acqua pubblica vincono proprio perché sono radicali, perché toccano sulla carne viva un paese ferito. Un vero uovo di Colombo.

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mercoledì, 23 giugno 2010; 06:41


Alemanno: "Il Comune ridurrà la presenza
in Acea del 20% ma non è uno scandalo"

Roma - (Adnkronos) - Il sindaco in un'intervista a 'Il Foglio': "L'acqua e' e deve rimanere un bene pubblico ma sono convinto che per evitare gli sprechi, per far sì che un bene così prezioso sia gestito in modo efficiente, può essere utile dare più spazio ai privati nella gestione del servizio. Noi, come comune, non abbiamo preclusioni nei confronti degli investitori. Sia nazionali che internazionali''.

Roma, 19 giu. - (Adnkronos) - ''Il Comune dovra' diminuire la sua presenza nell'azienda del 20 per cento ma non mi sembra affatto uno scandalo. L'acqua, e' vero, e' e deve rimanere un bene pubblico ma sono convinto che per evitare gli sprechi, per far si' che un bene cosi' prezioso sia gestito in modo efficiente, puo' essere utile dare piu' spazio ai privati nella gestione del servizio. Noi, come comune, non abbiamo preclusioni nei confronti degli investitori. Sia nazionali che internazionali''. Lo ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, in un'intervista a 'Il Foglio'.
''Se poi l'azionariato di questa azienda - ha aggiunto - rimarra' piu' legato al territorio, se chi investira' in Acea sara' prevalentemente romano, tanto meglio. Ma noi, ripeto, non abbiamo pregiudizi di alcun tipo o preferenze nei confronti di nessuno, e che questo sia chiaro. L'unica cosa che pretendiamo e che garantiremo con tutte le nostre forze e' che non vengano fatte speculazioni su un bene cosi' prezioso e che chi investira' nell'azienda lo faccia con un progetto industriale solido e con una grande attenzione ai diritti universali dei cittadini''.

http://www.adnkronos.com

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martedì, 22 giugno 2010; 09:57

Per Caltagirone tre «liaisons» su tavoli chiave
di Fabio Tamburini

C'era un tempo in cui i comuni di maggiore dimensione controllavano le aziende che fornivano i principali servizi. E nessuno aveva niente da ridire. Le municipalità potevano contare su centri importanti per la gestione del potere e del consenso. Le imprese, chi più chi meno, facevano quadrare i conti senza troppe difficoltà, anche perché avevano il vantaggio di operare in mercati protetti.
Poi le privatizzazioni degli anni Novanta hanno spazzato via le partecipazioni statali modello Prima Repubblica e le municipalizzate hanno cominciato a venire considerate più una anomalia che la regola.
Non solo. Le più grandi devono affrontare contraddizioni strutturali. I comuni azionisti, per esempio, chiedono dividendi per finanziarsi e non sono disponibili a fornire i capitali necessari alla crescita. Così il consiglio di sorveglianza A2A, che fa capo a Milano e Brescia, ha affidato il compito di mettere a fuoco nuove strategie a Intesa Sanpaolo. Il gruppo Iren (Torino, Genova, Reggio Emilia) trova difficoltà notevoli a superare i localismi. La Hera di Bologna, dopo la fusione con Meta di Modena, è in cerca d'identità. Per tutte si pone il problema di come sostituire, o affiancare, i comuni azionisti con altri soci, magari immaginando il coinvolgimento di banche e fondazioni. Almeno in un caso, l'Acea di Roma, ha esordito un socio privato di peso: Francesco Gaetano Caltagirone, che in pochi mesi è arrivato al 13% del capitale affiancando il comune di Roma (primo azionista con il 51% del capitale) e Gaz de France-Suez (con poco più del 10%).
L'esordio di Caltagirone è stato di quelli che lasciano il segno ed è avvenuto mettendo in discussione la joint venture con i francesi voluta dal precedente management di Acea. Poi, proprio negli ultimi giorni, sono state avviate grandi manovre di avvicinamento, che sono in corso anche se dall'esito ancora incerto. Coincide l'interesse di spingere il management verso più efficienza, ma i terreni di collaborazione possono essere molteplici. Gaz de France-Suez, per esempio, è candidata al secondo polo dell'energia nucleare in Italia insieme alla tedesca Eon e trarrebbe certo vantaggio dal contare su alleati italiani. Ovviamente come alleati e non come investitori di capitale significativi, perché si tratta di operazioni fuori dalla portata di privati (pur liquidi come Caltagirone) e della stessa Acea. Sull'opportunità di costruire centrali l'imprenditore romano è perfettamente in linea, come confermano alcune sue dichiarazioni. «In Italia i bisogni reali sono soprattutto nelle infrastrutture» ha detto, citando espressamente il nucleare.
Più in generale Caltagirone ha dimostrato di saper tenere con gli azionisti francesi rapporti eccellenti su due fronti impegnativi: il Monte dei Paschi di Siena e le Generali di Trieste. In entrambi i casi l'imprenditore romano, grazie a investimenti elevati, è diventato punto di riferimento della compagine azionaria. La presenza nel Monte dei Paschi ne ha fatto il principale alleato della Fondazione, azionista al 51%, con tanto di incarico alla vicepresidenza e buone relazioni con il colosso francese Axa. Un'intesa analoga a quella con il finanziere bretone Vincent Bolloré, impegnato nell'acquisto di titoli Generali. Proprio l'intesa Bolloré-Caltagirone rafforza il nucleo degli azionisti di spicco che si sta muovendo con l'obiettivo di fare da contraltare al potere di Mediobanca, tradizionalmente incontrastato. E che, in prospettiva, potrà portare a una maggiore autonomia del gruppo assicurativo triestino.

fabio.tamburini@ilsole24ore.com
 



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martedì, 22 giugno 2010; 06:00


Dichiarazione di Cochabamba:


Siamo movimenti e organizzazioni sociali che sostengono e appoggiano il movimento globale per l'acqua come bene comune e come diritto umano universale.
Molti fra noi sono convenuti a Cochabamba, altri stanno contribuendo dai loro rispettivi paesi: tutti insieme vogliamo festeggiare il decimo anniversario della vittoria della "Guerra dell'acqua" e vogliamo esprimere la nostra vicinanza e solidarietà ai movimenti boliviani, che per primi sono riusciti a cacciare dal paese la multinazionale che aveva privatizzato l'acqua, divenendo i pionieri della rimunicipalizzazione del servizio idrico a livello locale.
I nostri movimenti e le nostre organizzazioni fanno appello ai Governi che prendono parte alla "Conferenza dei popoli sul cambiamento climatico e sui diritti della Madre Terra" per chiedere di intraprendere chiare e concrete azioni in grado di affrontare in maniera efficace la crisi climatica.
Facciamo appello a tutti Governi del mondo, chiedendo loro di supportare e sostenere il così detto "Protocollo di Cochabamba", che è il risultato del processo della Conferenza dei Popoli sul cambiamento climatico. Un protocollo che sfida l' "accordo" sul clima di Copenhagen, tutto centrato su meccanismi di mercato.http://pwccc.wordpress.com/
Noi ribadiamo che l'acqua non è solo una vittima degli effetti e degli impatti negativi del cambiamento climatico ma che è anche il principale elemento per la mitigazione del caos climatico. La possibilità di arrestare il riscaldamento globale e l'intrappolamento naturale di anidride carbonica dipendono dal mantenimento dell'integrità del ciclo idrologico a tutti i suoi livelli.
Le attuali politiche economiche globali impediscono la tutela e la conservazione delle risorse idriche e del ciclo naturale dell'acqua. E' stata dichiarata una vera e propria guerra all'acqua, elemento fondamentale per la vita sul pianeta: la guerra delle monocolture dell'agrobusiness globale, idroesigenti e distruttive di biodiversità; la guerra di un modello economico globalizzato fondato sul dogma della crescita infinita, che si basa su una crescita insostenibile nell'uso e nella contaminazione di acqua dolce; la guerra dell'industria estrattiva e delle miniere che inquinano, deviano, sovrautilizzano e mettono in pericolo le riserve di acqua dolce; infine la privatizzazione dell'acqua, che apre un bene comune al profitto privato. Queste attività umane, e non solo queste, hanno un impatto fortemente negativo sul naturale ciclo dell'acqua e contribuiscono al disordine climatico.
Ma l'acqua e l'intero ecosistema globale sono oggi in pericolo anche a causa delle false soluzioni al cambiamento climatico, quali gli agrocombustibili o le grandi dighe per la produzione di energia il cui consumo è destinato ai paesi ricchi e alle loro economie.
Alcuni governi si stanno ostinatamente rifiutando di introdurre l'acqua e il diritto all'accesso all'acqua come temi espliciti all'interno delle negoziazioni UNFCCC. L'acqua, infatti, è già implicitamente un tema presente nelle negoziazioni ma in maniera mascherata e distorta, ossia in quanto elemento del gioco del mercato dei crediti di anidride carbonica, all'interno del così detto "meccanismo di sviluppo pulito". Il che ha un impatto fortemente negativo sulle risorse idriche globali.
I paesi del Nord, sostenuti dalla Banca Mondiale, stanno per investire nuovamente in dighe e grandi impianti per la produzione di energia idrolettrica nei paesi del Sud del mondo, per ottenere in cambio crediti per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Al contrario, una strategia globale di conservazione e protezione delle risorse idriche e del naturale ciclo idrologico è una delle più importanti politiche di mitigazione del cambiamento climatico ed è in grado di eliminare alcune delle principali cause del riscaldamento globale. Il sistema climatico dipende largamente dall'acqua e dalla conservazione del suo ciclo naturale. L'acqua è elemento fondamentale nel meccanismo di circolazione globale dell'energia, è centrale per la conservazione della biodiversità e, naturalmente, è base essenziale della capacità di intrappolamento di anidride carbonica da parte delle biomasse. Tutti aspetti fondamentali per garantire l'equilibrio climatico del pianeta.
L'acqua, in tutte queste sue fondamentali dimensioni, resta esclusa dalla negoziazioni UNFCCC, sia rispetto all'analisi delle cause del cambio climatico, sia rispetto alle soluzioni positive al caos del clima. Includere queste dimensioni, infatti, significherebbe dover mutare radicalmente il modello di sviluppo e contrasterebbe la spinta verso le false soluzioni al caos climatico, come il meccanismo di sviluppo pulito e il mercato dei crediti di anidride carbonica.
Ancor più inquietante, i meccanismi di sviluppo pulito come il "Ridurre le Emissioni da Deforestazione e Degrado" (REDD) e il mercato dei crediti di carbonio presentano vizi seri e fondamentali, inclusa la loro incapacità di restituire l'acqua agli ecosistemi e alle comunità umane, senza renderla un bene privato e mercificato.
Per tutte queste ragioni facciamo appello ai Governi, a partire da quelli che si dichiarano amici della Madre Terra, perchè assumano alcuni immediati precisi impegni:

- chiediamo la democratizzazione delle negoziazioni UNFCCC, che devono includere pienamente i governi dei paesi poveri, attualmente marginalizzati nella discussione, e aprirsi alla partecipazione dei i movimenti sociali e della società civile globale. L'annunciata esclusione delle organizzazioni sociali dalla prossima Conferenza delle Parti di Cancun (COP 16) è inaccettabile.

- chiediamo l'introduzione esplicita della crisi idrica in quanto tale nell'agenda delle negoziazioni delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, oltre che il riconoscimento del diritto umano all'acqua e dell'acqua come bene comune dell'umanità.

- chiediamo che nell'agenda delle negoziazioni UNFCCC sia incluso il tema della preservazione dell'integrità dei cicli idrogeologici come elemento chiave delle strategie di mitigazione del cambiamento climatico. Preservare i cicli idrogeologici significa che l'acqua non può essere mercificata e privatizzata ma, al contrario, deve essere protetta come un bene comune il cui accesso deve essere garantito a tutti.

Se le Nazioni Unite hanno fallito, non assumendosi fino ad oggi  la responsabilità del governo globale della crisi idrica, ora è invece opportuno avviare un pubblico dibattito sulla necessità di sviluppare politiche globali dell'acqua che seguano regole e processi delle Nazioni Unite. Attualmente il governo globale dell'acqua è stato lasciato in mano a istituzioni controllate dalle multinazionali, il che è inaccettabile.

- chiediamo che i Governi non riconoscano e non legittimino il Consiglio Mondiale dell'Acqua, guidato dalle Multinazionali, e che si rifiutino di prendere parte al World Water Forum, per avviare un processo nuovo, democratico e legittimo di dialogo globale sull'acqua.

- chiediamo il riconoscimento dei diritti della Madre Terra e la definizione di meccanismi che consentano la traduzione di questi diritti in leggi e in pratiche, a partire dalle legislazioni locali e da consuetudini che riconoscano i diritti della natura; è del pari necessario un sistema globale di governo e di sanzione,  che preveda anche la creazione di un Tribunale Internazionale che giudichi coloro che si sono resi colpevoli di crimini contro la Natura.

****************************************************************************************note:
Testo modificato in "versione originale": To introduce into the agenda of the United Nations negotiations on climate change a clear recognition that healthy hydrological cycles are critical to mitigating climate change and that to protect these cycles water must not be commodified or privatized, but rather protected as a commons and as a fundamental right for all of Mother Earth.  Beyond this the UN has failed in its broader responsibility on water and must lead debate and discourse on global water policy development which follow UN norms and processes. Currently, global water discourse is unacceptably being left in the hands of technical and corporate-controlled institutions.

         To recognize the rights of Mother Earth and to establish mechanisms to recognize these rights in law and practice, including local laws and customs that recognize the rights of nature, but also global systems of governance and enforcement, including an International Tribunal mechanism.


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lunedì, 21 giugno 2010; 07:00


L’acqua in Campania? Pessima

INCHIESTA. Berillio, arsenico e piombo nelle analisi del professor Benedetto De Vivo della Federico II. Ne esce un quadro assai preoccupante.

Ci voleva l’esercito degli Stati Uniti per testimoniare il sottolivello qualitativo dell’acqua di rubinetto in Campania: sono tali i dati rilevati dal professor Benedetto De Vivo, alla cattedra di Geochimica ambientale della Federico II, a partire da un’iniziativa di sondaggio dell’acqua pubblica promossa dalle forze armate americane, ed esposti durante un recente meeting tenutosi a porte aperte presso l’Istituto Italiano degli Studi Filosofici. All’indice dei richiami d’allarme compaiono l’area flegrea, le adiacenze di Aversa, il territorio domizio: nel bicchiere dell’ignaro consumatore finiscono metalli pesanti, composti chimici non tollerabili, sostanze cancerogene pericolose.

Non si salvano le acque imbottigliate: nelle 4000 pagine curate da De Vivo e dal gruppo di lavoro da lui coordinato, tutti ricercatori della Federico II, è scritto che tra le 200 marche prese in analisi ben 10 non sono risultate idonee al lecito consumo, perché portatrici di elementi nocivi in concentrazioni inaccettabili. A quanto pare non sarebbe più utile controllare le etichette: talvolta le descrizioni sulla composizione chimica del prodotto vengono falsate, e i riferimenti scomodi abilmente raggirati.

«Abbiamo riscontrato percentuali di berillio, arsenico e piombo – spiega De Vivo – e lo stato delle cose è particolarmente grave: mentre la concentrazione di berillio consentita nelle acque di rubinetto non può superare i 2 milligrammi per litro, in alcune acque minerali ne abbiamo ritrovati il doppio. In queste quantità il berillio diventa un agente cancerogeno; allo stesso modo ci preoccupa l’arsenico ritrovato in dosi pericolose da alcuni prelievi nell’acqua pubblica, che può portare a tumori alla pelle e allo stomaco».

La potabilizzazione dell’acqua destinata ai rubinetti risente dello stato idrogeologico delle zone in cui viene captata, anche se la tendenza degli ultimi due anni indica un incremento generale delle acque considerate potabili: circa 9 miliardi di metri cubi, di cui il 32% viene sottoposto a trattamenti di depurazione per essere orientata al consumo pubblico. Da quando nel 2001 una nuova normativa regola attraverso restrizioni più severe la presenza di agenti inquinanti nell’acqua pubblica, ben 13 regioni su 20 hanno richiesto al ministero della Salute di emanare deroghe sull’idoneità dell’acqua, nonostante la bocciatura nei rilevamenti: si tratta di provvedimenti consentiti dalla legge, dato che ai sindaci è dato di diritto appellarsi ai consigli regionali oltre che allo stesso ministero, affinché sia il Consiglio superiore di sanità a dettare le condizioni per l’utilizzo dell’acqua pubblica.

Sono troppe, come denuncia l’Unione europea, le deroghe convalidate: ciò avviene perché gli studi devono tener conto della complessità orografica e dell’origine vulcanica del nostro territorio, ragione per cui l’abbondanza di metalli pesanti nell’acqua non desta stupore. Lo scalpore resta invece perché la Campania, in deroga da 8 anni, non riesce a far ritornare le concentrazioni di fluoro presenti nell’acqua pubblica entro la soglia standard. Intanto i risultati dello studio eseguito dal Commissariato di governo per l’emergenza rifiuti rimangono segreti. «Gli organi di controllo dovrebbero essere terzi ed indipendenti dalla politica – commenta De Vivo – perché possano essere resi pubblici, e per essere confrontati con i parametri internazionali».

Pierluigi Schiano Moriello (Terra Campania)






Acea, dopo Caltagirone cresce anche GdF-Suez (Il Sole 24 Ore)

FTA Online News

Dopo gli acquisti di Francesco Gaetano Caltagirone anche i francesi di Gdf-Suez hanno rilevato una quota dello 0,4% di Acea portandosi intorno al 10,38% della multiutility romana. Secondo quanto ipotizza il quotidiano Il Sole 24 Ore, tali acquisti (che mantengono comunque i due azionisti alle spalle dello shareholder di riferimento ossia del Comune di Roma) sono probabilmente dettati dai ribassi che il titolo ha subito, a seguito di un logorante scontro al vertice che oggi sembra definitivamente alle spalle della società, un calo che probabilmente lo aveva reso vantaggioso. In vista ci sono però anche dei cambiamenti strategici, a partire dagli accordi fra Acea e Gdf-Suez che potrebbero essere rivisti in modo da togliere quel diritto di veto che Acea attualmente su ogni nuovo business di generazione e vendita di energia che voglia avviare in Italia.
(GD) 

 http://finanza.lastampa.it

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venerdì, 18 giugno 2010; 06:02

Ecco chi si berrà la tua acqua
di Giulia Cerino

A far profitti con la privatizzazione delle risorse idriche saranno i big del capitalismo italiano. A iniziare dal banchiere del Vaticano. E i Comuni non conteranno più niente.

L'accordo è fatto. L'acqua volerà in Borsa e una multinazionale nata dalla fusione di tre società ne controllerà la gestione. Iride, una multiutility, è una spa composta da altre spa e da altre spa e da altre spa. Come in una scatola cinese. La mega società è attualmente controllata dai comuni di Genova e Torino. La parte genovese è l'Amga (Azienda municipale gas e acqua) che nel 1995 si quota in borsa per poi, nel 2000, scorporare le acque in una società a parte e riassorbire gli acquedotti De Ferrari Galliera e Nicolay. Nasce Mediterranea. Nel 2006 arriva anche la fusione con l'Aem torinese che conclude la genesi di Iride: un colosso dell'acqua pubblica italiana che presto finirà nelle mani degli azionisti d'Europa. 

Accanto a Genova e Torino, infatti, alla guida della multiutility c'è l'F2i: una società italiana di gestione del risparmio, titolare del Fondo destinato a effettuare investimenti nel settore delle infrastrutture. I fondi posseduti da F2i sono controllati da istituti bancari, casse previdenzali, fondazioni bancarie, assicurazioni, istituzioni finanziarie dello Stato (-8.10%), sponsor e management. Per un gruzzoletto pari a 1,8 miliardi di euro. 

Il presidente della Spa si chiama Ettore Gotti Tedeschi, vecchio banchiere, uomo d'oro della Chiesa nonché attuale presidente dello Ior, la Banca Vaticana, che, dopo esser stato scritto insieme a 71 altri colleghi nel registro degli indagati del processo Parmalat del 2005, è stato prosciolto nel 2007. Amministratore delegato di F2i è invece Vito Gamberale, una carriera tra Autostrade Italia, Eni, Banca Italia e Benetton per la quale curava l'amministrazione di Atlantia. Arrestato durante Mani Pulite, venne poi assolto, anch'egli, dall'accusa di abuso d'ufficio e concussione. Gamberale è l'uomo che ha guidato l'accordo tra Iride e F2i. Il piano per la privatizzazione ruota infatti tutt'intorno alla spa di Tedeschi e al sostegno che questa riceve da un'altra azienda: la San Giacomo srl, una società dal nome promettente che trasforma le acque in buone azioni.

Lo scopo di Iride è raggiungere il delisting, ovvero l'uscita e l'accorpamento al colosso idrico Iride della Borsa di Mediterranea delle acque, socio di Acque Potabili, a sua volta detenuta da Acque Potabili S.p.A. con sede in Torino, Acquedotto di Savona S.p.A. con sede in Savona, Acquedotto Monferrato S.p.A. ancora a Torino e da Acque Potabili Siciliane S.p.A, a Palermo. E infatti, è solo grazie all'accorpamento delle gestioni idriche di Piemonte, Liguria, Emilia e Sicilia, che F2i potrà lancere, come annunciato, un'offerta pubblica di acquisto totalitaria su Mediterranea al prezzo di 3 euro per azione.

Il primo passo sarà quello di escludere i soci forti di Veolia, la multinazionale dell'acqua francese che detiene il 17% delle azioni. Poi le quote verranno ritirate dalla borsa e inizierà il percorso ad ostacoli. Il Fondo crescerà in San Giacomo e con i 237 milioni che sono già in cassaforte comincerà l'assalto alle acque del Sud, soprattutto siciliane. A quel punto, Iride e F2i potrebbero creare un polo industriale dell'acqua rafforzato grazie all'acquisizione di Mediterranea e divenire un "campione nazionale" del servizio idrico integrato, così come richiesto nel decreto Ronchi. Ma non è finita. Iride potrebbe anche compiere un altro passo in avanti e accorpare Enìa, la multiservizi emiliana quotata a Piazza Affari e nata dalla fusione delle spa delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Insieme, i due colossi definirebbero un asse "padano occidentale" con 4 miliardi di capitalizzazione e 2,5 milioni di "clienti" che al Sud, tra Palermo e Enna, si comprano come caramelle.

L'acqua vola in borsa e il controllo del servizio idrico si concentra nella mani dei soliti noti che forse non baderanno alla qualità della gestione ma solo ai profitti e agli investimenti. Un rischio, questo, per il Sud d'Italia dove il controllo sull'acqua ha causato contrasti che sono all'origine di molti scontri tra clan. Ma non solo. Tutti i Comuni d'Italia pagheranno il loro prezzo: dovranno rinunciare pubblicamente al loro ruolo di "imprenditori-gestori" dei beni comuni divenendo meri "azionisti". Come ha notato Massimo Mucchetti del Corriere «il Comune non sarà più responsabile e garante di un servizio e di un diritto per tutti i cittadini ma sarà solo uno dei tanti soci che attende l'assemblea di aprile per sapere quanto incasserà sotto forma di dividendo». Se mai riuscirà ad incassare qualcosa.

http://espresso.repubblica.it/argomenti/acqua

claudiomeloni; ; commenti ?


giovedì, 17 giugno 2010; 18:43

Aprilia/Il Comune debitore Acqua, bollette da record e spuntano contatori fantasma.

Acqualatina ha fatturato al Comune di Aprilia 800 mila euro per il consumo di acqua di tutte le sue utenze. Ma l’assessorato alle finanze prima di pagare il debito ha fatto controllare tutti i contatori. L’iniziativa dell’assessore Antonio Chiusolo è scattata nel momento in cui ha visto una bolletta pazza sul suo tavolo. Ammontava a 330.000 euro ed era riferita all’utenza del centro disabili. «Decisamente troppo per quel tipo di attività che potrebbe equivalere al consumo di due o tre famiglie: indubbiamente c’era qualcosa che non andava. Gli stessi tecnici di Acqualatina hanno subito convenuto e hanno bloccato la fattura». In pratica è risultato che il contatore era “impazzito”: la rotellina girava anche senza consumo di acqua. Il caso è stato risolto, ma ha messo la pulce nell’orecchio dell’assessore e così è stato chiesto il controllo di tutti i contatori. Il Comune ha 78 utenze sparse in giro tra gli edifici comunali e scolastici. Fino a ieri ne sono state controllate una cinquantina. Alcune utenze addirittura erano in edifici non più di proprietà comunale. Come il palazzo di via Andreoni che un tempo era stato affittato per dare l’alloggio a famiglie senza casa. Da anni quegli appartamenti non sono più di pertinenza comunale, ma l’allaccio dell’acqua era rimasto a carico del Comune. Quindi sono stati dismessi. Ora chi ci abita deve fare un contratto a suo nome. Entro giovedì prossimo dovrebbero terminare i controlli. «Ma dalle verifiche effettuate fin qui – dice Chiusolo– possiamo dire che le bollette sono state alquanto sovrastimate. Rispetto alla cifra fatturata sulla base di letture presuntive e non su consumi realmente effettuati, prevediamo di spendere quasi la metà. Mi domando perché dal 2005 solo ora sono state controllate queste utenze».
DI GIORGIO NARDINOCCHI
FONTE: IL MESSAGGERO

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