lunedì 23 gennaio 2012


 Acqua, guerra ai morosi
DI T. O.

I primi cittadini di Aprilia e Priverno si oppongono: illegittima modifica della convenzione
Acqua, guerra ai morosi
I sindaci del Pdl autorizzano la spa a ridurre il flusso idrico a chi non paga
TUTTO approvato. I sindaci di Pdl e Udc presenti alla conferenza dell’Ato 4 hanno dato via libera alle richieste del gestore del servizio idrico su piano industriale, azioni legali e lotta alla morosità. I punti sono stati votati a maggioranza da 19 comuni compresi Latina e Terracina. 3 astenuti (Priverno, Gaeta, Spigno Saturnia) e quattro contrari (Bassiano, Aprilia, Cori, Roccagorga).
I sindaci «ribelli» hanno accusato la conferenza di aver «apportato delle modifiche alla convenzione di gestione e cooperazione, senza passare per il voto dei Consigli comunali». Determinante per raggiungere il numero legale, la presenza del Comune di Latina che, anche questa volta manda alla conferenza dei sindaci un non eletto, ossia il segretario comunale Mario Taglialatela. Combattivi, ancora una volta, i comuni «ribelli», guidati dal sindaco di Aprilia Domenico D’Alessio. Questi sindaci hanno presentato un documento, messo agli atti, con il quale hanno contestato molti degli argomenti proposti dalla conferenza, motivando così il voto contrario o l’astensione. In merito al piano industriale, è stato fatto notare come «potrebbe rivelarsi vessatoria la richiesta della spa di ridurre il flusso nel caso non si possa effettuare una lettura annuale senza il ricorso all’autorità giudiziaria». Inoltre i sindaci «ribelli » hanno contestato la pretesa di Acqualatina di «attuare la riduzione del flusso idrico con l’autorizzazione della conferenza dell’Ato 4, senza passare per i giudici ordinari».
Proteste anche in merito alla previsione dei «punti acqua». I sindaci di Aprilia e Bassiano, in particolare, hanno contestato la richiesta del gestore in quanto «la spa non avrebbe più alcuna struttura, dal momento che anche l’assistenza clienti sarebbe a carico del pubblico, ovvero dei singoli comuni, che avranno il compito di gestire i punti acqua con proprio personale ed a proprie spese. Ma perché allora non si ritorna alla gestione totalmente pubblica del servizio considerato che il gestore non ha nessuna sua struttura operativa. Infatti il servizio di call Center è esternalizzato; le manutenzioni sono affidate in appalto esterno, i soli mezzi tecnici che il gestore ha sono le autovetture prese però in leasing; la lettura dei contatori è esterna come esterna sarà la avveniristica pratica della fotolettura».
Contestazioni pesanti sono state avanzate, infine, sul tema della morosità dell’utenza. I sindaci dell’opposizione hanno in primo luogo contestato la segreteria tecnica dell’Ato 4. «Voi- ha detto il vicesindaco di Bassiano Bruno Palombo riferendosi all’ingegner Giovannetti ma anche al presidente Cusani - nel predisporre le delibere per la conferenza dei sindaci, nemmeno avete l’accortezza di leggervele, ma le prendete per buone così come vi arrivano da Acqualatina. Col risultato che in esse sono contenuti errori grossolani, come quello di indicare la percentuale di utenti con bollette in scadenza, e quindi morosi, quando invece nella tabella riportata si indicano gli utenti che pagano nei tempi stabiliti le bollette. Avremmo gradito una relazione sul controllo effettuato dalla Sto, cosa che non è stata fatta. Siamo davvero certi che i dati forniti dalla spa siano quelli degli utenti morosi o forse in essi ci sono anche gli utenti che hanno contestato le fatture per via di errori o di letture presunte?».
Domande che, ai sindaci del Pdl, non interessano, dal momento che hanno votato senza batter ciglio. E sulla richiesta di rinvio avanzata dai sindaci di Aprilia e Gaeta per permettere un maggior approfondimento delle carte, la risposta migliore l’ha data un primo cittadino del sud pontino: «Ma quale rinvio, tanto se rinviamo è tutto tempo perso, perché nessuno si legge nulla». Appunto.
L’INTERVENTO Macci: ci spieghino la situazione della spa
«I VERTICI della società Acqualatina devono venire in conferenza dei sindaci a spiegarci qual è il reale stato dei conti della spa». Il sindaco di Priverno Umberto Macci è tornato ieri a chiedere l’audizione in conferenza dei sindaci dell’amministratore delegato Jean-Michel Romano e del presidente Claudio Fazzone.
Cusani s’è impegnato affinché nella prossima seduta ciò avvenga.
«Ancora una volta - ha detto ieri al termine della seduta il sindaco di Priverno - ci sono state presentate delle delibere a dir poco incomprensibili, senza atti aggiunti per capire i contenuti di quanto stavamo discutendo. Il piano industriale, poi, di industriale aveva davvero poco o nulla. Mi aspettavo che il nuovo management desse una inversione di tendenza e invece niente, tutto come prima». 

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venerdì, 13 novembre 2009; 09:22

"L'acqua del sindaco" e "l'acqua del padrone"
di Duccio Valori.

Le privatizzazioni delle grandi imprese a partecipazione statale non hanno dato grandi risultati: né l’attesa riduzione del debito pubblico, né il rilancio dell’economia italiana, liberata dalle pastoie e dai “lacci e lacciuoli” di un’ingombrante presenza pubblica. Ne sono derivati invece clamorosi fallimenti e crisi finanziarie, oltre a concentrazioni e cartellizzazioni -nel caso del settore bancario- che certamente non hanno giovato né ai risparmiatori né alle imprese.
È su questi presupposti che si può valutare il disegno di legge recentemente approvato dal Senato per la privatizzazione dei servizi comunali, e in particolare degli acquedotti.
L’acqua è un monopolio naturale: ogni bacino idrico fa storia a sé, e trasportare acqua da un bacino all’altro richiederebbe impianti di pompaggio e costi tali da rendere l’operazione -salvo casi di emergenza- assolutamente improponibile.
È evidente quindi che la privatizzazione non implicherebbe un miglioramento dei servizi dovuto alla reale o potenziale concorrenza.
La regolamentazione del monopolio, finalizzata ad evitare un indebito vantaggio del produttore monopolista nei confronti del consumatore, richiede una disciplina di concessione di pubblico servizio, nella quale i rapporti tra concedente e concessionario dovrebbero essere regolati o da specifiche convenzioni o sottoposti 
-quanto meno per quel che riguarda le tariffe- a un’autorità pubblica. Appare abbastanza evidente che, anche nel caso, previsto dalla legge in esame, che le concessioni venissero assegnate in gara, sarebbe quasi impossibile prevedere nelle convenzioni stesse tutte le potenziali varianti nel rapporto di fornitura del servizio; mentre è molto facile capire che, qualora le tariffe venissero sottoposte ad una specifica autorità pubblica, la forza contrattuale dei monopolisti privati sarebbe tale da condizionare pesantemente le decisioni dei pubblici funzionari preposti. Non è affatto chiaro, sotto questo aspetto, quali sarebbero i vantaggi di un passaggio dall’acqua “del sindaco” a quella “del padrone”.
Infine, a parte considerazioni morali o ideologiche (“L’acqua è di tutti”, o simili), bisogna ricordare che la sostanziale discriminante tra proprietà pubblica e proprietà privata consiste nella differenza tra obiettivi e vincoli: l’obiettivo del privato essendo il profitto, ed il vincolo la qualità e sicurezza dei servizi offerti, ed al contrario l’obiettivo del pubblico essendo  la qualità e la sicurezza del servizio, ed il vincolo l’economicità di gestione. Ora, è evidente come, nel perseguire i propri obiettivi, il privato possa trascurare  la sicurezza e la qualità del servizio, ed il pubblico l’economicità di gestione.
Resta però il punto fondamentale rappresentato dalla necessità di ingentissimi investimenti destinati a porre rimedio alle carenze delle reti idriche locali, a causa di anni di mancate manutenzioni, di investimenti ritardati.
Se questi investimenti possono essere approssimativamente stimati in circa 60 miliardi di euro, è abbastanza evidente che una cifra del genere risulta assolutamente  incompatibile con le capacità di finanziamento dei Comuni italiani.
Anche in questo caso, occorre proporre delle soluzioni, e non arroccarsi in un’opposizione sterile che lascerebbe la situazione nelle attuali, inaccettabili condizioni.
Se  il sistema venisse privatizzato, i nuovi proprietari -imprese nazionali o multinazionali che fossero- avrebbero di fronte a sé due possibilità: non effettuare alcun investimento, lasciando tutto com’è (e allora la privatizzazione non servirebbe certo a migliorare il servizio, ma solo a dare un po’ di respiro finanziario ai Comuni), o effettuare in tutto o in gran parte gli investimenti necessari, ricorrendo al credito, e quindi ponendo interamente a carico degli utenti gli oneri dell’ammortamento e degli interessi sui capitali ottenuti, con un pesantissimo aumento delle tariffe.
Il sistema attuale, pressoché totalmente pubblico, ammette invece una soluzione diversa e molto meno onerosa, applicabile a tutte le realtà pubbliche capaci di dare un gettito tariffario sufficiente a coprire i costi di gestione e gli oneri finanziari, ma non ad ammortizzare il capitale (ad esempio, nuove reti metropolitane).
Questa soluzione consiste nell’emissione di un prestito irredimibile interamente garantito dallo Stato, finalizzato all’ammodernamento del sistema idrico, per il totale delle somme richieste, da ripartire successivamente tra i Comuni in funzione delle effettive necessità, a fronte delle quali erogazioni a fondo perduto i Comuni stessi dovrebbero impegnarsi a corrispondere l’interesse sul prestito più un piccolo sovrapprezzo per le spese di emissione  e collocamento. Nelle attuali condizioni del mercato, si può ritenere che l’irredimibile potrebbe essere collocato a tassi attorno al 5-6% netto. Ci si può chiedere chi avrebbe interesse a sottoscrivere un prestito destinato a non essere rimborsato, ma si tratterebbe di una rendita perpetua certa e  negoziabile, che dunque ogni risparmiatore potrebbe cedere a un altro, con un premio qualora i tassi di mercato scendessero, o una perdita in caso contrario.
L’onere che i Comuni dovrebbero trasferire sui consumatori sarebbe piuttosto modesto -non essendo necessario mettere in conto l’ammortamento del capitale- e certamente sostenibile, a fronte del miglioramento del servizio e delle minori perdite che deriverebbero dagli investimenti effettuati. D’altra parte, il prestito emesso dallo Stato non andrebbe ad influire sul rapporto debito/Pil, non dovendo il prestito stesso essere restituito ai sottoscrittori; l’unico effetto negativo sarebbe dunque il peso degli interessi sul disavanzo di bilancio.
Se dunque appare possibile evitare che l’“acqua del sindaco” diventi “l’acqua del padrone”, è anche realistico ipotizzare la messa in opera di una consistente massa di investimenti che avrebbe certamente effetti positivi sul rilancio dell’intera economia italiana, mobilitando parte di quell’ingente risparmio privato che è alla costante ricerca di impieghi a basso rischio e ragionevolmente remunerativi.

www.altraeconomia.it 

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venerdì, 13 novembre 2009; 09:19

ACQUA, TRA PRIVATIZZAZIONE E CATTIVA INFORMAZIONE.
di Luca Martinelli 

Il Senato ha dato una spallata all'acqua pubblica. Con l'approvazione dell'articolo 15 del decreto legge numero 135 la via della privatizzazione è spianata. Nelle prossime settimane il testo passerà alla Camera, poi arrivaranno i decreti attuativi, promessi dal governo entro il 31 dicembre 2009: allora l'acqua sarà davvero una merce.  
Il voto di Palazzo Madama, nel pomeriggio di mercoledì 4 novembre, ha portato a un'inedita attenzione dei grandi media al tema delle mercificazione delle risorse idriche. Tra i commi dell'articolo 15, che inserisce lprivatizzazione dei servizi pubblici locali nell'ambito di un provvedimento “recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, è facile perdersi.
Proviamo, perciò, a ricostruire i principali cambiamenti rispetto alla legislazione attuale. 
L'articolo 15, intanto, rende obbligatorio il ricorso alla gare per la concessione della gestione dei servizi pubblici locali (oltre all'acqua, ci sono anche gas, energia, rifiuti e trasporti). L’unica alternativa possibile è l’affidamento a società per azioni “miste” tra pubblico e privato, ma la legge impone un tetto massimo del 30% alla partecipazione degli enti locali al capitale societario.
Un altro comma dell'articolo 15, spezza le gambe a tutte le gestioni in house (ovvero gli affidamenti diretti a società per azioni a totale controllo pubblico), 58 ad oggi in Italia. Dovranno cessare per decreto alla data del 31 dicembre 2011.
Fin qui il testo di legge, che incontra il sostegno di maggioranza e opposizione. Poche le voci fuori dal coro, come quella del senatore del Pd Luigi Zanda, che nel suo intervento in aula ha motivato così la sua contrarietà al provvedimento: “Ritengo grave un principio generale come quello che questa disposizione introduce nel nostro ordinamento, ossia la liberalizzazione e sostanziale privatizzazione della gestione dell'acqua in assenza di un sistema di garanzia indipendente e adeguato. Presidente, il nostro Paese ha subito gravi conseguenze per privatizzazioni e liberalizzazioni fatte in modo affrettato e gestite in modo quanto meno discutibile. Paghiamo ancora la privatizzazione delle autostrade con aumenti di tariffe assolutamente sproporzionati e assenza totale di investimenti”.
Parole e tesi espresse in modo molto chiaro, come chiari sono quelli del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, convinti che la gestione del servizio idrico integrato non possa essere privatizzata sono anche. “Contro l'articolo 15”, il Forum ha promosso una mobilitazione nazionale e territoriale, il cui slogan è “Salviamo l’acqua dal mercato”: “Consideriamo questa approvazione illegittima ed incostituzionale -hanno spiegato in un comunicato stampa-, in quanto si espropriano i cittadini di un bene comune e 'diritto umano universale'”. E per questo hanno rilanciato una settimana di iniziative (dal 16 al 21, l’elenco è sul sito www.acquabenecomune.org) che coinvolgerà oltre mille comitati locali e culminerà in un presidio davanti al Parlamento, previsto per il 18 novembre. 
L'analisi dell'articolo 15 e delle sue possibili conseguenze è, abbiamo visto, assai complesso. Chi sentisse il bisogno di orientarsi non può farlo di certo leggendo i giornali. Quelli mainstream fanno a gara per “mistificare” l'approvata mercificazione dell'acqua. Così, la Repubblica del 5 novembre dedica una pagina intera alla “Guerra dell'acqua in Parlamento”, arrivando a parlare di “compromesso al Senato: gestione privata, proprietà pubblica”. Paolo Rumiz sfida l'intelligenza media del cittadino italiano, che sa -o dovrebbe sapere- che l'acqua delle falde, delle sorgenti, dei fiumi e dei pozzi (quella che poi beviamo) è un bene demaniale, e perciò inalienabile. Il “sofferto” emendamento del senatore Filippo Bubbico (Pd), che secondo il giornalista de la Repubblica dovrebbe difendere l'acqua pubblica, è stato votato da maggioranza e opposizione perché è una bufala, che non dice nulle di nuovo né frena in alcun modo il processo di privatizzazione. La disinformazione la fa da padrone anche sulle colonne de Il Sole-24 Ore:  “Un attuale monopolista pubblico -scrive Giorgio Santilli-, che ha avuto l'affidamento senza gara e senza nessun confronto su costi e qualità dei servizi, potrà partecipare alla gara per il servizio futuro”. Quella descritta da Santilli è l'unica “concessione” fatta dal legislatore alle spa in house: i soggetti attualmente affidatari possono tuttavia partecipare alla prima gara di affidamento del servizio sul territorio in cui attualmente operano. Quando parla di gestori che hanno ricevuto l'affidamento senza gara, il giornalista de Il Sole dovrebbe però ricordarsi (e ricordare ai lettori) che il riferimento ai soggetti che hanno avuto l'affidamento del servizio senza gara è valido, in larga parte, per le ex municipalizzate oggi spa quotate in Borsa. Tanto che la legge dispone, nello specifico, la salvaguardia degli affidamenti diretti per le società quotate in Borsa al 1° ottobre 2003. Si chiamino Acea, o Hera, sono i soggetti industriali che (insieme ad altri come Iride, A2a, Enia, Acegas, etc.) nei prossimi anni saranno protagonisti dello shopping degli acquedotti italiani. E gestiranno gli acquedotti meglio del pubblico? Se un criterio fondamentale è quello delle perdite di rete, l'acqua immessa nell'acquedotto e non fatturata, come sembra indicare Franco Debenedetti in un articolo del 5 novembre sul Corriere della Sera -“Acqua, bene pubblico ma servizio (se possibile) privato”-, la risposta è no. Debenedetti cita l'Acquedotto pugliese, “il più grande d'Europa, una spa di proprietà pubblica, [che] perderebbe il 30% dell'acqua”, ma non deve aver sfogliato l'ultimo rapporto Civicum Mediobanca sulle società controllate dai maggiori Comuni italiani. Se è vero che l'Acquedotto pugliese guida la classifica delle perdite, in classifica è seguita da Acea (con il 35,4% delle perdite): l'ex municipalizza romana oggi gestisce il servizio idrico in diverse città toscane, ma non si preoccupa di ridurre le perdite della rete idrica nella capitale (anzi, se si misura la dispersione media per chilometro di rete gestita, il dato è superiore a quello del lunghissimo Acquedotto pugliese)”. E il valore più basso? È quello di Mm: le perdite di rete per la spa pubblica del Comune di Milano sono ferme al 10,3%, livelli eccellenti su scala europea. 

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martedì, 10 novembre 2009; 08:11

Vendola: «Sarà guerra contro i pescecani del mercato E alla fine risparmierò»

Un «quadro di verità» sul servizio idrico, con dati e numeri precisi, e una linea politica cristallina: avanti tutta sulla gestione pubblica. Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, parte da questi due pilastri per dichiarare una guerra senza quartiere all’ultimo decreto del governo, che di fatto privatizza l’acqua. La giunta di Bari ha già votato una delibera che sancisce l’avvio della ripubblicizzazione dell’Acquedotto pugliese, definendo l’acqua «bene comune e un diritto umano universale». Seguirà a ruota una legge regionale che sancisca la trasformazione dell’Acquedotto da Spa ad ente di diritto pubblico. Scelta radicale. Con internalizzazioni (non esternalizzazioni) di personale e in prospettiva anche la gestione dell’acqua minerale. Ciliegina finale: il piano prevede che alla fine la Regione dovrà spendere meno.

Come azionista unico dell’Acquedotto, lei sarebbe fortemente indiziato di voler ricostituire un carrozzone.
«In Italia si parla di queste cose senza mai entrare nel merito. Vogliamodire chiaramente cos’è l’Acquedotto pugliese? È il più grande acquedotto d’Europa e forse del mondo, con 20mila chilometri di rete contro le 8mila degli acquedotti lombardi. Ha già cantierizzato lavori per mezzo miliardo e ha in vista investimenti per un miliardo. Stiamo parlando di una struttura complessa. La nostra gestione ha già raggiunto obiettivi invidiabili. Chiedo. perché il privato dovrebbe garantirmi quello che mi garantisce oggi l’Acquedotto, con i suoi laboratori d’analisi o con la gestione della rete fognaria?»

Gli amatori del mercato potrebbero rispondereche il mondo va in quella direzione.
«Falso: nessuno va in quella direzione. Il vero problema è che in Italia nessuno lo dice. A Parigi si sta ristatalizzando, in America nessuna gestione dell’acqua è privata. Avevano provato ad Atlanta, sono tornati indietro. Vogliamo anche dire che l’esperienza di Arezzo, dove sono arrivati i francesi, è stata fallimentare? Vogliamo davvero fareunbilancio serio, aprire undibattito, fare un’informazione non ideologica e basata su elementi certi? ».

C’è chi dice che l’acqua pugliese è troppo cara.
«Cara? Per una regione che non ha la materia prima, non mi pare proprio. Si vuole fare il paragone con la Lombardia, la Regione più ricca di acque del Paese? La Puglia è definita «terra sitibonda», assetata: non mi sembra che siano realtà comparabili. Quanto alla tariffa, se si consideranoi singoli Ato (ambiti territoriali ottimali), la nostra tariffa non è affatto alta».

E le famigerate perdite? Si dice che vada persa la metà dell’acqua trasportata.
«Anche questo, più che un dato, è unametafora. In realtà in quelnumero si sommano due tipi di perdite: quelle fisiche e quelle amministrative. L’Acquedotto perde il 20-25% di entrate per via dei contatori antidiluviani. Stiamo già cambiando 250mila contatori. L’altra ragione sono i morosi:mala loro stagione sta finendo. Quanto alle perdite fisiche, dopo 20anni di dibattito con il telecontrollo siamo riusciti a recuperare il 7% delle perdite su seimila chilometri di reti. Si è passati dal 35% di due anni fa al 28%, migliorando del 20% la quota di acqua persa».

Ma i cittadini si accorgono del miglioramento?
«Eccome. Negli ultimi due anni non è né piovuto abbastanza, né nevicato: gli invasi erano vuoti. Eppure non ci sono stati più fenomeni di siccità del passato. Non ci sono più state le emergenze.Ma i miglioramenti sono a tutto campo: abbiamo ammodernato la depurazione, internalizzando il servizio e per di più risparmiando 5 milioni di euro l’anno».

Cosa teme davvero dopo il provvedimento del governo?
«Due cose: gli apologeti del mercato e i pescecani. I primi non sanno di cosa parliamo: chi comprasse l’acquedotto pugliese non avrebbe concorrenti sul territorio. Di che mercato stiamo parlando?»

E i pescecani?
«In questo Paese dove tutti dimenticano i fatti, capita che un bel giorno un giovane analista di un’agenzia di rating cominci a declassare una società. Così magari le banche cominciano a tirare la corda. Ma la storia è andata diversamente: sono le agenzie di rating ad essere uscite malconce dalla crisi globale».

Avete creato un comitato per la difesa dell’acqua pubblica
«È un fatto di democrazia. Invece il governo procede senza nessuna discussione ».
06 novembre 2009
www.unità.it 

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domenica, 08 novembre 2009; 16:22

 FONTE: IL PONTINO
Aprilia non darà in pegno le azioni societarie
DI ANDREA MARGHERITONI

Il sindaco di Aprilia Domenico D’Alessio ha deciso di revocare la delibera con la quale la precedente giunta Santangelo si impegnava a cedere in pegno le azioni di Acqualatina a garanzia del prestito con Depfa Bank. Una mossa, quella dell’amministrazione comunale di Aprilia, che potrebbe essere da esempio per altri comuni, spaventati dai possibili danni alle casse pubbliche che il mega prestito da 114,5 milioni di euro può provocare. D’Alessio ha motivato la propria decisione sostenendo che “il pegno espone troppo le finanze del nostro Comune in caso di insolvenza finanziaria”. E proprio questo aspetto potrebbe produrre conseguenze anche nelle scelte degli altri amministratori pubblici della provincia pontina. Aprilia, infatti, con la precedente giunta Santangelo, aveva approvato in sede di giunta comunale il pegno delle azioni come garanzia per il prestito Depfa Bank-Acqualatina. Poi, però, il sindaco Calogero Santangelo non firmò il successivo atto, ovvero il pegno delle azioni davanti al notaio. E’ proprio quello l’atto decisivo. Annullando la delibera di giunta, quindi, il Comune toglie la propria disponibilità a dare in pegno le azioni di Acqualatina alla banca. E considerando che Aprilia è la seconda città della provincia, il fatto non è di poco conto. Insomma, il Comune di Aprilia va alla guerra e potrebbe non essere solo. D’Alessio, con la sua mossa, potrebbe ottenere presto l’appoggio di altre amministrazioni comunali che su questo prestito in project financing hanno sempre storto il naso. Fino ad oggi le battaglie contro la gestione del servizio idrico da parte della spa italo-francese sono state sempre combattute da piccole amministrazioni, depositarie di poche percentuali di azioni. Aprilia, invece, è la seconda città della provincia pontina e, al momento di prendere le decisioni nelle conferenze dei sindaci dell’Ato 4 e nell’assemblea dei soci, le sue quote sono spesso determinanti. Basti pensare che, nella passata amministrazione targata Santangelo, il presidente della Provincia Armando Cusani, s’è degnato di salire fino ad Aprilia solo quando era necessario il voto dell’allora sindaco dell’Udc, proprio per avallare le scelte legate al prestito di Acqualatina con Depfa Bank. Del resto le perplessità dell’attuale sindaco apriliano sono comuni a molti altri primi cittadini della provincia pontina, che a poco a poco si stanno rendendo conto dei possibili rischi nascosti dietro questo prestito da 114,5 milioni di euro. Rischi soprattutto per i bilanci degli enti comunali, che già non navigano in acque tranquille. La scelta di D’Alessio potrebbe svegliare la coscienza a qualcuno. Se il sindaco di Aprilia si mettesse alla guida di un gruppo di comuni ribelli rispetto alla linea tracciata dal Pdl di Claudio Fazzone (presidente di Acqualatina e leader provinciale del Pdl, binomio quantomai importante), per chi fino ad oggi ha gestito la politica della spa del servizio idrico, potrebbero esserci problemi non indifferenti. 

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sabato, 07 novembre 2009; 19:32

LA LOTTA DEI SINDACI RIBELLI 
di Roberto Rossi 

Domenico Giannopolo è uno dei ribelli. Anzi degli «irriducibili», come li hanno definiti, tra il dispregiativo e il rassegnato. Uno di quei 100 sindaci, ma il dato è in divenire, che in Sicilia si stanno opponendo al processo di privatizzazione delle acque. In un modo semplice: non consegnando le chiavi degli acquedotti ai gestori privati. L'ultimo atto di ribellione lo scorso 23 ottobre. A Sant’Angelo Muxaro, in provincia di Agrigento. Il messo regionale ha trovato la porta del comune sbarrata da una decina di «irriducibili». Ed è tornato indietro. «Non so quanto potremo durare» spiega Giannopolo che amministra il comune palermitano di Caltavuturo. Perché l’acqua privata in Sicilia è un affare troppo grande perché qualcuno si metta di traverso. Un affare, che nei prossimi trenta anni, smuoverà circa sette miliardi di euro. Dei quali 5 da spartire attraverso appalti e due da realizzare attraverso la semplice gestione. Soldi che stuzzicano l'appetito di Cosa Nostra. Nella Regione il processo di privatizzazione è iniziato nel 2005. Il primo Ato (che coincide con i confini di ogni provincia) a finire tra le mani dei privati è stato quello di Enna. Poi a seguire tutti gli altri con la sola eccezione di Ragusa dove il processo di privatizzazione stagna. «L'assegnazione – spiega Giannopolo - è avvenuta con una logica spartitoria. Ad ogni gara si è presentato un unico raggruppamento di imprese”. Un concorrente, un vincitore, un pezzo di torta. Nel 2007 a Palermo vinse Acque Potabili Siciliane. Una gara fasulla, censurata anche l’Antitrust nazionale chiedendo la revoca dell'appalto. Ad Agrigento invece a vincere fu la Girgenti Spa. Un consorzio di imprese capeggiate dalla discussa società Acoset (gruppo Pisante). In due anni di acqua privata la città ha visto lievitare il costo della bolletta. Ogni famiglia spende all’anno 445 euro. In Italia è un record (ad Arezzo, seconda in classifica, se ne spendono 386). Per che cosa poi? Per un servizio inesistente, molte zone della città durante la settimana rimangono a secco, la rete è un colabrodo. In metà della Sicilia, poi, quasi il 40% dell’acqua captata da Sicilacque – l’ex Ente Acquedotti Siciliani controllato dalla francese Vivendi - non arriva nei rubinetti di casa. In compenso le tariffe si sono impennate. Da qui la ribellione e il braccio di ferro con la Regione. Che contro i comuni dissidenti ha mandato il commissario. Spesso con qualche conflitto di interesse sulle spalle. Come l’ingegnere Rosario Mazzola, al tempo stesso commissario per l'Ato di Palermo e consigliere per alcune delle società che controllano Acque Potabili Siciliane. La mano dura non è servita a niente. I comuni hanno resistito. Per evitare complicazioni la regione ha deciso sospendere il commissariamento fino al 31 dicembre. I sindaci sperano che si ridiscuta la privatizzazione. All’Assemblea regionale siciliana giace da luglio un disegno di legge di ripubblicizzazione. Andrebbe solo calendarizzato. Nel frattempo Caltavuturo, come molte altre città in Italia, ha cambiato lo statuto comunale. Siccome nel nostro Paese non esiste una legge che fissa quali sono i beni a rilevanza economica. Il sindaco ha pensato di inserire la dicitura: «l’acqua non rientra tra i beni di rilevanza economica». Basterà? «Non lo so, ma non voglio essere complice». da www.unita.it 06 novembre 2009

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venerdì, 06 novembre 2009; 18:31

Il grande business dell’acqua privata Una torta da 8 miliardi


Il nodo della questione è tutto lì, nel titolo dell’articolo 15 del decreto legge n.135, o decreto Ronchi, tramutato in legge al Senato appena un giorno fa. È lungo solo una riga ma vale miliardi. Soldi che usciranno dalle tasche dei consumatori e che arriveranno in quelle di pochi grandi gruppi. Il titolo, dunque, recita: «Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica». Che vuol dire?Che l'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali avverrà, in via ordinaria, attraverso gare ad evidenza pubblica. Quali sono i servizi indicati? Diversi (gas o trasporto, ad esempio). Ma tra questi uno in particolare: l’acqua. Che con il decreto ha cambiato status. Non più bene pubblico, ma merce. Di «proprietà» dello Stato, dopo una emendamento inserito all’ultimo minuto dal Pd, ma gestita da privati. Un business colossale. Quanto grande? Forse otto miliardi nei prossimi dieci anni. Ma è un calcolo in difetto. E solo parametrato sulla semplice gestione. Senza contare gli investimenti pubblici ed europei. Attualmente in Italia la rete idrica è coperta da circa 110 gestori. Divisi tra i 91 Ato (ambito territoriale ottimale) esistenti. Grosso modo ad ogni Ato corrisponde una provincia. A crearli fu la Legge Galli del 1994. Che per la prima volta aprì anche ai privati. Oggi 64 gestori sono a totale capitale pubblico e servono oltre la metà della popolazione. Il resto è a capitale misto o privato.

Questo fino a mercoledì. Perché nel giro di un anno o al massimo entro il 2012 l'affidamento dei servizi pubblici locali passerà in mano a «imprenditori o società in qualunque forma costituite». Anche con capitale misto dunque, purché «l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio» sia nelle mani del privato che non può «avere una quota inferiore al 40%» della società. Il pubblico può rimanere ma è il privato che decide quanto o come investire. E il privato deve fare profitti. E i profitti si fanno abbassando gli investimenti e alzando le tariffe. In Italia dal 1994 (anno della Galli) al 2005 sono stati investiti 700 milioni di euro l'anno nella rete. Nei dieci anni precedenti oltre 2 miliardi di euro. Nel 2008, secondo l’ultimo rapporto del Co.Vi.RI. relativo a 54 Ato, risultavano realizzati solo il 56% degli investimenti previsti (sei miliardi). Questo, scrive Cittadinanzattiva, a fronte di un’impennata delle tariffe di oltre il 47% negli ultimi 10 anni. Seconde solo al petrolio. In Toscana, ad esempio, dove è più forte la presenza di privati, ogni famiglia spende in media per l’acqua 330 euro all’anno a fronte di una dispersione del 34%. I privati, se non regolamentati, non portano efficienza. NelnostroPaesele società più importanti, per capacità e fatturato, sono sei: la romana Acea, la bolognese Hera, la ligure-piemontese Irenia, la triestina Acegas-Aps, la lombarda A2A e Acquedotto Pugliese. Le prime cinque sono quotate. Sono multiutility a capitale misto dove però è il privato che detta le regole. Questo perché ha i soldi necessari e spesso anche il know how. E con la nuova norma avranno un peso ancora maggiore visto che gli enti locali non potranno avere oltre il 40% del capitale delle società in questione.

L’Italia diventeràun terreno fertile per le multinazionali estere, come le francesi Veolia e Suez, che tra gestione e incroci azionari, si stanno mangiando fette di territorio. Per l’acqua «si assiste - per usare le parole dell’Antitrust - alla sostituzione di monopoli pubblici conmonopoli privati». Si prenda l’esempio di Acea. La società serve il Lazio, una parte della Campania, l’ Umbria, e 4 Ato su sei della Toscana. È il primo operatore nazionale del circuito idrico (ha il 10% del mercato). È controllata al 51%dalComunedi Roma, al10%circa dalla francese GdF-Suez e al 5% dal costruttore Caltagirone. Ma presto il comune di Roma dovrà cedere a privati l’11% della società per unvalore di circa 200 milioni. Lo stesso dovranno fare i comuni emiliani per Hera o quelli di Genova e Torino per la futura Irenia. In totale sul mercato finiranno oltre un miliardo di euro in azioni. Cha andrà ai privati. I quali investiranno per avere un ritorno. E se i piani industriali di 87 Ato mostrano un incremento medio dei consumi di acqua, da qui al 2023, del 17-20%, vuol dire che la privatizzazione dell' acqua la pagheremo noi.
06 novembre 2009
di Roberto Rossi
www.unita.it 

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venerdì, 06 novembre 2009; 09:20

Comunicato stampa

Il Senato approva la privatizzazione dell'acqua
Cresce l'indignazione nel paese e diviene un'onda inarrestabile!


Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua giudica gravissima la privatizzazione dell’acqua, avvenuta ieri al Senato con l’approvazione dell’Art.15 del DL 135/09.

Mentre continua a giacere nei cassetti istituzionali la legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, che ha raccolto oltre 400.000 firme, i Senatori decidono la rapina dell’acqua, consegnandola ai privati e alla speculazione finanziaria.

Consideriamo questa approvazione illegittima ed incostituzionale, in quanto si espropriano i cittadini di un bene comune e “diritto umano universale”!

Se la Camera dei Deputati non ribalterà il misfatto del Senato, davanti agli occhi attenti del Paese si sarà celebrata la delegittimazione delle Istituzioni.

Alle forze politiche di opposizione diciamo con chiarezza che stante la posta in gioco, consideriamo l’azione parlamentare di contrasto e il voto contrario solo l’avvio di una attività che va sviluppata a tutto campo e in ogni direzione per la ripubblicizzazione dell’acqua.

Ai Sindaci e agli Enti Locali che da tempo sono scesi in campo per l’acqua pubblica chiediamo di far sentire forte la propria voce, dichiarando da subito che non ottempereranno ad una legge che li espropria di una titolarità stabilita dalla Costituzione.
Chiamiamo da subito la cittadinanza, il “popolo dell’acqua”, le realtà sociali e territoriali, le reti ambientaliste e per la tutela dei beni comuni, le organizzazioni sindacali e il movimento degli studenti, ad una mobilitazione straordinaria partecipando alla manifestazione davanti al Parlamento in occasione del dibattito alla Camera.

Il Governo ha scelto la Borsa.
Noi abbiamo scelto la vita, il diritto al futuro!


FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA



claudiomeloni; ; commenti ?


mercoledì, 04 novembre 2009; 22:56

Acqua privatizzata. I rischi di una scelta




di Dacia Maraini - 3 novembre 2009
Ci sono poche notizie sui giornali e nessuna in Tv sulla privatizzazione dell’acqua. Eppure proprio in questi giorni si decide del nostro futuro. Si sta discutendo infatti in Senato la nuova legge che esclude ogni gestione pubblica delle acque. Non si tratta di un dilemma solo nostro.


Tanti Paesi del mondo si stanno chiedendo, su stampa e televisione, fino a che pun to sia lecito privatizzare un bene comune, di cui tutti dovreb bero disporre. Il fatto è che l’acqua è in procinto di diventare l’oro del futuro e c’è chi pensa di guadagnarci sopra. Da qui la fretta di alcune grandi multinazionali per accaparrar si i diritti di erogazione.

Ho già scritto sull’argomento. E c’è chi mi ha risposto sostenendo che le mie preoccupazioni sono esagerate perché la proprietà delle sorgenti e delle reti resterà comunque pubblica nonostante la cessione alle ditte private. Ma il diritto all’acqua si esplica solo se questa sgorga dal rubinetto e se è potabile. Il cittadino non va con il secchio al pozzo o alla sorgente o si mette in fila all’acquedotto. Il diritto all’acqua potabile si esercita solo attraverso la gestione e l’erogazione.

In quasi tutta Europa d’altronde la privatizzazione si è bloccata o addirittura, come succede in Francia, è in atto un processo di ripubblicizzazione. La Svizzera ha dichiarato l’acqua e le reti idriche monopolio di Stato, non suscettibile di privatizzazione. Il Belgio ha fatto una legge per cui tutti i rubinetti vengono gestiti da Spa «in house», ovvero il cui pacchetto azionario è tutto in mano ai Co muni. Gli Stati Uniti rifiutano di privatizzare la gestione delle reti idriche locali che restano salde in mano ai Municipi. In tutta l’America latina poi e in atto un grande laboratorio sui beni comuni. In Uruguay, Bolivia, Ecuador e ora in Cile i parlamenti cambiano addirittura le Costituzioni per affermare tali principi. Da ricordare che in Cile la privatizzazione è avvenuta appena Pinochet è andato al potere. Oggi il governo cileno sta tornando alla proprietà pubblica.

Ma perché preoccupa tanto la gestione privata delle acque? Il fatto è che quando un bene così importante passa nelle mani dei privati, la prima conseguenza è la diminuzio ne dei controlli, la seconda è che aumentano i prezzi (è successo a Latina dove la cessione alla multinazionale Veolia ha portato all’aumento delle tariffe del 300%) e spesso vi si infila pure la mano della criminalità organizzata (cosa accaduta in Sicilia e in Calabria).

La Lega che era contraria alla privatizzazione, da ultimo ha cambiato idea. Perché? Oggi firma una legge Fitto-Calderoli che propone addirittura di fare scendere al 30% la parte cipazione dei Comuni per le società di gestione già quotate in borsa. Ai senatori e al parlamentari chiediamo che riflettano prima di approvare una legge che arricchirà le grandi aziende private (quelle piu favorite oggi sono straniere) e impoverirà le nostre amministrazioni pubbliche.



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da www.lastampa.it
martedì, 03 novembre 2009; 17:22

La privatizzazione dell’acqua non si ferma
Carlo Lavalle
03 Novembre 2009

Governo e maggioranza vanno avanti senza ripensamenti sulla strada della privatizzazione dell’acqua. Sempre più privato e sempre meno pubblico. La filosofia del decreto legge 135/09, che dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri approda dal 3 novembre nell’aula del Senato per la sua conversione, continua ad essere questa. La gestione dei servizi pubblici locali, compreso il servizio idrico, è affare delle società private.
L’art. 15 della nuova normativa, che modifica l’art. 23Bis della legge 133/2008, appare tassativo. Gli affidamenti diretti alle società a totale capitale pubblico (in house) potranno realizzarsi soltanto in via eccezionale e dietro parere preventivo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Di contro, il metodo ordinario di conferimento dei servizi pubblici locali è la gara e la società mista. In quest’ultimo caso, comunque, il partner privato, individuato mediante procedura ad evidenza pubblica, dovrà essere socio operativo con una quota di partecipazione non inferiore al 40%.
Secondo il governo il testo in discussione in parlamento rappresenta un mero adeguamento della legge italiana alla disciplina comunitaria. Ma questa interpretazione è fortemente contestata a livello locale.
Giorni fa la regione Puglia proprio richiamandosi alla legislazione europea ha stabilito con una decisione senza precedenti l’avvio del processo di ripubblicizzazione dell’Acquedotto pugliese. A Bari il Presidente Vendola e la Giunta regionale sono convinti che non sia l’Europa ad imporre all’Italia la privatizzazione del servizio idrico.
Anzi, due diverse risoluzioni del Parlamento europeo affermano a chiare lettere il principio che l’acqua è un “bene comune dell’umanità” mentre gli organismi dell’UE hanno a più riprese evidenziato che “alcune categorie di servizi non sono sottoposte al principio comunitario della concorrenza”.
Pertanto, la gestione delle risorse idriche non deve necessariamente sottostare alle regole del mercato interno e le autorità pubbliche competenti (Stato, Regioni, Comuni) hanno la libertà di scegliere “se fornire in prima persona un servizio di interesse generale o se affidare tale compito a un altro ente (pubblico o privato)”.
Sulla base di queste premesse la Puglia avanza quindi la pretesa di considerare l’acqua dei suoi cittadini non assoggettabile ai meccanismi di mercato assumendo peraltro l’inziativa di impugnare l’art. 15 del decreto governativo presso la Corte costituzionale in quanto lesivo dell’autonomia regionale.
Questa posizione di aperto rifiuto della privatizzazione non è un fatto isolato ma si diffonde e si consolida anche in altre zone del paese.
A Palermo sindaci e amministratori appartenenti al Coordinamento Regionale degli enti locali per l’acqua bene comune e per la ripubblicizzazione del servizio idrico, hanno presentato una proposta di legge regionale analoga a quella pugliese.
A Caserta invece è stato proclamato il diritto all’acqua come diritto umano definendo privo di rilevanza economica il servizio idrico integrato.
Stessa storia in molti altri comuni italiani come Roccapiemonte, Prevalle, Fiorano Modenese, Napoli, Corchiano, Pietra Ligure, Povegliano Veronese, Sommacampagna, Fumane che hanno già inserito nel loro Statuto un articolo a protezione dell’acqua intesa come bene comune pubblico.
Brutte notizie per la coalizione governativa che prevedeva forse di poter archiviare senza troppe difficoltà il dossier privatizzazione. 

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