lunedì 23 gennaio 2012



Gli industriali sognano Pomigliano anche per l'acqua


«Il decreto Ronchi è il primo segnale di una vera apertura al mercato anche per il settore idrico. Si agisce sulla leva degli affidamenti per rimuovere le distorsioni del mercato e aprire ai privati la gestione dei servizi». Il vicepresidente di Confindustria, Cesare Trevisani, chiama le cose con il loro vero nome e plaude all'articolo 15 del Decreto Legge Ronchi n.135/09 (che ricordiamolo sempre è un decreto omnibus con dentro di tutto e solo un articolo dedicato al “Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica”). Ma è tutta l'associazione industriale che ieri è scesa in campo per mettere le mani e la firma sulla cosiddetta “riforma”.

Con in prima fila la presidente Emma Marcegaglia che ha chiarito definitivamente come andremo a finire: «Nel settore idrico c'e bisogno di un radicale cambio di approccio. La gestione del servizio non deve essere mestiere esclusivo degli enti locali, ma delle imprese scelte secondo le regole del mercato e operanti con logiche industriali». La gestione deve passare alle imprese. La logica è industriale. Come se il servizio idrico fosse una fabbrica di automobili: produttività, ricavi e vendite. Alla faccia del bene comune, dei diritti universali e ancora di più del risparmio, della difesa della risorsa. Qui la logica è produrre, aumentare i consumi, far girare i soldi (sempre pubblici) e togliersi dalle scatole Comuni, Province e Regioni.

A costo di dire panzane colossali. E Marcegaglia ne dice una davvero grande per il suo ruolo istituzionale quando definisce così il decreto Ronchi: «Gli obiettivi della riforma sono chiari: migliorare l'efficienza dei servizi idrici, aumentare gli investimenti in tecnologie innovative, ridurre i costi di gestione di un bene che era e resta pubblico». Forse la presidente ha letto solo l'opuscolo del ministro Ronchi (l'operazione “verità” intitolata “L'acqua le ragioni del provvedimento” di cui abbiamo già avuto modo di parlare) perché se avesse letto l'articolo 15 della Legge, l'unico che parla di servizi pubblici locali – e quindi anche di rifiuti e trasporti – saprebbe che non c'è una virgola su investimenti, tecnologie ed efficienza. Perché lo dice allora?

E perché nessun giornalista chiede spiegazioni al ministro, al governo, a Confindustria perché si continua a parlare di riforma, perdite, investimenti riguardo a un provvedimento che non ne fa menzione alcuna. D'altronde se fosse una riforma si sarebbero degnati di firmarla anche i ministeri competenti (Ambiente e Territorio e Infrastrutture ad esempio) e non sarebbe materia del ministero per le Politiche europee. O no?

La Ronchi è, come minimo, l'obbligo di vendita ai privati di parte del capitale delle S.p.A. a maggioranza pubblica dei servizi pubblici locali (quindi una privatizzazione), pena la perdita delle concessioni, e una spinta per la messa sempre e comunque a gara delle concessioni del servizio (nonostante non abbiano mai funzionato dove sono state fatte). Al peggio – e noi purtroppo crediamo, dati alla mano, che questa sia la situazione – è la svendita del bene comune acqua,  con la creazione di monopoli di servizi privati che creano debiti pubblici e lasciano alle aziende la possibilità di mettere le mani nelle tasche dei cittadini via bollette. È quello che è successo già dove questo schema (col 40% di privati o con tutto privato) è stato già sperimentato in Italia. Diciamo sempre Arezzo, Latina, Agrigento, potremmo aggiungerne molte altre di realtà. Basta informarsi. Fatelo per favore.
www.acquabenecomune.org

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giovedì, 17 giugno 2010; 13:03

Sull'acqua ai privati, l'operazione verità
del ministro Andrea Ronchi

di Luca Martinelli

“Le verità sull'acqua”, né più né meno. Andrea Ronchi pubblica sul sito del ministero delle Politiche comunitarie un vademecum di domande e risposte per “spiegare” le ragioni dell'intervento legislativo che obbliga la messa a gara del servizio idrico integrato.
La definisce, il ministro, un'operazione verità, e questo è anche il nome del file che può essere comodamente scaricato: “Operazione_verità.pdf”. Vale la pena passarlo in rassegna, per analizzare alcuni nodi fondamentali del pensiero di Ronchi.


“[È] inaccettabile sostenere che l'acqua debba essere gestita da un monopolio pubblico -spiega il ministro-. Questo perché troppo spesso i monopoli hanno generato diseconomie di scala e si sono tramutati in carrozzoni, diventando fonte inesauribile di sprechi. La stella polare di questa riforma è il servizio fornito al cittadino. Il discrimine, quindi, non è la scelta tra pubblico e privato ma piuttosto la possibilità di un vero confronto competitivo tra più candidati gestori”. Monopolio pubblico, purtroppo, non è una descrizione adeguata del sistema idrico integrato di una città. Perché in casi del genere si parla, come qualsiasi testo di teoria economica avrebbe potuto suggerire allo staff del ministro, di monopolio naturale, ovvero di un servizio che può essere gestito solo il regime di monopolio. Ammettendo questo, però, sarebbe saltato uno dei “miti fondativi” del decreto Ronchi (la l. 166/2009), quello della concorrenza, ovvero di un “vero confronto competitivo tra più” gestori. Ronchi, nel suo testo, fa riferimento a “più candidati gestori”. Non spiega, ma dà per scontato, che tutti conoscano la differenza che passa tra concorrenza per il mercato e concorrenza nel mercato. Nel primo caso, un servizio viene affidato tramite gara, e la forza del libero mercato si esplicita solo in un momento dato, quello della pubblicazione e della risposta al bando. Una volta prescelto, il gestore è “Re”, incontrastato e (poco) controllato per un periodo di 20-30 anni.
Vale la pena sottolinearlo: quello che il decreto Ronchi impone è cioè la privatizzazione di un monopolio naturale, con buona pace dell'idea di liberalizzazione, che non è applicabile ad un servizio basato su una rete continuamente occupata da un bene, l'acqua, che può esservi immessa da un unico soggetto gestore.
Inoltre le gare per il servizio idrico integrato, almeno per come si sono svolte nel nostro Paese, non sono garanzia di concorrenza: varrebbe la pena, per completezza d'informazione, che il ministro citasse la sentenza con cui nel novembre del 2007 l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha multato le due multinazionali Acea (romana) e Suez (francese) per un accordo di “non belligeranza” stretto in merito alle gare per gli acquedotti italiani.


Parlando del nodo “investimenti-tariffe” il ministro Andrea Ronchi scrive: “Anche se oggi la presenza della gestione pubblica è assolutamente preponderante, dal 1998 al 2008 le tariffe sono cresciute del 47%. Aumenti giustificati con promesse di investimenti che si sono realizzati soltanto per il 49% delle cifre stabilite (questo è uno dei motivi per cui le tariffe italiane restano comunque tra le più basse in Europa)”. Ma il nesso tra investimenti e tariffe meriterebbe un approfondimento maggiore. Resta un “non detto”, un “sospeso”. Ronchi dovrebbe ricordare agli italiani, e in particolari ai pubblici amministratori primi destinatari di questa operazione verità, che il legame diretto tra investimenti e tariffe è dato dalla legge Galli, che all'articolo 13 spiega che “la tariffa è determinata […] in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”. Se la bollette crescono anche laddove la gestione è ancora affidata a società per azioni a totale capitale pubblico, ciò è dovuto esclusivamente alla legge. Legge che impone alle società (pubblica o private che siano) di finanziarie gli investimenti tramite la tariffa, escludendo il ricorso alla fiscalità generale. È il principio del full recovery cost, la cui inadeguatezza al contesto italiano e ad una rete che necessita di investimenti per due miliardi di euro all'anno, è provata (anche) da una recente proposta di Federutility, la federazione delle aziende del settore. Nel presentare un “Piano di investimenti per il settore idrico”, le associate a Federutlity chiedono “fondi pubblici di accompagnamento e sostegno per cofinanziare gli interventi previsti”. Aggiungendo però che, dal loro punto di vista, “l’accesso a tali fondi dovrebbe essere regolato secondo criteri premiali. Un indispensabile prerequisito di accesso dovrebbe essere individuato nella coerenza dei percorsi avviati in materia di riforma dei servizi idrici da parte del soggetto gestore...”. Si chiedono, cioè, fondi pubblici per sostenere gli investimenti nel settore di soggetti di diritto privato cui è riconosciuta per legge anche “un'adeguata remunerazione del capitale investito” del 7 per cento. Para più coerente, in questo senso, la proposta contenuta nella proposta di legge d'iniziativa popolare presentata dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua nel 2007, che chiede il ricorso alla fiscalità generale ma nell'ambito di gestione affidata esclusivamente a soggetti pubblici. 

Pescando (quasi) a caso tra le sei domande “più frequenti” cui sceglie di rispondere il ministro, conviene soffermarsi su questa frase: “L’adeguamento delle infrastrutture necessita di ingenti investimenti. Il fabbisogno nazionale di investimenti è pari a 60,52 miliardi di euro (pari a circa 120.000 mld di vecchie lire!) di cui il 49,7% per gli acquedotti e il 48,3% per fognature e depuratori. A fronte di questi dati ne discende che gli investimenti privati sono indispensabili per la ristrutturazione della stessa rete idrica. Ciò renderebbe il servizio più efficiente con un contestuale sgravio degli oneri ora sopportati dagli enti locali e, quindi, dalla collettività generale chiamata in questo modo a risanare con la fiscalità ordinaria i bilanci dei comuni, con la sottrazione di importanti risorse per altri investimenti in settori cruciali come ad esempio la sanità e l’istruzione”. E, dopo averla letto, scomporla per capire se esistono nessi logici tra un passaggio e l'altro. Colpisce, ad esempio, che dato il fabbisogno di investimenti di 60,52 miliardi di euro (ma in trent'anni, ministro, perché non indica anche l'orizzonte temporale?), questo possa essere coperto solo dagli investimenti privati. “Ne discende”, “sono indispensabili”, scrive Ronchi. E perché, poi, ciò implicherebbe uno sgravio dei conti degli enti locali, se è vero che per effetto della legge Galli, dalla metà degli anni Novanta gli “investimenti” stanno in bolletta, cioè non ricadono sulle casse degli enti locali, ma su quelle dei cittadini? La ciliegina su questa torta confezionata dal ministero delle Politiche comunitarie è però l'ultimo passaggio: gli investimenti nel servizio idrico integrato toglierebbero risorse a “settori cruciali”, quali sanità ed istruzione. L'accesso all'acqua potabile non dovrebbe esser considerato, da uno Stato, un servizio d'interesse generale, al pari di scuole e ospedali, un diritto di cittadinanza? Varrebbe forse la pena che il ministro Ronchi concentrasse la sua attenzione, e la ricerca di fondi pubblici da investire nel servizio idrico integrato, in sanità e in istruzione “sforbiciando” il bilancio del ministro della Difesa, guidato dall'ex compagno di partito in Alleanza nazionale Ignazio La Russa.

http://www.altreconomia.it


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giovedì, 17 giugno 2010; 06:58


Sicilia, il PD e la finta ripubblicizzazione dell'acqua

I muri di molte città della Sicilia sono da giorni tappezzate di manifesti del PD i quali, tra l’altro, annunciano con grande enfasi il ritorno ad una gestione pubblica dell’acqua. Se il PD, invece che un partito politico, fosse un’impresa, sarebbe incorso nei fulmini dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato per pubblicità ingannevole. Infatti, l’art.49 della legge finanziaria regionale, recentemente approvata dall’ARS, lungi dall’introdurre una disciplina organica del servizio idrico, ispirata ad una chiara e inequivoca istanza di governo pubblicistico della risorsa acqua, contiene alcune confuse disposizioni in materia, le più significative delle quali, peraltro, sono state impugnate dal Commissario dello Stato.
La norma in esame sembrerebbe proporsi due obiettivi fondamentali. Da un lato, quello di procedere ad una riorganizzazione complessiva della gestione del servizio sulle ceneri delle Autorità d’ambito territoriale di cui all’art.148 del Codice dell’ambiente (solo che la pars costruens di questo disegno è, attualmente, sub iudice perché, come già detto, la correlativa disposizione è stata impugnata dal Commissario dello Stato). Dall’altro lato, quello di intervenire sulle gestioni in essere, così da verificare lo stato di attuazione degli impegni assunti contrattualmente dai gestori del servizio: verifica che, sembra di capire, potrebbe essere propedeutica all’adozione di provvedimenti di revoca ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n.241/1990. Nella medesima logica si iscrive anche la previsione (pure impugnata dal Commissario) secondo cui, qualora la percentuale degli impegni inadempiuti sia superiore al 40%, la (moritura), Autorità d’ Ambito può risolvere il contratto per inadempimento. L’art. 49, poi, prevede pure un comma 4° alla stregua del quale, nelle ipotesi di revoca e risoluzione di cui al precedente comma 3°, il servizio viene retrocesso ai gestori precedenti almeno fino all’espletamento delle procedure di evidenza pubblica di cui all’art.23 bis l. n.133/2008 (anche questa disposizione è stata ovviamente impugnata dal Commissario dello Stato).
Dunque, un’incompiuta, ancora più incompiuta a causa dei pesanti interventi governativi, che, peraltro, al di là delle apparenze, non tocca in alcun modo, e, anzi, ribadisce il disegno implacabilmente privatizzatore che emerge nitidamente dall’art.23 bis l. n.133/2008. Appare abbastanza chiaro come questo autentico pasticcio normativo che, per lo più, si esaurisce in pure e semplici dichiarazioni programmatiche (tanto è vero che alcuni autorevoli esponenti della composita maggioranza di sostegno al governo Lombardo hanno parlato di “norma manifesto”) non ha nulla a che vedere con un serio progetto di ripubblicizzazione del settore: e, anzi, rischia di creare un pericoloso vuoto normativo foriero, visti i tempi, di incursioni dagli esiti assolutamente imprevedibili.
La verità è che l’unica strada per una gestione dell’acqua coerente con la natura di bene comune di quest’ultima è quella indicata dal referendum che si propone, tra l’altro, l’integrale abrogazione dell’art.23 bis l. n.133/2008 e la conseguente adozione della forma giuridica dell’azienda speciale; mentre il pasticcio in salsa siciliana confezionato dai cuochi dell’ARS è solo frutto del maldestro tentativo del PD (partito che, nelle sue varie epifanie precedenti, è sempre stato un convinto alfiere della privatizzazione anche del servizio idrico) di occultare la sua subalternità al centrodestra dando una patina progressista ad un’operazione di puro segno trasformista.
(Luca Nivarra)

http://www.socialismo2000.org

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mercoledì, 16 giugno 2010; 13:49


Caltagirone
 sfiora il 13% del capitale e Acea sale in Borsa

Acea sale dell'1,32% a 8,46 euro a piazza Affari dopo che Caltagirone ha comunicato di aver incrementato dal 10,3% al 12,9% la propria quota nell'utility romana. Al momento il terzo azionista GdF sembra invece essere fermo al 10,024% anche se secondo alcune fonti gli acquisti su Acea continuerebbero anche da parte dei francesi.

Questi potrebbero addirittura decidere di coalizzarsi con Caltagirone per spingere Aceaverso una maggiore efficienza e limitare l'influenza dell’azionista pubblico. Diversa la versione di MF secondo il quale GdF potrebbe invece decidere di uscire dal capitale di Acea una volta concluse le negoziazioni sulla joint venture AceaElectrabel, che starebbero procedendo positivamente.

A proposito della jv, sempre secondo MF, Acea potrebbe decidere di cedere a GdF anche la quota del 30% nella joint venture che secondo le stime degli analisti di Intermonte (neutral e target price a 8,50 euro sl titolo Acea) potrebbe essere valutata circa 150 milioni di euro.

Comunque, aggiungono gli analisti di Equita sim (rating hold e target price a 9,3 euro confermati sull'azione), l'aumento della quota di Caltagirone è sicuramente una notizia positiva, considerando fra l'altro che permane il vincolo al diritto di voto all'8%.

Ancora una volta stamani il presidente di Acea, Giancarlo Cremonesici, si è ugurato che entro l'estate si possa raggiungere un accordo con piena soddisfazione di tutti i soci ma forse, ha aggiunto, "i dettagli saranno meglio definiti in autunno". In ogni caso è chiaro che, se entro l'estate si raggiungerà un accordo di massima, ha concluso Cremonesi, "questo darà ulteriore slancio alla società".

http://www.milanofinanza.it
 
Francesca Gerosa


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mercoledì, 16 giugno 2010; 07:00


VEOLIA SI PREPARA ALLA PARTECIPAZIONE DELLE GARE

Dopo l’uscita dal Mediterranea delle Acque, Veolia rilancia le proprie mire sull’Italia. E, in particolare, sul settore idrico per il quale si sta preparando alla partecipazione alle gare. «La strategia di Veolia - ha detto nei giorni scorsi alla Reuters l’ad del colosso francese Jocelyn Gourlet - è sempre quella di crescere attraverso uno sviluppo organico, grazie alla nostra capacità di vincere concessioni per gestire servizi. Questa è la nostra priorità». Gourlet ha aggiunto che Veolia potrebbe «certamente» fare offerte, possibilmente con partner locali, per nuove aste pubbliche per concessioni che l’Italia vorrebbe far partire nel 2011, con la nuova legge che punta ad attirare investitori privati. Tuttavia - ha precisato - la società prenderebbe in considerazione un’acquisizione se, in quanto investitore industriale, potesse assicurarsi la gestione operativa». Proprio l’impossibilità di farlo avrebbe infatti motivato la vendita della quota di minoranza di Mediterranea (circa il 17%).
Il mercato idrico italiano offre rendimenti più bassi agli investitori rispetto ad altri Paesi, «ma la sua attrattiva è proprio nei potenziali guadagni per effetto di un miglioramento dell’efficienza», ha detto Gourlet. «Veolia, non è stata scoraggiata dalla riluttanza di Roma ad alzare le tariffe dell’acqua, tra le più basse in Europa con un costo di 1,3 euro per metro cubo all’anno tra fornitura, fognature e depurazione, contro i 3 euro della Francia e i 5 euro della Germania. Tuttavia, pesa la mancanza di un chiaro quadro di regole per il settore».
La nuova legge approvata lo scorso novembre è infatti ancora sprovvista di decreti attuativi «e il rischio - commenta - è che le regole del gioco possano venire modificate con un cambio di governo, assieme ai lunghi tempi di attesa per i pagamenti dai clienti». 

Fonte: Quindici

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martedì, 15 giugno 2010; 08:00


Il Burkina non privatizza

L'Assemblea nazionale del Burkina Faso ha votato contro la privatizzazione di Sonabel, la Società nazionale dell'elettricità, e di Onea, l'Ufficio nazionale per l'acqua e dei servizi igienico-sanitari. Facendo appello all'importanza vitale e strategica delle due aziende, i deputato hanno così bloccato una decisione del governo, che il 10 marzo scorso aveva inserito le due società in una lista di nove imprese burkinabè da privatizzare. 
E' un grande risultato per un paese da sempre afflitto da siccità e inondazioni improvvise nel periodo delle piogge, e dove l'accesso all'acqua potabile è un obiettivo ancora distante sia nelle città, sia soprattutto nei villaggi. E attorno all'acqua incombe il rischio di conflitti sociali: qualche avvisaglia si è vista in marzo, quando migliaia di persone si sono ritrovate davanti alla sede delle Nazioni Unite a Ouagadougou per denunciare la difficile situazione, costrette ogni giorno a percorrere molti chilometri per attingere acqua alle fontane pubbliche.
La legge del 2001 che favoriva la privatizzazione di molte aziende pubbliche era stata suggerita al governo burkinabè dal Fondo monetario internazionale (Fmi), che negli ultimi anni ha aumentato la pressione sui governi africani perché cedano ai privati la gestione dell'acqua, spacciandola come misura per ridurre la povertà. Ma questo sta causando nell'Africa sub sahariana un aumento dei prezzi insostenibile per la popolazione, e secondo uno studio dell'International Institute for Environment and Development di Londra sta allontanando gli stati africani dall'obiettivo di garantire l'accesso all'acqua potabile a più di metà della popolazione entro il 2015 - uno degli «Obiettivi del millennio» solennemente approvati dall'Assemblea generale dell'Onu nel 2000. 
Ma l'acqua rappresenta l'ultima frontiera per investire nel settore privato e ormai molti pensano che nel prossimo futuro la ricchezza delle nazioni sarà stabilita in base all'accesso alle risorse idriche. Oggi un ristretto numero di imprese europee controlla il mercato delle risorse idriche mondiali. Tre sono le imprese francesi che controllano circa il 75% del mercato mondiale (Lyonaise des Eaux-Suez/Ondeo, Vivendi e Saur). In Burkina è Vivendi a essere coinvolta nella privatizzazione dell'Onea.
Con quel voto dell'Assemblea nazionale il Burkina Faso ha dimostrato di voler cercare la propria soluzione ai problemi che affliggono il paese, privo di sbocchi sul mare e minacciato dall'avanzata del deserto del Sahel. Forse ha anche dimostrato di non aver del tutto scordato Thomas Sankara, che nel 1983 aveva guidato la rivoluzione burkinabè: ed è stato uno dei primi politici africani a lanciare politiche per favorire l'accesso all'acqua. Sankara aveva rifiutato i prestiti della Banca mondiale e i piani di ristrutturazione del Fmi. Nel 1986 il Burkina aveva raggiunto l'obiettivo di 10 litri di acqua al giorno per abitante: obiettivo raggiunto in poco più di due anni, attraverso la ristrutturazione delle dighe per canalizzare l'acqua delle piogge e la costruzione di nuovi pozzi nei villaggi, e affidando i lavori alle imprese locali, dimezzando i tempi e i costi. Sankara è scomparso un anno dopo, l'87, vittima di un attentato. Il successore Blaise Compaorè, al potere da allora, ha per prima cosa aperto l'economia del paese alle multinazionali. Con quel voto contro la privatizzazione il parlamento burkinabé ha segnato un'inversione di tendenza.

di Rosanna Picoco
www.ilmanifesto.it

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lunedì, 14 giugno 2010; 09:00




Lucio Bernardo San Nicola La Strada. L'amministrazione comunale invita a non usare l'acqua dei pozzi della zona ex Saint Gobain. L'uso domestico dell'acqua dei pozzi è vietato per legge, ma il primo cittadino sannicolese Angelo Pascariello va oltre. Il sindaco informa che dai dati Arpac trasmessi dalla Provincia e dalla Prefettura e relativi agli esiti delle analisi effettuate sui campioni delle acque sotterranee prelevati dai pozzi ubicati nell'area ex Saint Gobain, emerge che i valori eccedono i limiti di legge per quanto riguarda la concentrazione di arsenico e di metalli tossici. Un grave pericolo per la salute. Di qui lo stop anche per qualsiasi altro uso, compresa l’irrigazione. Per i sannicolesi, l'Arpac ha solo chiarito quello che tutti sapevano e tutti si aspettavano, cioè che le falde acquifere della zona sono inquinate. Nulla di nuovo dunque, visto che per oltre trenta anni nella zona è stata attiva la fabbrica di vetri della Saint Gobain, i cui scarti utilizzati per la produzione e la lucidatura del vetro, sono stati scaricati nelle cave di tufo esistenti lungo la via Appia. Allora non c'erano le norme protettive e di salvaguardia della salute pubblica di oggi, si scaricava l'acqua utilizzata per la produzione del vetro nelle cave - in tanti la utilizzavano come piscina in estate - poi con il passare degli anni, evaporando l'acqua, rimaneva un'immensa distesa di colore bianco o di colore rossastro. Con il passare del tempo e la cessione della fabbrica, i terreni sono stati bonificati e oggi ospitano attività commerciali ed abitazioni, ma quello che c'è sotto, in profondità, emerge oggi con gli esami dei pozzi. Contigua a questa zona c'è quella della discarica di «Lo Uttaro». È possibile che l’inquinamento sia aumentato anche a causa di questa vicinanza. L'acqua dei pozzi non si può utilizzare, ma anche quella che scorre dai rubinetti «ufficiali» della Regione Campania è, per altre ragioni, fonte di preoccupazioni. Il sindaco Pascariello infatti a seguito delle diverse lamentele dei cittadini circa la diversa qualità dell'acqua erogata (in molti hanno segnalato variazioni nella temperatura, nel sapore e nel colore rispetto a quella erogata nei mesi scorsi; disagi accompagnati da un notevole calo di pressione che provoca problemi per l'accensione di caldaie), ha inviato una richiesta alla Regione Campania (Gestione Acquedotto ex Casmez e Servizio Acquedotto) e per conoscenza all'Azienda Sanitaria Locale - Distretto 25 di Caserta, per chiedere notizie e per conoscere quando si tornerà alla normalità.
         
www.ilmattino.it

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venerdì, 11 giugno 2010; 08:58


Acqua pubblica, il milione di firme è vicino

 Circa un mese e mezzo dal lancio dei referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua, le 500 mila firme necessarie – raggiunte a tempo di record - sono state quasi raddoppiate. In tutta Italia però si continuano ad organizzare assemblee, feste, concerti e conferenze per tenere viva l'attenzione pubblica sulla questione, consapevoli che la raccolta delle firme è solo un primissimo passo.

di Andrea Degli Innocenti

Era il 24 aprile quando i primi banchetti furono allestiti in tutta Italia. Partì allora ufficialmente la campagna di raccolta firme per promuovere i tre quesiti referendari sulla ripubblicizzazione dell'acqua.
Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua si era posto come obiettivo la raccolta di 700 mila firme in tre mesi, 200 mila in più di quelle necessarie per legge. Adesso, ad un mese e mezzo di distanza, è lecito domandarsi: “a che punto siamo arrivati?”

Un ottimo punto, a giudicare dalle cifre. Le 500 mila firme obbligatorie per la richiesta del referendum sono state raccolte in 25 giorni, 100 mila solo nelle prime 48 ore. Un record assoluto. Mai nella storia d'Italia le firme necessarie alla richiesta di un referendum abrogativo sono state raccolte tanto in fretta.

Dopodiché il forum ha deciso di alzare il tiro e spostare l'obiettivo ad un milione di firme. Ma anche questa cifra sembra destinata ad essere superata facilmente, visto che già si sfiorano le 900 mila.

Hanno firmato artisti, cantanti, registi, attori. Qualche politico, qualche sindacalista. Hanno firmato, soprattutto, centinaia di migliaia di cittadini, dagli appena diciottenni ai pluricentenari.

Giacomo Magnolia di Pietra Ligure, classe 1908, ex-partigiano, ha chiesto e ottenuto di poter firmare a casa i moduli, visto che per un intervento alle anche non si sarebbe potuto recare ai banchetti: “non ho combattuto nella Resistenza per vedere anche lo scippo del più prezioso bene che la natura ci ha donato”.

Vittorio Cioè, di due anni più giovane, per il suo centesimo compleanno è stato nominato sindaco per un giorno del suo paese, Vico nel Lazio e come primo atto ha voluto firmare i tre quesiti. Centinaia di storie si potrebbero raccontare, e di aneddoti, simili a questi.
Ma il lavoro del Forum non si esaurisce nella raccolta delle firme. Anzi, la raccolta firme non è che un primissimo passo. È chiaro a tutti, e lo era fin dal principio, che i veri scogli da superare saranno riuscire a realizzare il referendum e superare il quorum del 50 per cento degli aventi diritto al voto.

Per questo serve un'opera minuziosa e costante di sensibilizzazione. Bisogna che l'attenzione pubblica sul problema vada crescendo. In tutta Italia si vanno organizzando eventi, si moltiplicano le feste dell'acqua. Uno slogan le raccoglie tutte, “H2ORA, L'acqua scende in piazza”. A Lecce dall'11 al 13 giugno, a Vicenza il 12, a Ferrara il 13, Milano il 20.

A Roma, una delle città più attive, sono state organizzate una serie di feste: una centrale e tante municipali, ad opera dei comitati dei singoli municipi. La festa centrale, organizzata dal Crap, Comitato romano acqua pubblica, si svolge a Garbatella, il 13 giugno. Partecipano, fra gli altri, Marco Bersani, del Forum italiano, i Villa Ada Crew, gruppo reggae romano, i Ponentino Trio e molti altri.

Le feste municipali. Si inizia con il VI Municipio sabato 12, presso il csoa ex Snia, con cena sociale e proiezione del film “Agua mi sangre” ed incontro con la regista. Segue il III: nella piazza dell'Immacolata di San Lorenzo il 18 sera sono previsti concerti, proiezioni video, conferenze.
Il giorno successivo, il 19, il turno è doppio, con le feste dei Municipi VIII e XIX. La prima a Tor Bella Monaca, prevede un'assemblea pubblica, animazione per bambini e musica. La seconda, presso l'Ex Lavanderia ha in programma una cena sociale, pratiche della decrescita, teatro e musica dal vivo con i Têtes de Bois, Adriano Bono e altri.
Intanto in tutta Roma si moltiplicano le iniziative. Ieri sera alcune fontanelle dei vari municipi - i cosiddetti "nasoni" - sono state contrassegnate con sacchi di plastica, palloncini ed adesivi. Obiettivi: sensibilizzare l'opinione pubblica, accendere l'interesse dei giornali, finora piuttosto scarso, a dispetto del successo della campagna, e al tempo stesso promuovere le feste dell'acqua.

Si tengono conferenze nelle scuole, si organizzano assemblee pubbliche. Più persone si informeranno, più vorranno partecipare a questo processo di riappropriazione collettiva. Una firma, adesso, non è più sufficiente. Non si tratta più di delegare a qualcun altro il proprio impegno, con la noncuranza tipica dell'uomo moderno, convinto che esistano sempre questioni più urgenti per se stesso del bene collettivo, e che questo sia, al massimo, niente più che un insieme di interessi individuali.

Si tratta di prendersi cura, ciascuno di noi, di un bene prezioso per noi che però non ci appartiene, perché appartiene a tutti. E riappropriarsi in tal modo di un pezzo di quella sovranità sancita dalla costituzione ma così poco applicata nella realtà.

Riscoprire una libertà che ci è stata sottratta, quella di partecipare attivamente alla costruzione della società in cui viviamo, soffocata da un altro tipo di libertà, che si esprime nelle scelte individuali ed è nemica di ogni tipo di collaborazione.

http://www.terranauta.it

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mercoledì, 09 giugno 2010; 08:45


Il fondo speculativo Italiano guarda all'acqua
Luca Martinelli, Altraeconomia

680mila firme contro 150 milioni di euro. Sono i numeri a misurare la differenza tra l'acqua “bene comune” e l'acqua “merce”. Il primo (680mila) racconta il numero delle firme raccolte nel primo mese delle campagna referendaria contro la privatizzazione del servizio idrico integrato; il secondo misura invece l'investimento nel settore del servizio idrico integrato dalla società di gestione del risparmio F2i (Fondi italiani per le infrastrutture sgr). 
E se il primo dato dà conto della volontà dei cittadini italiani di frenare l'ingresso di capitali privati e di capitali finanziari e speculativi nel società che portano nelle nostre case l'acqua potabile, diventata scelta obbligata con la legge Ronchi del novembre scorso, il secondo è un investimento che da quel testo di legge prende le mosse: nel comunicato stampa del 24 maggio scorso con cui Iride Acqua e Gas spa (società del gruppo Iride), F2i rete idrica italiana spa e F2i sgr spa danno conto dell'accordo, spiegano che esso ha finalità di “concentrazione e sviluppo dell’attività idrica”, intendendo con questo” di essere in grado, anche dal punto di vista finanziario, di realizzare (a) il piano degli investimenti previsto dal Piano d’Ambito dell’Ambito territoriale ottimale genovese, e (b) un programma di partecipazione alle future gare ad evidenza pubblica per l’assunzione di partecipazioni ovvero la gestione di ulteriori ambiti territoriali, allorquando troverà applicazione il nuovo regime delineato dall’entrata in vigore del Decreto Ronchi”.

La carta d'identità di F2i, una sgr che raccoglie 1,8 miliardi di euro, aiuta a capire chi sono gli sponsor di questa operazione: Banca infrastrutture innovazione e sviluppo, del gruppo Intesa-Sanpaolo, Cassa depositi e prestiti, Merrill Lynch, Unicredit, Cariplo, Cassa di risparmio di Torino, Monte dei Paschi di Siena, Cassa di risparmio di Cuneo, Cassa di risparmio in Bologna, Cassa di risparmio di Padova e Rovigo e Cassa di risparmio di Forlì, gli istituti di previdenza Inarcassa e Cipag.
Tra queste, Intesa-Sanpaolo e Fondazione Cassa di risparmio di Torino erano già azioniste di Iride.  

L'accordo tra Iride e F2i, che è guidata da Vito Gamberale (nella foto in apertura), già amministratore delegato di Atlantia (cioè di Autostrade per l'Italia, società del gruppo Benetton), ruota intorno a due società: San Giacomo (il “veicolo” attraverso il quale verrà realizzato il progetto) e Mediterranea delle Acque, già quotata in Borsa. Alla prima verrà conferita da Iride la partecipazione detenuta nella seconda, pari a circa il 68,323% del capitale sociale. Il 25 maggio, poi, San Giacomo ha acquistato le azioni detenute in Mediterranea delle acque da Veolia Eau-Compagnie Generale des Eaux S.A. (pari a circa il 17,090% del capitale) al prezzo di 3 euro per azione. A questo punto, F2i Rete idrica italiana è pronta a sottoscrivere entro il 1 giugno un aumento del capitale di San Giacomo da 39,5 milioni di euro.
Il punto d'arrivo di questo processo prevede il delisting, ovvero l'uscita dalla Borsa di Mediterranea delle acque, mediante un’offerta pubblica di acquisto totalitaria volontaria da parte di San Giacomo, al prezzo di  tre euro per azione.
A quel punto, Iride e F2i lavoreranno per creare “un polo industriale dell'acqua”, il “campione nazionale” del servizio idrico integrato.

Tutta l'operazione è stata, ovviamente, benedetta da Borsa Italiana (una società per azioni tra i cui azionisti privati ci sono Intesa-Sanpaolo e Unicredit, nomi che troviamo anche tra gli sponsor di F2i). “Mediterranea delle Acque -si legge in una nota Ansa del 25 maggio-vola in Borsa (+12,74% a 2,96 euro) e si allinea al prezzo di 3 euro per azione a cui verrà lanciata l'Opa sulla società”. E, nel frattempo, è stata completata anche la fusione tra Iride -partecipata attraverso Sviluppo Utilities dai Comuni di Torino e Genova- ed Enìa, altra società quotata in Borsa, emiliana.

Un' analisi dell'intera vicenda è stata pubblicata sul sito del Comitato promotore del referendum per l'acqua pubblica: “Il caso di Iride è particolarmente indicativo visto che il gruppo partecipato da Genova e Torino, oltre che di Mediterranea delle acque, è anche socio di Acque potabili e sta completando un processo di fusione con Enìa, la multiservizi emiliana quotata a Piazza Affari, nata dalla fusione delle S.p.A. delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Iride ed Enìa insieme definirebbero un asse “padano occidentale” con 4 miliardi di capitalizzazione di borsa e 2,5 milioni di “clienti” solo per il servizio idrico, senza contare le quote di cittadini palermitani portati in dote da Iride e di Enna portati in dote da Enìa”. L'accorpamento di tutte le gestioni idriche tra Piemonte, Liguria, Emilia, Sicilia non avverrebbe, però, nell'interesse dei cittadini. E la partita potrebbe allargarsi anche a Smat, la società per azioni a totale controllo pubblico che gestisce il servizio idrico integrato nelle città di Torino. “Aprendo le porte dell'azienda a un soggetto come F2i, e vincolandosi a un patto parasociale, Genova e Torino rinunciano alla posizione del Comune imprenditore e completano il passaggio verso la posizione del Comune azionista” ha scritto Massimo Mucchetti in un commento sul Corriere della Sera: il Comune non è più responsabile e garante di un servizio e di un diritto per tutti i cittadini, ma solo uno dei tanti soci che attende l'assemblea di aprile per sapre quanto incasserà sotto forma di dividendo.  


claudiomeloni; ; commenti ?


martedì, 08 giugno 2010; 20:32


Acqua: tutto pronto per la volata in borsa
Il presidente dei Fondi per le Infrastrutture Sgr Spa è Ettore Gotti Tedeschi, vecchio banchiere, nonché attuale presidente dello Ior, la Banca Vaticana. Amministratore delegato di F2I è Vito Gamberale, una carriera tra Eni e Autostrade Italia
di Roberta-Lemma


La Protezione Civile di Bertolaso non conosce crisi e assume impiegati. Nel nord, sta nascendo, in questi giorni, un colosso multinazionale che controllerà la gestione delle acque, luce e gas.
Un colosso fatto di fusioni.
Iride, multiutility nata dall'integrazione tra l'azienda elettrica ex municipale di Torino e l'azienda acqua e gas ligure e il fondo italiano per le infrastrutture F2i promosso dalla Cassa Depositi e Prestiti (1,8 miliardi di euro di capitalizzazione, sottoscritti in gran parte da banche, fondazioni bancarie e casse previdenziali). La Generali detiene direttamente ed indirettamente, dal 20 maggio scorso, una partecipazione del 2,044% nel capitale di Iride. Lo si apprende dalle comunicazioni societarie alla Consob, dalle quali risulta che lo 0,116% e' detenuto tramite Augusta Vita, lo 0,568% tramite Genertellife, lo 0,085% tramite Ina Assitalia, lo 0,022% tramite La Estrella Sa de Seguros y Reaseguros, lo 0,022% tramite Banco Vitalicio de Espana, lo 0,250% tramite Alleanza Toro, lo 0,149% tramite Fata Assicurazioni Danni, lo 0,023% tramite Fata Vita e lo 0,342% tramite Genertel.
F2I Fondi Italiani per le Infrastrutture SGR S.p.A. è una società italiana di gestione del risparmio, titolare del Fondo F2I destinato a effettuare investimenti nel settore delle infrastrutture. Pur parlando di fondi fondi italiani per le infrastrutture pubbliche, tale fondo è totalmente controllato da,
Istituti Bancari - 33.91%
Casse Previdenzali - 24.24%
Fondazioni Bancarie - 23.87%
Assicurazioni - 9.45%
Istituzioni Finanziarie dello Stato - 8.10%
Sponsor e Management - 0.43%
Il presidente dei Fondi per le Infrastrutture Sgr Spa è Ettore Gotti Tedeschi, vecchio banchiere, nonché attuale presidente dello Ior, la Banca Vaticana. Amministratore delegato di F2I è Vito Gamberale, una carriera tra Eni, Autostrade Italia, Benetton, Banca Intesa e qualche problema durante Mani Pulite, poi assolto. Un management che desta sospetti viste le cariche che i vertici F2I coprono contemporaneamente, e considerando le appartenenze sociali dei personaggi. Opus Dei e Compagnia delle Opere. Insomma, l'acqua vola in borsa, per farla volare in borsa la privatizzazione era d'obbligo. È infatti previsto il lancio di un'offerta pubblica di acquisto totalitaria volontaria su Mediterranea delle Acque al prezzo di 3 euro per azione, attraverso una società contenitore, la San Giacomo Srl. Tra queste, anche le azioni della multinazionale francese Veolia.
Quando Tanzi ebbe l'idea del ' Fresco Blu ' i suoi nuovi amici politici crearono una legge ad hoc che gli permise la vendita del latte a scadenza di otto giorni. I nostri imprenditori hanno l'idea di far quotare l'acqua in borsa? ( sarà poi la volta dell'ossigeno? ) e Ronchi crea la legge ad hoc che glielo permetterà. Una legge, contro la quale l'Italia si sta mobilitando in una raccolta firme per un referendum abrogativo. Sulla Piramide della privatizzazione e vendita dell'acqua pubblica in Italia, Iride occupa i primi piani della base, a dar vita a tutta la filiera è la Suez Environment, secondo gruppo mondiale nel campo della gestione delle acque e dei rifiuti francese. Gruppo mondiale con il quale il nostro governo è a stretto rapporti e affari. Facciamo un esempio pratico:
Nel settore idrico il Gruppo Acea è il principale operatore nazionale con un bacino di utenza di oltre 8 milioni di abitanti. Il Piano industriale 2010-2012 prevede il consolidamento della leadership nel mercato idrico italiano, con un target al 2012 di circa 8,7 milioni di clienti serviti. È gestore del servizio idrico integrato – acquedotto, fognatura e depurazione – negli Ambiti territoriali ottimali di Roma e Frosinone e delle rispettive province. È presente, inoltre, in altre aree del Lazio, in Toscana, Umbria e Campania. Nel nord sta appunto nascendo Iride. Dentro un marchio una serie di altre scatole contenenti altrettanti gruppi. Naturalmente la privatizzazione dell'acqua e il conseguenziale aumento del suo costo aumenterà il loro business. Non bastava un gruppo a gestire le acque pubbliche italiane? E in quale modo la concorrenza sul mercato produrrà l'abbattimento del costo se tutti questi gruppi son legati tra loro? 
«Il caso di Iride, in questo senso, è particolarmente indicativo, visto che il gruppo partecipato da Genova e Torino, oltre che di Mediterranea Acque è anche socio di Acque Potabili (a sua volta detenuta da “Acque Potabili S.p.A. con sede in Torino, Acquedotto di Savona S.p.A. con sede in Savona, Acquedotto Monferrato S.p.A. con sede in Torino e da Acque Potabili Siciliane S.p.A. con sede in Palermo”) e sta completando un processo di fusione con Enìa, la multiservizi emiliana quotata a Piazza Affari, nata dalla fusione delle S.p.A. delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Iride ed Enìa insieme definirebbero un asse “padano occidentale” con 4 miliardi di capitalizzazione di borsa e 2,5 milioni di “clienti” solo per il servizio idrico, senza contare le quote di cittadini palermitani portati in dote da Iride e di Enna portati in dote da Enìa. Con il rafforzamento di Mediterranea Acque, si dovrebbero quindi accorpare tutte le gestioni idriche tra Piemonte, Liguria, Emilia, Sicilia, più la campagna di shopping finanziata da F2i».
«La notizia dell'aggregazione annunciata tra Iride e il fondo F2i riporta all'attenzione l'assoluta necessita' di forti investimenti nel servizio idrico integrato», è invece il commento di Stella Bianchi della segreteria del Pd, convinta che «solo una gestione industriale efficiente» possa «garantire qualita' del servizio, accesso per tutti, equita' delle tariffe, gestione sostenibile della risorsa acqua che elimini sprechi e usi impropri». Allo stesso modo, rileva la responsabile Ambiente del partito, e' «indispensabile una forte regolazione e controllo pubblico, con l'istituzione di una autorita' nazionale di garanzia compartecipata da Stato e regioni, che e' al centro della proposta complessiva di riforma del servizio idrico integrato che il Partito Democratico presentera' nei prossimi giorni».
Se la crisi sembra distruggere piccole e medie imprese in Italia, creando un forte aumento della disoccupazione, non più soltanto giovanile, ma anche tra i senior, con licenziamenti ad un passo dalla pensione, le multinazionali sembrano godere di ottima salute. Queste multinazionali hanno un vertice molto ristretto, gran parte del lavoro viene svolto tramite fiduciarie all'estero. In questo modo controllarle risulta impresa ardua per chiunque e il lavoro viene trasferito altrove.
(fonte Consob, Forum F2I)

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