venerdì 20 gennaio 2012


 Blue Book partigiano

di Manuela Cartosio

«Abbiamo le tariffe dell'acqua tra le più basse del mondo e ne paghiamo le 
conseguenze: il 15% del paese è privo di fognature, il 30% manca di servizi 
di depurazione». Lasciateci aumentare le tariffe, lasciate che cresca la 
gestione privata delle reti idriche e, automaticamente, fognature e 
depurazione copriranno l'intero territorio nazionale. E' la tesi 
"interessata" del Blue Book 2009, presentato ieri alla sedicesima conferenza 
europea H2Obiettivo2000, in corso a Bari. Interessata perché il libro è 
stato curato dell'istituto di ricerca Utilitatis "in collaborazione" con 
l'Anea. Quest'ultima è l'Associazione nazionale autorità e enti di ambito. I 
servizi idrici integrati (acquedotti, fognature e depurazione) fanno capo a 
91 "Ato" (ambito territoriale ottimale). Di questi, 64 sono ancora a 
gestione totalmente pubblica, i restanti sono passati alla gestione privata. 
Un passaggio imposto dalla legge Tremonti dell'agosto 2008, che degrada 
l'acqua da bene pubblico a risorsa scarsa. Che le multinazionali dell'acqua 
intendono sfruttare per operazioni finanziarie, certo non per costruire 
fogne e depuratori. Ciò nonostante, la logica privatistica ha fatto breccia 
tra gli amministratori di molti "Ato" ancora pubblici.
Fatta questa premessa sulla partigianeria della fonte, è indubbio che in 
Italia l'acqua costa meno che nel resto d'Europa. Forse un ritocco verso 
l'alto delle tariffe indurrebbe a sprecarne di meno. Nel 2008 una famiglia 
di tre componenti ha speso in media per l'acqua solo 20 euro al mese. Le 
variazioni geografiche sono molto forti. Il costo dell'acqua più alto spetta 
ad Agrigento, dove per un consumo standard annuo di 200 metri cubi sono 
stati spesi 440 euro. Seguono Arezzo (410 euro), Pesaro e Urbino (409 euro). 
All'estremo opposto si trovano Isernia (109 euro l'anno), Treviso (108 euro) 
e Milano (103 euro). Le differenze di costo derivano in gran parte dalla 
difficiltà di approvvigionamento. Ma dipendono anche dalle economie di 
scala: più utenti si servono, meno si spende. Milano beneficia sia dei 
grandi numeri che di un territorio ricco d'acqua. A Roma il consumo standard 
costa 177 euro l'anno, il più basso tra le capitali europe (il più alto 
spetta a Berlino dove si spendono mediamente 968 euro per acqua e servizi 
fognari e di depurazione). Per trovare metropoli dove l'acqua costa meno, 
dice il Blue Book, bisogna andare a Miami (169 euro l'anno), Hong Kong (102 
euro), Buenos Aires (37 euro).
La rete totale degli acquedotti (337 mila chilometri) raggiunge il 95% della 
popolazione italiana. Quella fognaria (165 mila chilometri) copre solo 
l'85%. La percentuale scende al 70% per i sistemi di depurazione. Per questi 
ultimi la regione più carente è la Sicilia, con una copertura solo del 54%. 
La Toscana si ferma al 63%, la Campania al 67%, la Sardegna al 68%. La 
Sardegna divide con la Liguria la maglia nera per le fogne (entrambe coprono 
il 75%), l'Umbria arriva solo al 77% e il Veneto al 78%.
Solo per gli usi domestici ogni italiano consuma mediamente 200 litri 
d'acqua al giorno. Il dato è riferito al 2007 ed è stato calcolato 
dall'Istituto Ambiente Italia-Dexia. I più spreconi sarebbero i torinesi con 
243 litri al giorno pro capite. I più risparmiosi sarebbero gli abitanti di 
Nicosia, un comune della Sicilia, con 143 litri a testa. Il romano medio 
(221 litri) spreca più del milanese (191), ma meno del parigino (287).

dal manifesto del 28.5.09

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