lunedì 23 gennaio 2012


 LA LEGGE dell'acqua
di Ugo Mattei


Una grande vittoria del movimento: domani oltre 1milione e 400mila firme verranno depositate in Cassazione per sostenere il referendum per l'acqua bene comune. La corsa verso le urne, con la consultazione popolare che potrebbe essere indetta tra aprile e giugno dell'anno prossimo

Domani saranno presentate oltre un milione e 400mila firme certificate alla Corte di Cassazione, in una giornata che si preannuncia come una bellissima festa per celebrare un primo grande risultato raggiunto dal movimento per l'acqua bene comune. Ricevute le firme, la Corte di Cassazione dovrà verificare la regolarità formale di almeno 500.000 fra quelle che le verranno consegnate. Ciò fatto, dovrà trasferire il dossier alla Corte Costituzionale, chiamata a verificare l'ammissibilità dei tre quesiti ai sensi dell'art.75 Cost. Questa disposizione che disciplina il nostro più importante istituto di democrazia diretta prevede non possano essere sottoposti a referendum le leggi «tributarie, di bilancio, di amnistia, di indulto e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali». 
Davanti alla Corte Costituzionale, che dovrebbe affrontare la questione nelle prime settimane del 2011, non si svolgerà un vero e proprio processo formale, come negli ordinari ricorsi di costituzionalità. In materia referendaria il rito è più informale, sebbene sia invalsa la prassi di accogliere le memorie presentate dai comitati promotori o da altri gruppi interessati e non si esclude possano essere ascoltati oralmente avvocati di parte o dello Stato. In materia referendaria la Corte è pienamente sovrana del proprio rito, a conferma del ruolo quasi-legislativo e di alta discrezionalità politico-costituzionale che essa svolge, insieme al corpo elettorale rappresentato dai promotori, in quell'istituto di democrazia diretta che è il referendum. In questo giudizio ogni quesito è indipendente e viene valutato nel proprio merito specifico. Qualora uno o più referendum siano ammessi il successivo passaggio è quello della cosiddetta «indizione», un istituto che coinvolge nella scelta della data il Ministero degli interni e il Presidente della Repubblica. Il referendum dovrà essere indetto in una domenica compresa fra la metà di aprile e la metà di giugno del 2011 e sarà valido qualora vi partecipino il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Se, raggiunto il quorum, il numero dei «sì» dovesse essere superiore a quello dei «no», le disposizioni legislative oggetto di referendum verranno abrogate con effetto dalla data di pubblicazione dell'esito sulla Gazzetta Ufficiale. 
Il referendum verrà rinviato di un anno qualora le Camere vengano sciolte, mentre non sarà effettuato se dovesse essere promulgata una legge che ne accoglie sostanzialmente il risultato proposto dai promotori o ancora nel caso in cui l'atto avente forza di legge contro cui esso viene promosso venga dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale. Tutte e tre queste possibilità esistono concretamente nel caso dell'acqua bene comune dato, nei primi due casi, il clima politico rissoso (scioglimento Parlamento) e truffaldino (leggina scippo ad hoc). Inoltre, come noto, cinque Regioni hanno presentato ricorso contro la cosiddetta Legge Ronchi chiedendo l'integrale abrogazione dell'art 15. Certamente la decisione su queste cause, già iscritte al ruolo della Consulta, verrà calendarizzata prima di quella sui Referendum e nel caso di accoglimento dei ricorsi regionali il primo quesito verrà escluso. Tale eventualità circoscriverebbe il lavoro di quanti fra noi stanno preparando la memoria di fronte alla Corte ai soli secondo e terzo quesito, che sono peraltro quelli maggiormente caratterizzanti la battaglia del Forum. Infatti l'abrogazione del solo Decreto Ronchi (primo quesito e quesito Idv) lascerebbe la situazione com'è oggi e quindi consentirebbe il mantenimento della logica privatistica ed aziendalistica nella gestione dell'acqua(eviterebbe cioè soltanto la grande svendita di fine 2011). Sono invece il secondo e terzo quesito, rispettivamente sui «modelli di gestione» e sulla «remunerazione del capitale investito», a creare le premesse per un'autentica gestione dell'acqua come «bene comune», da governare fuori dalla logica del profitto e con strumenti informati alla logica della sola pubblica utilità e non a quella aziendalistica. La presenza del secondo e del terzo quesito caratterizza la vera e propria «inversione di rotta» proposta dal Forum italiano movimento per l'acqua
La presenza di questi due quesiti inoltre mi pare garantisca la battaglia referendaria in corso contro «colpi di mano» parlamentari volti a scippare il popolo sovrano del suo potere costituzionale di decidere direttamente ex art 75. Infatti non è neppure immaginabile che con questa maggioranza (e questa opposizione Pd, Idv) si possa approvare una legge che nello spirito riproduca quella di iniziativa popolare già proposta dai Forum o che comunque segni una radicale ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. Confideremmo quindi nella serietà della Corte Costituzionale che in un tal caso verrebbe immediatamente reinvestita della questione dai nostri comitati.
In ogni caso domani inizia una nuova fase. Essenziale è immaginare modi creativi di mantenere in strada la battaglia sull'acqua bene comune, per non disperdere il patrimonio inestimabile di attivismo e cittadinanza «viva» maturato in questi due mesi di raccolta firme. Ci sono già tante ipotesi che si stanno discutendo e di cui i nostri lettori saranno puntualmente informati. Ma ogni nuova idea a tal proposito sarà benvenuta e speriamo ne arrivino molte anche tramite la posta o il sito del manifesto.

da il Manifesto

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giovedì, 22 luglio 2010; 06:45


BENI COMUNI - È stato presentato ieri contro la valanga delle firme sui referendum per l'acqua. Adesioni anche dal Pdl
Nel condominio Pd c'è il comitato del no
di Andrea Palladino

Dissociazioni e imbarazzi in casa democratica. Battono un colpo i fan della privatizzazione della gestione di servizi. E parlano proprio come gli imprenditori

«Se vincerà il fronte del sì, uno dei risultati inevitabili sarà che gli italiani dovranno pagare una nuova tassa per l'acqua». Sono passate appena ventiquattro ore ed ecco apparire i signori del no, il fronte contrario alla ripubblicizzazione dell'acqua. Pezzi di Pd e di Pdl insieme, guidati a destra da Giuliano Cazzola e Benedetto Della Vedova, e a sinistra da Antonio Innamorelli. Un'unione che ribadisce quello che i movimenti dicono da sempre, ovvero che sulla questione acqua gli schieramenti sono trasversali.
La prima affermazione del neonato comitato si smonta in due parole: una tassa sull'acqua gli italiani già la pagano, si chiama «remunerazione del capitale investito», è pari al 7 per cento degli investimenti - spesso solo promessi - ed è destinata non ai comuni, ma ai privati, ai consigli di amministrazione, alle tasche degli azionisti. Una tassa che raggiunge livelli milionari, pari, ad esempio, a quasi settantacinque milioni di euro all'anno solo nella provincia di Roma. Soldi che intasca Acea, la società quotata in borsa e partecipata da gruppi del calibro di Caltagirone e Suez, senza tener conto dei livelli di qualità. Una tassa che il terzo quesito referendario presentato lunedì in Cassazione vuole abolire.
La contestazione del comitato dei no ripercorre il frasario dei difensori delle privatizzazioni. Concetti che circolano nei cda delle varie Veolia, Suez, Hera, Acea, Gori, Sorical, Iride e delle tante altre piccole e grandi compagnie di ventura sparse nel nostro paese. «I referendum negano la necessaria separazione - continua il gruppo del no - delle funzioni di indirizzo, governo, controllo da quelle gestionali: sono mestieri diversi, con competenze molto diverse». Dunque è una questione di mestiere, di capacità, di know-how: per gestire una cosa complessa come le reti idriche servono persone preparate. Un discorso pericoloso che. esteso alla sanità, ad esempio, o alla scuola, aprirebbe la strada ad ulteriori privatizzazioni. Non c'è dubbio che le chiavi degli acquedotti debbano essere consegnate a mani sapienti, in grado di tutelare la risorsa. Esistono per questo università e politecnici, quasi tutti pubblici. Esistono esperienze in altri paesi europei - come la Francia - dove sono state create vere e proprie scuole dell'acqua. Pubbliche. Di esempi di gestori pubblici virtuosi e capaci è piena anche la storia italiana.
Ad iniziare da Acea, creata nel 1907 dal sindaco illuminato Nathan, laico, ebreo e moderno. Fino al 1997 - quando il sindaco decisamente meno laico Rutelli la privatizzò - è rimasta una azienda speciale, con una vocazione esclusivamente pubblica. Ed è stata l'azienda romana Acea - e non la Spa Acea - a creare il sistema di acquedotti della capitale, che ancora oggi garantisce la migliore acqua del paese.
La terza contestazione che il comitato per il no propone riguarda gli stessi promotori del neonato gruppo a favore della gestione privata, ovvero la classe politica: «Se vincessero i sì, si tornerebbe ad una gestione di sprechi, più imposte ai cittadini e un uso clientelare della cosa pubblica». In sostanza un gruppo di senatori e deputati spiega come non è conveniente far gestire i servizi pubblici ai loro colleghi amministratori perché fanno il clientelismo. Il problema, probabilmente, non è cosa gestiscono, ma come. Se il problema è dunque il clientelismo, come potrà lo stato corrotto effettuare le gare, verificare i risultati raggiunti, controllare le gestioni. In realtà i movimenti per l'acquapropongono una gestione che va al di là della contrapposizione pubblico-privato. L'acqua appartiene alle comunità ed è questo il senso di un bene comune. È un bene non delegabile, in sostanza, che dovrà essere gestito con sistemi di partecipazione diretta dei cittadini, con una ferrea funzione di controllo da parte delle comunità, oggi escluse. La gestione dell'acqua dovrà essere qualcosa di simile, ad esempio, agli usi civici, ovvero a quelle parti di territorio comunitarie, amministrate direttamente da chi ne è il detentore naturale. Fuori dai partiti e fuori dalle Spa. Ed è questo che spaventa.

da il Manifesto

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lunedì, 19 luglio 2010; 16:40


CORTE DI CASSAZIONE
Referendum, per l'acqua pubblica

consegnate un milione e 400 firme

La più grande raccolta di sempre in Italia si conclude con una manifestazione in piazza Navona. Organizzatori: «Subito una moratoria contro decreto Ronchi».

ROMA - Una diga fatta di scatole, un muro simbolico per contenere le conseguenze dell'applicazione del decreto Ronchi sulla privatizzazione della gestione delle risorse idriche. È stato questo, insieme a dodici striscioni distesi sui sanpietrini di piazza Navona lo sfondo della manifestazione per l'acqua pubblica organizzata lunedì dal Comitato promotore dei referendum. Un momento di riflessione che ha preceduto la consegna ufficiale del milione e 400mila firme raccolte per la richiesta di referendum in Corte di Cassazione.
LA PIU' GRANDE RACCOLTA FIRME -Le firme depositate alla Corte di Cassazione 1.401.432 di firme, raccolte per ciascuno dei tre quesiti referendari sull'acqua pubblica. La raccolta firme per la ripubblicizzazione dell'acqua, partita tre mesi fa, il fine settimana del 24 e 25 aprile, ha visto impegnati su tutto il territorio italiano migliaia di volontari che hanno organizzato banchetti, manifestazioni, dibattiti sull'acqua bene comune dell'umanità. «In tre mesi - spiega Guido Barbera, presidente di 'Solidarietà e Cooperazione Cipsi' - abbiamo raccolto il maggior numero di firme rispetto a tutte le altre esperienze referendarie italiane. Con il migliore dei presupposti possibili comincia da qui l'avventura, un lungo percorso che ha come prossima tappa 25.000.000 di votanti nel 2011. Per alcuni sono solo numeri, per noi sono la storia del nostro futuro!». Barbera è tra i promotori dei referendum contro la privatizzazione dell'acqua ed è da oltre 20 anni impegnato su questa tematica, promovendo il valore della risorsa idrica come bene comune e diritto umano universale e inalienabile. «Siamo estremamente soddisfatti dell'enorme risposta arrivata dai cittadini - aggiunge Barbera - e dalla società civile italiana su questo tema, che riguarda il futuro di tutti. Una grande mobilitazione, un grande segnale di civiltà e di cittadinanza responsabile, che siamo convinti verrà suggellato il prossimo anno (forse già a giugno) dalla partecipazione di tante persone al voto referendario».

NON SCIPPATECI IL VOTO - Prima di spostarsi davanti alla Corte di Cassazione, per la consegna delle firme, il comitato promotore ha ribadito la richiesta al governo di «emanare un provvedimento per la moratoria degli affidamenti dei servizi idrici previsti dal decreto Ronchi almeno fino alla data di svolgimento del referendum». In piazza Navona, i promotori hanno anche chiesto alla politica di essere messi in condizioni di andare al voto. «Che nessuno inviti gli italiani ad andare al mare. Non scippateci quest'ultimo strumento di espressione - spiega Tommaso Fattori, del Contratto mondiale per l'acqua. «L'attenzione di tutto il mondo è puntata sul nostro Paese - aggiunge - dal quale ci aspetta lo stesso risultato ottenuto dalla Francia sul tema della gestione dell?acqua, cacciare le multinazionali». Un risultato che, attraverso il referendum, arriverà secondo Corrado Oddi, della Cgil. «Quella per i referendum per l'acqua pubblica è la più grande raccolta di firme per un referendum nella storia del nostro paese».
OBIETTIVI DEL MILLENNIO - Per Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, questa raccolta firme ha un valore aggiunto perchè dimostra che «c'è ancora un tessuto sociale, fatto di cittadini, associazioni, partiti, che ha una tenuta e che è la vera base sulla quale poggiare l'uscita dalla crisi». La pensa così anche Paolo Beni, presidente dell'Arci che, al microfono della manifestazione, ha ricordato come «questa nostra richiesta di referendum offre a tutti noi una chance di ricostruire la vita politica del paese portando sul terreno politico e istituzionale le esigenze dei cittadini». Il presidente del Wwf, Stefano Leoni, pone l'accento sulla contraddizione che è insita nella gestione privata dell'acqua, risorsa pubblica per eccellenza. «Le aziende - dice Leoni - sono orientate al profitto che, quando non c'è, porta al fallimento delle aziende stesse. Come si può pensare di fare profitti su un bene pubblico come l'acqua, nei confronti della quale è in corso un movimento mondiale orientato al risparmio. Ricordiamo che l'accessibilità dell'acqua a tutti gli esseri umani è uno degli obiettivi del millennio».
www.corriere.it

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lunedì, 19 luglio 2010; 14:16

Record di firme ora in Cassazione
"No alla privatizzazione dell'acqua"
In piazza Navona a Roma gli scatoloni con un milione e 400mila schede che sono state portate dai magistrati per la convalida. Entro la primavera del 2011 si potrebbe tenere il referendum
GIULIA CERINO

ROMA - 
Oltre un milione e quattrocentomila firme per i referendum abrogativi delle norme che consentono la privatizzazione dell'acqua. In meno di sei mesi: un record. La corsa referendaria contro la privatizzazione della gestione del servizio idrico italiano è terminata. Il frutto del lavoro del Forum dei movimenti per l'acqua è tutto contenuto in più di cento scatoloni di cartone pieni di moduli referendari disposti al centro di Piazza Navona, a Roma. Dietro la montagna di box bianchi e azzurri, un camioncino pronto a dirigersi verso la Cassazione, dove le firme devono essere depositate. Da adesso in poi, infatti, si tratterà solo di aspettare il verdetto della Corte e sperare che dal ministero dell'Interno arrivi il via libera. Se così fosse, entro la fine della primavera 2011, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi in merito a tre quesiti referendari:  l'articolo 23 bis che prevede che le società, per fornire servizi idrici, si trasformino in aziende miste con capitale privato al 40%, l'articolo 150 del decreto legislativo 152/2006 che contempla, come unico modo per ottenere l'affidamento di un servizio idrico la gara e la gestione attraverso società per azioni, e in merito all'ultimo quesito, quello relativo all'abrogazione dell'articolo 154, nella parte in cui si impone al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa.

Le cose sono andate meglio di come il Forum dei movimenti per l'acqua, l'organizzatore della campagna, si aspettasse. Dopo due mesi, le firme erano già 500mila e a fine giugno la campagna aveva già battuto tutti i record: un milione e 400mila firme raccolte in tutta Italia. Ma la battaglia non è stata delle più facili. E anzi, in alcuni momenti, andare avanti con la raccolta firme è stato più faticoso del previsto. Prima i battibecchi con il leader dell'Idv, Antonio di Pietro, che ha presentato un quesito referendario sull'acqua concorrente a quello siglato dal Forum. Poi i tentativi di rappacificazione. Infine, la rottura definitiva 1 tra l'ex magistrato ed il movimento referendario. A maggio le critiche di una parte della rete, la nascita del comitato di cittadini "Acqualiberatutti" per il No al referendum. Infine il botta e risposta durato più di tre mesi tra il ministro Ronchi e il Forum. A giugno poi l'annuncio che, "pur rimanendo sulle proprie posizioni, il Pd aveva deciso di sottoscrivere il terzo quesito referendario presentato dai movimenti, quello relativo agli investimenti sulle reti idriche".

Una battaglia lanciata con il sostegno di nomi noti: da Stefano Rodotà, uno degli ideatori dei tre quesiti al presidente della regione Puglia, Nichi Vendola. Ma portato a termine con migliaia di banchetti in tutta la penisola. Anche nelle sezioni di partito. Con momenti di grande visibilità come durante la Marcia della pace Perugia-Assisi di metà maggio, o i gazebo volanti durante il Giro d'Italia.
www.repubblica.it

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lunedì, 19 luglio 2010; 00:43

L'acqua sarà quotata in Borsa sotto il controllo della multiutility Iride. L’accordo è stato concluso. Iride s.p.a, gigante dell'acqua pubblica italiana le cui sorti presto saranno decise dagli azionisti europei, è composta dalla fusione tra Amga e Aem, aziende municipalizzate di Genova e Torino. Il presidente della Spa è Ettore Gotti Tedeschi, anche attuale presidente dello Ior, la Banca Vaticana.
Iride ha annunciato l’accordo con il fondo F2i, Il Fondo Italiano per le Infrastrutture, che fu presentato da Tommaso Padoa Schioppa, Ministro dell’Economia, nel 2005. F2i è un fondo d’investimento che ha il fine di finanziare le infrastrutture in Italia. L’Amministratore Delegato di F2i è Vito Gamberane, una carriera tra Autostrade Italia, Eni, Banca Italia e Benetton e curava l'amministrazione di Atlantia. Il F2i è costituito da fondi di Cassa depositi e prestiti, fondazioni bancarie come la Cariplo, Mps, Crt, Carisbo e le banche Intesa Sanpaolo e Unicredit. Gli interventi sono basati sull'acquisizione di quote o l'acquisto di partecipazioni nelle infrastrutture nazionali, come la gestione dell’acqua, appunto.
L’obiettivo è di portare Iride a diventare il leader in Italia di tutto il "ciclo idrico integrato" (un ruolo che ora appartiene ad Acea Roma) partecipando alle gare che verranno bandite nei prossimi anni in rispetto alla legge Ronchi sui pubblici servizi. Un’ importante passaggio dell'operazione prevede che una società controllata da Iride rilevi il 17% di “Mediterranea delle Acque” ora in possesso di un gruppo francese Veolia, leader in Europa nella gestione del ciclo idrico integrato.
Così Iride arriverà a detenere l'85,3% di Mediterranea delle Acque e lancerà un'Opa (offerta pubblica d’acquisto) sul rimanente 14,7% a 3 euro per azione. Iride e F2i potrebbero creare quindi un polo industriale dell'acqua rafforzato grazie all'acquisizione di Mediterranea e divenire un "campione nazionale" del servizio idrico integrato.
Iride potrebbe anche compiere un altro passo in avanti e accorpare Enìa, la multiservizi emiliana quotata e nata dalla fusione delle spa di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Insieme, i due colossi creeranno un rapporto "padano occidentale" con 4 miliardi di capitalizzazione e 2,5 milioni di "clienti” al Sud.

Ma cosa comporta tutta questa manovra? Semplice, l'acqua arriverà in borsa e la gestione del servizio idrico sarà svolta da grandi capitalisti che ne cureranno solo i profitti e gli investimenti. I Comuni d'Italia saranno danneggiati: dovranno rinunciare pubblicamente al loro ruolo di "imprenditori-gestori" dei beni comuni divenendo meri "azionisti".
Come ha notato Massimo Mucchetti <<il Comune non sarà più responsabile e garante di un servizio e di un diritto per tutti i cittadini ma sarà solo uno dei tanti soci che attende l'assemblea di aprile per sapere quanto incasserà sotto forma di dividendo>>.
 



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sabato, 17 luglio 2010; 10:09



ACQUA PUBBLICA: ROMA, LUNEDÌ IL DEPOSITO IN CASSAZIONE DELLE FIRME
PER IL REFERENDUM 

“Un milione di firme… qui comincia l'avventura”. Lunedì 19 luglio, a Roma, a piazza Navona, si terrà un’iniziativa pubblica in occasione del deposito in Corte di Cassazione delle firme a sostegno dei tre referendum per l'acqua pubblica. Alle 9.30 è previsto l’arrivo degli artisti, con l’allestimento di un muro di scatole di raccolta firme: "Poniamo un argine alla privatizzazione dell'acqua". Inizio spettacoli di strada, performance artistiche, esibizioni. Alle 10.30 ci sarà la conferenza stampa e interventi dei referenti territoriali e dei rappresentanti delle organizzazioni aderenti all'iniziativa referendaria. Alle 11.30 seguirà la costruzione di una coreografia per la realizzazione del "Quarto stato dell'acqua". Consegna simbolica delle firme alla Corte di Cassazione (Palazzo di Giustizia): trasferimento di tutti i partecipanti con le scatole con le firme a piazza dei Tribunali insieme con musici e saltimbanchi. La reale consegna dei moduli di raccolta firme avverrà in contemporanea all'iniziativa pubblica: l'appuntamento con l'Ufficio centrale per il Referendum della Corte di Cassazione è per le 10.00 e 9 persone del Comitato promotore vi si recheranno per adempiere a tutti gli obblighi amministrativi.

http://www.agensir.it

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sabato, 17 luglio 2010; 09:54


Caltagirone sale ancora in Acea
Anche Gdf-Suez ha rilevato nuove quote per arrivare al 10,4%

di Laura Serafini 
ROMA 
I due maggiori soci privati di Acea continuano a rincorrersi nel gioco al rialzo degli arrotondamenti delle rispettive partecipazioni nel capitale dell'utility.
Ieri Francesco Gaetano Caltagirone ha annunciato di aver raggiunto quota 13,1 per cento, aumentando di circa lo 0,1% la soglia che aveva raggiunto a metà giugno. Due giorni fa era stata la volta di Gdf-Suez a comunicare alla Consob che aveva ritoccato di uno 0,1% la partecipazione portandola dal 10,3 al 10,4 per cento.
Questo flusso continuato a intervalli di 1530 giorni sugli acquisti effettuati dai due gruppi è dovuto alle regole fissate dall'autorità che vigila sui mercati in tema di trasparenza sulle partecipazioni possedute e che impongono di aggiornare periodicamente il mercato anche sui minimi spostamenti. Ma riflette anche il processo ormai in corso da un paio di mesi che vede i due soci fino a qualche mese fa antagonisti - procedere ad acquisti parcellizzati pressochè quotidiani, forse con l'obiettivo di minimizzare l'impatto sul titolo Acea. Nonostante ciò, i corsi azionari dell'utility stanno risentendo dello shopping: il titolo ha raggiunto il picco massimo da inizio anno, pari a 8,67 euro, lunedì scorso, contro il minimo di 7,18 euro di metà gennaio. Una riprova della ripresa del titolo si ha nei prezzi pagati da Caltagirone per i suoi recenti acquisiti: l'ingegnere,che ha comprato per tutto il mese di giugno, ha pagato le azioni da un minimo di 7,87 euro ad un massimo di 8,46 euro ciascuna.
Lo shopping nel capitale fa da sfondo al negoziato avviato da qualche settimana per sciogliere gli accordi di joint venture siglati dall'utility con Electrabel in passato e che oggi vanno piuttosto stretti alla subentrata Gdf-Suez.
Dopo mesi di scontro, GdfSuez e Caltagirone hanno trovato un punto di accordo su come uscire da una crisi che aveva portato il vertice di Acea alla decisione di avviare l'arbitrato internazionale. È stata trovata un'intesa generale sulla prospettiva di dividere gli asset, ma sulle modalità la trattativa è ancora in alto mare. Il diavolo, come si dice, è nei dettagli e soprattutto nei risvolti economici derivanti da ogni spostamento di asset. È per questo motivo che le varie parti coinvolte nel negoziato sono alquanto scettiche sul fatto che in occasione del consiglio di amministrazione del 27 luglio, convocato per l'approvazione della semestrale, si vada oltre un'informativa generale ai consiglieri sui progressi fatti sino a quel momento. Ieri il presidente di Acea, Giancarlo Cremonesi ha voluto comunque mostrarsi ottimista. «Si sta cercando di dividere i vari asset in modo che ognuno si dedichi a quelli di propria esclusiva competenza- ha detto Cremonesi- . I presupposti di un accordo ci sono anche se, finché non si arriva alla firma, l'eventualità di un arbitrato non è scongiurata ». Un commento, quest'ultimo,che lascia intravedere la possibilità che il negoziato su come accordarsi non stia andando in discesa. Il presidente ha poi aggiunto che «l'indicazione all'advisor è di concludere il suo lavoro prima di agosto. Penso sarà così, poi se serve qualche giorno in più non é un problema. Al cda del 27 luglio ci sarà un'informativa, non so se un'ipotesi completa di soluzione, ma certamente un aggiornamento della situazione».

da il sole 24 ore


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mercoledì, 14 luglio 2010; 23:17

PUBLIC SERVICES.

Water, water everywhere…
Provisions to privatise further the management of Italy’s water supply have met with opposition from consumers Opponents of the privatisation of water services demonstrate in Rome ahead of World Water Day last spring.     
        
Walk through any major square in Italy over the next couple of weeks and chances are you will be stopped and asked to lend your support to a campaign titled “L’acqua non si vende”, or “Water is not for sale”. The campaign, which runs until 24 July, is an initiative of the Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, a network of national associations and local committees that is collecting signatures for a referendum against the liberalisation of Italy’s water system. As of 21 June over one million signatures had been gathered – 500,000 more than are needed to call a referendum – according to the Forum’s websitewww.acquabenecomune.org. In Rome in mid-June protesters covered the characteristic public drinking fountains or nasoni (literally meaning “big nose”, a reference to the nose-shaped spout) with black plastic bags, padlocks, chains, posters and other material to draw attention to the campaign.

At the heart of the protest is the so-called Ronchi law of 2009 paving the way for the greater participation of private investors in the management of water services which, despite earlier moves towards privatisation, is still largely the prerogative of the local authorities (see Water services in Italy box). Under the new law from 2012 water supplies must be managed exclusively by private companies or by mixed public-private enterprises where the private investor holds at least 40 per cent, and contracts must be awarded by tender. In addition local authorities with a stake in utilities listed on the stock exchange are asked to reduce their shareholding gradually to a maximum of 30 per cent by the end of 2015. The ownership of the infrastructure (aqueducts, water treatment plants etc) remains in the hands of the state.

The government, through European affairs minister Andrea Ronchi who gave his name to the law, insists that the provisions are needed to bring Italy into line with European regulations. However opponents argue that water is a common good and that access is a fundamental right and as such that it cannot be subject to the laws of the free market. Local authorities across Italy immediately expressed their opposition to the changes and seven regions – Puglia, Liguria, Piemonte, Marche, Valle d’Aosta, Tuscany and the autonomous province of Trento – have appealed to the constitutional court against the law, claiming it violates regional autonomy. Meanwhile three referendum questions have been drawn up by eminent Italian jurists and deposited before the supreme court of cassation (see Referendum box).

Italy prides itself on having one of the lowest water rates in Europe. In Rome, where supplies are managed by the listed water and energy utility ACEA SpA, water costs on average just over ?1 per cubic metre, compared with ?2.7 per cubic metre in London, ?3.1 per cubic metre in Paris and ?6.3 per cubic metre in Berlin according to figures from the World Water Forum 2009. However at the same time the country loses about 30 per cent of its water (although in some areas the figure is much higher) from leaky aqueducts and theft, compared to a maximum of 20 per cent in other developed nations. This translates into losses for the water management companies of ?226 million per year and, together with waste in agriculture and industry, is also responsible for shortages and rationing particularly in southern Italy and during the summer months.

Supporters of liberalisation argue that greater private investment in Italy’s water system will make it more efficient and generate capital for much-needed investment in infrastructure and maintenance. However recent experiences of public-private management in various parts of the country suggest that this is not always the case.

In 2002 in the province of Latina in southern Lazio the management of local water supplies passed to AcquaLatina SpA, a mixed capital company controlled by the local municipalities and with a 49 per cent shareholding by the French water giant Veolia. Since then rates for consumers have risen by up to 500 per cent, while investments totalled ?74.5 million to 2008 against ?146 million stipulated under the original management contract according to Fabrizio Consalvi of the Comitato Cittadino Difesa Acqua Pubblica di Aprilia. This has prompted residents of one town, Aprilia, to refuse to pay their bills and demand that the local council resume management of the water supply.

In the province of Terni in Umbria residents currently pay an average of ?2,11 per cubic metre to their water provider, a mixed capital company called Servizio Idrico Integrato (SII) which was awarded the concession in 2003. This compares with an average rate of ?0.61 per cubic metre in 2002. Local Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua representative and Terni resident Maria Cristina Garofalo says that in her neighbourhood services have deteriorated over the same period, with supplies failing to keep pace with new building and increased demand.

Similar tariffs apply in the province of Arezzo and part of the province of Siena in Tuscany, where water services have been managed since 1999 by Nuove Acque SpA, a public-private company owned to 46.16 per cent by the consortium Intesa Aretina led by Gas de France (GDF) Suez and with participation by ACEA SpA. However here price hikes have corresponded to a real improvement in water quality, prompting many consumers to shift from bottled mineral water to tap water.

In light of the Ronchi law in May Italian utility group Iride and investment fund F2i announced a voluntary total takeover bid for Mediterranea delle Acque SpA, the company that currently manages water services in most municipalities in the province of Genova, as part of a project “for the concentration and development of water activities” according to a joint Iride and F2i press release. Iride already owns just over 68 per cent of Mediterranea delle Acque SpA through its subsidiary Iride Acqua e Gas SpA.

Likewise the main private shareholders in ACEA SpA, Roman real estate developer and media magnate Francesco Gaetano Caltagirone and GDF Suez (the same group that has stakes in Nuove Acque SpA in Tuscany), recently increased their shares in the company to just under 13 per cent and just over 10 per cent respectively, possibly in anticipation of the obligatory sale by Rome city council of at least 21 per cent of its present 51 per cent stake. ACEA SpA was once a local Rome company but according to its website it is now the largest supplier of water in the country, with interests in Tuscany, Umbria and Campania as well as Lazio.

Experts say clear rules on privatisation and an independent water business regulator are still needed before there can be a significant increase in private investment in Italy’s water industry. These, according to EU affairs minister Ronchi, should be in place by the end of the year. So it may only be a matter of time before these early manoeuvrings by providers give way to a flurry of merger and acquisition activity in the sector. The result could be a concentration of the management
Water services in Italy

In 1994 the Italian parliament approved a water and sewerage services reform (the so-called Galli law) to increase the efficiency of what had until then been a highly fragmented sector. This law provided for the restructuring of the industry by the regions through the aggregation of municipalities into single areas known as optimum territorial entities (ambiti territoriali ottimali, ATOs) – usually corresponding to the region or province – with a single water provider and a unified tariff system in each area. The law did not require local utilities to be privatised but it gave ATOs considerable flexibility in deciding how to manage their water services: through a public enterprise (so-called “in house provision”) or by concession to a private operator or a mixed public-private company, where private partners would be selected by tender. 

Tariffs in any given ATO are set by a special authority and must guarantee the provider at least a seven per cent return on their investment.
To date 92 ATOs have been created under the terms of the Galli law, of which 69 have appointed a provider (in some cases more than one), according to the 2009 report to parliament of the Commissione Nazionale di Vigilanza sulle Risorse Idriche. Currently there are 114 providers operating in Italy, of which 58, or over 50 per cent, are public enterprises.

The Ronchi law does not alter the basic organisation of the industry with respect to the Galli law but rather increases the requirement for private participation in the delivery of services.

Referendum

The Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua is promoting a referendum against the privatisation of public water management services. Three questions have been put forward. The first seeks to repeal the part of the 2009 Ronchi law about the greater participation of private capital in water management services; the second to repeal part of the earlier Galli reform concerning the assignment of water management concessions to third-parties; and the third to repeal part of the same reform requiring water rates to allow for “an adequate return on invested capital” on grounds that any profits should be reinvested back into the improvement of services.

For the referendum to go ahead the supreme court of cassation first needs to validate the 500,000 signatures needed and the constitutional court to confirm the constitutionality of the proposal. Only then can a date be set for the referendum. If all goes to plan the vote will be held in spring 2011.


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Laura Clarke, 07/07/2010

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mercoledì, 14 luglio 2010; 09:28




CORTE DEI CONTI, FOTOGRAFIA DELLE PARTECIPATE DAGLI ENTI LOCALI


5.860 organismi partecipati da 5.928 enti (Comuni e Province), costituiti da 3.787 società e 2.073 organismi diversi. Sono i dati fotografati dalla Corte dei Conti e relativi ad un’indagine sul fenomeno delle partecipazioni degli enti locali negli anni 2005-2008. Il 64,62% è rappresentato da organismi aventi forma giuridica societaria. Di essi, il 43,17% è formato da società per azioni, il 37,02% da società a responsabilità limitata, il 14,68% da società consortili ed il 5,12% da società cooperative.
Per ciascuno degli anni componenti il triennio 2005/2007 (lasso temporale in cui si dispone di un numero maggiore di informazioni), gli organismi societari rilevati nell'istruttoria presentano un aumento dell’11,08 per cento. Per quanto riguarda le performance societarie, osserva la Corte dei Conti, l’area di approfondimento è stata lo stock di 2.541 società partecipate sempre presenti nel triennio 2005-2007. All’interno di queste, l’area di maggiore criticità è rappresentata da 568 società sempre in perdita, corrispondenti al 22,35% delle società ricorrenti nel triennio. L’area di attività prevalente è quella dei servizi diversi dai servizi pubblici locali, in cui è presente il 63,32% delle società sempre in perdita. Il settore che espone la percentuale più elevata di perdite reiterate è quello delle attività culturali sportive e di sviluppo turistico, seguito dai servizi di supporto alle imprese.
Nel documento approvato dalla Corte si ricorda, inoltre, che con la manovra 2010 il legislatore ha vietato la costituzione di società ai Comuni con popolazione inferiore a 30mila abitanti i quali, entro il 31 dicembre 2010, dovranno mettere in liquidazione quelle già costituite ovvero cederne le partecipazioni. I Comuni tra 30mila e 50mila abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società e dovranno liquidare le altre società già costituite entro il 31 dicembre 2010. Il divieto, scrive la Corte, «è dirompente» e «avrà indubbiamente effetti significativi, sotto il profilo sia economico che sociale» e inoltre «la previsione di un termine cosi ravvicinato, per quanto non perentorio, potrebbe indebolire la posizione dell'ente rispetto ai terzi interessati, che potrebbe essere chiamato a deliberare la dismissione di una quantità anche rilevante di partecipazioni, determinando un presumibile depauperamento economico del valore dell'impresa».

http://www.federutility.it/quindici/

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lunedì, 12 luglio 2010; 07:01


Quando speculazione edilizia ci cova

L’interesse dei palazzinari romani per Acea - primi fra tutti il gruppo Caltagirone, divenuto primo socio privato - non ha solo un valore speculativo, legato ad investimenti in un settore a ricavo garantito. Acqua e cemento sono in realtà strettamente legati. Nessun piano di espansione urbanistica può funzionare se dove arrivano i palazzi non dovessero esserci acquedotti e fognature. Sapere dove realizzare condomini, villette e lottizzazioni significa avere la certezza della presenza - più o meno futura - dell’acqua. E a volte è proprio su questo versante che giocano i gestori delle risorse idriche. Sta accadendo proprio in questi giorni ad Aprilia. «Festa d’Aprilia» era il titolo che annunciava la scelta rivoluzionaria del comune in provincia di Latina. Il consiglio comunale a fine aprile aveva votato una delibera chiara e netta: Acqualatina deve restituirci gli impianti, visto che non abbiamo mai approvato la convenzione di gestione. La società privata partecipata da Veolia non rispose. È rimasta silenziosa, aspettando, come si dice, il cadavere del nemico scorrere sul fiume. Qualche giorno fa lo stesso sindaco che aveva promosso quella delibera, il socialista D’Alessio, ha garantito di voler cedere ad Acqualatina una nuova parte di fognatura. Il motivo di questa scelta è presto detta: senza quell’atto tanti costruttori non potranno avere l’abitabilità e vendere gli appartamenti appena realizzati. Senza acqua e senza fogne l’espansione edilizia non sarebbe possibile.
Qualcosa di analogo accade anche in provincia di Roma. Ci sono città nella zona a sud della capitale dove i depuratori servono solo la metà della popolazione. È il caso di Velletri, dove decine di cantieri sono stati realizzati in una zona con fogne a cielo aperto, senza collegamento alla depurazione. Quando chi comprerà quegli appartamenti andrà da Acea, si vedrà negare l’allaccio dell’acqua. E se il sindaco non vorrà trovarsi davanti alla porta i palazzinari infuriati dovrà contrattare con il gestore romano gli interventi. Lo stesso - in scala maggiore - avviene con l’acqua potabile. Migliaia di persone si stanno spostando dalla capitale verso i Castelli romani, zona in eterna emergenza idrica e con la maggiore speculazione edilizia della regione Lazio. E le chiavi dell’acquedotto sono in mano ad Acea.

www.ilmanifesto.it

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