domenica 8 gennaio 2012





L'acqua del Canada all'asta 

di Sylvie Paquerot ed Émilie Revil* 

I negoziati in vista della creazione di un'Area di libero scambio delle Americhe (Alca) entro il 2005, o addirittura il 2003, provocano una forte mobilitazione contro il Vertice, previsto per i giorni 20-22 aprile a Quebec (si legga il box alla pagina seguente). I timori - molti - sono più che giustificati al Nord, tenuto conto dell'esperienza dell'Accordo di libero scambio nord-americano (Nafta) in vigore fra Canada, Stati uniti e Messico dal 1994 che, si ritiene, servirà da modello per l'integrazione continentale. Uno degli elementi della posta in gioco, l'acqua, consente di capire la logica che si nasconde dietro questo negoziato. L'acqua, elemento indispensabile tanto per la perennità degli ecosistemi quanto per la sopravvivenza della specie umana, corre infatti il grave rischio di diventare una merce come tante altre. Le grandi corporation fanno a gara per sfruttare commercialmente la penuria del prezioso liquido. Insieme ai pochi paesi che possiedono questa risorsa, esse si immaginano volentieri come l'«Opec dell'acqua», fingendo di dimenticarsi che si tratta di una risorsa vitale. Nell'America del nord, gli appetiti sono già voraci e i grandi media fanno da cassa di risonanza a questa prospettiva. Il Toronto Globe and Mail, in Canada, prevedeva fin dal 1991 che la privatizzazione dell'acqua sarebbe diventata la mega-industria del futuro decennio. Quanto al Wall Street Journal, esso annunciava nel 1998 che, dopo il telefono, l'energia e il gas, l'acqua sarebbe stata il prossimo servizio in cui la competizione internazionale avrebbe dato il meglio di sé.
In realtà, mentre la popolazione canadese si preoccupa dei rischi che incombono sulle sue risorse idriche dopo accordi commerciali come il Nafta, le grandi società d'ingegneria e di trasporto aspettano pazientemente il giorno in cui potranno finalmente organizzare il commercio mondiale dell'acqua come quello del petrolio o del legno.
Diviso tra queste due aspirazioni, il governo di Ottawa sceglie l'ambiguità: si dice determinato a proteggere le sue acque - secondo il desiderio della grande maggioranza dei suoi concittadini - , ma è altrettanto determinato a far aprire i mercati delle Americhe alle numerose aziende canadesi che operano nel settore. Già sottoposti alle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), i governi delle Americhe stanno trattando il quadro di riferimento di una vasta zona di libero scambio «dall'Alaska alla Terra del Fuoco» in cui le regole del libero mercato estenderebbero ulteriormente il loro predominio. Già il Nafta impone vincoli molto più pesanti di quelli dell'Omc ai suoi stati membri: in virtù del suo capitolo 11, gli investitori, ormai dotati dello status di soggetti di diritto internazionale finora riservato agli stati, possono citare direttamente in giudizio i governi. Così, quando uno di essi si ritiene vittima di una discriminazione, può aprire un procedimento contro i pubblici poteri invocando l'obbligo di trattamento nazionale. È quanto prevede anche l'Accordo multilaterale sugli investimenti (Ami) elaborato nel quadro dell'Ocse e abbandonato (probabilmente a titolo provvisorio) nel 1998.
Il capitolo 11 (1) consente di «garantire» il commercio dell'acqua a più di un titolo. In primo luogo, se le autorità canadesi sceglieranno di riservare i prelievi massicci d'acqua, la sua esportazione o persino la gestione dei suoi servizi di distribuzione a compagnie canadesi private, potranno essere chiamate in giudizio dalle società di altri paesi membri del Nafta che saranno tenute a risarcire. D'altronde occorre rilevare che le deroghe previste dall'articolo XX dell'Accordo generale sul commercio dei servizi (Gatt), predecessore dell'Omc, non si applicano nell'ambito del capitolo 11 del Nafta che regola l'insieme delle risorse idriche, compresi i diritti di accesso all'acqua allo stato naturale. Nel 1998, i governanti californiani ritenevano che, nel caso non siano individuate altre fonti entro il 2020, lo stato dovrà affrontare una penuria idrica pari al suo attuale consumo globale. Ma quali potrebbero essere queste «nuove fonti»? Il commercio globale dell'acqua vi provvederà, nella misura in cui la domanda potrà incontrare l'offerta! Il Canada possiede acqua in abbondanza e, prima o poi, dovrà inevitabilmente «condividerla» con i vicini, secondo quanto afferma il responsabile della compagnia californiana Sun Belt, che ha citato in giudizio Ottawa (2) perché non ha potuto procedere a esportazioni massicce verso la California, perdendo quindi forti introiti. Peraltro il Nafta comprende un capitolo sui servizi, con un elenco di eccezioni che non includono l'acqua. In questo senso, anche i servizi di distribuzione e di bonifica sarebbero coperti dall'Accordo, e la clausola del trattamento nazionale si potrebbe applicare, come precisa l'articolo 1202 che, secondo alcuni giuristi, comprenderebbe anche il diritto di dispensare questi servizi oltre le frontiere, e non solo di fornirli alla popolazione canadese. Infine, in base a una disposizione anch'essa unica nel suo genere - il principio del trattamento proporzionale - iscritta nel Nafta, una volta avviata l'esportazione dell'acqua, ad esempio verso gli Stati uniti, ogni restrizione eventualmente invocata dal governo canadese dovrebbe essere associata a identiche restrizioni sul piano interno. In altre parole, una volta avviata l'esportazione d'acqua verso un paese che aderisce all'Accordo, quest'ultimo avrebbe il diritto di esigere, praticamente per sempre, la frazione corrispondente delle acque canadesi (art. 315). Nell'eventualità dell'estensione di queste clausole all'Alca, il governo canadese, come quelli di tutti gli altri paesi delle Americhe, perderebbe addirittura il diritto di decidere di non esportare la sua acqua verso un paese che la dilapida, come gli Stati uniti. Nella realtà, una volta commercializzata, l'acqua viene sottratta al principio della «sovranità permanente sulle risorse naturali».
Con l'Alca, tutti i popoli delle Americhe sarebbero tenuti, legalmente, a perpetuare un uso non sostenibile delle risorse idriche del continente, e ad accettare una suddivisione non equa ma mercantile di questa risorsa vitale, in funzione della legge della domanda e dell'offerta.
In ogni caso, per molti strati della popolazione lo status di consumatore in questo vasto mercato non ha alcun senso, poiché si tratta di gente che sopravvive solo attraverso l'autosufficienza alimentare. Nella logica del libero mercato, l'aumento del prezzo dell'acqua, attraverso la pressione della domanda su una risorsa limitata, provoca un rialzo della quotazione, come in un meccanismo d'asta: l'acqua si trasforma così in ricchezza per quanti possono accaparrarla, ovunque essa sia.
Eppure si tratta dell'acqua di cui gli ecosistemi e le popolazioni hanno bisogno per vivere, senza tuttavia disporre del denaro che sarà necessario per acquistarla, dopo che si è accettata la logica della sua commercializzazione. Risorsa vitale, l'acqua è emblematica del dibattito in corso nelle Americhe. Se la vita non è una merce, occorre urgentemente ritrovare il senso e lo spazio di un bene comune collettivo, di un patrimonio comune dell'umanità che non può in alcun caso essere sottoposto agli imperativi del mercato. In questa logica in cui la rarità determina il prezzo, e il valore dei beni viene fissato secondo la legge della domanda e dell'offerta, un computer vale più di una vita, poiché non sarà mai possibile soddisfare la «domanda» degli ecosistemi, non più di quella di milioni di esseri umani «pari in dignità e in diritti», come si diceva solennemente non più di mezzo secolo fa.
«Escludere l'acqua da tutte le transazioni internazionali, escluderla dal campo dell'Omc e dei trattati sugli investimenti internazionali e, dall'altra parte, prevedere una gestione della suddivisione dell'acqua a livello mondiale» (3). È questo il primo passo simbolicamente essenziale.
Infatti, attraverso l'acqua, è il diritto alla vita che bisogna escludere dalle transazioni commerciali, così come l'insieme dei beni comuni dell'umanità, l'istruzione, la salute, la conoscenza e l'informazione. 
note: 
*Rispettivamente presidente dell'Association québécoise pour le Contrat mondiale de l'eau, e membro del gruppo di ricerca d'interesse pubblico dell'università del Quebec a Montreal (Uqam).
(1) Il governo canadese cerca attualmente di rimettere in discussione il capitolo 11. Leggere «Canada seeks Nafta Chapter 11 review», The Globe and Mail, Toronto, 13 dicembre 2000.
(2) Leggere Anthony de Palma, «Nafta's Long Reach: National Laws are Overturned», International Herald Tribune, Parigi, 13 marzo 2001.
(3) Valérie Peugeot, «L'eau, patrimoine commun», Transversales Science Culture, n° 54, novembre-dicembre 1998. Leggere inoltre Roger Durand, L'Eau et la vie, ed. Opéra, Nantes, 2001, pp. 222, Fr. 120.

Le Monde Diplomatique aprile 2001

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