lunedì, 27 ottobre 2008; 08:20
Internazionale n.766 anno 15 – 17/23 Ottobre 2008
*MORIRE PER LA COCA COLA*
Minacce, aggressioni, agguati. In Colombia gli operai della Coca-Cola
iscritti al sindacato rischiano la vita ogni giorno. Qual è la
responsabilità dell'azienda? L'inchiesta di Mark Thomas
MARK THOMAS(*), THE GUARDIAN, GRAN BRETAGNA
BOGOTA PUÒ VANTARSI DI essere una città moderna, con un centro
finanziario e perfino dei grattacieli. Ma il mondo del commercio
internazionale sembra molto lontano quando si passa accanto ai venditori
di sigarette sfuse e ai piccoli negozi con la merce che arriva fino al
marciapiede. Lasciando la confusione mattutina delle vie laterali, in
pochi minuti si raggiunge Teusaquillo, dove le strade sono più larghe e
ci sono meno buche. Un tempo i ricchi vivevano qui, ma se ne sono andati
da un pezzo. Al loro posto sono arrivati avvocati che difendono i
diritti umani, associazioni e ong.
Sulla facciata di una casa con un muro basso di mattoni, la scritta che
prometteva "Morte ai sindacalisti" è stata cancellata con una mano di
vernice. Ora niente annuncia che questa casa anonima ospita il Sindicato
nacional de trabajadores de la industria de alimentos (Sinaltrainal,
sindacato nazionale dei lavoratori dell'industria alimentare). Il
Sinaltrainal è il più grande sindacato nel "sistema Coca-Cola" della
Colombia e rappresenta più della metà dei lavoratori organizzati di
questa società. Dopo più di dieci anni di attacchi e intimidazioni, i
suoi iscritti sono diminuiti. Oggi negli impianti dove viene
imbottigliata la Coca-Cola gli iscritti sono 350.
Nella sede del sindacato incontriamo Giraldo e Manco. Arrivano in giorni
di-versi, danno le loro testimonianze sepa-ratamente ma raccontano la
stessa storia. I manifesti appesi nella stanza dove parliamo lanciano
appelli al boicottaggio e chiedono giustizia: ci sono pistole dipinte in
rosso e bianco, i colori della Coca-Cola. I nomi e le foto dei
sindacalisti morti sono dappertutto: Giraldo e Manco li conoscevano,
erano amici e parenti. E raccontano come sono morti.
Oscar Alberto Giraldo Arango ha 42 anni, ma ne dimostra di più. La
Colombia è il paese più pericoloso del mondo per gli iscritti al
sindacato: dal 1986 ne sono stati uccisi 2.500. "Fare il sindacalista in
questo paese significa camminare con una lapide sulla schiena", mi
dicono la prima volta che ci incontriamo. E hanno un'aria stanca, come
se avessero trasportato davvero quel peso sulle spalle.
*Nessuna condanna*
Giraldo è cresciuto a Carepa, Urabà, nel nordovest della campagna
colombiana vicino alla frontiera con Panama. Ha cominciato a
imbottigliare la Coca-Cola nel 1984, nell'impianto di Bebidas y
Alimentos de Urabà. Quando lo raccontava in giro, i suoi amici si
congratulavano perché aveva trovato un buon posto. Ed era davvero così.
Il sindacato aveva fatto molto per gli operai, garantendo premi,
straordinari e assistenza sanitaria. Nel 1994, però, le scritte sui muri
annunciarono l'arrivo dei paramilitari a Carepa: "Siamo qui". Poco dopo
comparvero anche i cadaveri.
Il primo lavoratore e sindacalista della Coca-Cola assassinato a Carepa
è stato José Eleazar Manco, nell'aprile del 1994. Il secondo fu ucciso
qualche giorno dopo. Era il fratello di Giraldo, Enrique. Andava sempre
al lavoro con la moto di un amico. Quella mattina tre uomini sbucarono
al lato della strada e puntarono la pistola contro la moto. Lo
costrinsero a fermarsi e lo trascinarono nei cespugli. Quando Giraldo
arrivò al lavoro, tutti parlavano del sequestro. Presto le ipotesi più
pessimiste si trasformarono in certezza: il corpo di Enrique fu trovato
sul ciglio della strada.
I gruppi paramilitari colombiani si sono formati durante il conflitto
tra lo stato e la guerriglia rivoluzionaria. Nel 1982 alcuni ufficiali
agli ordini del generale Landazàbal, il ministro della difesa,
lavorarono con multinazionali e allevatori per organizzare e finanziare
dei "gruppi di difesa". In teoria avrebbero dovuto combattere i gruppi
ribelli di sinistra, ma presto i paramilitari si legarono ai cartelli
della droga e all'esercito. Formarono le squadre della morte, aggredendo
e uccidendo chiunque fosse sospettato di sostenere i guerriglieri di
sinistra, cioè tutti quelli che lavoravano nelle organizzazioni per i
diritti umani e nei sindacati. Ancora oggi il ritornello comune nella
classe dirigente e tra le forze di sicurezza è che i guerriglieri e i
sindacalisti sono la stessa cosa.
Il leader dei paramilitari Carlos Castano dichiarò che il 70 per cento
dei finanziamenti alla sua organizzazione proveniva dall'industria della
cocaina. Ma Castano era anche un sostenitore delle politiche economiche
neoliberiste e degli investimenti delle multinazionali in Colombia.
Perché, quindi, le aziende nazionali e internazionali non avrebbero
dovuto appoggiarlo? In un'intervista Castano dichiarò che dietro gli
attacchi dei paramilitari c'era sempre una ragione: "I sindacalisti, per
esempio. Impediscono alle persone di lavorare: per questo li uccidiamo".
Secondo la Confederazione internazionale dei sindacati, solo l'I per
cento degli assassini dei sindacalisti è stato condannato. E il
presidente Alvaro Uribe non ha fatto niente per cambiare questa
situazione. "In Colombia nessuno uccide i lavoratori", ha dichiarato,
aggiungendo che nel movimento sindacale ci sono delle "mele marce".
Giraldo convive con la morte del fratello da quattordici anni. Nessuno è
stato accusato per l'omicidio di Enrique. "Non ci sono state molte
indagini", spiega. Un anno dopo fu ucciso Enrique Gómez Granado, un
leader del Sinaltrainal che lavorava nell'impianto d'imbottigliamento di
Carepa: gli spararono il 23 aprile 1995 sulla porta di casa, sotto gli
occhi della moglie e dei figli.
Quando anche altri leader sindacali furono minacciati, diventò chiaro
che si trattava di una campagna contro il sindacato dell'impianto della
Coca-Cola. I sindacalisti erano pedinati all'uscita dal lavoro e
ricevevano messaggi intimidatori. I dirigenti scapparono in massa a
Bogotà e gli operai dell'impianto di Carepa rimasero senza un vero
sindacato. Così cominciarono a riunirsi in segreto. "Decidemmo di creare
un nuovo sindacato clandestino"
, racconta Giraldo. Il presidente era
Luis Hernàn Manco Monroy (Manco).
*Lettera di dimissioni*
Come presidente della nuova organizzazione sindacale, Manco ha
collaborato alla stesura di una proposta di contratto collettivo. E il
sindacato è uscito allo scoperto. "Informammo la Coca-Cola che avevamo
una nuova segreteria. Così cominciarono gli incontri con i dirigenti
dell'impianto".
Il direttore di allora conosceva i paramilitari. Una volta, racconta
Manco, andò a bere con i comandanti locali fuori dallo stabilimento.
"Incontrammo i co-mandanti Cepillo e Caliche al chiosco: stavano bevendo
con il direttore dell'impianto. Lui diceva che, se avesse voluto, poteva
eliminare il sindacato in un batter d'occhio". All'epoca, sostiene
Giraldo, non erano molto preoccupati: "Non sapevamo cosa ci aspettava".
Lo avrebbero scoperto presto: il 6 dicembre 1996 fu il giorno più nero
nella storia di Carepa.
Il corpo di Isidro Gii giaceva dentro l'impianto. La prima pallottola lo
aveva colpito in mezzo agli occhi. Gli altri cinque colpi erano stati
sparati per sfregio. Un altro leader sindacale era stato ucciso. I due
paramilitari erano arrivati in motocicletta e avevano raggiunto il
gabbiotto della sicurezza accanto al cancello principale, dove lavorava
Isidro. Manco stava lavorando a una macchina poco lontana. Il direttore
era scomparso. "La linea di produzione si fermò", racconta Manco, "ma
nel pomeriggio rimanemmo in fabbrica perché eravamo troppo spaventati
per uscire. Non lavoravamo, aspettavamo e basta".
Anche Adolfo Luis Cardona, un militante sindacale soprannominato El
Diablo e che è stato anche un calciatore abbastanza famoso, aveva visto
Isidro morto. Mentre i suoi amici e colleghi di lavoro aspettavano nello
stabilimento, lui andò a Carepa. I paramilitari lo riconobbero e
gridarono che il comandante locale, Cepillo, voleva vederlo. "Vieni, non
ti succederà niente", dissero. "Sali sul camion, ti ci portiamo noi". El
Diablo, invece, si mise a correre. Scappò lungo la strada del villaggio
gridando: "Van a matar a mi", mi vogliono uccidere. Corse verso il
commissariato di polizia, che stava a quattro isolati di distanza. I
paramilitari lo inseguirono, uno in moto e gli altri a piedi. Gli davano
la caccia alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, ma nessuno fece
niente. El Diablo entrò nel commissariato chiedendo protezione e asilo.
I poliziotti si strinsero nelle spalle: "Che possiamo fare?", chiesero.
Ma alla fine lo scortarono fino a casa, aspettarono che la famiglia
preparasse le valigie e li accompagnarono all'aeroporto. Andarono prima
a Bogotà e poi negli Stati Uniti, dove El Diablo vive ancora oggi.
La mattina c'era stato l'assassinio di Isidro Gii, il pomeriggio il
tentato rapimento del Diablo. Quella notte gli uffici del Sinaltrainal a
Carepa, colpiti con delle bombe incendiarie, furono completamente
distrutti. Manco si era nascosto, ma il giorno dopo Cepillo fece
circolare la voce che voleva parlargli. Manco accettò e s'incontrarono
in una gelateria di Carepa. C'erano anche altri due sindacalisti.
Cepillo, un uomo grassottelle di circa 25 anni, era seduto a un tavolo
con un gruppo di paramilitari. "Cepillo disse che erano stati loro a
uccidere Isidro e a incendiare la sede del sindacato. Spiegò anche che
il sindacato era finito, perché era la stessa cosa della
guerriglia", racconta Manco. I paramilitari comunicarono i loro ordini:
alle nove del mattino del giorno successivo tutti gli iscritti al
Sinaltrainal furono convocati nell'impianto d'imbottigliamento e
costretti a firmare una lettera di dimissioni dal sindacato. Le lettere
sembravano preparate da una persona che lavorava per la Coca-Cola.
*Come Gap e Nike*
A Carepa il sindacato era stato distrutto. I dirigenti erano in
clandestinità, in esilio o morti. Gli iscritti, spaventati dalle
pallottole, dalle minacce e dalle intimidazioni, avevano rinunciato nero
su bianco ai loro diritti. Nello stesso periodo i dirigenti della
fabbrica introdussero una riduzione dei salari. Secondo il Sinaltrainal,
gli stipendi dei lavoratori specializzati scesero da 380-450 dollari al
mese a 130 : il salario minimo in Colombia. Interpellata sulla
questione, la Coca-Cola non ha voluto fare commenti né rispondere alle
domande.
A Bogotà Manco e Giraldo vissero per sei mesi nella sede del sindacato:
non avevano nessun altro posto dove andare. Alla fine, la famiglia di
Giraldo lo raggiunse e lui si trasferì. Da allora non ha più avuto un
lavoro atempo pieno. "Non sono riuscito a guadagnare granché. Ho fatto
solo dei lavoretti con contratti di tre o quattro mesi. Ci sono giorni
in cui non abbiamo niente da mangiare", racconta. "Essere costretto a
vivere a Bogotà è orribile. Ho perso la mia casa, la mia famiglia,
tutto", afferma Manco. La sua famiglia è rimasta a Carepa.
"Le accuse serie esigono una risposta seria", ha detto l'amministratore
delegato della Coca-Cola, Neville Isdell, a proposito delle denunce
contro gli imbottigliatori colombiani della società. Secondo il
Sinaltrainal, gli omicidi nell'impianto di Carepa facevano parte di un
piano su scala nazionale per colpire il sindacato: i paramilitari
avevano ucciso sette sindacalisti, gli imbottigliatori avevano rapporti
con i paramilitari e i dirigenti dell'impianto erano accusati di
comportamento antisindacale, intimidazione e molestie ai lavoratori.
Qual è stata la risposta della Coca-Cola? Il suo sito web mostra l'unica
revisione di bilancio pubblica dell'impianto d'imbottigliamento in
Colombia. La revisione è stata svolta nella primavera del 2005, più di
otto anni dopo l'omicidio di Isidro Gii. La revisione, condotta dalla
Cai safety compliance corporation, si concentra soprattutto sul rispetto
della legge: il rapporto riferisce di varie violazioni delle norme in
materia di salute e sicurezza, tra cui l'assenza di un dispositivo di
protezione per un contenitore di sciroppo, un numero insufficiente di
estintori e una documentazione inesatta su un dipendente. In seguito
sono state adottate le misure necessarie per adeguare le norme in
materia di sanità e sicurezza. Ma finora la Coca-Cola non ha indagato
sui presunti rapporti dei dirigenti dell'impianto d'imbottigliamento
colombiano con i paramilitari. Il quartier generale dell'azienda, ad
Atlanta, ha negato "ogni collegamento con qualunque violazione dei
diritti umani" e ha preso le distanze dagli imbottigliatori, affermando
che 'la Coca-Cola non possiede e non gestisce nessun impianto
d'imbottigliamento in Colombia". Questo è il metodo seguito dal "sistema
Coca-Cola", che agisce come una sola entità ma sostiene di non avere
responsabilità legali nei confronti della Coca-Cola Company. La
Coca-Cola non possiede gli impianti d'imbottigliamento, gli
imbottigliatori lavorano in franchising.
È un caso simile a quello di Gap e Nike negli anni novanta. I giganti
dell'abbigliamento avevano esternalizzato la loro produzione nelle
fabbriche dei paesi in via di sviluppo. Nike e Gap non costringevano i
lavoratori a un orario lunghissimo per uno stipendio da misera, ma al
loro posto lo facevano gli appaltatori. Secondo chi accusa le
multinazionali, però, le aziende avevano l'obbligo di far rispettare i
diritti umani in tutta la catena di produzione e per questo le
costrinsero ad adottare dei provvedimenti. Indipendentemente da dove
siano violati i diritti umani, se sull'etichetta appare il nome di
un'azienda questa ha la responsabilità di risolvere la situazione. Nel
caso della Coca-Cola questo ragionamento è ancora più valido. Anche se
la produzione era stata data in franchising a Bebidas y Alimentos e a
Panamerican Beverages (Panamco), la società deteneva il 24 per cento
delle azioni di Panamco. Quindi aveva una grande influenza sulla
gestione dell'azienda. Anche Hiram Monserrate, consigliere municipale di
New York, crede che la Coca-Cola sia corresponsabile. Per incontrarlo
sono andato a New York.
*Passare all'azione*
Monserrate rappresenta il 21esimo distretto, nel Queens, un quartiere
che guarda Manhattan dall'altra parte dell'East River, dove le case sono
molto più piccole e i salari più bassi. La linea politica di Monserrate,
un ex marine, è quella di un democratico del Queens : un misto di
liberismo in questioni come l'immigrazione unito a una forte vena
populista. Negli ultimi anni ha criticato duramente la Coca-Cola. Ha
lavorato con il fondo pensioni della città di New York per capire come
usare il suo pacchetto d'azioni della Coca-Cola in modo da influenzare
la società, presentando le sue critiche alle riunioni degli azionisti.
Inoltre ha attaccato la Coca-Cola nei campus statunitensi promuovendo il
boicottaggio dei suoi prodotti.
Nel 2003 il consigliere ha incontrato alcuni funzionari del Sinaltrainal
a New York e ha trovato così convincente il loro racconto da organizzare
il viaggio di una delegazione in Colombia l'anno successivo. "Volevo
saperne di più", spiega. Secondo Monserrate bisognava invitare anche i
rappresentanti americani della Coca-Cola. "Avrebbero potuto far parte
della delegazione, ma si rifiutarono". Il rapporto di Monserrate del
2004 denunciava l'inerzia dell'azienda e degli imbottigliatori e un
allarmante lassismo.
La delegazione non ottenne il permesso di visitare gli impianti
d'imbottigliamento, ma fu ricevuta da Juan Manuel Alvarez e Juan Carlos
Dominguez, due rappresentanti di Coca-Cola Femsa, un'enorme società
d'imbottigliamento che opera in diversi paesi del Centro e del
Sudamerica. La delegazione chiese cosa avevano fatto per indagare sui
presunti rapporti con i paramilitari. "In un primo momento", si legge
nel rapporto, "le accuse sono state respinte", ma poi "Alvarez e
Dominguez hanno ammesso che i funzionari della Coca-Cola non avevano mai
svolto indagini su queste denunce né sulle centinaia di violazioni dei
diritti umani contro i lavoratori della società".
Monserrate si china verso di me e dice: "Isidro Gii fu ucciso
nell'impianto d'imbottigliamento. Basta questo per attribuire la
responsabilità del suo omicidio alla società. C'è un rapporto di
causalità tra la morte dei sindacalisti e il lavorare per la Coca-Cola.
Per questo la società di Atlanta ha l'obbligo di fare chiarezza.
Coca-Cola, come qualunque altra grande multinazionale, deve interessarsi
a quello che avviene nelle imprese affiliate. Non si può dare la colpa
al governo del paese in cui ci si trova. La Coca-Cola e il suo logo sono
conosciuti in tutto il mondo. Provate a immaginare se negli Stati Uniti,
in un impianto della società, un operaio venisse ucciso perché iscritto
al sindacato. Scoppierebbe uno scandalo enorme". La Coca-Cola
rappresenta il capitalismo americano. "E il capitalismo americano non
dovrebbe mai permettere che i lavoratori subiscano violenze o siano
uccisi perché si organizzano per difendere i loro diritti. Che immagine
si darebbe, altrimenti, degli Stati Uniti?". Gli omicidi di Carepa
furono l'inizio di una nuova ondata di violenza e di intimidazioni. A
quel punto il Sinaltrainal decise di passare all'azione.
Nel luglio del 2001 il sindacato ha avviato un'azione legale negli Stati
Uniti contro la Coca-Cola Company e i suoi imbottigliatori colombiani e
nel 2003 ha lanciato un appello per il boicottaggio internazionale dei
prodotti Coca-Cola. Le imprese imbottigliatrici hanno reagito
trascinando il sindacato in tribunale, perché sostenevano di essere
stati calunniati e diffamati. E hanno chiesto perfino 500 milioni di
pesos come risarcimento danni. Nel 2004 la causa è stata dichiarata
infondata. Secondo la Coca-Cola, nel corso degli anni i suoi
imbottigliatori hanno più volte denunciato pubblicamente la violenza
contro gli iscritti al sindacato.
L'azione legale del Sinaltrainal ha avuto fasi alterne. È cominciata nel
luglio del 2001 quando il sindacato United Steelworkers of America e
l'International labor rights fund hanno promosso un Alien tort claims
act (Atea) per conto del Sinaltrainal al tribunale federale di Miami.
L'Atea permette che aziende e singoli individui siano sottoposti a
giudizio negli Stati Uniti per complicità nei crimini di sequestro,
tortura e omicidio commessi fuori dal paese. Il Sinaltrainal, che chiede
un risarcimento di 500 milioni di dollari, accusa le imprese
imbottigliatrici Panamco e Bebidas y Alimentos di aver "incaricato o
comunque guidato i paramilitari che hanno assassinato, torturato,
trattenuto illegalmente o messo a tacere i leader sindacali". Inoltre
sostiene che la Coca-Cola, in quanto azienda madre, è indirettamente
responsabile. Le imprese imbottigliatrici colombiane respingono ogni accusa.
Secondo la Coca-Cola, gli imbottigliatori sono delle imprese autonome di
cui l'azienda non deve rispondere. Inoltre la società "nega qualunque
violazione dei diritti umani e qualunque altra attività illegale legate
all'impresa in Colombia o in altri posto del mondo". "La Coca-Cola
Company", spiegano i dirigenti, "non possiede e non gestisce nessun
impianto d'imbottigliamento in Colombia".
Gli avvocati del sindacato sostengono che la Coca-Cola controlla le sue
imprese imbottigliatrici tramite un accordo chiamato "contratto degli
imbottigliatori". La loro tesi è questa: la Coca-Cola dà in licenza la
produzione delle sue bevande, fornisce lo sciroppo con cui farle e
stabilisce quali tipi di bottiglie, lattine, procedimenti industriali,
pubblicità e promozioni gli imbottigliatori devono usare. Esercitando
così un certo grado di controllo legale ed economico. Inoltre l'azienda
non solo possiede "una quota di controllo del 24 per cento" delle azioni
Panamco, ma ha anche due posti nel consiglio di amministrazione della
stessa società.
*Il nuovo McDonald's*
In una sentenza del marzo del 2003 il giudice Martinez della corte
distrettuale di Miami ha stabilito che la causa contro Panamco e Bebidas
y Alimentos poteva andare avanti. Era la prima volta che un giudice
statunitense autorizzava una causa contro una società per presunte
violazioni dei diritti umani commesse all'estero. Il giudice però ha
respinto la causa contro la Coca-Cola Company perché "il contratto degli
imbottigliatori" non dava alla società il pieno controllo dei rapporti
sindacali.
Alla riunione annuale degli azionisti nel 2005 Neville Isdell ha
dichiarato: "Non ci sono minacce né tentativi della direzione di
attaccare o intimidire i lavoratori perché aderiscono a un sindacato. I
dipendenti dei nostri partner colombiani per l'imbottigliamento lavorano
in strutture che rispettano e proteggono i loro diritti".
E significativo che l'amministratore delegato del marchio più famoso del
mondo si sia sentito costretto a difendere l'azienda, che da parte sua
dichiara d'incontrare regolarmente i ministri del governo colombiano per
impedire ogni forma di violenza contro i sindacalisti. Nel 2006 il
giudice Martinez ha revocato la sua precedente decisione e ha respinto
la richiesta di giudizio contro le imprese imbottigliatrici, sostenendo
questa volta che la causa non poteva essere presentata negli Stati Uniti
per "difetto di giurisdizione". Il 31 marzo 2008 gli avvocati del
Sinaltrainal sono ricorsi in appello contro entrambe le decisioni e
aspettano una risposta nel 2009. Se avranno successo, la causa potrà
essere discussa e il sindacato potrà presentarsi in tribunale negli
Stati Uniti contro la Coca-Cola e i suoi imbottigliatori.
In tutto il mondo il boicottaggio della Coca-Cola ha avuto esiti
alterni. A Dublino, il Trinity college e l'università hanno votato per
"cacciare la Coca-Cola dal campus" e si sono rifiutati di vendere i suoi
prodotti nelle strutture studentesche. Lo stesso hanno fatto la New York
university e la Michigan university negli Stati Uniti. In Gran Bretagna
il loro esempio è stato seguito dalle università del Sussex, di
Manchester, di Middlesex e dalla London's school of orientai and african
studies. Anche se di solito i contratti con le università statunitensi
ammontano a milioni di dollari, probabilmente eliminare la Coca-Cola dai
campus non inciderà sul bilancio di un'azienda che l'anno scorso ha
dichiarato utili per 5,98 miliardi di dollari. Ma l'attenzione dei mezzi
d'informazione e titoli come "La Coca è diventata il nuovo McDonald's",
sul Guardian, o "La nuova Nike" su The Nation, hanno contribuito a
ridurre il cosiddetto "valore del marchio". Questo valore è quello che
trasforma un liquido scuro, dolce e frizzante in un prodotto desiderato
e venduto in tutto il mondo. Nel 2007 il valore della Coca-Cola era
stimato da Business Week/ Interbrand in 65.324 milioni di dollari. Era
in testa alla classifica dei marchi di successo, ma valeva 2.201 milioni
di dollari meno del 2005.
*Comprare il silenzio*
Bisognava fare qualcosa. In pubblico la Coca-Cola ha definito l'azione
legale del Sinaltrainal come un'accusa "datata" e "una vecchia storia".
Ma dietro le quinte si è impegnata nelle trattative con il sindacato per
risolvere la questione. La decisione del 2006 non era stata presa da
Martinez durante un'udienza della causa, ma serviva a stabilire se i
tribunali degli Stati Uniti fossero la sede giusta per il processo. E
quando Martinez ha dichiarato che i tribunali americani non avevano la
giurisdizione, gli avvocati del sindacato sono stati liberi di ricorrere
in appello riportando la società sul banco degli imputati.
Se l'appello venisse accolto, comincerebbe il processo e la Coca-Cola
Company avrebbe l'obbligo di consegnare documenti interni che precisano
i suoi rapporti con gli imbottigliatori. Non posso parlare a nome
dell'azienda, ma credo che questa prospettiva non sarebbe piacevole. Sei
settimane prima della decisione di Martinez, il 19 agosto 2006, la
Coca-Cola Company ha cominciato a trattare con il Sinaltrainal.
Quando ho chiesto alla Coca-Cola un commento sulle trattative, un
portavoce le ha definite "fruttuose e informative". Lo scopo dei
colloqui, secondo la società, era "valutare se si potesse raggiungere
una soluzione patteggiata trale parti". In breve la multinazionale stava
cercando un accordo fuori dalle aule giudiziarie. Con un patteggiamento
di questo tipo arrivano moltissimi soldi. Anche se non sono in grado
rivelare la cifra esatta offerta al Sinaltrainal e ai querelanti, mi
sembra di capire che ha sei zeri dopo il simbolo del dollaro e un paio
di numeri in mezzo.
Se la società stava offrendo dei soldi, quali erano le condizioni che
accompagnavano l'offerta? Ho parlato con Ed Potter, direttore delle
relazioni sindacali a livello internazionale e profondo conoscitore di
questi negoziati. Gli ho ricordato che la Coca-Cola aveva dei precedenti
in questo campo: "Si raggiunge un accordo economico, ma una clausola di
quest'accordo è che non devi più parlare, stai zitto o te ne vai".
Potter ha risposto: "In linea generale ci sono molte soluzioni
possibili. Lei ne ha descritta una sola". Il Sinaltrainal non ha usato
gli aggettivi "fruttuose e informative" per descrivere le trattative.
"Si tratta di un processo che è durato quasi un anno e mezzo. Abbiamo
parlato per trovare una soluzione del conflitto, ma senza risultati",
sottolinea Edgar Paez, funzionario internazionale del sindacato. E
seduto nel suo ufficio allo stesso tavolo dove Giraldo e Manco hanno
portato la loro testimonianza. L'unico motivo che ha spinto la Coca-Cola
a trattare, sostiene, "è che non vogliono che continuiamo a denunciarli.
La società voleva comprare il silenzio delle persone coinvolte. Dà un
po' di soldi alle vittime in modo che non denuncino il problema".
I negoziati si sono interrotti all'inizio del 2008. La Coca-Cola ha
dichiarato che "non è stato possibile trovare una soluzione definitiva.
Si è arrivati a una fase di stallo e in questo momento non si prevedono
altre discussioni". Probabilmente lo stallo è stato provocato dalle
condizioni imposte dalla Coca-Cola: la società pagherebbe milioni di
dollari, ma tutte le persone coinvolte nell'azione legale che lavorano
per la Coca-Cola Femsa dovrebbero lasciare il posto. Non potrebbero più
lavorare per gli appaltatori della Coca-Cola. E soprattutto sarebbero
legalmente obbligate a non criticare mai più la Coca-Cola.
Secondo Paez, questo succede "non solo in Colombia ma in tutto il mondo.
Volevano farci firmare un accordo in base al quale nessuno avrebbe più
denunciato la Coca-Cola per il resto della sua vita". In effetti
l'accordo gli avrebbe impedito di partecipare a eventuali campagne di
contestazione contro qualsiasi multinazionale in affari con la
Coca-Cola. Dal giorno in cui firmavano al giorno in cui morivano.
L'allontanamento dei leader sindacali - di fatto il loro imbavagliamento
- significherebbe la fine del sindacato. Negli impianti della Coca-Cola
il Sinaltrainal smetterebbe di esistere.
I soldi erano sul tavolo e tutto quello che il Sinaltrainal doveva fare
era accettare e prenderli. Così gli uomini e le donne che avevano
combattuto per il diritto di aderire al sindacato sarebbero stati messi
a tacere. Per persone come Giraldo e Manco, il risarcimento era una
cifra che potevano solo sognare, nel senso letterale della parola. II
sindacato ha rifiutato di firmare e di essere messo a tacere. Lasciando
alla Coca-Cola una "vecchia storia" che non vuole essere dimenticata. ? gc
(*)L'autore dell'articolo è Mark Thomas , un giornalista e comico
britannico. Questo articolo è un estratto del suo ultimo libro :
belching out the devil: global adevntures withc Coca-Copla (Ebury Press 200)
Nessun commento:
Posta un commento