lunedì 9 gennaio 2012


  
L'acqua  diritto umano nella costituzione uruguaiana


In Uruguai la vendita del sistema idrico e l'affidamento della sua gestione a società private sono stati vietati per legge; ciò significa che se  un'amministrazione o un consorzio di amministrazioni locali decidessero di vendere o di affidare la gestione del proprio servizio idrico a società private compirebbero un crimine.

L'idea che sta dietro ai provvedimenti la cui approvazione ha reso possibile questa concezione interamente pubblica del servizio idrico appare decisamente in contrasto con le tendenze internazionali dettate da istituzioni come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario e l'Unione Europea, tendenze che tracciano la linea favorevole ad un sostanziale smantellamento con conseguente privatizzazione dei servizi pubblici locali.

 Anzi, l'adozione dei provvedimenti che hanno reso pubblico per legge il servizio idrico nel paese sudamericano ha dimostrato precisamente che non esiste nessun vincolo che provenga da trattati commerciali e nessun obbligo giuridico che imponga la privatizzazione dell'acqua.

Il 31 ottobre 2004 si è svolto in Uruguai un referendum costituzionale, al quale hanno partecipato il 62,75% degli avente diritto di voto,  che si poneva come obiettivo  l'inserimento nella costituzione dell'accesso all'acqua potabile ed al sistema di smaltimento fognario come diritti umani fondamentali, e che la gestione di questi due servizi  dovesse essere ispirata a criteri sociali e ambientali piuttosto che a criteri economici.

Il referendum mirava inoltre ad inserire nella costituzione uruguagia il principio per cui il servizio idrico e quello fognario devono essere necessariamente gestiti da soggetti di diritto pubblico: 

   “El servicio público de saneamiento y el servicio público de abastecimiento de agua para el consumo humano serán prestados exclusiva y directamente por personas jurídicas estatales.” 

 Il cammino che ha condotto al referendum ha preso piede dalla decisione di due amministrazioni locali uruguaiane di affidare la gestione del loro servizio idrico ad imprese private, ed alle proteste conseguenti al peggioramento del servizio. In Uruguai la spinta alla privatizzazione dell'acqua è una delle  imposizioni del Fondo Monetario conseguenti al prestito concesso allo stato sud americano, assieme ai vincoli di abbassare l'imposizione fiscale, di privatizzare tutti i servizi pubblici, di tagliare lo stato sociale.
Simili imposizioni sono derivate anche dall'adesione ad alcuni trattati ed organizzazioni internazionali come il WTO, l'FTAA, gli accordi tra l'UE e il Mercosur.
Il movimento che si è opposto al processo di privatizzazione è riuscito a coinvolgere oltre ai sindacati dei lavoratori pubblici, anche i comitati locali sorti per denunciare i disservizi delle due privatizzazioni, e le associazioni ambientaliste contrarie allo sfruttamento della risorsa idrica da parte di multinazionali straniere.

Con la vittoria del referendum e la costituzionalizzazione del diritto all'acqua assieme all'obbligo di gestione pubblica del servizio, i governi che si susseguiranno alla guida del paese, quale che sia il loro orientamento politico, sono obbligati a dare attuazione a questi principi adottando le misure normative necessarie.

Quello del referendum uruguaiano non rappresenta l'unico esempio di legislazione relativa al diritto all'acqua; anche la Svizzera ha un'ampia tradizione referendaria, così come in molti stati federali americani. Nel 2004 ad Amburgo in Germania, la società civile si è opposta ad un progetto di privatizzazione del servizio idrico attraverso un referendum.
In Louisiana nel 2003 è stata approvata una legge che stabilisce che qualsiasi eventuale privatizzazione del servizio idrico dovrà essere subordinata ad un referendum locale (questa stessa legge è stata il risultato di una iniziativa referendaria).


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