La zona andina nell'occhio del ciclone
Fermento popolare in Bolivia
Come in Perù, dove il presidente Alejandro Toledo batte tutti i record d'impopolarità e come in Ecuador, dove sono manifestazioni di massa a chiedere le dimissioni del suo pari grado Lucio Gutiérrez, anche la Bolivia vede il movimento popolare rialzare la testa. Dopo la «guerra del gas» che nel 2003 ha portato al rovesciamento del presidente Sánchez de Losada, la «guerra dell'acqua» ha provocato l'espulsione di una multinazionale: la francese Suez-Lyonnaise des Eaux.
Walter Chávez
«In piedi! Mai in ginocchio!». Nel febbraio 2003 una missione del Fondo monetario internazionale (Fmi) arrivata in Bolivia, chiede al governo di Gonzalo Sánchez de Lozada l'adozione di una forte imposta sui salari per ridurre il deficit fiscale, che arriva all'8,5% del prodotto interno lordo (Pil). Scoppia una rivolta popolare con il coinvolgimento della polizia, che si ribella e affronta l'esercito.
Quattro militari, tredici poliziotti e diciannove civili sono uccisi.
Il presidente deve fuggire per qualche ora dal palazzo presidenziale e la missione dell'Fmi, barricata in una stanza d'albergo a cinque stelle, vede la sua richiesta andare in fumo.
«In piedi! Mai in ginocchio!». Sei mesi dopo, quando il consorzio Pacific Lng (Repsol Ypf, British Energy e Panamerican Energy) vuole imporre l'esportazione di gas naturale boliviano verso i mercati del Messico e della California, con il consenso di un potere privo di qualunque strategia di sfruttamento nazionale delle proprie ricchezze, il movimento sociale risponde con la «guerra del gas» (1); quindici giorni di proteste e di rivolte terminati con un'insurrezione degli indios contadini. Nonostante la violenza della repressione e il coinvolgimento dell'esercito - 67 morti e circa 400 feriti - il movimento costringe il presidente Sánchez de Lozada a fuggire negli Stati initi.
«In piedi! Mai in ginocchio!». Questo slogan è risuonato di nuovo sull'Altiplano l'11 gennaio 2005, quando uno sciopero generale di tre giorni ha obbligato la compagnia Suez-Lyonnaise des Eaux ad andare via. La multinazionale gestiva i servizi di acqua potabile e lo smaltimento delle acque reflue di La Paz e di El Alto (enorme quartiere popolare situato sopra La Paz, sede del governo), attraverso una filiale chiamata Aguas del Illimani Sa (Aisa), di cui l'8% appartiene alla Banca mondiale attraverso la sua filiale privata, la Corporation internationale financière (Cif) (si veda il Dossier sull'acqua alle pagine 10-15).
La Suez-Lyonnaise des Eaux è arrivata in Bolivia nel 1997, sulla scia delle privatizzazioni incoraggiate dal presidente dell'epoca, Sánchez de Lozada. A causa delle difficoltà del mercato locale, la Banca mondiale si è associata all'impresa francese, che ha preso il posto dell'impresa statale Samapa. La conseguenza di tutto ciò è che in alcuni quartieri periferici i prezzi dell'acqua sono cresciuti del 600% e i costi di allaccio alla rete idrica sono più che raddoppiati, mentre i quadri dirigenti hanno visto i loro stipendi passare da 12.500 a 65.000 bolivianos (circa 10.000 dollari) al mese. A tutto ciò si aggiunga il razzismo dei dipendenti francesi di Aguas del Illimani, che non hanno mai nascosto il loro disprezzo per gli abitanti dell'Altiplano, considerati i «peggiori clienti e utenti del mondo» (2).
I tentativi del movimento sociale per cacciare la multinazionale cominciano nel 2004, all'annuncio della serie di vantaggi concessi all'impresa dal governo, che le garantiva un rendimento del 12% a spese delle zone sfavorite e periferiche di El Alto, considerate non redditizie. Di conseguenza l'obiettivo di 15.000 allacci alla rete idrica nel 2004 non è stato rispettato, portando il viceministro per i Servizi e i lavori pubblici, José Barragón, a dichiarare il 10 gennaio 2005: «Circa 40.000 famiglie non hanno accesso ai servizi di acqua potabile [a El Alto] e il problema dello smaltimento delle acque reflue è ancora più grave. La concessione, così com'è stata formulata, prevede il raccordo alla rete idrica per tutti gli abitanti.
Quello che dobbiamo fare è chiederlo [all'impresa Aguas del Illimani]; se dovessero rifiutare di rifornire questa popolazione perché è povera, perché non paga o perché non è economicamente conveniente, allora cambieremo distributore».
Così, di fronte alla pressione di più di 600 associazioni di quartiere, il governo di Carlos Mesa ha dovuto cedere e ordinare la rescissione del contratto di concessione dell'acqua alla società Aguas del Illimani.
L'espulsione della compagnia è quindi diventata legale ed esecutiva.
Non si tratta di una novità, nell'aprile 2000 c'era stato un precedente con l'americana Bechtel; anche in questo caso la società gestiva i servizi di acqua potabile e delle acque reflue delle città di El Alto e di La Paz (3). È un nuovo duro colpo per il modello liberista che aveva già perso, nell'ottobre 2003, una delle sue figure più rappresentative, il presidente Sánchez de Lozada.
La Bolivia è il secondo paese più povero dell'America latina - subito dopo Haiti - con una popolazione di otto milioni di abitanti e un debito estero che supera i 5 miliardi e mezzi di dollari e al rimborso del quale destina circa il 30% del suo Pil. Nel 1985 il decreto 21060 del presidente Víctor Paz Estenssoro, del Movimento nazionalista rivoluzionario (Mnr), apriva le porte a un'economia di mercato. Ciò ha portato alla «razionalizzazione» delle imprese pubbliche, al licenziamento di 25.000 minatori dei giacimenti di stagno e al fallimento della nascente industria nazionale, che non aveva più i mezzi per competere con i prodotti importati.
Nel corso degli anni Novanta le risorse naturali - in particolare il petrolio e il gas - e i servizi di base sono stati privatizzati.
Questa evoluzione ha coinciso con un progressivo disimpegno e smobilitazione del movimento popolare. Di fatto una parte della sinistra, riunita nel Movimento della sinistra rivoluzionaria (Mir) e del Movimento Bolivia libera (Mbl), due partiti della classe media ma con una forte presenza popolare, hanno partecipato attivamente alla liberalizzazione politica ed economica del paese.
10 centesimi al giorno Tuttavia a partire dall'aprile 2000 si assiste a una svolta radicale nella vita politica del paese, quando a Cochabamba una mobilitazione alla quale prendono parte i produttori di coca, i coltivatori, gli operai e gli studenti riesce a cacciare l'impresa americana Bechtel.
«Il movimento sociale di uno dei paesi più poveri del continente ha inflitto la sua prima grande sconfitta alla globalizzazione», aveva dichiarato all'epoca il capo del Coordinamento dell'acqua, Oscar Olivera. I settori popolari hanno così dato vita a un nuovo periodo di lotte, con l'affermazione di una nuova sinistra india e contadina, sostenuta dalla memoria storica delle rivolte e delle lotte collettive: scioperi della fame, blocchi stradali, occupazioni di città e così via.
Nel giugno 2002 il Movimento verso il socialismo (Mas), diretto dal leader dei produttori di coca Evo Morales, diventa la seconda forza politica del paese ottenendo il 20,5% dei voti, di fronte al 22% dell'Mnr che ha portato Sánchez de Lozada alla presidenza.
Tuttavia il risultato più importante riguarda il parlamento: il Mas e il Movimento indio Pachacuto (Mip) ottengono 41 seggi e impongono come prima misura che il Congresso autorizzi l'uso delle lingue indie (aymara, quechua e guarani) nel corso dei dibattiti parlamentari.
È il primo segno simbolico della volontà di rifiuto del discorso dominante sostenuto dalle élite imprenditoriali, e di una valorizzazione dei movimenti sociali popolari.
In occasione della caduta di Sánchez de Lozada, i movimenti sociali e in particolare il Mas, che avrebbero potuto approfittare dell'occasione per impadronirsi del potere, preferiscono sostenere un cambiamento costituzionale nel rispetto della legalità democratica. Così la presidenza della repubblica passa nelle mani del vicepresidente Carlos Mesa.
Lo scopo di questi movimenti sociali non è il cambiamento per il cambiamento, con la sostituzione sistematica di un presidente con un altro - come è avvenuto in Argentina o in Ecuador - ma modificare l'ortodossia neoliberista, che in vent'anni non ha portato miglioramenti significativi in Bolivia.
La violenza del movimento sociale trova la sua spiegazione nei dati macroeconomici. I quasi venti anni di neoliberismo si sono rivelati vantaggiosi solo per l'élite imprenditoriale e politica e per il capitale straniero; in compenso l'economia nazionale ha segnato il passo e ha addirittura regredito in modo allarmante in alcuni settori.
Da questo punto di vista è significativo l'esempio del reddito per abitante, che in venticinque anni è passato solo da 940 a 960 dollari annui. Secondo l'Istituto nazionale di statistica (Ine) il 58,6% dei boliviani è povero; nelle campagne questa cifra assume un carattere ancora più drammatico, poiché il 90% dei contadini vive al di sotto della soglia di povertà.
Il Rapporto 2003 del Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp) sullo sviluppo umano sottolinea che nelle zone rurali i contadini vivono con meno di un boliviano (10 centesimi di euro) al giorno (4). Quando si sa che su 8 milioni di abitanti 3,8 milioni sono contadini, si capisce il grado di combattività dei movimenti sociali, composti principalmente da corporazioni e da sindacati contadini e indios.
Con l'arrivo al potere di Mesa, questi movimenti hanno imposto un programma politico che si può riassumere in tre punti: un referendum per regolamentare l'esportazione del gas naturale; una nuova legge sugli idrocarburi per riappropriarsi di questa risorsa attualmente nelle mani delle multinazionali, grazie anche a un aumento dell'imposta pagata da queste imprese che passerebbe dal 18 al 50%; e un'Assemblea costituente per elaborare un nuovo patto sociale.
Le linee generali di questo programma sono state rispettate. Tuttavia nel 2004 i movimenti sociali hanno perso popolarità. Gli scioperi organizzati sono stati poco seguiti, con un tasso di mobilitazione delle popolazioni indie molto deludente. Alle elezioni amministrative del dicembre 2004, il Mas e il Mip hanno ricevuto meno voti rispetto al 2002. Probabilmente su questo risultato hanno pesato i dissensi interni ai due partiti. Evo Morales, il dirigente delle forze popolari che ha più possibilità di vincere le elezioni presidenziali del 2007, è stato espulso dalla Confederazione operaia boliviana (Cob) ed è stato dichiarato «nemico del movimento sociale» da Felipe Quispe, capo della Confederazione sindacale dei lavoratori agricoli della Bolivia (Csutcb), a causa di una rivalità personale per la direzione del movimento sociale e di una politica relativamente conciliante del Mas nei confronti del presidente Mesa.
Nel frattempo nell'est della Bolivia, soprattutto nel dipartimento di Santa Cruz, i settori più reazionari si stanno riorganizzando per cercare di contrastare l'azione collettiva popolare. Un movimento imprenditoriale con tendenze «autonomiste» o addirittura «federaliste» si oppone risolutamente alla realizzazione di un'assemblea costituente ed esige una «garanzia giuridica» per permettere alle multinazionali petrolifere di continuare a sfruttare di idrocarburi senza perdere le loro vantaggiose condizioni economiche (5). Allo stesso modo, gli Stati uniti difendono gli investimenti delle loro multinazionali, mentre il Brasile sostiene gli interessi della compagnia petrolifera Petrobas. Dopo una sciopero generale e una forte mobilitazione, questo movimento ha ottenuto dal presidente Mesa il 27 gennaio la promulgazione di un decreto che prevede in giugno lo svolgimento di elezioni per eleggere dei prefetti - sorta di governatori locali - per garantire una maggiore autonomia della regione, la più ricca del paese. Con questo provvedimento, che si sovrappone all'organizzazione dell'assemblea costituente, si cerca di distogliere l'attenzione dalle rivendicazioni sociali.
«In ogni caso questa situazione di stallo potrebbe rivelarsi positiva - dichiara il senatore Filemón Escóbar di una corrente del Mas. Il movimento sociale deve capire che è giunto il momento di raccogliere le proprie forze, di riorientare le sue lotte e di non perdere di vista l'obiettivo fondamentale: ottenere una revisione del modello neoliberista per radicalizzare la democrazia, senza le disuguaglianze di oggi; dobbiamo quindi serrare le fila per fare in modo che l'assemblea costituente diventi realtà».
E a quanto pare è quello che si sta realizzando. Nonostante le minacce (di morte) e i tentativi di delegittimazione, Evo Morales e il Mas hanno deciso di riaffermare il loro ruolo di forza di opposizione e di convocare la base per difendere la creazione dell'assemblea costituente, perfezionando al tempo stesso la strategia per le elezioni del 2007, che potrebbero portare in modo democratico questa nuova sinistra al potere. Insomma, l'avvenire rimane aperto e le nuove forze popolari non hanno ancora detto l'ultima parola.
note:
(1) L'impopolarità di questa operazione, oltre agli espropri compiuti dalle multinazionali, era legata al fatto che il gasdotto per esportare il gas sarebbe dovuto passare per il Cile, vincitore mai perdonato di una guerra che nel 1879 aveva privato la Bolivia di uno sbocco sull'oceano Pacifico.
(2) Frank Poupeau, «Vivendi et l'eau en Bolivie», Informe-Diplo, www.eldiplo.org, 10 maggio 2002.
(3) L'impresa aveva imposto un aumento delle tariffe - che in alcuni casi arrivava al 3.000% - su tutti i servizi di acqua potabile che gestiva.
(4) Citato su La Razon, La Paz, 12 ottobre 2003.
(5) Del pari, gli Stati uniti difendono gli investimenti delle loro multinazionali, così come il Brasile, che fa operazione di lobbing in favore della compagnia petrolifera Petrobas.
(Traduzione di A. D. R.)
da Le Monde diplomatique marzo 2005
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