domenica 8 gennaio 2012


giovedì, 02 ottobre 2008; 08:08


L'ACCORDO VIVENDI -UNIVERSAL

Un predatore nell'era di Internet


Dopo l'assorbimento della Time Warner da parte di American Online (Aol), avvenuto lo scorso anno, la recente fusione tra Vivendi, Canal + e l'azienda americana Universal conferma la tendenza alle concentrazioni industriali nel settore dei media. E rende esplicita la volontà dei grandi gruppi di controllare i programmi e loro mezzi di diffusione, attuali o eventuali. Ma, nel caso di Vivendi, il nuovo prestigio che questa impresa, ben introdotta negli ambienti politici ed artistici francesi, crede di aver acquisito su scala internazionale, rischia anche di trasformarla nel cavallo di Troia di una rimessa in discussione di quella «eccezione culturale» francese considerata ormai obsoleta.
di DAN SCHILLER *
Il 5 dicembre 2000, settemila azionisti celebravano al Louvre un'unione regale, frutto della «new economy»: la fusione di Vivendi con Seagram e Canal +. Per un prezzo complessivo di 60 miliardi di dollari un'impresa nata per il trattamento di acque e rifiuti si è trasformata in una gigantesca centrale mondiale di produzione multimediale. Vivendi controllava già Canal +, la più grande società di tv a pagamento d'Europa, Cegetel, il secondo fornitore di telecomunicazioni francese, e Havas, un conglomerato diversificato e leader per le edizioni scolastiche sul mercato europeo. Con una spesa di oltre cento milioni di dollari per commissioni bancarie e legali, Vivendi ha acquistato le quote del capitale di Canal + che le mancavano. Si è appropriata anche di Seagram, società canadese che produce alcolici, la quale, a sua volta, controlla due importanti media americani: Universal Films e Universal Music, il più grande produttore di musica al mondo. Sarà forse questo gigantesco parco mediatico il nuovo campione nazionale francese, ultimo prodotto di quel vortice che è l'attuale industria della cultura?
L'industria dei media si trasforma attorno ad una nuova generazione di prodotti e servizi legati ad Internet. È questa, in ogni caso, la scommessa fatta dal settore. Per acquisire il controllo di una programmazione variegata e dei sistemi di distribuzione che l'accompagnano vengono messe in piedi giganteschi conglomerati. Ma qui cominciano i problemi. Quale sarà la piattaforma migliore per diffondere questi contenuti: televisione via cavo, diffusione via satellite, o fili telefonici? E quali saranno i recettori più adatti: decoder numerico, Pc, telefono di terza generazione, ecc.? E che posto occuperà Internet in tutto ciò?
Caccia permanente al consumatore Per ora siamo ancora nell'ambito delle scommesse. Le imprese più importanti cercano di ridurre i rischi formando partenariati che permettano loro, all'occorrenza, di proporre sistemi di distribuzione diversi - che oggi magari sono addirittura concorrenti. La fusione tra America Online (Aol) e Time Warner, per esempio, annunciata nel gennaio 2000 - e approvata il 14 dicembre 2000 dall'organismo di regolazione americano - porterà ad una concentrazione di potere nelle mani di una sola impresa che costituirà un problema per la futura generazione di servizi Internet (1). I grandi gruppi mediatici sperano infatti di inseguire i consumatori con una pubblicità ininterrotta, grazie ad una rete «intelligente» capace di localizzarli ovunque si trovino. Questo permetterebbe di indirizzarli verso il ristorante più vicino o quel certo negozio, in cambio di una somma pagata dai commercianti affiliati al sistema.
Gli industriali, tuttavia, non hanno ancora risolto un grosso problema posto da Internet: la maggior parte delle informazioni diffuse sulla Rete sono gratis. Ma hanno in mente il successo di DoCoMo, una filiale dell'impresa di telecomunicazioni giapponese Ntt. DoCoMo permette a quindici milioni di abbonati al suo servizio «i-mode» di avere informazioni immobiliari, ricette di cucina, risultati ippici, o di prenotare viaggi, inviare corrispondenza elettronica, giocare, il tutto su minuscoli schermi di telefoni cellulari (2). Un sistema di micro-fatture addiziona le spese dei servizi proposti dai fornitori affiliati - in media da 100 a 300 yen (dalle 1.800 alle 5.400 lire) per ciascun servizio e al mese - sulla bolletta del cliente che utilizza «i-mode».
L'approccio offerto da Aol-Time Warner, di una sinergia tra i prodotti forniti dai media tradizionali e le possibilità offerte dalla Rete, serve come punto di riferimento. Ma Vivendi-Universal è per il momento l'unica impresa multimediale a disporre di una simile gamma di prodotti.
Ha tra l'altro precisato che: «l'offerta ai clienti comprende musica, sport, cinema, trasmissioni televisive, informazioni, trasmissioni educative o giochi interattivi via satellite, via Tv o via telefono con o senza filo; insomma, ogni possibile accesso ad Internet con tutti i mezzi esistenti, a qualsiasi ora, ovunque (3)».
Una delle chiavi di questa strategia si chiama Vizzavi, portale multi-accesso utilizzabile grazie ad un Pc o ad un apparecchio portatile, telefono o televisore numerico. Vizzavi punta a diventare la home page per 80 milioni di potenziali clienti: ossia gli attuali clienti europei di Vivendi, di Canal + e di Vodafone AirTouch. Quest'ultima, con la quale Vivendi ha concluso una joint venture, è il principale fornitore di accesso mondiale alle telecomunicazioni senza filo e uno dei leader in materia d'investimenti nel settore delle tecnologie di terza generazione.
Tali partenariati, alleanze o sinergie - in particolare con il gruppo Lagardère (4) - offrono a Vivendi un importante vantaggio per quanto riguarda programmi e reti di diffusione. Grazie alla fusione con la Universal films, l'azienda di Messier disporrà di nuovi canali di accesso per diffondere le sue produzioni e Canal + potrà offrire un supplemento di contenuti ai suoi canali a pagamento, già molto ben inseriti nel mercato. La tappa successiva permetterà a queste imprese di creare insieme un massimo di servizi interattivi audiovisivi e di commercio elettronico accessibili tramite televisione, anche in questo caso in partenariato con Lagardère. Pierre Lescure, che diventa uno dei direttori di Vivendi-Universal, prevede per Canal + un giro di affari mensile dai 100 ai 150 euro per cliente potenziale - per un numero totale di clienti valutato a ventiquattro milioni nel 2005 (5).
La strategia di Vivendi non è esente da rischi, il che forse spiega come mai il prezzo delle sue azioni sia diminuito in modo significativo tra l'annuncio della fusione con Universal e Canal +, nel giugno 2000, e la sua realizzazione in dicembre. Non è detto, per esempio, che l'alleanza con Vodafone sia solidissima. Le somme colossali che sarà necessario investire per rendere più rapidi i servizi numerici di Canal + e di Cegetel potrebbero pesare troppo sul budget dell'impresa.
Non è escluso neppure che i consumatori preferiscano altri portali, come Yahoo!, a Vizzavi (al quale sono abbonate appena 100mila persone e soltanto in Francia) - e non è detto che i portali di accesso abbiano un futuro. Vivendi si sforzerà di ottimizzare le sue opportunità.
Ma, in fin dei conti, che la sua operazione sia o meno coronata da successo, le conseguenze più importanti dell'immensa fusione saranno prima di tutto di ordine politico.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, la Francia insiste sulla necessità di un'azione pubblica volontaristica, destinata a difendere e a promuovere la cultura nazionale. Per non fare che un esempio, la Francia, fino al 1994, ha condotto una battaglia, in parte vinta, per risparmiare alle produzioni audiovisive le decisioni liberiste dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), che avrebbero rimesso in discussione le quote d'importazione e le sovvenzioni pubbliche all'audiovisivo. Questa «eccezione culturale» postulava che le nazioni conservassero il diritto di controllare e contenere le leggi di mercato in quella che è diventata l'industria più dinamica del sistema capitalistico.
Negli Stati uniti, l'atteggiamento francese e la trasgressione che ne deriva sono stati ferocemente criticati, in particolare dalle aziende di telecomunicazioni. Ma la posizione di Parigi era importante anche per altri paesi. Era un modo per ribadire che la logica della globalizzazione capitalistica non è sempre considerata come «inevitabile».
Quali possono essere le prospettive di questa «eccezione culturale», oggi che uno dei conglomerati culturali più potenti viene dalla Francia?
Rispondere a questa domanda richiede che non si perdano di vista i cambiamenti più generali che si preannunciano e che fanno delle comunicazioni, in Francia come altrove, il cuore di un sistema capitalistico strutturato su scala transnazionale. Fin dal suo lancio, Vivendi-Universal è diventata la quarta impresa per capitalizzazione borsistica sul mercato di Parigi, dietro France Télécom, TotalFina-Elf e Alcatel.
Si noterà che tre di questi quattro giganti sono legati al settore delle telecomunicazioni.
«Fine dell'arcaismo francese» Tutti internazionalizzano le loro attività a tappe forzate. France Télécom ha appena annunciato il progetto di acquistare, per 4 miliardi di dollari, una parte del capitale di Equant, un'impresa con sede ad Amsterdam la cui poderosa rete di dati, integrata al sistema Global One di France Télécom, permetterà di offrire servizi di telecomunicazione specializzati a 3.700 grandi clienti, fra i quali figurano due terzi delle cento imprese più forti del mondo (6). Dopo aver acquisito, anni fa, le unità di produzione di Itt, Alcatel ha speso 15,5 miliardi di dollari per acquistare imprese Internet americane e canadesi.
E, incidentalmente, sotto l'egida del suo padrone Serge Tchuruk, ex allievo del Politecnico, ha adottato l'inglese come lingua di lavoro...
Jean-Marie Messier, direttore generale di Vivendi - Universal, è della stessa stoffa del padrone di Alcatel (il quale, peraltro, siede nel consiglio di amministrazione di Vivendi - Universal, il che gli procura un piccolo reddito aggiuntivo sotto forma di gettoni di presenza).
Rivolgendosi alla stampa americana, Messier ha tuonato: «Non parlateci più dell'arcaismo francese. È morto. Ora in Francia c'è una nuova generazione di uomini d'affari il cui profilo non è più quello tradizionale di gente arcaica che parla solo francese e pensa che la cultura francese sia la migliore del mondo. Basta! La Francia guarda al futuro (7).» E Messier, che quando era nel gabinetto di Edouard Balladur ha organizzato la privatizzazione di importanti imprese pubbliche (tra cui quella che oggi presiede), partecipa con Steve Case (Aol), Gerald Levin (Time Warner) e decine di altri manager di questo tipo al Global Business Dialogue on Electronic Commerce, un'associazione di ispirazione padronale il cui obiettivo dichiarato è favorire gli scambi elettronici.
Con queste premesse, si ha il diritto di ritenere che, come ha suggerito il Financial Times, la creazione di Vivendi- Universal «persuaderà i campioni della cultura francese a moderare le ostilità nei confronti dei giganti americani (8).»
note:
* Professore all'università di California, San Diego, autore di Digital Capitalism, Mit Press, Cambridge, 1999.
(1) Cfr. «Caccia grossa su Internet» e il resto del dossier pubblicato sull'argomento da Le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 2000.
(2) Leggere «A Big Deal for Tiny Screens», «Wireless Web's Vast Promises Still Unkept in US» e «I-mode. You mode. Millions in Japan mode», The Wall Street Journal, New York, 1 ° dicembre 2000.
(3) Comunicato dell'impresa. Cfr. http://www. vivendi.com
(4) Leggere Thomas Kamm, «France's Lagardère Widens Move Into TV», The Wall Street Journal, 10 gennaio 2000.
(5) Canal + conta circa quattordici milioni di abbonati che vivono in undici paesi europei.
(6) Cfr. «Europeans in Big Deal To Create Data Group», The New York Times, 21 novembre 2000 e «French Gain New Muscle With Equant », The Wall Street Journal, 21 novembre 2000.
(7) Los Angeles Times, 7 luglio 2000.
(8) Financial Times, Londra, 21 giugno 2000.
(Traduzione di G.P.) 
Le Monde Diplomatique gennaio 2001

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