lunedì 16 gennaio 2012


 In Abruzzo cinque depuratori ogni Comune 
Un impianto ogni 800 persone, ma secondo Arta e Wwf 
i fiumi sono inquinati 

Anche la commissione per il servizio idrico ha rilevato l’alterazione della qualità delle acque 

 PESCARA. Sono 1.624 gli impianti di depurazione in Abruzzo. Visto che i Comuni sono 305, in media ogni Comune ha 5,3 depuratori, uno ogni ottocento persone. Sono 180 i depuratori con una capacità superiore a duemila abitanti equivalenti, 1.444 sono i mini impianti. Ma il risultato è che i fiumi sono inquinati. Secondo i sei Ato, però, lo stato di depurazione delle acque in Abruzzo «è quasi idilliaco», anche se i dati Arta sono la fotografia di una regione alle prese con «una gravissima e generale alterazione della qualità delle acque». È quanto emerge dalla relazione della commissione regionale per la vigilanza del servizio idrico consegnata un anno fa al consiglio regionale e rimasta lettera morta. Nel 2007 l’Arta ha monitorato 139 impianti eseguendo 737 controlli. La conclusione è che un depuratore su quattro inquina. Il peggiore è il depuratore Aca di Montesilvano: su 22 controlli, valori oltre i limiti 18 volte.
 Sono 114 i depuratori compresi tra duemila e 9.999 abitanti equivalenti, venti sono medi (tra 10 mila e 49.999 abitanti equivalenti) e cinque sono grandi (da 50 mila abitanti equivalenti in su). Dei cinque maggiori, tre (San Martino a Chieti, via Raiale a Pescara e via Tamigi a Montesilvano) sono superiori a 100 mila abitanti equivalenti. Nel monitoraggio dell’Arta non sono stati presi in considerazione gli impianti sotto i duemila abitanti equivalenti: in Abruzzo ne sono presenti 1.444. Una miriade di impianti che sfugge ai controlli.

I CONTROLLI. 
 «I controlli eseguiti dall’Arta sono 737», afferma il dossier sulla depurazione curato dal Wwf. Dai 476 del 2004, i controlli sono aumentati del 55 per cento. Ma monitorare gli impianti di depurazione spuntati come funghi in Abruzzo è impossibile. Il dato complessivo dei controlli irregolari è del 24,7 per cento. I piccoli depuratori sono caratterizzati dal maggior tasso di irregolarità (27,3 per cento): in provincia di Teramo, i piccoli impianti sono 461, all’Aquila 258, a Chieti 433 e a Pescara 292. Il tasso di irregolarità dei grandi impianti è del 24,7 per cento mentre i depuratori intermedi sono quelli con minori criticità (17% dei controlli non regolari).

IL CASO PESCARA. 
 In provincia di Pescara spiccano i due impianti maggiori, Pescara e Montesilvano, che sono, rispettivamente, primo e terzo in Abruzzo per capacità. Il numero di campioni risultati non regolari è il più alto tra le quattro province abruzzesi, con oltre il 50 per cento dei casi.
 «Tale situazione», spiega il dossier Wwf, «è determinata in larga parte dal depuratore di Montesilvano i cui controlli sono risultati non regolari nell’82 per cento dei casi (18 su 22)». L’avvio della class-action dei consumatori, a Montesilvano, è imminente. Ma anche il depuratore di via Raiale a Pescara mostra una efficienza minore rispetto alla media regionale (30 per cento di campioni non regolari, 6 campioni non regolari su 20). «Tale situazione», conclude il Wwf, «è da evidenziare per la grandissima taglia dell’impianto, il più grande d’Abruzzo. Pertanto, le non regolarità su un impianto di tale taglia possono avere ripercussioni notevoli sull’ambiente».
 Ma i dati del Pescarese sono importanti per fotografare un settore senza regole: quattro gli impianti realizzati ad Alanno, altri quattro a Loreto Aprutino, cinque a Cepagatti, altri cinque a Penne e Rosciano, sei a San Valentino.

LA RELAZIONE. 
 La relazione della commissione per la vigilanza del servizio idrico integrato e per la tutela degli utenti, presieduta da Alberto Corraro, gira il dito nella piaga. Stilata dopo aver ascoltato i vertici dei sei Ato regionali, il documento spiega: «Il quadro sullo stato della depurazione emerso dalle audizioni degli Ato appare gravemente confuso e contraddittorio. Gli Ato si sono espressi in modo generico e senza mai fornire elementi precisi sullo stato di depurazione delle acque che, a parer loro, risulta quasi idilliaco.
 «La soddisfazione degli Ato», scrive la commissione composta da Lucio Ricci, Emma Zarroli, Vincenzo Retico e Augusto De Sanctis, «mal si concilia con la drammatica realtà: i dati Arta riferiti allo stato delle acque in Abruzzo dipingono un quadro di gravissima e generale alterazione della qualità delle acque». Il report Arta dice senza mezzi termini che la situazione in Abruzzo è sul punto di non ritorno: la maggior parte dei prelievi ha fatto emergere un livello di inquinamento fisico, chimico e microbiologico che colloca l’Abruzzo tra le peggiori realtà d’Italia. «Questa disastrosa situazione», denuncia la relazione lunga 32 pagine, «è in buona parte derivante dalla inefficiente gestione degli scarichi urbani e da scarichi abusivi provenienti da insediamenti produttivi irresponsabili. Gravi e diffuse irregolarità si riscontrano in tutta la regione e a esse si somma la generale indifferenza delle istituzioni rispetto a situazioni che in altri Paesi europei avrebbero già de!
 terminato la sostituzione di funzionari e dirigenti pubblici».
Pietro Lambertini 




Il presidente Corraro: sono necessarie strutture di depurazione intercomunali 
L’Adiconsum: colpa del malgoverno 


 PESCARA. Alberto Corraro, presidente della commissione regionale di vigilanza sul servizio idrico e responsabile di Adinconsum, dichiara senza mezzi termini che «il risultato di anni e anni di malgoverno del ciclo dell’acqua in Abruzzo è catastrofico: da un lato l’incredibile numero di depuratori, dall’altro i drammatici dati provenienti dall’Arta». «Dai dati della Regione Abruzzo», sottolinea, «risulta che il territorio è cosparso di 1.624 depuratori, costituiti da grandi, medi, piccoli e piccolissimi impianti, a fronte di 305 comuni. Già si fa fatica a capire come possano essere così tanti, figuriamoci poi a farli funzionare bene con l’attuale metodo di gestione tarato su scala comunale, senza cioè un approccio imprenditoriale. Se gli amministratori avessero avuto buon senso, oggi esisterebbero in Abruzzo pochi depuratori intercomunali con grande beneficio per tutti».
 Secondo Corraro «questa situazione è in buona parte derivante dalla inefficiente gestione degli scarichi urbani e da scarichi abusivi provenienti da insediamenti produttivi irresponsabili. Ci chiediamo quanto denaro pubblico sia stato inghiottito per la costruzione di impianti e impiantini che oggi risultano quasi tutti fuorilegge rispetto alla normativa europea».
 «I cittadini abruzzesi oggi pagano per mantenere in piedi i depuratori e avere fiumi al collasso»: è questo, per l’Adiconsum, il punto di partenza per la richiesta di rimborso collettivo contro l’Aca sul caso del depuratore di Montesilvano: i cittadini sono costretti a pagare, in bolletta, dal 35,7 al 48,5 per cento dell’importo per finanziare il depuratore che inquina il Saline. Per questo il depuratore è stato sequestrato dalla Forestale. Alla base della class-action c’è una sentenza della Corte costituzionale dell’8 ottobre sui depuratori «inattivi».
 «I cittadini», conclude Corraro, «pagano gli errori commessi dalla classe dirigente abruzzese degli ultimi trent’anni, incapace di trovare soluzioni decenti per il ciclo delle acque». Sulla class-action dei consumatori, Bruno Catena, presidente Aca, così replica: «L’Adiconsum ha il dovere di tutelare i cittadini. Se ritiene opportuno avviare azioni legali nei confronti dell’Aca per il rimborso del canone di depurazione ai cittadini di Montesilvano, non sarà di certo l’Aca a impedirlo». (p.l.)

Gli alberi contro i veleni 


 PESCARA. Alghe, fiori e alberi usati come barriera anti-inquinamento. È la fitodepurazione, l’ultima frontiera della depurazione. Ma come funziona il processo di depurazione degli scarichi fognari? Due sono le fasi principale: la prima è la sgrigliatura che avviene mediante il passaggio delle acque nere attraverso una serie progressiva di filtri, mentre nella seconda i liquami sono trattati con composti chimici per ottenere la biodegradazione dei veleni e una riduzione della carica batterica. La seconda fase di depurazione è la più costosa perché comporta l’impiego di composti chimici. Al termine del processo di depurazione, è possibile ottenere acqua non potabile utilizzabile per l’irrigazione. Tra gli impianti di medie e piccole dimensioni, i più diffusi sono i trattamenti dei reflui con fanghi attivi, le fosse imhoff, i pozzi assorbenti, i canali disperdenti e le vasche di decantazione. (p.l.)

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