domenica 8 gennaio 2012



IL COLORE DELL'ACQUA  seconda parte  

La sete nei territori Palestinesi

di Alice Grey www.lifesource.ps
14 luglio 2008


Il Mare di Galilea rappresenta una parte del bacino idrico del fiume  Giordano e in genere rifornisce gli Israeliani di una quantità di acqua pari a 570 milioni di metri cubi  all'anno, la maggior parte dei quali viene trasferita  a sud attraverso il corriere nazionale Israeliano dell'acqua, per rifornire città e fattorie all'interno e nel sud del paese. Se questo rifornimento viene ridotto, molto probabilmente gli agricoltori israeliani saranno i primi a subirne le conseguenze, dato che il settore agricolo rappresenta il principale settore di impiego dell' acqua nel paese;  l'Autorità dell'Acqua sarà quindi costretta per via della siccità a tagliare quote di risorsa idrica destinata agli agricoltori al fine consentire il consumo per usi civili. Oltre a ciò, essa potrebbe proteggere gli Israeliani evitando  loro di patire l'effetto della carenza di acqua, attraverso l'integrazione dei vuoti di fornitura domestica mediante l'acqua proveniente da altre fonti, e ciò probabilmente a danno dei già vessati Palestinesi. 
Attualmente Israele ha riconosciuto il diritto all'acqua dei Palestinesi, ma senza  quantificarlo, il che lascia questi ultimi  soggetti a riduzioni indiscriminate nel rifornimento idrico. Nel 1995 venne firmato un accordo temporaneo (l'Accordo Temporaneo di Oslo) con il quale veniva stabilito che entrambe le parti  potevano continuare a mantenere lo stesso livello di sfruttamento  della Falda Acquifera Montana (ossia l'80% dell'acqua agli Israeliani e il 20 % ai Palestinesi) fino a che non si fossero tenute le negoziazioni relative allo Status Permanente. Questo schema di sfruttamento parziale della risorsa idrica costituiva il risultato della limitazione imposta da Israele allo sviluppo idrico della Palestina, a partire dall'inizio dell'occupazione nel 1967, allorquando Israele proclamò che tutte le risorse idriche fossero  di proprietà dello stato Israeliano, fissò delle quote di estrazione dai pozzi, e creò un sistema di permessi che ha minato in maniera irrimediabile lo sviluppo idrico dei territori palestinesi. In base agli Accordi di Oslo, ai Palestinesi doveva essere consentito di sviluppare un rifornimento addizionale di 80 milioni di metri cubi di acqua da fonti situate all'interno della West Bank, al fine di alleviare le immediate carenze idriche.
Anche con le concessioni aggiuntive, l'ammontare di acqua riconosciuto ai palestinesi era appena sufficiente a fare fronte ai loro bisogni di base, senza consentire uno sviluppo del settore agricolo, e senza tenere in considerazione il livello di crescita della popolazione nel medio e nel lungo termine. I Negoziati per lo Status Finale si sarebbero dovuti concludere entro cinque anni dalla firma degli Accordi Temporanei. Tali accordi  non si sono ad oggi mai tenuti, e i miglioramenti richiesti e relativi alla situazione idrica di molte comunità Palestinesi in gravi situazioni di carenza di acqua sono stati elusi.
Meno della metà degli 80 milioni di metri cubi di rifornimento aggiuntivo di acqua sono stati conseguiti, malgrado l'elevato ammontare dei fondi raccolti per  lo sviluppo idrico dei Palestinesi.
Una delle principali ragioni di questo è che gli Accordi di Oslo riconoscevano ad Israele un potere di veto sui progetti di sviluppo Palestinesi; ed inoltre ha creato un sistema di permessi lungo, contorto e burocratizzato, che alcune ONG, sia internazionali che locali che lavorano in questo settore hanno giudicato impossibile da negoziare. Il 60%  dei territori della West Bank sono rimasti sotto il controllo totale di Israele, ed i progetti che si vogliono realizzare in quest'area richiedono dei permessi addizionali da parte delle Autorità Israeliane. 
Quasi tutte le comunità Palestinesi che non sono allacciate alla rete idrica  (circa 220.000 persone) si trovano in aree controllate da Israele.
Gli sforzi messi in campo per aiutare queste persone sono stati costantemente sviati e boicottati nel corso dei 13 trascorsi dalla firma del Trattato di Oslo.
Ad esempio nell'aprile di quest'anno la British Charity Oxfam che era stata coinvolta nei due principali progetti idrici per alleviare la carenza di acqua nel governatorato di Hebron, è stata costretta a chiudere i suoi uffici nella zona in questione a causa dell'impossibilità di ottenere i permessi per poter svolgere la sua attività.
A causa del crescente sentimento di frustrazione dovuto all'incapacità di poter implementare i propri progetti  per via della mancanza dei permessi necessari, e a causa della perdita di tempo e di denaro che questa situazione stava causando, la Charity è stata costretta a rinunciare  ad offrire il suo aiuto così prezioso nel portare l'acqua alle comunità assetate del sud di Hebron, che sono tra le più bisognose di tutta la West Bank.
Non essendo stati capaci di ottenere autonomamente l'accesso ad una quantità sufficiente di risorse idriche, i Palestinesi sono stati costretti a dipendere in modo sempre maggiore per quanto riguarda l'acquisto dell'acqua, dalla società idrica Israeliana Makerot. 
L'anno scorso i Palestinesi hanno dovuto acquistare 43.9 milioni di metri cubi di acqua dalla Makerot, la metà dei quali sono stati impiegati per usi domestici nella West Bank.
Quest'acqua è priva di garanzia (ad eccezione di 5 milioni di metri cubi che sono stati trasferiti a Gaza) - nel senso che se la Makerot decide di non vendere acqua ai Palestinesi, non esiste accordo  che possa convincerli a farlo). Se quest'acqua viene richiesta da Israele, per uso domestico, per l'agricoltura o per l'industria, essa può essere impiegata per tali usi, lasciando  i Palestinesi a morire di sete.
Per via della siccità di quest'anno c'è una  forte  preoccupazione che questo sia quello che realmente possa accadere. Infatti, le riduzioni nell'emissione di acqua  che in genere sarebbero dovuti cominciare in luglio, quest'anno si sono verificati già in maggio, e la situazione sembra destinata a peggiorare  con 'aumentare della temperatura. La Makerot adesso controlla direttamente il rifornimento idrico diretto a 250 comunità Palestinesi della West Bank, che vengono rifornite attraverso le stesse tubature che portano l'acqua agli insediamenti israeliani. 
Negli anni passati le valvole che rifornivano i villaggi Palestinesi, molti dei quali sono localizzati  all'interno degli stessi insediamenti, sono state chiuse in diverse occasioni durante i mesi estivi, al fine di assicurare una sufficiente pressione nella rete idrica tale da garantire  un rifornimento costante di acqua  agli insediamenti, dove gli innaffiatoi continuano a bagnare le piante nei giardini, in netto contrasto con la realtà fatta di polvere  e sete che poco lontano le comunità Palestinesi sono costrette a vivere  in conseguenza di tutto ciò. 
Le violazioni del diritto all'acqua non sono limitate alla West Bank. Quest'anno la Striscia di Gaza è sotto un  embargo che limita  i rifornimenti di carburante, necessario ad alimentare le stazioni di pompaggio dell'acqua e i sistemi fognari ed anche i rifornimenti dei pezzi di ricambio necessari a mantenere operativo il complesso dei sistemi idrici e fognari. 
Il 21 gennaio 2008, l'Autorità Palestinese dell'Acqua ha appurato che il 40% delle case situate nella Striscia di Gaza non hanno acqua corrente e i report dei giorni successivi hanno scoperto che le acque reflue delle fognature fuoriuscivano lungo le strade. In marzo, i report sulla situazione forniti dalla Croce Rossa nella stessa zona, avvertivano che la situazione sanitaria era molto grave e che stava lentamente peggiorando. Con l'inizio dell'estate e l'arrivo del caldo, la grave situazione di carenza di acqua, dei rifornimenti di acqua contaminata e dei depositi stagnanti di acqua infetta in prossimità delle abitazioni  è lentamente peggiorata, a causa del perdurante embargo su Gaza da parte di Israele.
La situazione che si è venuta a creare a Gaza sta causando la necessità di modificare gli aiuti internazionali in assistenza  emergenziale, ed è lontano dall'affrontare il grave problema del degrado ambientale con la possibile distruzione dell'Acquedotto di Gaza attraverso la scusa che non c'è più acqua fresca per rifornire la popolazione.
La stessa cosa si può dire per la West Bank, dove a causa  della difficile situazione di sviluppo, i donatori si stanno concentrando maggiormente nell'assistenza immediata alle comunità prive di acqua, attraverso il rifornimento di cisterne di acqua a prezzi accessibili o mediante la costruzione di grandi cisterne, invece di risolvere il problema della insicurezza idrica e della insufficienza di infrastrutture che stanno creando dipendenza e vulnerabilità in primo luogo, e allo stesso tempo stanno contribuendo alla distruzione dell'ambiente Palestinese.
Il problema è che finchè il diritto all'acqua dei Palestinesi non verrà riconosciuto e protetto, e finchè continueranno le limitazioni allo sviluppo della Palestina, ogni anno i palestinesi impareranno a conoscere il colore dell'acqua troppo bene, a provare quella sensazione di spossatezza dovuta alla sete, e a sentirsi per il corso del loro futuro, come degli assetati che si trovano nel bel mezzo di una crisi creata apposta per loro da coloro  che li occupano.
Per tutto il tempo in cui il governo Israeliano è stato autorizzato, dalla gente di Israele e dalla comunità internazionale, a valutare il welfare degli Ebrei a confronto con quello degli Arabi, e a valutare il profitto prodotto dal settore agricolo a scapito dei diritti umani dei Palestinesi, questa tremenda ingiustizia, questo diniego del diritto all'acqua, la più importante tra le risorse vitali, il pre-requisito necessario a realizzare tutti lgi altri diritti umani, continuerà ad andare avanti.

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