lunedì 16 gennaio 2012




I due nomi della cosa


Alain Rey
Attraverso un processo di condensazione degno di un sogno freudiano, ma collettivo e secolare, il termine francese eau ha incorporato gli aspetti principali di questa sostanza vitale e assunto altri valori «liquidi». Eau, la cosa è nota, ma tuttavia strana, pronunciata come una sola vocale - o - è il risultato della parola latina aqua, abbreviata dalle pigre pronunce gallo-romane, mentre altre lingue romanze ne conservavano la consonante, a costo di addolcirla (lo spagnolo agua, accanto al modello antico conservato dall'italiano: acqua).
Gli stadi intermedi, che probabilmente si pronunciavano awa, éwè, nel nord della Francia, erano quasi omonimi della parola germanica della stessa origine ahwa («fiume» nella lingua dei Goti). Solo le tre vocali del francese scritto ricordano questa origine: e per la a iniziale, a per la «we» che altro non è se non un'attenuazione del qw originario, infine u per la vocale finale. In un divertente, ironico libro sull'ortografia francese, Jacques Laurent proponeva di «spennare l'oiseau (l'uccello)», altra parola di cui nessuna lettera è pronunciata, visto che suona «uazo», proprio come eau ridotta a una vocale privata delle sue tre lettere.
In latino, aqua non era il solo termine per questa sostanza, uno dei quattro elementi fondanti del mondo: aqua, ignis, il fuoco, aer, l'aria e terra. Ricca di derivati e composti, aqua era in concorrenza con unda, l'elemento mobile che il francese ha smesso di chiamare «onde» e che corrispondeva, al plurale: aquae, a «flots» [flutti].
Tra aqua e unda ci sono due grandi differenze: il primo vocabolo faceva dell'acqua un principio, un essere attivo, un dio; il secondo ci vedeva una cosa, un ambiente percepito, noto, sensibile, nelle sue diverse manifestazioni, dall'oceano al ruscello, dal lago al contenuto della giara, dall'acqua che sostiene le navi a quella che fa crescere le piante e disseta. Queste realtà vitali avevano nomi apparentati in tutto il dominio indoeuropeo; in compenso aqua, il principio, apparteneva, nelle poche lingue interessate, al «genere animato» e aveva solo «una scarsa estensione dialettale» (Ernest e Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine). Dato che si sta parlando di una realtà geografica e umana planetaria quale l'acqua, non è indifferente che i termini che la indicano siano estesi su una zona linguistica e culturale più o meno ampia. Da questo punto di vista, unda, l'acqua materiale, è una delle metamorfosi di una radice indoeuropea (w-t, w-d) che si ritrova in particolare nell'ittita, nel sanscrito (udn'ah), in greco (hudor, hudatos, da cui il nostro hydro-), nel germanico (dove porterà a water e wasser), in slavo (russo voda), essendo questo w-d nasalizzato nelle lingue baltiche (vandi, vandéàs) come in latino (unda).
La sensibilità culturale all'elemento è evidentemente in funzione delle rappresentazioni attraverso la lingua - il vocabolario dell'acqua è estremamente ricco - esse stesse espressione della situazione concreta delle società: quelle del deserto, delle oasi, del punto d'acquareagiscono in modo diverso da quelle dei climi temperati o ancora delle zone del monsone, da quelle delle piogge equatoriali, ecc.
Sartre, a proposito di Venezia, trae dall'acqua lagunare che bagna la splendida città l'idea di una «eternità in perpetuo movimento e che attira a sé tutti i contorni per negarli». Questa è un'acqua ottica e filosofica: è più l'aqua latina, principio e divinità, che l'unda che ci si aspetterebbe.
Ma i compiti dell'acqua sono innanzi tutto quelli della sopravvivenza: sopravvivenza della Terra stessa in molte cosmogonie, sopravvivenza della materia in alcune teologie, come quella del tedesco Johann Albert Fabricius (Théologie de l'eau, 1741 in francese). Ma se l'acqua può alimentare il sogno (Bachelard, L'Eau et les rêves), è perché ha dovuto nutrire la vita, lavandone, nel contempo, le sozzure. Se, quando di tratta di sensibilità verso la natura, l'inquinamento dell'acqua è un tema tanto sentito, è perché l'acqua (unda) deve essere anche purificatrice e lustrale. Non c'è rito religioso in cui non sia presente.
La rivoluzione scientifica del XVIII e XIX secolo si esprime ampiamente attraverso questa «sostanza- elemento», senza che la scoperta della sua natura materiale (H2O) ne distrugga la simbologia. La geografia, la geologia devono ricorrere a un'idrologia generale, e di conseguenza la politica internazionale, la geopolitica.
Le mitologie marine, lacustri, fluviali, pluviali, che scaturiscono dalle religioni e dal mondo poetico, hanno la loro «sorgente» in una plurisecolare lotta per la sopravvivenza. Distribuire l'acqua, combattere sia la siccità del deserto che l'acqua distruttrice (diluvi, tifoni), mantenere i popoli tra il torrente - vocabolo paradossale che evoca il fuoco devastatore - e il deserto, è stato il compito secolare dell'umanità nella sua lotta contro la «natura matrigna».
Ed ecco che nei terribili XX e XXI secolo, questa lotta, distruggendo le virtù dell'acqua, accaparrandosi i suoi doni compromessi, inquinando oceani, nuvole, piogge e corsi d'acqua(ciclo mortale, ciclo vitale) tende a distruggere l'umanità stessa, ad accrescere le ingiustizie della natura, ad assetare e avvelenare al tempo stesso, travolgendo, nella sua corsa cieca, i simboli e le immagini necessari alla speranza.
Unda minacciata, aqua privata delle sue virtù, il dramma è universale: la guerra dell'acqua - millenni dopo la guerra del fuoco - si combatte su uno sfondo di guerra contro l'acqua, contro la vita.
note: 
* Dei dizionari Le Robert.
(Traduzione di G. P.)
Le Monde Diplomatique marzo 2005

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