Dossier acqua
Progetti faraonici per rovinare un bene comune
Di fronte ad una crisi conclamata e al suo corollario troppo spesso annunciato - le guerre dell'acqua - di solito si invocano soluzioni tecnologiche. L'idea di andare a cercare la risorsa dovunque si trovi per portarla dove è necessaria, presenta il vantaggio, per i promotori di tali progetti, spesso ingegneri e imprese di lavori pubblici, di una perentoria semplicità. Ma questi trasferimenti massicci, ai quali molti paesi hanno fatto ricorso, lungo tutto il XX secolo, non sono privi di conseguenze: hanno spesso forti implicazioni politiche e sono accompagnati da notevoli impatti ambientali
Alimentare la popolazione urbana I trasferimenti massicci per soddisfare le popolazioni urbane sono insieme i più vecchi e i più numerosi. Che si pensi a Parigi, Marsiglia, Atene, Helsinki, Algeri, Tokyo, New York, Los Angeles...: la stragrande maggioranza delle città può soddisfare la domanda d'acqua solo con sostanziosi trasferimenti inter-bacini. Ma il problema dell'approvvigionamento assume ormai un aspetto diverso a causa della crescita accelerata delle città, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
La popolazione di Città del Messico, per esempio, è passata da 1,6 milioni nel 1940 a 13,9 milioni del 1980, per raggiungere i 19 milioni nel 2000. La città deve quindi costruire le infrastrutture urbane (strade, fogne, acquedotti, elettricità) ad un ritmo superiore alle sue capacità finanziarie, e sforzarsi di garantire il necessario approvvigionamento d'acqua ad una popolazione in rapida crescita.
Una scommessa cui riesce a far fronte - molto parzialmente - solo al prezzo di appropriarsi di acque sempre più lontane ... e di scontrarsi con altre collettività locali che si ritrovano private delle loro risorse.
Soddisfare un'agricoltura intensiva Nell'Ovest americano, l'acqua non manca, ma bisogna spostarla, deviarla per irrigare spazi agricoli sempre più estesi, segno tangibile del fatto che la tecnologia si è impadronita della natura. Così i fiumi sono stati ridisegnati, imbrigliati, sbarrati per costruire grandi serbatoi (lago Mead: 35 miliardi di m3; lago Powell 33,3 miliardi di m3, entrambi sul Colorado), poi deviati massicciamente per portare l'acqua verso le città e i campi. Nello stesso periodo, anche nell'Asia centrale nascevano programmi altrettanto faraonici. Il Turkmenistan, ad esempio, preleva ogni anno ben 11 miliardi di m3 dall'Amu Daria per alimentare il canale di Karakoum il quale, a causa di una manutenzione praticamente inesistente, perde lungo i suoi 1.100 km fino al 50% di acqua.
Con la costruzione dell'acquedotto di Los Angeles nel 1913, la California, l'Arizona e l'Utah hanno inaugurato l'era dei grandi progetti di trasferimento delle acque del Colorado, che hanno provocato il prosciugamento del lago Owens e la distruzione delle comunità locali della valle dell'Owens (California). Attualmente, il Colorado, come il Syr e l'Amu Daria nell'Asia centrale, non raggiunge che episodicamente il mare, il che ha provocato brutali catastrofi ambientali quali la sparizione degli stagni del delta del Colorado e la scomparsa del mare di Aral. Quest'ultimo, nel 2001, aveva perso l'80% del suo volume del 1960 e quadruplicato la salinità delle acque distruggendo la maggior parte delle specie viventi; sali, pesticidi e altri composti tossici deposti sul fondo prosciugato, ormai spazzato dai venti, sterilizzano i suoli per centinaia di chilometri e provocano gravissimi problemi sanitari tra le popolazioni locali (anemia, malattie del fegato, contaminazione del sangue con pesticidi e metalli pesanti...).
Questi trasferimenti massicci, più che rispondere a un reale bisogno di acqua, sono stati voluti in una logica di massimizzazione della produzione agricola e di assoggettamento della natura come fattore di produzione.
Trasportare i fiumi del Canada negli Stati uniti I limiti dell'ambiente naturale hanno cominciato a manifestarsi nell'Ovest americano negli anni '60. Il timore di restare senza acqua in un tempo breve, accentuato nel 1963 da un verdetto della Corte suprema che imponeva alla California di rinunciare ad una parte dei volumi prelevati nel Colorado, ha portato ingegneri e responsabili politici a ipotizzare trasferimenti massicci dal Columbia e dal Mississippi.
Di fronte al rifiuto degli stati interessati, è poi nata l'idea di andare a cercare l'acqua ancora più lontano, dove ce n'è in abbondanza, cioè in Canada. Era l'epoca dell'ingegneria trionfante; l'epoca in cui si pensava che per rispondere alla domanda si dovesse necessariamente aumentare l'offerta, e quindi realizzare trasferimenti massicci non appena le risorse locali fossero eccessivamente sfruttate.
L'opinione pubblica canadese si è radicalmente opposta a tali progetti, e non perché la pratica dei grandi trasferimenti sia sconosciuta in Canada, al contrario. Ma l'idea di cedere il controllo delle acque rimarcava brutalmente la questione della sovranità canadese di fronte al suo ingombrante vicino.
Oggi, al riproporsi di simili progetti, gli oppositori insistono, sia in Canada che negli Stati uniti, sull'aspetto aleatorio di questa scelta: se non cambiano le abitudini di consumo, si spenderebbe molto solo per spostare di qualche tempo il problema. Per Ottawa, è fuori discussione che, in nome di una pretesa solidarietà umanitaria, si ceda su una così delicata questione di sovranità, per garantire le pratiche di spreco che a lungo hanno rappresentato il modo di gestire l'acqua negli Stati uniti. Nel 2000, la Commissione mista internazionale, l'organismo binazionale incaricato di arbitrare le controversie di frontiera tra Canada e Stati uniti, le ha dato ragione, affermando che i trasferimenti massicci d'acqua sono ammissibili solo come ultima soluzione e a condizione di ripristinare il livello dell'acqua nel bacino di origine. (1) Appropriarsi delle falde: una competizione insensata Il destino di altri progetti di trasferimento, come quelli relativi a Dakar, varia a seconda delle contingenze politiche. Da molti anni, la città si alimenta principalmente grazie a falde freatiche più o meno vicine: nel 1999, l'80% del suo approvvigionamento proveniva da quelle comprese tra il lago di Guiers e Capo Verde.
Da più di un decennio, il progetto del canale del Cayor è una vera e propria fandonia «idrologica». Si era pensato di realizzare un acquedotto per garantire il rifornimento idrico della capitale senegalese.
Ma il piano, che pure costituiva una priorità per lo stato, è stato rimandato sine die. La ragione principale sta nella ricorrente tensione tra Senegal e Mauritania sulla spartizione delle acque del fiume Senegal. I rapporti e le relazioni diplomatiche tra i due stati sono globalmente buoni, ma non sono esenti da brutali deterioramenti che attengono più alla suscettibilità dei governi che a problemi reali.
Infatti, malgrado la siccità che colpisce il Sahel da trentacinque anni, la realizzazione delle dighe di Diama e Manantali sul fiume Senegal, nel quadro l'Organizzazione per la valorizzazione del Senegal (Ovs), ha teoricamente portato a questi due paesi, come al Mali, una certa disponibilità di acqua. Tuttavia, dopo le gravi rivolte a Dakar e a Nouakchott nel 1989 a seguito di un incidente di frontiera, i governi mauritani che si sono succeduti hanno sempre ostentato toni virulenti ogni volta che il governo senegalese ha presentato un progetto per l'utilizzo delle acque del fiume Senegal. Per questo motivo, i due paesi utilizzano solo una piccolissima frazione (il 20% il Senegal, meno del 5% la Mauritania) dei volumi che l'Ovs ha loro attribuito a seguito della sistemazione idraulica della valle (2). Ma la metafora del trasferimento è politicamente esplosiva: spesso rappresenta, agli occhi dei rivieraschi, l'espressione di una violenza, un furto della risorsa.
Un progetto simile è stato studiato per garantire l'approvvigionamento di Nouakchott. Il canale a cielo aperto previsto tra il fiume Senegal e la capitale mauritana, lungo circa 170 chilometri, dovrebbe alimentare una riserva d'acqua pre-trattata di 150.000 m3 e un serbatoio seminterrato di una capacità di 5.000 m3 per triplicare la produzione giornaliera di acqua entro il 2020.
Cofinanziato dal Fondo africano di sviluppo (Fas), dal Kuweit e dall'Arabia saudita, il progetto prevede anche una stazione di depurazione. Alcuni specialisti, però, temono che il sotto-dimensionamento della rete possa provocare delle inondazioni con gravi, e purtroppo già note, conseguenze sanitarie (recrudescenza del colera, per esempio).
Sfruttare le riserve o lasciarle nel sottosuolo: il caso libico Per irrigare i terreni agricoli delle regioni mediterranee, nel 1983 la Libia ha avviato un titanico progetto destinato a trasferire le riserve d'acqua sotterranee nascoste nel sottosuolo desertico. Interamente finanziato dalla rendita petrolifera, la costruzione del Grande fiume artificiale (Gfa) costerebbe circa 32 miliardi di dollari. Ora, onestamente, l'enormità della spesa rende ancora più sorprendente la volontà di Tripoli di sfruttare una risorsa fossile la cui vita ha una durata limitata.
Formatesi da 6.000 a 12.000 anni fa, in un'epoca in cui l'attuale Sahara era molto più umido, le sorgenti d'acqua del sud della Libia, certo abbondanti, non si rinnovano più. La capacità di estrazione del Gfa è di 2,2 miliardi di m3 per anno, con un costo totale di produzione di acqua comparabile, se non già superiore, a quello delle stazioni di dissalazione - il costo di produzione dell'acqua dissalata per osmosi inversa è diminuito di quasi il 70% in vent'anni. A questo ritmo, si valuta che la durata di sfruttamento sarebbe di circa cinquant'anni.
A livello ufficiale, la Libia giustifica questa scelta politica con il desiderio di garantirsi l'autosufficienza alimentare - sviluppando la coltura di cereali - e una certa diversificazione economica. Resta tuttavia qualche dubbio sulla sua utilità, dato che stimolare lo sviluppo di un settore agroalimentare a debole valore aggiunto (cereali) e molto dipendente da una risorsa il cui esaurimento è già annunciato, non sembra economicamente molto razionale.
In realtà, la politica libica, come quella dell'Arabia saudita negli anni 1980 - 1990 (sfruttamento intensivo delle acque fossili per la coltura del grano in pieno deserto e sua esportazione sui mercati mondiali) sembrerebbe piuttosto uno strumento politico destinato, per i sauditi, a trasformare la società rendendo sedentari i beduini, e per Tripoli, a ridurre la dipendenza alimentare percepita come una debolezza durante l'embargo occidentale, tolto solo di recente (settembre 2003).
(Traduzione di G. P.)
note:
* Professore al dipartimento di geografia, Università Laval (Quebec), co-autore con Luc Descroix, di Eaux et territoires: tensions, coopérations e géopolitique de l'eau, Presses de l'Université du Quebec, 2003.
(2) Commissione Mista Internazionale, Examen des recommandations du rapport de février 2000 de la Cmi, agosto 2004.
(3) Luc Descroix, «Dakar: une capitale dépendant d'approvisionnements lointains», in Les transferts d'eau massifs. Outils de développement ou instruments de pouvoir?, Presses de l'Université du Québec, in stampa quest'anno.
FONTI: Aquastat 2002, Fao, Roma ; World Resources Institute,Washington Dc ; Igor Shiklomanov, State Hydrological Institute, San Pietroburgo, e Programme hydrologique international, Unesco, Parigi; Jean-François Troin, Le Maghreb: hommes et espaces, Armand Colin, Parigi, 1985; Georges Mutin, L'Eau dans le monde arabe, Edition Ellipses, Parigi, 2000; Le Courrier de l'Unesco, febbraio 2000; Société nationale d'eau, Nuakchott; United Nations University; J. C. et F. Quinn, Water diversion and export: learning from the Canadian experience, università di Waterloo, 1992; Hydro-Québec, Montréal; United States Geological Survey; Brian Morris, British Geological Survey, 2001.
da Le Monde Diplomatique Marzo 2005
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