martedì 4 giugno 2013

Acqua. Acea Ato2: aumentano gli utili, ma crollano gli investimenti. La ripubblicizzazione rimane l’unica soluzione sensata!

 

Roma, 4 giugno 2013 – I dati che indicano come la gestione privata dell’acqua non sia nell’interesse della collettività questa volta non arrivano dai cittadini in lotta da anni per l’acqua pubblica, ma dalla stessa Segreteria Tecnica Operativa di Acea Ato2 (Ambito territoriale ottimale), in una lettera inviata ai vertici di Acea e ai sindaci di Roma e Provincia riuniti nell’Ato 2.



Nonostante gli azionisti di Acea gioiscano per l’aumento dei dividendi, che nel 2012 sono ammontati a circa 64 milioni di euro, gli investimenti nel settore idrico sono stati ampiamente inferiori a quelli programmati (140 milioni a fronte dei 202 previsti), e sono destinati a scendere ancora nel 2013. Tutto ciò mentre sul territorio dell’Ato2 i depuratori continuano a essere dichiarati fuori legge e per l’emergenza arsenico si cercano soluzioni adoperando fondi pubblici.
A che cosa serve allora la presenza dei privati nell’acqua? Sicuramente ad arricchire il portafoglio di pochi, a scapito della salute e degli interessi di molti. I “molti” in questo caso rappresentano davvero la maggioranza dei cittadini di Roma, ovvero i 1.238.000 di Sì per l’acqua bene comune che ai referendum di giugno 2011 hanno dichiarato di volere i privati fuori dalla gestione dell’acqua.
La ripubblicizzazione del ramo idrico di Acea è quindi giusta, urgente e praticabile, come dimostra, bilanci alla mano, lo studio eseguito dal coordinamento romano acqua pubblica, che mette in luce il perverso meccanismo per cui gli utili della gestione dell’acqua vengono interamente assorbiti dalla multinazionale Acea, di cui Acea Ato2 SpA è una controllata, causando il cronico indebitamento di quest’ultima. LINK
Per ribadire questo concetto fondamentale, il prossimo 12 giugno, giorno del secondo “compleanno” della vittoria referendaria, i cittadini di Roma saranno in piazza S.Cosimato insieme, tra gli altri, al Professor Stefano Rodotà.

http://www.recommon.org

 

Acea in fuga a piazza Affari, torna sopra 6 euro dopo due anni. Il titolo sale del 55 per cento in sei mesi

 

 

Il titolo Acea fa faville a piazza Affari. Le azioni dell'utility controllata dal Comune di Roma e partecipata da Francesco Gaetano Caltagirone (16,3%) e da Gdf-Suez (11,5%) stanno mettendo a segno rialzi costanti da oltre un mese e mezzo, periodo nel quale il titolo ha segnato un incremento del 30% superando nei giorni scorsi quota 6 euro, livello che non si vedeva più da giugno 2011, ovvero dall'inizio della crisi dei debiti sovrani. La perfomance dell'ultimo anno registra un incremento del 60 per cento; quella degli ultimi sei mesi circa il 55 per cento. In una giornata pesante per piazza Affari, come quella di ieri, le azioni Acea hanno chiuso con un rialzo del 2,8 per cento e questa mattina in apertura la corsa è continuata con un +5% iniziale che poi si è ridimensionato un +2,6%, con il titolo a 6,3 euro. Non si può neanche escludere, comunque, che alla base dei rialzi degli ultimi giorni ci sia lo shopping degli azionisti privati, come Caltagirone e Gdf-Suez, che spesso arrotondano sul mercato le loro partecipazioni
Il cambio al vertice e il new deal. A leggere in controluce l'andamento del rialzo, l'accelerazione sembra coincidere con il momento in cui è emerso che l'azionista di riferimento, il Comune di Roma con il 51% del capitale, aveva deciso di procedere al rinnovo del vertice prima delle elezioni amministrative procedendo a sostiture l'ex ad, Marco Staderini, con il dg Paolo Gallo. E questo nonostante le polemiche scatentate dall'opposizione in Comune perchè, a suo avviso, Gallo sarebbe state espressione degli azionisti privati. La scelta è stata apprezzata perchè, al di là di meriti o demeriti dei singoli, la promozione avrebbe coinciso con una maggiore chiarezza nella governance: fino a qualche mese fa in Acea c'erano tre figure di peso - l'ad, il dg e il direttore finanziario - spesso in contraddizione tra loro.
Migliorano i conti. Adesso le decisioni sono riconducibili a una sola figura che ha già provveduto a inaugurare il nuovo corso: riduzione del capitale circolante, anche attraverso la riscossione di crediti da parte dell'azionista comune di Roma, taglio degli investimenti e un sistema di controllo e di autofinanziamento per le singole divisioni. I conti ne hanno risentito in positivo già nel primo trimestre (12,5% l'ebitda), anche se restano ancora tanti fronti da aperti. A cominciare dalla situazione critica della gestione di alcuni acquedotti, con i relativi contenziosi sulle bollette idriche. E il fenomono delle bollette elettriche "pazze" che sta impazzando nella Capitale, con migliaia di utenti infuriati che minacciano di cambiare gestore.

www.ilsole24ore.com

 



Acea: a Roma mancano investimenti per 
141 milioni
I numeri della crisi -relativi agli anni 2012 e 2013- riassunti in una lettera indirizzata dalla Segreteria della Conferenza dei sindaci ad Alemanno, Zingaretti e alla dirigenza della mutliutility romana. Che però ha approvato un bilancio in utile, e già a dicembre ha deciso di distribuire dividendi milionari ai soci, il Comune di Roma, Caltagirone e Suez su tutti
di Luca Martinelli - 22 maggio 2013

Dà l'idea di una società florida la lettera agli azionisti di Giancarlo Cremonesi, presidente di Acea, che apre il bilancio 2012 della multinazionale romana dei servizi pubblici locali, quotata in Borsa: “In uno scenario globale, caratterizzato da una persistente fase di incertezza economica e finanziaria, Acea continua a rappresentare una realtà affidabile. La crescita del volume di affari, il netto miglioramento del margine operativo accompagnati da una solida struttura patrimoniale del gruppo, dimostrano la validità della strategia adottata dall’azienda che ha saputo ben reagire dinanzi ad un contesto macroeconomico sfavorevole e ad uno scenario regolatorio ancora incerto”. È forte Acea, che attraverso una rete di società controllate è oggi il principale attore di questo settore in Italia con 8,6 milioni di abitanti serviti, 760 milioni di metri cubi di acqua potabile venduta, 852 milioni di metri cubi di acque reflue depurate e oltre 1 milione e 160 mila controlli sulla risorsa potabile.

Eppure, una lettera riservata che Altreconomia ha potuto visionare, indirizzata anche a Giancarlo Cremonesi da Alessandro Piotti, dirigente della Segreteria tecnico operativa della Conferenza dei sindaci dell'Ambito territoriale ottimale 2 Lazio Centrale-Roma, mette in crisi queste certezze. La missiva, datata 13 marzo 2013, dà conto di una grave contrazione degli investimenti nell'area di Roma, pari a 141 milioni di euro tra il 2012 e il 2013
Criticità che non trovano spazio nel bilancio 2012 di Acea, dove anzi le parole di Cremonesi trovano conferma proprio nei dati relativi al servizio idrico integrato (acquedotto, depurazione e fognature), che nel 2012 ha garantito ricavi che “si attestano a 792,8 milioni di euro e crescono (+ 10,5%) rispetto al 31 dicembre 2011 di 75,4 milioni di euro”.
Nonostante, precisa la relazione allegata, le incertezze legate al referendum del 12 e 13 giugno 2011.

Riprendiamo la lettera di Piotti. Essa ha per oggetto “Investimenti del Gestore del S.I.I. Dell'Ato 2 Lazio Centrale-Roma – Acea Ato 2 spa”, dove Acea Ato 2 spa è una società controllata da Acea (che ne detiene il 94,46%), e partecipata da Roma Capitale, che garantisce acquedotto depurazione e fognature a circa 3 milioni di abitanti di Roma e di 75 Comuni della provincia.
Scrive il dirigente della Segreteria tecnico operativa della Conferenza dei sindaci: “Informalmente e in anticipo rispetto alla pubblicazione del bilancio ho avuto notizia che Acea Ato 2 ha realizzato investimenti per 140 milioni di euro e per il 2013 prevede di realizzare 110 milioni. Ciò nonostante gli accordi pregressi e quanto riconosciuto nell'ultima tariffa […] prevede investimenti per il 2012 pari a 202 milioni di euro e per il 2013 a 189 milioni. Sempre per vie informali sembra che questa auto riduzione degli investimenti sia dovuta al crescere dell'indebitamento”.
Stanti queste condizioni, aggiunge Piotti, sarà difficile “approvare un incremento tariffario (che allo stato attuale delle elaborazioni si aggira intorno al 2% per il 2012 ed al 5% per il 2013 rispetto ai valori tariffari in vigore al 31 luglio 2012) quando contemporaneamente il gestore ha auto ridotto gli investimenti”. 

Questi numeri negativi stridono con quelli del comunicato “ufficiale” sui risultati di Acea, che spiega come la società abbia chiuso il 2012 con un utile netto, “dopo le attribuzioni a terzi, di 77,4 milioni di euro”, staccando un dividendo da 30 centesimi per azione ai soci. Ventuno centesimi per azione sono stati anticipati già a dicembre 2012. Facciamo due conti: ciò significa che i principali azionisti già a gennaio 2013 hanno incassato -rispettivamente- 22,8 milioni di euro (il Comune di Roma, che detiene il 51% della società), 7,31 milioni di euro (Francesco Gaetano Caltagirone, che detiene il 16,3% di Acea) e 5,15 milioni di euro (Gdf Suez, ferma all'11,5% del capitale).  

Gli effetti della lettera di Piotti -che Giancarlo Cremonesi deve aver letto con attenzione, e con lui anche Gianni Alemanno (che probabilmente l'ha ricevuta tra volte, come azionista di Acea, come azionista di Acea Ato 2, e come sindaco di uno dei Comuni servizi dall'azienda)- già si fanno sentire: anche se ne fa menzione nel resoconto intermedio di gestione relativo al primo trimestre 2013, pubblicato il 14 maggio 2013, in merito all'approvazione della nuova tariffa per Acea Ato 2 emerge che qualcosa è andato storto: “Con riferimento al processo di approvazione delle proposte tariffarie per gli anni 2012 e 2013 da parte degli enti d’ambito [...], si segnala che la Conferenza dei Sindaci si è riunita il 29 aprile 2013 e non si è determinata su alcuno dei punti posti all’ordine del giorno per mancanza del numero legale”.

Acea Ato 2 è (anche) l'azienda su cui si concentra la proposta di ri-pubblicizzazione elaborata dal Coordinamento romano acqua pubblica (Crap, craproma.blogspot.it), di cui abbiamo scritto su Ae a febbraio. Una proposta che, sull'onda del referenum, nasce da un'analisi attenta del bilancio della società, che evidenziale come “Acea preleva tutti gli utili di Acea Ato2, in media 50 milioni di euro, e poi presta alla stessa le risorse necessarie per gli investimenti, tramite una linea di credito intercompany ma a tassi di mercato -come ci ha raccontato Caterina Amicucci di Re:Common e del Crap-. A fine 2011 (non c'era ancora il bilancio 2012, ndr) il credito di Acea Spa nei confronti di Acea Ato 2 Spa era pari a 480,5 milioni di euro”. “Pagando solo l’interesse -aveva aggiunto Marco Bersani, del Crap e di Attac- Acea Ato2 non va mai ad intaccare lo stock di debito. Che è destinato ad esplodere”. Tra il 2007 e il 2011 è già cresciuto, in media, del 22,88% all’anno.


http://www.altreconomia.it  

lunedì 6 maggio 2013

Organico gonfiato, il costo ha superato i 15 milioni
Crisi Acqualatina e spese incontrollate
Cosa c’è dietro la mancanza di liquidità
ANCHE Acqualatina è in crisi di liquidità ed è l’ennesimo esperimento di gestione dei servizi pubblici da parte di società per azioni che finisce in un modo persino peggiore di quello che si è visto con le municipalizzate e i consorzi- carrozzone. La spa delle acque ha problemi di liquidità molto gravi.

PER dieci anni il verbo più diffuso nell’ambiente politico che conta in provincia di Latina ha cercato di insegnare ai comuni mortali che la gestione privatistica del servizio idrico e della depurazione era la migliore, ottimizzava i costi e riduceva gli sprechi. In questi giorni (ma già si sapeva da qualche mese) si viene invece a sapere che Acqualatina spa ha accumulato crediti da bollette non riscosse pari a 65 milioni di euro (quasi il bilancio di un intero anno) e che questo comporta un problema di liquidità tale da rendere inevitabile lo stato di crisi con contestuale dichiarazione degli esuberi dei lavoratori e avvio delle procedure per accedere agli ammortizzatori sociali. Dagli ultimi bilanci della spa si evince che il costo del personale è aumentato in modo costante e progressivo fino a superare i 15 milioni di euro all’anno, escluse le consulenze. La pianta organica di Acqualatina è stata gonfiata in modo spaventoso fino ad arrivare agli attuali 400 dipendenti cui comunque si aggiungono i collaboratori; a spulciare gli elenchi e dalle procedure seguite nelle selezioni si evince chiaramente che si tratta il larghissima misura di parenti, amici e fedelissimi dei politici più influenti della provincia di Latina che poi sono gli stessi che siedono regolarmente nel consiglio di amministrazione. Ora che il giochetto delle assunzioni dei raccomandati non è più sostenibile, vista la crisi di liquidità, si va verso la richiesta di ammortizzatori sociali. Cioè: i politici hanno infornato personale raccomandato fatto di parenti e amici e ora che non riescono più a pagare gli stipendi chiedono alle casse pubbliche di sostenere questi lavoratori (pur rispettabili sul piano sociale) attraverso la cassa integrazione o il contratto di solidarietà, strumenti che prevedono che la retribuzione venga pagata anziché dalla spa in crisi dalla Regione Lazio. E tutto questo senza alcuno, neppure l’attuale giunta regionale, si chieda chi sono i responsabili della pessima gestione economica, finanziaria e del personale. E’ un capolavoro.

Latina Oggi, Domenica 5 Maggio 2013
Adesso il personale in esubero verrà pagato dalla Regione. Doppia beffa
Ex gestori «virtuosi»

Il modello privatistico doveva ottimizzare costi e servizi
Le società a capitale misto mostrano crepe. E scandali

LE società partecipate da enti pubblici stanno mostrando il fianco e anche una serie di anomalie che integrano fattispecie penali. C’è un’inchiesta sulla Latina Ambiente legata a verifiche avviate sulla Terracina Ambiente, mentre la Slm è in liquidazione ma ancora pesa sulle tasche dei cittadini, Acqualatina è in crisi, Formia Servizi è già fallita e viene contestato il falso in bilancio agli ex a m m i n i s tr a t o r i . L’elenco potrebbe continuare ma forse è già sufficiente per capire a cosa sono davvero servite le società partecipate cui negli ultimi dieci anni sono stati affidati servizi essenziali come acqua, rifiuti e gestione delle aree di sosta. Nel caso specifico di Acqualatina va detto che questa società è stata prima di ogni altra cosa il poltronificio più ambito da tutti i maggiorenti politici della provincia che non hanno mai mollato il cda e hanno controllato in modo più che evidente l’affidamento degli appalti, come dimostra la geografia politica degli aggiudicatari. Tutto questo non sarebbe stato di per sè né una novità, né uno scandalo se i costi non fossero stati scaricati sulle bollette, aumentate in una media tra il sei e l’otto per cento ogni anno; e anche a quest’ultima beffa gli utenti si erano abituati fino a quando non si è scoperto che la discutibile gestione societaria di Acqualatina ha prodotto una tale crisi di liquidità che ora bisognerà pagare pure gli ammortizzatori sociali. Infatti due giorni fa nel corso di un incontro tra il management e i sindacati confederali è stato dichiarato un esubero di 73 unità su 400, motivo per il quale si è trovato un accordo di massima per l’accesso ai contratti di solidarietà in base ai quali si avrà una riduzione del 25% delle ore lavorate e gli ammortizzatori sociali della Regione andranno a coprire l’ottanta per cento delle buste paga dei lavoratori coinvolti, i quali alla fine subiranno decurtazioni comprese tra il cinque e l’otto per cento. Ferma restando la necessità di tutelare questi lavoratori, la maggior parte dei quali controlla il funzionamento dei depuratori, le sorgenti e la rete di adduzione, è abbastanza curioso che nessuno dei sindacati coinvolti nella trattativa si sia chiesto come mai si è arrivati a questa crisi finanziaria di Acqualatina. E perché si sta andando verso l’applicazione di ammortizzatori sociali per gli operai e i tecnici, il cui stipendio non supera i 1200 euro al mese, mentre non viene toccato il costo del cda che tuttora ammonta a 340mila euro l’anno e che va nelle tasche delle persone che hanno prodotto la crisi in atto nella spa. Il compenso dell’am - ministratore delegato di Acqualatina è pari a 140mila euro l’an - no, quello del presidente a 45mila euro, quello del vice a 33mila euro, gente che si presume abbia un’altra occupazione, almeno una. I vertici della spa non possono declinare responsabilità sulla mancata riscossione delle bollette, né sulla lievitazione dei costi e neppure sull’assenza di una adeguata programmazione circa l’uso del personale in organico. Si tratta di argomentazioni scomode per il sindacato e anche per le associazioni dei consumatori. Ma le stesse sono addirittura impossibili per le parti politiche che in dieci anni di esperienza targata Acqualatina hanno sempre contribuito a presenziare nei cda che si sono succeduti.

Graziella Di Mambro

Latina Oggi, Domenica 5 Maggio 2013

lunedì 29 aprile 2013


Arsenico, nessuno paga la corrente
che alimenta i potabilizzatori

Talete non ha soldi. Le società obbligate a fornire l'energia
per non interrompere la distribuzione dell'acqua



di Alessia Marani


VITERBO - Arsenico, emergenza senza fine. Ora nel Viterbese, il gestore dell’acqua pubblica non ha neppure i soldi per pagare le bollette dell’energia elettrica che serve a fare funzionare i pochi impianti di potabilizzazione (appena quattro su una cinquantina) realizzati oltre i tempi delle deroghe Ue dalla Regione Lazio. E se la ”luce” non viene staccata e gli impianti continuano a lavorare è solo grazie alle raccomandazioni del prefetto: interrompere l’erogazione dell’acqua alla popolazione non si può.

«Il fatto - spiega Marco Fedele, presidente di Talete, la società pubblica di cui fanno parte 28 Comuni della Tuscia e che serve il 70% della popolazione - è che dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza da parte del Consiglio dei ministri con ordinanza del 28 gennaio 2011, la Regione è stata delegata a risolvere il problema con fondi propri. All’epoca l’Università La Sapienza di Roma, interpellata per capire come agire, indicò la strada dei dearsenificatori, ma come soluzione a breve termine. Di fatto - continua Fedele - questa è rimasta l’unica strategia e non si capisce chi e come potrà sostenere le spese di gestione di tutti gli impianti: per pompare l’acqua da sorgenti e pozzi, per depurarla, servono corrente elettrica, filtri, personale. Chi se ne farà carico? Esula dalle possibilità della spa».

Le cui casse, a Viterbo è noto, non sono floride visto che un’altra trentina di Comuni che avrebbero dovuto aderirvi per legge, finora se ne è ben guardata. E di quelli che hanno aderito, la partecipata ha ereditato più che altro dissesti e acquedotti colabrodo. Insomma: le bollette per i dearsenificatori arrivano puntuali ogni mese, ma nessuno paga. E nessuno pagherà. Mentre crescono in maniera esponenziale i debiti che maturano a carico della società pubblica. Una questione che si avvita su se stessa.

Proprio ieri il viterbese Daniele Sabatini, consigliere alla Regione Lazio, ha reso nota l’approvazione all’unanimità di un suo ordine del giorno, che impegna la giunta Zingaretti appena insediata a rispettare un cronoprogramma sulla realizzazione degli impianti, a trovare i fondi mancanti per il loro completamento e a scovarne altri per aiutare le imprese di produzione e somministrazione di alimenti e bevande, che hanno dovuto installare i potabilizzatori a proprie spese.

In pratica si tratta di «concludere gli interventi di potabilizzazione entro il 30 giugno per le zone ove l’arsenico è maggiore a 20 microgrammi per litro e ad attivare le procedure ove è compreso tra 10 e 20 in modo tempestivo, e comunque entro la fine di giugno con l’assestamento di bilancio».

Dai rubinetti di oltre l’80 per cento della popolazione dell’Alto Lazio (casi ci sono anche a Velletri, in provincia di Roma, e a Latina) continua a scorrere acqua con concentrazione della sostanza ritenuta nociva per la salute e bandita dall’Organizzazione mondiale della sanità oltre i livelli di guardia (10 microgrammi per litro). «Lo stato d’emergenza così come dichiarato dal Cdm nel 2011 - conclude Fedele - si è chiuso il 31 dicembre 2012. Ora siamo tornati al regime ordinario. L’Istituto superiore di Sanità, preso atto del grave ritardo nella realizzazione degli impianti, il 21 dicembre disse che si poteva arrivare al limite del 30 giugno 2013 per le zone con concentrazione superiore ai 20 microgrammi; mentre si dovrà essere totalmente a posto entro dicembre 2014. Ben venga, dunque, l’impegno condiviso della Regione».

E aggiunge: «Ora è urgente l’apertura di un tavolo che individui soluzioni definitive con interventi sugli acquedotti per superare l’impasse dearsenificatori e riconoscere anche ai viterbesi il diritto di bere acqua naturale e non filtrata».

http://www.ilmessaggero.it/VITERBO/arsenico_dearsenificatori_acqua_potabile_emergenza_viterbo/notizie/274032.shtml

Viterbo, allarme arsenico nell’acqua: “Abbiamo paura per i nostri figli”

Nei Comuni di tutta la Tuscia ordinanze di divieto di bere dal rubinetto. Il sindaco di Viterbo: "La Regione ha perso tempo dal 2005". La promessa: "Investimenti per 36 milioni". Intanto partono le segnalazioni all'Authority: "Bollette aumentate e tariffa piena"

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Il problema della presenza di arsenico nell’acqua destinata al consumo umano ha assunto dimensioni paradossali nella Tuscia. Un’ordinanza dei sindaci dei Comuni interessati ha stabilito ildivieto di bere l’acqua che arriva nelle case e l’obbligo per i commercianti del settore alimentare di usare dei dearsenificatori per realizzare, quindi, dei prodotti fatti con acqua depurata. Per troppi anni il problema è rimasto irrisolto e dopo la scadenza della terza deroga europea (31 dicembre 2012), che ha obbligato l’Italia a mettersi in regola, adesso l’emergenza permane anche se ci sono i fondi per l’immediato e nuovi progetti ad ampio raggio in fase di studio.
L’umore dei residenti nel comune di Viterbo è pessimo. Sono costretti ormai da anni a doversi rifornire ogni giorno alle “casette dell’acqua” presenti sul territorio cittadino: “Sono troppo poche e le file sono interminabili, così spesso siamo obbligati a comprare l’acqua in bottiglia – denunciano i cittadini - In più dobbiamo dare noi l’acqua ai nostri figli che vanno a scuola perché altrimenti non potrebbero bere quella dei rubinetti”.
Il sindaco di Viterbo: “La Regione ha perso tempo”
“La Regione Lazio intervenga subito” ha denunciato il primo cittadino di Viterbo, Giulio Marini, in uno sfogo indirizzato alla dirigenza di via della Pisana. “Se questa calamità naturale fosse stata gestita quando si iniziavano a registrare i primi campanelli di allarme, – ha aggiunto Marini – oggi non saremmo qui a parlare di dati, studi e soprattutto di emergenza arsenico. Fin dal 2005 è chiaro che la soluzione deve trovarla la Regione e i soldi ci sono: 35 milioni dei quali 12 per la provincia di Viterbo. Nel passato ci sono stati troppi ritardi”. Adesso serve un’accelerazione per risolvere l’emergenza e un piano a lungo raggio per mettere la situazione in sicurezza. In gioco c’è la salute dei cittadini e la credibilità del Lazio e dell’Italia.
La Regione: “Investimenti per 36 milioni”
Nel team della giunta Zingaretti ad interessarsi del problema è l’assessore con delega all’Ambiente, Fabio Refrigeri: “Per risolvere l’emergenza sono stati investiti 36 milioni di euro in due tranches. In questa fase, avviata in una situazione commissariale prima della mia nomina, sono già stati realizzati alcuni dearsenificatori e altri verranno ultimati entro il 30 giugno”. Oltre al suo ruolo nell’Anci Lazio, nel 2004 Refrigeri è stato eletto sindaco si di Poggio Mirteto (Rieti), e quindi dovrebbe avere il polso del problema “arsenico” nei comuni interessati.
La situazione non può risolversi con la sola attuazione delle opere d’emergenza. Per questo motivo è al vaglio un progetto per la realizzazione di adduzioni con il lago di Bolsena o altri bacini dove non è presente l’arsenico. “L’idea – spiega l’assessore Refrigeri – è di aprire un tavolo di concerto con il ministero dell’Ambiente, il ministero della Salute e il gestore del servizio idrico, per realizzare una soluzione definitiva. Il piano è ambizioso e potrebbe costare tra 120 e 150 milioni di euro, ma credo sia necessario pensarci se vogliamo attuare interventi che abbiano un senso per il futuro dei nostri territori”.
Segnalazioni all’Authority: “Bollette aumentate e tariffa piena”
A questa complicata situazione si sono aggiunte alcune segnalazioni giunte all’Autorità per l’energia elettrica e il gas da parte dei cittadini che hanno subito le ordinanze comunali di non potabilità delle risorse idriche, i quali hanno chiesto chiarezza in merito alla regolarità delle tariffe applicate per il consumo dell’acqua. “Le bollette sono aumentate e paghiamo a tariffa pienaun’acqua che invece non è buona” hanno dichiarato alcuni viterbesi. Sulla base di queste comunicazioni l’Autorità ha aperto un’istruttoria conoscitiva che si concluderà entro 180 giorni. “Il nostro compito è riscontrare se il non aver messo in atto la disponibilità di acqua potabile, abbia prodotto degli effetti dal punto di vista tariffario – ha commentato Sandro Staffolani, a nome dell’Authority – e valutare se i gestori del servizio idrico abbiano messo in opera tutti gli adempimenti necessari per provvedere ai servizi sostitutivi”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/26/viterbo-allarme-arsenico-nellacqua-abbiamo-paura-per-nostri-figli/574849/