Giampaola Bellini
La Turchia cambia. Elimina la pena di morte. I corsi di lingua kurda sono ammessi. Ma l’aria che si respira andando a Dersim è diversa.
Non andate a cercarlo sulla carta geografica, non lo troverete. Nome kurdo di questa città, Dersim è stato sostituito da Tunceli, in turco pugno di ferro, perché nella resistenza degli anni ’30 qui si è assistito alla repressione più sanguinosa.
Nel conflitto più recente, negli anni ’90, quando si consumava la drammatica disgregazione della ex-Jugoslavia, la popolazione si è dimezzata. Circa 80.000 persone sono andate via. Dietro di loro solo terra bruciata ed esecuzioni sommarie.
Ancora oggi per arrivare a Dersim, cui si può accedere solo da tre anni e dove lo stato di emergenza è stato ritirato nella primavera dello scorso anno, occorre superare 3 posti di blocco per il controllo passaporti.
Nonostante le armi deposte dal PKK nel ‘99, non si può parlare di normalità per la popolazione di Dersim. A ricordarlo quotidianamente una massiccia presenza militare, circa 1 soldato ogni 4/5 persone. Dersim sorge sul fiume Munzur, affluente dell’Eufrate, e sulla sponda opposta rispetto all’abitato una serie di caserme e postazioni controlla dall’alto la città. Anche nella piazza principale si è costantemente sotto il mirino di una postazione militare.
Poi c‘è la disoccupazione. Zona di montagna, le attività principali erano l’agricoltura e la pastorizia, impossibili oggi da praticare per il divieto vigente di rientrare nei villaggi distrutti e di portare il bestiame al pascolo.
Si fa fatica a capire chi veramente parli il kurdo. Anni di repressione hanno cancellato l’identità di una generazione. Di fatto chi è andato a scuola, non lo ha mai imparato o lo ha dimenticato, perché lasciarsi sfuggire una parola kurda in classe equivaleva a subire minacce e persecuzioni.
Tutto il kurdistan costituisce una immensa riserva d’acqua, qui il Tigri e l’Eufrate hanno visto nascere civiltà millenarie. Lo stesso fiume Munzur è oggetto di sfruttamento economico. Percorre 144 km prima di gettarsi nell’Eufrate e le 8 dighe in progetto (2 sono quelle già completate) ne imbriglieranno completamente le acque. Una nuova diaspora attende il popolo kurdo. 84 i villaggi da evacuare e 3 / 4 mila le persone costrette ad abbandonare la propria casa. Nessun vantaggio per l’economia locale, solo disagi e la distruzione di un habitat particolare, degno di protezione, come testimonia il Parco istituito nel 1997, nell’area a monte di Dersim.
Porta dell’oriente, l’influenza che si può avere in quest’area è di fondamentale importanza per la gestione degli equilibri tra diversi Paesi. Tigri e Eufrate assicurano, infatti, l’approvvigionamento di acqua per Siria e Iraq e la possibilità di controllare i flussi di acqua in uscita dalla Turchia equivale a poter gestire questi equilibri.
Manca ancora un tassello per completare lo scenario, e cioè l’entrata in Europa della Turchia e l’influenza sulla gestione dell’acqua che la costruzione delle dighe in queste aree garantirebbe agli Stati Uniti. La stessa Banca Mondiale ha ritirato i propri capitali dal Progetto GAP – che implica la costruzione di diverse dighe sui due fiumi – per il rischio di generare conflitti insito nella realizzazione delle opere stesse. I capitali degli Stati Uniti rappresentano pertanto, al momento, la maggior parte dei finanziamenti stranieri nell’area.
Se l’Europa ha interesse a che la Turchia entri nell’Unione deve occuparsi di tutto questo, assicurare che il popolo kurdo ritrovi la propria dignità, giustizia, accesso a quelle terre dove ha sempre vissuto. La comunità internazionale, inoltre, non può lasciare, che, oltre alla distruzione del territorio e alla minaccia alla sopravvivenza stessa della popolazione, qui si costruiscano le premesse per conflitti con cui le future generazioni dovranno fare i conti.
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