martedì 17 gennaio 2012



Le dispute idriche in Medio Oriente
Finestra sul mondo 

La Terra è anche nota come Pianeta Blu grazie alle sue enormi riserve di acqua dislocate su tutto il globo. Purtroppo il 98% dell’acqua di superficie è collocata negli Oceani e solo il restante 2% rappresenta il rifornimento di acqua dolce per il Mondo. Più drasticamente, il 90% di tale acqua dolce si trova ai Poli o in bacini acquiferi sotterranei. Ne deriva quindi che gli uomini hanno accesso diretto a solo lo 0,00006% dell'acqua disponibile sul nostro Pianeta. L’impossibilità diffusa di un’immediata disponibilità di acqua dolce è l’aspetto importante che deve essere capito dalle popolazioni e dagli Stati del mondo, soprattutto considerato il fatto che la maggior parte dei paesi in via di sviluppo sono situati nelle regioni aride o semiaride della Terra in cui l'acqua risulta essere più limitata. In 88 paesi in via di sviluppo, che raggruppano quasi il 40% per cento della popolazione mondiale, la scarsità dell'acqua costituisce già un serio vincolo allo sviluppo. Secondo le organizzazioni internazionali la penuria idrica si registra al di sotto dei 1.000 m3 pro capite annuali e molti dei paesi in via di sviluppo sono ben lontani da tale valore. La regione comunemente individuata come MENA, ovvero la regione del Medio Oriente e Nord Africa, è senza dubbio una delle più aride al mondo, dove, in oltre 5000 anni di storia, l’acqua è stata spesso oggetto di guerre e conflitti più o meno localizzati. Il controllo, l’impiego e la ripartizione delle risorse idriche continuano a scatenare ancora oggi tensioni tra gli Stati e tra le popolazioni di quell’area. I tassi di crescita demografica vicini al 3% annuo, uno sviluppo economico che stenta a decollare, gli investimenti stranieri che ristagnano da tempo a causa delle tensioni etniche, politiche e religiose stanno determinando una competizione crescente tra i governi della regione per accaparrarsi le limitate risorse idriche dei tre bacini fluviali più estesi, il Nilo, il Giordano e il Tigri-Eufrate. Un capitolo emergente dei cosiddetti security studies che ha per oggetto di analisi la sicurezza ambientale sta cercando di diffondere la consapevolezza nelle opinioni pubbliche internazionali dei pericoli legati ai potenziali conflitti per l’acqua. È opinione diffusa tra gli studiosi che esistano fondamenti e variabili oggettive per poter asserire con un buon grado di ragionevolezza l’imminente esplosione di violenze interstatali per il controllo dell’acqua. Tali variabili sono, ad esempio, la domanda e l’offerta di acqua secondo le esigenze e i bisogni degli attori in campo, il livello di scarsità delle risorse idriche, l’effettivo grado di condivisione tra due o più paesi di uno stesso bacino idrico, il potere relativo di questi Stati, l’accesso a fonti idriche alternative, le dinamiche geopolitiche legate all’importanza strategica di aree e territori. Inoltre i contenziosi inerenti le risorse idriche ben raramente possono essere studiati come questioni a sé stanti, in quanto i loro sviluppi si trovano inseriti all’interno di altri ambiti, tra cui quello politico, socio-economico, culturale, religioso, militare. Iniziamo questa nostra prima analisi delle dispute idriche con il caso del Bacino del Tigri-Eufrate: la contesa per le preziose risorse d’acqua riguarda i tre Stati che lo condividono, Turchia, Siria ed Iraq, ma lo scenario è ulteriormente aggravato dalla questione della rivendicazione di indipendenza del popolo curdo a cavallo tra quattro Stati (Siria, Iraq, Iran e Turchia) e dalla contestuale presenza di risorse petrolifere propria nell’area curda che aumentano notevolmente la complessità della situazione. 

IL CASO DEL BACINO DEL TIGRI-EUFRATE : Il Progetto GAP, i curdi e le risorse petrolifere della Regione La guerra per il controllo del Bacino del Tigri-Eufrate, che da ormai quarant’anni anni vede coinvolti Turchia, Siria ed Iraq, è considerata come una delle più rilevanti “guerre silenziose” mai combattute, che rischia però oggi di conoscere una deflagrazione dirompente. L’oggetto del contendere è in primo luogo il faraonico Progetto GAP voluto dalla Turchia per sviluppare l’area sud-est anatolica, un territorio lungamente ignorato dal governo di Ankara dove è insediato parte del popolo curdo. Lo scopo principale è utilizzare le acque dei due fiumi mediante la costruzione di 22 dighe di grande e media dimensione e di 19 centrali idroelettriche. Il Progetto prevede inoltre la deviazione di parte delle acque dei due fiumi attraverso immensi tunnel verso l’area di Harran per irrigare 1,7 milioni di ettari di terra. Il governo turco, in quanto Stato rivierasco a monte, intende utilizzare le acque del Bacino idrografico del Tigri ed Eufrate per soddisfare il fabbisogno elettrico ed agricolo del proprio territorio, sfruttando il fatto che questi due fiumi, culla delle civiltà agli albori della storia umana, hanno origine proprio in questa parte di territorio e di fatto sono sotto il suo diretto controllo e sfruttamento unilaterale. Una volta completato, il Progetto GAP permetterà alla Turchia di utilizzare il Bacino idrografico mediante le mega dighe di Ataturk (già completata nel 1990 ed inaugurata nel 1992), Karakaya (attiva dal 1987) e Keban (attiva dalla fine degli anni ’70). Da qui il potenziale conflitto regionale: il Progetto infatti genera fortissime proteste da parte di Siria ed Iraq, gli altri due Stati rivieraschi che, trovandosi a valle del Bacino, temono che il flusso dei fiumi venga ridotto in modo tale da compromettere i propri piani nazionali di sviluppo e crescita. Tant’è che la difficile strada percorsa nella Regione per cercare una qualche forma di cooperazione durante il XX secolo, da questo Progetto unilaterale ha ricevuto una pesante battuta di arresto. Inoltre non vanno dimenticate le rimostranze da parte di ecologisti e ambientalisti che criticano la costruzione indiscriminata delle dighe, definite brutture architettoniche colpevoli di alterare l’ecosistema e l’ambiente naturale dell’area. 

La geografia del Bacino - Il fiume Eufrate Nasce negli altopiani della Turchia sud-orientale e con i suoi 2.700 km è il fiume più lungo dell’Asia sud-occidentale. Il suo volume annuale è di circa 36 miliardi di m3 d’acqua; si forma con il contributo di due tributari importanti, il Murat ed il Karasu. Questi due affluenti si uniscono vicino alla città di Elazig e l’Eufrate segue successivamente un percorso sud-orientale per entrare in Siria vicino a Jarabulus. In seguito, continua il proprio corso in territorio siriano unendosi a due ulteriori tributari, il Khabur e il Balikh, che originano comunque in Turchia e che sono gli ultimi due affluenti che contribuiscono al fiume. Dopo essere entrato in Iraq, il fiume raggiunge la città di Hit, trovandosi a 53 m sopra il livello del mare. Da Hit, per 735 km, il fiume lascia una parte importante delle proprie acque nei canali di irrigazione e nel lago Hammar. Il restante flusso si unisce al fiume Tigri vicino alla città di Qurna e il corso unito, noto come Shatt al-Arab, riceve a Bassora il fiume Karu, che nasce in Iran, per sfociare nel Golfo Persico. Prima della città di Hit il fiume non è navigabile a causa di rapide e banchi sabbiosi. Anche a valle di Hit il corso del fiume è imprevedibile, tuttavia permette alcune forme di trasporto fluviale e dopo Bassora lo Shatt-al-Arab diventa più adatto alla navigazione moderna. Storicamente, l’Eufrate deve il suo nome alla lingua sumera che lo chiama Buranun. Si è poi trasformato in Ufrat nel persiano antico, in Eufrate per il greco e latino, Furat in arabo e Firat in turco. Il fiume Tigri Anche il Tigri origina negli altopiani della Turchia orientale, precisamente dal lago Hazer, segue poi un percorso sud-orientale fino alla città turca di Cizre e forma il confine fra Turchia e Siria per 32 km prima di entrare in Iraq. In Iraq alcuni importati tributari, che originano dalla montagne di Zargos, ne accrescono la portata idrica: lo Zap Superiore, lo Zap Inferiore, l’Adhaim e il Diyala. Si unisce poi all’Eufrate nella città di Qurna e assieme, come Shatt-al-Arab, sfociano nel Golfo Persico. Il Tigri è il secondo fiume più lungo del sud-ovest asiatico con i suoi 1.840 km. A Nord, il fiume permette una qualche navigazione fino a Mossul e anche il tratto a Sud della capitale Bagdad, situata sulla congiunzione del Tigri con il Diyala, è navigabile. A causa delle irregolarità dei flussi dei suoi tributari, il Tigri è noto per le sue malfamate inondazioni. Per controllare tali piene, la popolazione ha sempre deviato l'acqua dal Tigri all’Eufrate. Il nome Tigri deriva dal sumero Idigna, che si è trasformato in Idiglat nella lingua accadica, Tigra nel persiano antico e Tigri dall’epoca di Erodoto (circa 450 a.C.) fino ai giorni nostri. 
L'idrografia del bacino - Il fiume Eufrate La Turchia contribuisce per il 98% al flusso dell’Eufrate. Secondo le valutazioni ufficiali, la Siria contribuisce per un 12%, tuttavia il 10% di questo 12% proviene dai tributari del Nord, dal Khabur e dal Balikh, che raccolgono le proprie acque in Turchia. Il flusso naturale del fiume può registrare annualmente i 33,4 miliardi di m3 d’acqua. Nessun altro tributario confluisce nell’Eufrate dopo il Khabur, tranne nel territorio iracheno dove alcune delle acque del Tigri sono convogliate nel suo corso. Il fiumeTigri Il fiume Tigri che scorre in Turchia assieme al fiume Khabur (da non confondere che l’omonimo Khabur condiviso tra Turchia e Siria, in una zona più occidentale) ha un flusso annuale di circa 20.5 miliardi di m3 d’acqua. A Bagdad, il Tigri registra un flusso medio annuale massimo di 70.4 miliardi di m3 e il 55% di tale flusso proviene dai suoi tributari di origine montuosa. Di conseguenza, la Turchia contribuisce intorno al 51.8% al flusso del Tigri e l’Iraq attorno al 49.2%, mentre nullo è il contributo della Siria. 
L’utilizzo del Bacino da parte dei rivieraschi: Turchia Oggi la Turchia utilizza soltanto una piccola parte del potenziale idrico dell’Eufrate che viene convogliato negli impianti di energia idroelettrica. Attualmente vi sono tre importanti dighe operative sul fiume Eufrate: Keban, Karakaya ed Ataturk. La diga di Birecik è in costruzione e la quinta e ultima diga, Karakamis, è agli inizi del cantiere. Soltanto le dighe di Ataturk, di Birecik e di Karakamis saranno parte integrante del Progetto GAP, mentre le dighe di Karakaya e di Keban sono state inizialmente progettate per la produzione di energia idroelettrica. La diga di Ataturk è stata completata ed il suo invaso riempito fino ai livelli massimi, mentre i canali di Urfa stanno trasportando l’acqua del fiume fino alla pianura di Harran. Tuttavia, si tratta soltanto di una piccola parte del Progetto GAP e, stando agli studi attuali, l’uso totale del fiume Eufrate sarà possibile solo nel 2020. Se la Turchia usa una parte limitata delle acque del fiume Eufrate, ancora minore è la quantità di acqua utilizzata dal fiume Tigri. Non ci sono grandi dighe costruite sul fiume e al momento sono in corso un certo numero di progetti tra cui la costruzione della diga di Ilisu, a 65 km dal confine iracheno, oggetto di fortissime controversie da parte di organizzazione non governative impegnate nella salvaguardia dell’ambiente. A causa della sua posizione geografica, il fiume Tigri è stato l'ultimo sistema idrico ad essere sviluppato in Turchia. Le sue acque scorrono attraversano terreni montuosi e soltanto le parti più a valle del fiume possono essere utilizzate per gli scopi di irrigazione, tuttavia il governo di turco progetta di usare il fiume Tigri per una vasta produzione idroelettrica. 

Il Progetto GAP Il Progetto GAP per il Sud-Est anatolico è il progetto di sviluppo più grande mai intrapreso dalla Turchia ed uno dei più ambiziosi del suo genere nel mondo. Previsto dai leader turchi tra gli anni ’50 e ’60, è iniziato alla metà degli anni ’70 con la costruzione della diga di Keban nel tratto superiore dell’Eufrate. La spinta principale per l’implementazione del Progetto è venuta successivamente durante gli anni ’80: nel 1986 il governo di Ankara ha definito il GAP come uno dei programmi principali di sviluppo regionale nel paese con la previsione di incrementare notevolmente l’uso delle acque dei due fiumi. Il GAP presenta grandi numeri: pianificati vi sono 13 progetti finalizzati all’irrigazione e alla generazione di energia idroelettrica da tradursi mediante la costruzione di 22 dighe e 19 impianti di energia idroelettrica sui fiumi Tigri ed Eufrate e sui loro tributari. A realizzazione ultimata, come già anticipato, oltre 1,7 milioni di ettari di terra saranno irrigati e annualmente saranno generati 27 miliardi di chilowatt di elettricità. La zona destinata all’irrigazione rappresenta il 22,8% della superficie agricola economica della Turchia (il cui totale è di 8,5 milioni di ettari) e la capacità di produzione idroelettrica rappresenta il 22% dell’intera capacità del paese (il cui totale è di 118 miliardi di chilowatt). Il Progetto investe un’area di 75.000 km2, ovvero quasi il 9,5% della superficie totale del paese. Il costo complessivo dell’opera è stimato in 32 miliardi di US$ e se ne prevede la realizzazione finale per il 2020. Ufficialmente lo scopo del Progetto è quello di trasformare radicalmente questa zona arida e sottosviluppata al confine con Siria e Iraq, che riveste una fondamentale importanza strategica, in una sorta di eden, ricco di acqua e di kilowatt: elementi fondamentali di un futuro sviluppo agricolo e industriale che, secondo i dati di Ankara, creerà tre milioni di nuovi posti di lavoro abbattendo la disoccupazione (che, in effetti, è la vera piaga nella regione), arrestando così la massiccia migrazione verso i centri urbani. Inoltre proietterà a pieno titolo nel XXI secolo una delle aree più povere e arretrate della Turchia: per sviluppare le industrie, oltre ai progetti delle dighe, sono già pronti quelli di autostrade, aeroporti e nuove linee ferroviarie. Anche le coltivazioni subiranno cambiamenti radicali: si passerà infatti da un'agricoltura incentrata sulle coltivazioni asciutte (che richiedono livelli minimi di irrigazione, come le olive, il frumento e i pistacchi) a una basata sulle colture irrigue, soprattutto alberi da frutto e ortaggi. Tuttavia si tratta anche di una zona fonte di continui problemi: quella che Ankara chiama semplicemente la "regione sud-orientale" è nota nel resto del mondo come Kurdistan turco, quella porzione della Turchia che i curdi rivendicano come parte integrante di un loro Stato autonomo assieme ad altre porzioni di territori dislocati in Iran, Iraq e Siria. Inoltre la regione è la base di insediamento ed operativa del Movimento separatista curdo, gestito dal Partito operaio curdo (PKK) il cui leader è Ocalan. 

Simona Benfenati  www.andareoltre.org

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