martedì 17 gennaio 2012

il Manifesto , Giovedì 12 Febbraio 2009 

Una struttura che costa più di due milioni di euro l'anno e che, in teoria,dovrebbe
riunire i comuni del napoletano per organizzare la gestione delle acque.
In realtà l'Ato2 da due anni è praticamente  inattiva,lasciando ampi spazi di movimento 
alle multinazionali che procedono alla privatizzazione dell'acqua.

Acqua di Campania
UNA GUERRA ANCORA TUTTA DA COMBATTERE
Adriana Pollice
NAPOLI
Sono circa 400 le firme in calce all'esposto presentato alla procura della
Repubblica partenopea da cittadini campani coordinati dall'associazione
Giuristi Democratici. Saranno i pm Ferrigno e La Ragione a indagare sui
motivi della sostanziale inattività dell'Ambito territoriale ottimale 2
Napoli–Volturno. Una struttura che costa ogni anno poco meno di 2milioni di
euro, con il compito di riunire i comuni della zona per organizzare la
gestione delle risorse idriche. E invece da due anni la sua attività ha
subito un brusco rallentamento fin quasi all'inerzia, mentre le
multinazionali in silenzio lavorano a creare una sostanziale privatizzazione
de facto. «Si tratta di una diffida alla struttura - precisa l'avvocato
Elena Coccia, che segue la causa - perché svolga il suo compito statutario,
in modo da non dare margini ai comuni per procedere da soli, trasformando
l'acqua in merce». La strategia comincia nel 2006, la Giunta campana il 18
gennaio approva il ddl che dispone la creazione della società pubblica
Campaniacque, dopo un lungo braccio di ferro che ha visto prevalere gli
attivisti sui 136 comuni dell'Ato2, che si erano espressi per la
privatizzazione. La società non è mai nata, i disegni di legge regionale per
disciplinare la materia vengono lasciati a decantare mentre il panorama si
modifica in silenzio. Poi ci si è messa la crisi economica e il taglio agli
enti locali da parte del governo, i comuni indebitati cercano di fare cassa
e così 12 amministrazioni dell'ambito Napoli–Volturno pubblicano bandi di
gara per affidare la gestione delle acque a privati, nonostante siano
partner dell'Ato, obbligati per legge a sostenerne anche i costi. Il comune
di Pozzuoli, ad esempio, con una semplice determina dirigenziale ha indetto
a maggio 2008 una gara d'appalto per aggiudicare il servizio idrico
integrato per un importo pari a 15.357.200 euro. Ed è a questo punto che
l'Ato fa sentire la sua presenza, unico segno di vita, facendo ricorso al
Tar contro gli affidamenti, che dovrebbero essere decisi solo in sede di
coordinamento. «Alla sentenza del Tar avversa ai comuni - racconta Salvatore
Carnevale, tra i promotori dell'esposto – fa immancabilmente seguito un
accordo tra le parti. Le amministrazioni possono procedere, salvo revocare
gli atti quando l'Ato deciderà in proprio». La decisione per ora non arriva
e il gioco è fatto. Il secondo meccanismo per divorare il business dei
servizi utilizza le acquisizioni. La trasformazione delle società pubbliche
in Spa a capitale pubblico ha aperto la strada alla penetrazione delle
multinazionali. Spettatrice attenta delle evoluzioni politiche napoletane è
la francese Veolia, che già lo scorso aprile aveva provato ad aumentare la
sua presenza in regione. L'occasione l'aveva fornita il Gruppo Eni,
disponibile a cedere il 50,5% di Acqua Campania (gestore della captazione e
adduzione dell'acquedotto che serve Napoli e Caserta) all'Acea di
Caltagirone e a Veolia, possessori del restante 49,5%. Si tratta di
protagonisti di primo piano: il gruppo Caltagirone (attraverso l'Acea) è già
presente nel Lazio, in Toscana e in Campania; la Veolia, poi, è una vera e
propria macchina da guerra. Tra le più potenti multinazionali del settore,
sta mettendo le mani sulle risorse idriche dell'intero meridione, in
compartecipazione con la Emit di Giuseppe Pisante. Fa già affari in
Calabria, dove controlla il 49% dell'adduzione, e in Sicilia dove detiene la
maggioranza di Siciliacque, l'operatore privato creato dalla giunta Cuffaro.
Fortissimi gli interessi anche nel campo dello smaltimento dei rifiuti,
dove è il secondo gestore al mondo. Un colosso che però ha finito per
attrarre l'attenzione della magistratura. Le prime inchieste risalgono alla
fine degli anni '90, ma i problemi più grossi sono arrivati l'anno scorso
con l'inchiesta su Acqualatina. L'operazione Napoli non è riuscita, per il
momento, l'amministrazione partenopea, ai minimi storici in fatto di
popolarità, ha preferito non aprire un nuovo fronte di scontro mala
penetrazione in Campania è orami avviata. Nel beneventano è ancora Acea a
dettare legge, grazie all'acquisizione dell'indebitata Gesesa, che forniva
il servizio nel Sannio. Ad Avellino è la A2A, multiutility lombarda che ha
portato a casa la gestione dell'inceneritore di Acerra, a colonizzare le
fonti del Serino, mentre nel salernitano stanno procedendo a riunire i
gestori locali in un'unica Spa a capitale pubblico, primo passo per
un'eventuale cessione di quote ai privati. Eppure come vanno le cose quando
l'acqua diventa business è cosa nota, un esempio lo fornisce l'Ato 3 Sarnese
Vesuviano, uno dei più vasti d'Italia, che riunisce 76 comuni tra la
penisola sorrentina e Capri, più la zona del vesuviano e l'area dei Monti
Lattari, fino al fiume Sarno. Istituito nel 2001, l'anno successivo venne
deciso di affidare la gestione delle risorse idriche con licitazione
privata, dopo un bando di gara andato deserto. Prescelta fu la Gori Spa,
società mista pubblico-privato: la prima componente è costituita dall'Ente
d'Ambito Sarnese-Vesuviano, con il 51% del capitale sociale, l'altro dalla
società Sarnese Vesuviano srl con il 37% circa, a sua volta controllata in
via esclusiva dall'Acea e il cerchio si chiude. Il presidente dell'Ato
spetta al pubblico, ma chi prende le decisioni è il privato. L'uomo chiave
è Stefano Tempesta, amministratore delegato della Gori, maanche direttore
Area business Lazio e Campania per Acea e presidente dell'Ato5 Frosinone,
dove gli utenti hanno avviato una battaglia legale contro la società del
gruppo Caltagirone, con tanto di sciopero della bolletta. Stessa dinamica
anche in Campania. Esemplare il caso Nola, a raccontarlo il Comitato civico
per la difesa del diritto all'acqua attraverso il suo battagliero portavoce,
Luigi Conventi. Nel 2004 il comune è sotto la gestione del prefetto Pasquale
Manzo, originario di Piano di Sorrento, comune dove ha sede legale la Gori.
Quaranta giorni prima delle elezioni locali, dà mandato al sub commissario
Rocco di firmare la convenzione con la spa, una fretta immotivata visto che
a oggi una decina di comuni dell'Ato 3 non l'hanno ancora fatto. L'atto
viene stilato su due fogli di quaderno, che l'amministrazione poi
insediatasi non ha mai trovato. La popolazione da subito comincia a
praticare la disobbedienza civile, non pagando le bollette, impedendo la
sostituzione dei contatori,"quasi la totalità dei nolani si è ribellata a
una decisione presa sopra le loro teste" ricordano dal comitato. Da allora
comincia una guerra di logoramento, con la Gori a minacciare gli utenti di
pignoramento, mentre i giornali avviano una campagna stampa contro i
cittadini, dipinti come colpevolmente morosi. Ma i cittadini qualche
ragione ce l'hanno, come dimostrano gli sviluppi giudiziari. Il gestore
privato, infatti, ha inserito nelle bollette una voce di spesa, pari al 30%
dell'importo, per la depurazione delle acque, pur non effettuando il
servizio. Pratica sanzionata dalla Corte costituzionale con sentenza di
ottobre 2008, che ha costretto la Gori a restituire 33,4 milioni di euro.
Una voragine da ripianare, ma pronto è arrivato il soccorso della politica.
Con la delibera 33 del 31 dicembre 2008 il presidente dell'Ato 3 Alfonsina
de Felice, subito prima di rassegnare le dimissioni e approdare
all'assessorato regionale alle politiche sociali, ha autorizzato un aumento
dei costi del 38% per un anno, impegnando poi i sindaci a ridiscutere le
tariffe. Non solo, la finanziaria 2007 imponeva che tutte le concessioni di
servizi non assegnate con bando di gara pubblico decadessero entro la fine
di quell'anno, tranne per le società quotate in borsa. Secondo i comitati la
partecipazione dell'Acea, indiretta, non salverebbe dalla nullità dell'atto
e per questo hanno fatto ricorso al Tar. Ma è evidente che lo scontro è
prima di tutto politico. Le amministrazione tendono a prendere accordi, se
non a scambiarsi favori, con il privato senza tenere conto della volontà
degli amministrati. Quando esplode la protesta comincia il gioco delle
parti. Il Consiglio comunale di Nola a gennaio dell'anno scorso, sotto la
pressione dell'opinione pubblica, ha revocato la concessione, ma Gori, Ato 3
e Regione Campania hanno ottenuto la sospensione dell'atto dal Tar. Non
basta, il gestore ritiene i consiglieri comunali personalmente responsabili,
minacciandoli di citarli per danni. Un'arma di persuasione efficace, visto
che produce il ritiro della delibera e l'armonia torna in famiglia. Ma il
comitato è tenace e avvia un referendum popolare, la politica si muove e
sposta i seggi elettorali in frazioni lontane e poco accessibili, come
Piazzolla, un gruppo di 5 o 6 masserie a 7 km dal centro. Il quorum non
viene raggiunto ma, nonostante tutto, vanno a votare più di 8mila citta ini,
oltre il 30%. «Nessun partito a Nola prende tanti voti, questo avrà il suo
peso sulle amministrative di giugno. Intanto andiamo avanti» dichiarano
decisi al comitato. La battaglia legale ma anche la diffusione di
associazioni in tutti i comuni dell'Ato, dove già si stanno organizzano
altri referendum. La guerra dell'acqua è ancora tutta da combattere. l'Ato2
da due anni è praticamente inattiva, lasciando ampi spazi di movimento alle
multinazionali che procedono alla privatizzazione dell'acqua.

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